LA MEDICINA NARRATIVA UN NUOVO METODO DI AFFRONTARE LA MALATTIA Katia Manocchi (Ascoli Piceno) Quotidianamente applichiamo la nostra capacità comunicativa per raccontarci agli altri, per parlare di noi, del nostro vissuto e delle nostre aspettative future. Contestualmente il paziente narra la propria storia di malattia per definire in maniera completa e vera la sua sofferenza ed il suo malessere. Il costrutto narrativo, derivante dalla sofferenza indotta dalla malattia, presenta una ricchezza semantica che va oltre la valutazione della qualità delle cure percepita dal paziente restituendo il carattere olistico alla pratica clinica e ridefinendo la stessa nel suo complesso. L ascolto delle narrazioni di malattia sono quindi uno strumento valido nella comprensione della relazione del paziente con la malattia ed obbliga ad integrare molti elementi che la clinica ed il mero approccio biomedico tendono a scindere. 1 In particolare il paradigma narrativo assume valenza nell approccio ai soggetti con malattie croniche dove il soggetto e la sua famiglia entrano a pieno titolo come protagonisti e co-attori del percorso di cura. 2 La medicina narrativa quindi non è solo un approccio complementare per comprendere meglio il paziente e la sua malattia ma diventa un elemento fondamentale nell atto diagnostico e di cura. 3
STORIA DI MALATTIA IN EMODIALISI Katia Manocchi Da qualche anno lavoro presso l unità operativa di emodialisi dell ospedale Mazzoni di Ascoli Piceno dopo aver prestato servizio per lungo tempo in Ortopedia. Ogni giorno come infermiera mi trovo immersa in vissuti di malattia dove l incontro con la persona che si narra rappresenta l elemento essenziale per approfondire la relazione infermieristica e per rendere il rapporto professionale più attento e partecipe alle esigenza del malato. Spesso, in un contesto così particolare, il tempo per l incontro rischia di ridursi ad un tempo tecnologico scandito da disinfezione, preparazione e priming del monitor, ovvero da un tempo-azione legato alla macchina. 4 L ambiente altamente tecnico e specialistico favorisce la carenza di attenzione interpersonale in quanto la concentrazione dell operatore è più portata al monitor che alla persona. Eppure se si vuol parlare di storia di malattia non si può fare a meno di pensare al paziente emodializzato. L inizio del trattamento emodialitico, le restrizione dietetiche e dei liquidi determinano nel paziente modificazioni della qualità e degli stili di vita tali da provocare reazioni di ansia e di depressione in grado d incidere negativamente sull aderenze alle cure. Per accettare un trattamento cronico che determina uno squilibrio così profondo dell immagine e della realtà l infermiere ed il paziente devono creare un alleanza terapeutica finalizzata a raggiungere obiettivi primari a breve termine. 5 Si deve pertanto creare una nuova strategia di cura basata su una corretta e precisa informazione del paziente, sulla riformulazione di un nuovo concetto di identità intesa come immagine di sé comunque integro per arrivare ad un accettazione attiva della malattia. Il paziente deve essere convinto che seguire il trattamento avrà degli effetti benefici tali da controbilanciare gli svantaggi legati alla terapia e deve essere in grado di assumersi e condividere la responsabilità del trattamento e del suo stato di salute. 6 In un contesto dove il crescente processo di specializzazione e tecnologizzazione della medicina spinge l interesse verso le buone decisione prese in base all evidenza scientifica vediamo svilupparsi l interesse per il vissuto del malato e per il racconto della malattia. 7
Trasmettere attraverso testimonianze autobiografiche i vissuti emotivi del paziente, fa si che emerga un aspetto meno tecnico della realtà e più vicina all uomo. La lettura di storie di malattia, raccolte mediante interviste semistrutturate nelle quali viene chiesto al paziente di raccontare la propria esperienza di dialisi consente di capire come essi descrivono se stessi e la loro esperienza di malattia. 8 BIBLIOGRAFIA: 1 Zannini L., Medicina narrativa e medical humanities. Cortina Milano, 2008. 2 Charon R., Narrative medicine : a model for empathy, reflection, profession and trust. JAMA 2001 ; 288 : 1902-1906 3 Bert G., Medicina narrative. Il pensiero Scientifico Editore. Roma, 2007 4 Duxburg J. Il paziente difficile modalità comunicative. Edizione Mc Graw Hill. Milano, 2000 5 Ongaro Basaglia F. Salute/Malattia. Le parole della medicina. Einaudi Torino, 1982 6 Zannini L. Salute, malattia e cura. Franco Angeli, 2003 7 Edwards I, Jones MA, Carr J. el all. Clinical reasoning strategies in physical therapy. Physical Therapy. 2004; 84.312-330 8 Zannini L. Per una pedagogia narrativa e interpretativa della formazione degli operatori sanitari Arco di Giano. 2003,37 : 123-138
LA STORIA DI DANIELE Katia Manocchi Sono stato un bambino particolarmente fragile e fin dalla prima infanzia i miei genitori mi hanno cresciuto in clima iperprotettivo circondato da attenzioni speciali dovute alla mia cagionevole salute. Ho cominciato a capire di essere ammalato nell 87 anno in cui, dopo innumerevoli esami ed una pregressa biopsia renale, il medico mi comunicò che nell arco di una decina di anni avrei avuto un ingravescenza della mia patologia. In quel periodo non ho compreso fino in fondo la complessità del mio problema anzi, sottovalutandolo, ho iniziato a praticare attività sportiva a livello agonistico anticipando in tal modo in mio ingresso in emodialisi. Avevo già una compagna e informandola del mio stato di salute, della difficoltà del percorso che avrei dovuto affrontare e della possibilità imminente del mio ingresso in terapia renale sostitutiva extracorporea, la pregai di fare una scelta, invitandola a ben riflettere sulle implicazioni che derivavano dalla sua decisione. La malattia mi ha colpito in una fase complicata della mia vita ed ha condizionato sfavorevolmente tutti i miei rapporti interpersonali annientando le mie prospettive ed aspettative future. Tutto è rapportato alla patologia e non vieni più identificato come un soggetto integro, subisci la condizione di malato e di ospedalizzato in casa. La dialisi arriva nel 1993 quando i miei valori ematici erano così elevati da non essere nemmeno dosabili. Accetto di buon grado il trattamento sostitutivo anzi, ne sono quasi rasserenato in quanto l attesa, in tutti questi anni, mi ha stremato. Il trapianto arrivò in fretta grazie alla donazione di un mio familiare allora la scelta mi sembrò giusta e pertinente oggi invece questa esperienza mi pesa anche perché non sono mai stato veramente bene. Nel 2005 rientro in trattamento e questo pone fine al rapporto ormai degradato con la mia compagna, la malattia diventa il centro della mia esistenza, sento rancore e frustrazione il mio equilibrio interiore inizia a vacillare. Dopo un periodo di profonda depressione ho cominciato a fare cose alternative, coltivo la passione per la pittura, per la musica, intraprendo studi sull equitazione ed inizio a frequentare un maneggio. La mia passione per i cavalli mi ha dato notevoli benefici sia a livello fisico che psicologico anche
perché le persone che frequento non conoscono il mio problema di salute, si relazionano con me in modo spontaneo e per la prima volta non mi sento malato. Oggi accetto finalmente la mia patologia e la dialisi comincia a non pesarmi più, cerco di adattare la mia malattia alla mia esistenza e non più il contrario. Voglio vivere, anche se parzialmente, una vita normale e non più sopravvivere. Penso che l aspetto psicologico in dialisi non venga affrontato in profondità, spesso, medici ed infermieri mi trattano come un malato e non come un paziente. C è una profonda differenza dal mio punto di vista tra i due termini. Il paziente è colui che entra in cura e anche se non risolve il suo problema di salute, condivide il piano terapeutico, riceve chiarimenti, discute e s impegna in sinergia con gli operatori sanitari per migliorare la propria qualità di vita. Il malato invece è una persona che subisce la sua patologia, non viene coinvolto in nessuna decisione riguardante il suo stato di salute e, vista la sua condizione, deve accettare passivamente il piano di cura propinato dai sanitari. Io non sono un caso clinico io sono un essere umano e voglio sapere e capire tutto ciò che è inerente alla mia patologia e al mio trattamento perché la mia malattia in definitiva riguarda me.