SARdeGNA SoSteNIBILe. Sostenibilità ambientale in Sardegna. manuale per la Pubblica Amministrazione. PuBBLICA AmmINIStRAZIoNe

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1 SARdeGNA SoSteNIBILe Sostenibilità ambientale in Sardegna. manuale per la Pubblica Amministrazione. PuBBLICA AmmINIStRAZIoNe

2 La presente pubblicazione è stata realizzata dalla Regione Autonoma della Sardegna, nell ambito del progetto Sardegna Sostenibile, finanziato dall Unione Europea, attraverso il POR Sardegna A cura della AtS: Progetto Verde Srl Achab Group Srl Cnos - Fap Regione Sardegna Nordest Ingegneria Srl Supervisione: Regione Autonoma della Sardegna Assessorato della Difesa dell Ambiente Assessorato del Lavoro, Formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale elaborazione testi e grafica: Progetto Verde Srl Achab Group Srl Consulenti scientifici: Prof. Ing. Bixio Vincenzo - Univ. Padova Prof. Dott. Borin Maurizio - Univ. Padova Prof. Ing. Del Col Davide - Univ. Padova Ing. Giacetti Walter illustrazioni: Tamiazzo Valentina Foto: Regione Autonoma della Sardegna Archivio Achab Group Srl Fotolia Progetto Grafico: Zamengo Federica Stampa: Marca Print snc di Pizziolo & C. Quinto di Treviso (TV) Le trasformazioni del sistema economico, sociale e politico intervenute negli ultimi anni, hanno determinato un profondo ripensamento del ruolo e delle funzioni degli Enti locali, divenuti progressivamente i principali attori di regolazione economica, sociale e ambientale. In uno scenario complesso ed in continuo mutamento, il ruolo della Pubblica Amministrazione diviene fondamentale al fine di realizzare nuovi modelli di sviluppo dei sistemi locali della Regione Sardegna che siano sostenibili economicamente, equi dal punto di vista sociale ed ecologicamente compatibili per interpretare e affrontare il cambiamento. Molteplici sono gli strumenti che la Pubblica Amministrazione ha a disposizione per mettere in atto strategie di sviluppo sostenibile miranti a ridurre gli impatti ambientali dei processi di produzione e consumo, attraverso una gestione più responsabile delle risorse naturali, dei rifiuti e delle fonti energetiche. Le scelte della Pubblica Amministrazione possono servire, contemporaneamente, da modello di buon comportamento per le imprese, le istituzioni private e i cittadini, dando quindi un contributo positivo alla protezione ambientale. I criteri ambientali servono quindi a privilegiare beni e servizi che: riducono la perdita di biodiversità; sostituiscono le fonti energetiche da non rinnovabili a rinnovabili; riducono la produzione di rifiuti; riducono le emissioni inquinanti; riducono i pericoli e i rischi ambientali. Indice Introduzione Rete ecologica regionale 1.1 La Rete Natura 2000 e i piani di gestione Processi partecipativi Gestione zone umide Salvaguardia e ripristino di dune costiere Risorsa Idrica 2.1 La raccolta differenziata delle acque di pioggia Reti duali e riutilizzo dei reflui depurati Sistemi vegetati per la riduzione dell inquinamento di origine diffusa Monitoraggio delle reti di acquedotto difesa del suolo 3.1 Interventi di sistemazione e manutenzione della rete idrografica Opere di laminazione per garantire l invarianza idraulica Interventi di sistemazione idraulico-forestale attraverso tecniche di ingegneria naturalistica Interventi di difesa dagli incendi: laghetti collinari Rifiuti 4.1 La riduzione dei rifiuti e il Green Public Procurement nelle azioni della Pubblica Amministrazione La caratterizzazione qualitativa e qualitativa dei rifiuti: pianificazione e gestione delle indagini merceologiche Avvio e gestione delle raccolte differenziate domiciliari e applicazione della tariffa L ecocentro comunale: problematiche autorizzative e gestionali Gestione dei rifiuti prodotti dal turismo Copyright: Regione Autonoma della Sardegna PROGRAMMA GALAPAGOS Progetto cofinanziato dall Unione Europea mediante il Fondo Sociale Europeo (FSE) PoR SARdeGNA Asse I misura 1.8 AZIoNe B INFoAmB UNIONE EUROPEA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA 5. energia 5.1 Installazione di impianti fotovoltaici nelle scuole o in altri edifici pubblici L utilizzo dei collettori solari termici negli edifici La certificazione energetica degli edifici Applicazioni geotermiche: uso del terreno per migliorare l efficienza dei sistemi di condizionamento e riscaldamento Riduzione dei consumi energetici nell illuminazione

3 RETE ECOLOGICA 4 5 La nostra Regione possiede un territorio caratterizzato da ambienti dal particolare valore naturalistico, che si sono mantenuti intatti nel tempo e che rappresentano una ricchezza da proteggere e valorizzare, al fine di preservarne l integrità per il futuro. Un impegno particolare, in questo senso, è richiesto ai tecnici e ai funzionari della Pubblica Amministrazione, che svolgono azioni di gestione della cosa pubblica e azioni di controllo e di indirizzo nei confronti della cittadinanza. Nell ambito delle attività e delle competenze alle quali sono preposti, dovrebbero subordinare ogni scelta e decisione ad un attenta analisi finalizzata ad assicurare un buon livello di sostenibilità ambientale, nonché l adozione di buone pratiche nella loro attività corrente. Ciò a volte può comportare un sacrificio, che viene però ripagato nel medio-lungo termine, sia dal punto di vista economico che ambientale. È inoltre importante ricordare il ruolo d esempio che le Pubbliche Amministrazioni svolgono nei confronti dei cittadini, che si sentono maggiormente motivati ad adottare buone pratiche, se queste vengono per prime adottate dalle Istituzioni che li rappresentano. Al fine di dare un valido supporto alle Amministrazioni Pubbliche impegnate su questo fronte, è stato pensato il presente manuale, il cui filo conduttore è proprio la sostenibilità ambientale, che si esplica attraverso la trattazione di cinque temi ambientali di particolare attualità: la rete ecologica regionale, la gestione della risorsa idrica, la difesa del suolo, la gestione integrata dei rifiuti, l energia e le fonti rinnovabili. Per ogni tema sono stati selezionati alcuni argomenti che non esauriscono sicuramente tutte le possibili problematiche di interesse per la Pubblica Amministrazione, soprattutto considerando le molteplici realtà di cui essa si compone, ma possono essere un valido spunto per orientare le scelte di tecnici e funzionari verso una pianificazione e gestione delle attività in un ottica di sostenibilità ambientale. Ogni argomento viene affrontato nell ambito di un progetto specifico, attraverso un analisi approfondita sia dal punto di vista normativo che tecnico, offrendo interessanti soluzioni volte all adozione di buone pratiche, mirate ad una gestione più responsabile del territorio, della risorsa idrica, delle fonti energetiche, dei rifiuti. tutti i progetti specifici sono oggetto di laboratori partecipativi organizzati in tutte le province della Regione. Per la bibliografia, il glossario ed ulteriori approfondimenti, si può consultare il sito internet nella sezione dedicata alla Pubblica Amministrazione. Foresta Burgos INTRODUZIONEIntroduzione 1.1 La Rete Natura 2000 e i piani di gestione Introduzione Le direttive europee in materia di aree protette rendono possibile il costituirsi di una rete ecologica europea, denominata Natura 2000 che comprende ambiti territoriali in cui si trovano tipi di habitat e di specie di interesse comunitario. La direttiva 92/43/Cee, nota come direttiva habitat, volta alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica, è stata recepita dall Italia con il dpr n. 357 del 1997 e successive modificazioni. Obiettivo sostanziale è la conservazione della biodiversità attraverso l individuazione e la protezione di aree che ospitano habitat e specie, animali e vegetali, che la Commissione Europea ha giudicato degni di tutela perchè rari, endemici, isolati o in pericolo di estinzione. L elenco delle specie e degli habitat da tutelare è presente negli allegati della Direttiva. Questa direttiva recepisce al proprio interno anche le norme relative alla precedente direttiva 79/709 Cee, nota come direttiva uccelli, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, recepita in Italia con la legge 157 del 1992, la quale stabilisce che gli Stati membri devono in via prioritaria adottare le misure necessarie per l istituzione di zone di protezione, il mantenimento e la sistemazione degli habitat conformi alle loro esigenze ecologiche, il ripristino di biotopi distrutti e la creazione di nuovi biotopi, con particolare riferimento alle zone umide. Le finalità delle direttive sopra citate si possono riassumere nel modo seguente: creare una rete ecologica europea di Zone Speciali di Conservazione (ZSC), con l obiettivo di garantire il mantenimento, o all occorrenza il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat elencati negli allegati delle due direttive; definire in ogni paese membro, lo status di conservazione delle specie e degli habitat elencati negli allegati delle direttive e fornire gli strumenti per monitorare l evoluzione nel tempo di tale status; gli Stati membri devono compilare una lista di aree importanti per la presenza di specie e habitat (psic: proposti Siti di Importanza Comiunitaria) che dopo l approvazione definitiva da parte della Commissione Europea, diverranno SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e che costituiscono assieme alle ZPS (Zone di Protezione Speciale), istituite in relazione alla direttiva Uccelli Selvatici, il sistema della Rete Natura In una fase successiva i SIC, con l assenso delle regioni, diventeranno ZSC (Zone Speciali di Conservazione). La direttiva Habitat e il DPR 35/199 di recepimento non prevedono un automatica apposizione di vincoli, ma l effettuazione di valutazioni e verifiche in relazione ad eventuali interventi di trasformazione territoriale e all esercizio di attività suscettibili di interferire con i valori naturalistici e ambientali presenti. Cervo sardo Foresta Burgos Campi nel territorio della Marmilla RETE ECOLOGICA Hanno collaborato: Borin M., Casotto M., De Stefani G., Salvato M., Tocchetto D., Calegari G., Cappelletto C., Furlan S.

4 RETE ECOLOGICA RETE ECOLOGICA La rete ecologica Da un punto di vista scientifico la rete ecologica può essere definita come un insieme di aree naturali o seminaturali di pregio, collegate tra loro, in grado di fornire alle specie un ambiente congruo alle loro esigenze vitali e che ne garantisca la loro sopravvivenza. Le reti ecologiche sono uno strumento di estrema importanza per la conservazione della biodiversità e per un uso sostenibile del territorio. Si tratta di considerare le unità territoriali attraverso la prospettiva ecologica di una specie o di un gruppo di specie animali o vegetali. La conservazione della biodiversità è strettamente correlata sia con il dinamismo degli ecosistemi naturali che con la complessità delle attività umane. Esiste l esigenza di ricostituire un ambiente in rete, per il pericolo e la constatazione che molti degli habitat naturali e semi-naturali e le specie che li popolano rischiano di scomparire in quanto ormai isolati a causa della loro continua frammentazione. Mettere in rete un insieme di ambiti territoriali o di habitat significa aumentarne la funzionalità e, in molti casi, perfino garantirne la conservazione. Il rischio di estinzione di una popolazione aumenta infatti con il diminuire dell area disponibile e con l aumentare dell isolamento. La frammentazione si può riassumere nelle seguenti tipologie: perdita di habitat; riduzione spaziale di un tipo di habitat; ripartizione dell habitat in ambiti più piccoli o più isolati. Questa frammentazione tende a ridurre le possibilità di comunicazione tra le specie e gli habitat e rende quindi meno efficace la rete ecologica; normalmente si parla genericamente di rete ecologica, mentre si dovrebbe parlare di reti ecologiche dato che ogni specie ed ogni popolazione presenta una diversa strategia di dispersione. Le Aree Protette Le aree protette nel territorio nazionale, vengono così classificate secondo la normativa vigente: Parchi nazionali: sono costituiti da aree terrestri, marine, fluviali, o lacustri che contengano uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di interesse nazionale od internazionale da giustificare l intervento dello Stato per la loro conservazione. Parchi regionali: sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacustri ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore ambientale e naturalistico, che costituiscano, nell ambito di una o più regioni adiacenti, un sistema omogeneo. Riserve naturali: sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacustri o marine che contengano una o più specie naturalisticamente rilevanti della fauna e della flora, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Zone umide: sono costituite da paludi, aree acquitrinose, torbiere oppure zone di acque naturali od artificiali, comprese zone di acqua marina la cui profondità non superi i sei metri (quando c è bassa marea) che, per le loro caratteristiche, possano essere considerate di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar. Aree marine protette: sono costituite da tratti di mare, costieri e non, in cui le attività umane sono parzialmente o totalmente limitate. La tipologia di queste aree varia in base ai vincoli di protezione. Altre aree protette: sono aree che non rientrano nelle precedenti classificazioni. Ad esempio parchi suburbani, parchi provinciali, oasi delle associazioni ambientaliste (WWF, Pro Natura, LIPU), monumenti naturali, ecc. Possono essere a gestione pubblica o privata, con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti. In merito a questioni legate alle aree protette, le pubbliche amministrazioni sono chiamate a svolgere ruoli fondamentali tra cui: concedere autorizzazioni su piani o azioni che possono avere un impatto sui siti protetti; creare iniziative di animazione, coinvolgimento e a gestione del rapporto tra la cittadinanza e il territorio. Le rete ecologica regionale della Sardegna comprende: due parchi nazionali (L Asinara, La Maddalena), cinque aree marine protette (Capo Carbonara, Capo Caccia - Isola Piana, Isola dell Asinara, Penisola del Sinis - Isola di Maldiventre, Tavolara - Punta Coda Cavallo), due parchi naturali regionali (Molentargius - Saline e Porto Conte), 92 Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e 37 Zone di Protezione Speciale (ZPS), 18 monumenti naturali e 93 oasi di protezione faunistica. I Piani di Gestione dei siti Natura 2000 I Piani di gestione dei siti Natura 2000 costituiscono una misura di conservazione che dà indicazioni sulla gestione degli habitat e delle specie di interesse comunitario e vengono redatti sulla base di linee guida nazionali e regionali. A livello europeo, i piani di gestione sono previsti dall art. 6 punto 1 della Direttiva Habitat e comprendono interventi di tutela, valorizzazione e salvaguardia ambientale. Linee guida per la redazione del piano di gestione A livello nazionale il Ministero dell Ambiente e Tutela del Territorio, nell ambito di un progetto LIFE Natura, ha realizzato, con il contributo delle maggiori società scientifiche e associazioni ambientaliste, le linee guida nazionali per la redazione dei piani di gestione, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, n. 224, nel settembre La Regione Autonoma Sardegna, ha ritenuto opportuno formulare le proprie linee guida, dirette agli enti locali, per l elaborazione dei Piani di gestione dei siti Natura 2000; tali piani sono finalizzati all individuazione di misure di conservazione e tipologie di interventi ammissibili, che potranno essere finanziati, tra l altro, dai fondi strutturali messi a disposizione dal Programma Operativo Regionale della Sardegna (POR). L individuazione di misure di conservazione e la redazione di Piani di gestione consentiranno di individuare nel dettaglio le principali minacce e criticità a cui sono soggetti i siti Natura 2000 e di sviluppare attività per la salvaguardia delle valenze naturalistiche di interesse comunitario, tenendo conto dello sviluppo sostenibile del territorio. I piani di gestione costituiscono la base di un percorso per la realizzazione della rete ecologica regionale che sia coerente con i principi dello sviluppo sostenibile. Non si ritiene più infatti di agire ponendo in essere una serie non coordinata di interventi sul territorio, ma disciplinando le attività umane in un documento di pianificazione che tenga conto in maniera specifica delle emergenze naturalistiche da tutelare, mediante un aggiornamento del quadro conoscitivo, l individuazione e localizzazione delle minacce e la predisposizione di un piano di azione per la tutela della naturalità. Finalità di un piano di gestione La finalità che si intende raggiungere attraverso la stesura di un piano di gestione è anche lo sviluppo economico delle aree della Rete Ecologica Regionale, ed in modo specifico quelle appartenenti alla rete Natura 2000, mediante la promozione delle iniziative imprenditoriali sostenibili ed ecocompatibili e la valorizzazione delle attività locali tradizionali compatibili con il patrimonio naturalistico. I piani di gestione non sono una misura obbligatoria per la gestione dei siti, bensì uno strumento da predisporre quando ritenuto necessario per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva europea di riferimento. Nel caso specifico della Regione Sardegna, da una prima valutazione delle misure di conservazione e degli strumenti di pianificazione esistenti, sembra si possa ritenere che gli stessi non siano sufficienti a garantire uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie e che pertanto la predisposizione di un Piano di Gestione sia necessaria e consigliabile per tutti i siti della Rete Natura 2000 nell isola, con lo scopo di garantirne la migliore gestione possibile, integrare e valorizzare le potenzialità per lo sviluppo socioeconomico, e conservare lo straordinario patrimonio di biodiversità sardo. Tale strumento di pianificazione è in grado di integrare gli aspetti prettamente naturalistici con quelli socio-economici ed amministrativi, inoltre deve integrarsi completamente con altri piani di gestione del territorio ed in particolare con il Piano paesaggistico regionale, il Piano forestale regionale, il Piano faunistico venatorio regionale, i Piani urbanistici provinciali, i Piani urbanistici comunali, i Piani delle aree protette qualora il sito vi ricada in parte o tutto.

5 9RETE ECOLOGICA 8 RETE ECOLOGICA Nell ambito del Piano di Gestione, si identificano le mansioni necessarie alla gestione del psic /ZPS e, quindi, le corrispondenti figure professionali coinvolte, quali addetti, consulenti esterni, guide, ecc. Chi deve redigere il piano di gestione? La preparazione di un piano di gestione, date le tematiche affrontate e i contenuti proposti, richiede un approccio multidisciplinare che presuppone l azione sinergica di un team di professionisti. Trattandosi di un documento che deve disciplinare l uso del territorio e parallelamente contemperare le diverse esigenze economiche, sociali e culturali delle popolazioni residenti nelle aree della rete ecologica, si ritiene che le figure professionali minime occorrenti per predisporre il piano di gestione sono le seguenti: Un pianificatore (ingegnere o architetto o simili) che verifichi, tra l altro, le problematiche sollevate dal piano di gestione rispetto alle norme di pianificazione ordinarie; Un naturalista/biologo per coordinare il gruppo di esperti, che possono variare in dipendenza dalle peculiarità del sito (ad esempio: botanico, zoologo, biologo, forestale, agronomo) che deve redigere sia la parte conoscitiva che quella propositiva del piano; Un economista (laureato in materie economiche) per la parte relativa allo studio socioeconomico del territorio, alla valutazione dei costi di realizzazione del piano, etc. Importanza della partecipazione della popolazione La tutela dell ambiente naturale e degli aspetti paesaggistici possono costituire la risorsa principale per il patrimonio ambientale, fonte di benefici economici per le popolazioni locali che, direttamente e indirettamente, ne usufruiscono. Tenendo conto della necessità di rendere il Piano di Gestione uno strumento condiviso e partecipato da parte dei gruppi di interesse che intervengono nel sito, è essenziale che l elaborazione del piano, a partiredalla identificazione delle sue linee generali, fino alla approvazione della stesura finale, venga realizzata con un continuo confronto con i gruppi di interesse (amministrazioni, popolazione, operatori economici quali: albergatori, agricoltori, allevatori, ecc). Struttura del piano di gestione La struttura del piano deve contenere uno studio generale del sito protetto, una valutazione generale con l identificazione delle minacce, gli obiettivi, le strategie e gli interventi proposti. L elaborazione di uno studio generale è propedeutica alla redazione del Piano di Gestione. Lo studio generale ha l obiettivo di fornire un inquadramento degli aspetti territoriali, abiotici, biotici e socioeconomici, nonché, in modo specifico degli habitat e specie di interesse comunitario che hanno portato all individuazione del sito Natura Per l elaborazione di tale studio andranno presi in considerazione i documenti di riferimento a livello comunitario, nazionale e regionale, nonché gli studi già realizzati. In relazione a tali elementi naturalistici viene definito lo stato di conservazione e l effetto in atto o potenziale, diretto o indiretto delle attività antropiche su di essi. In particolare, lo studio generale dovrà approfondire i seguenti aspetti: caratterizzazione territoriale del sito (localizzazione del sito e relativa perimetrazione, comuni e province interessati, accessibilità, ecc.); caratterizzazione abiotica (geologica, morfologica, climatica, idrografica, ecc.); caratterizzazione biotica (flora, fauna, vegetazione, habitat) con particolare riferimento alla biodiversità di interesse comunitario; caratterizzazione socio-economica, sia per gli aspetti riguardanti il territorio nel quale il sito è inserito (scala provinciale o regionale),sia per quelli che lo interessano direttamente; caratterizzazione urbanistica e programmatica (per l individuazione del regime di uso del suolo vigente e programmato e di eventuali vincoli di tutela esistenti); caratterizzazione archeologica, architettonica e culturale; caratterizzazione paesaggistica. Tutte le informazioni raccolte contribuiranno a definire un quadro conoscitivo del SIC/ZPS, illustrandone la condizione ecologica, sociale ed economica per valutare: presenza, distribuzione, fenologia, stato di conservazione, di specie e habitat di interesse comunitario. I dati dovranno essere informatizzati e georeferenziati, al fine di realizzare un Sistema Informativo Territoriale (SIT) del SIC/ZPS, in modo tale da raccogliere e sintetizzare dati abiotici, ecologici ed amministrativi rendendoli di facile consultazione ed analisi. Lo Studio Generale così elaborato costituirà quindi un quadro sintetico, ma dettagliato, di riferimento aggiornato per le elaborazioni necessarie alla stesura del Piano di Gestione ed il riferimento indispensabile per eventuali valutazioni di incidenza da svolgere nel SIC/ZPS. Obiettivi La valutazione delle valenze ecologiche e l individuazione dei fattori di maggior impatto permettono di identificare gli obiettivi gestionali, quelli eventualmente conflittuali con il contesto socioeconomico e di definire le priorità di intervento. L obiettivo generale del Piano di Gestione del SIC/ZPS è quello di assicurare la conservazione degli habitat e delle specie vegetali e animali di interesse comunitario, prioritari e non, garantendo, con opportuni interventi di gestione, il mantenimento e/o il ripristino degli equilibri ecologici che li caratterizzano e che sottendono alla loro conservazione. Gli obiettivi specifici individuati devono essere descritti, indicando i tempi necessari al raggiungimento degli stessi. Nell individuazione degli obiettivi si deve tener presente che per la salvaguardia delle risorse naturali e dell integrità ecologica all interno del PSIC/ZPS è necessario: STRATEGIE mantenere e migliorare il livello di biodiversità degli habitat e delle specie di interesse comunitario per i quali il sito è stato designato; mantenere e/o ripristinare gli equilibri biologici alla base dei processi naturali (ecologici ed evolutivi); ridurre le cause di declino delle specie rare o minacciate ed i fattori che possono causare la perdita o la frammentazione degli habitat all interno del sito e nelle zone adiacenti; tenere sotto controllo ed eventualmente limitare le attività che incidono sull integrità ecologica dell ecosistema; armonizzare i piani e i progetti previsti per il territorio in esame; individuare e attivare i processi necessari per promuovere lo sviluppo di attività economiche compatibili con gli obiettivi di conservazione dell area; attivare meccanismi socio-politico-amministrativi in grado di garantire una gestione attiva ed omogenea del PSIC/ZPS. Una volta definiti gli obiettivi del Piano di Gestione, in termini di miglioramento dello stato di conservazione della biodiversità di interesse comunitario, dovranno essere definite le strategie per il loro conseguimento. Tali strategie dovranno essere calibrate sulla base degli obiettivi specifici definiti dal piano derivati dalla caratterizzazione del sito e dalle esigenze ecologiche degli habitat e delle specie in esso contenute. In generale, per promuovere una maggiore tutela degli habitat di interesse comunitario è necessario attuare, ad esempio, le seguenti strategie di gestione: predisposizione di interventi boschivi con criteri selvicolturali naturalistici; salvaguardia delle serie di vegetazione coerenti con la vegetazione potenziale; mantenimento di radure per favorire la diversità ambientale anche in relazione alle esigenze della fauna; mantenimento ed incentivazione delle pratiche agricole, compatibili con la tutela della biodiversità sia nell area del psic/zps, sia nelle aree limitrofe (capaci di influenzare la qualità ambientale del sito); regolamentazione delle attività di pascolo e ove necessario evitarne l abbandono totale per limitare la ripresa delle successioni dinamiche che porterebbero alla scomparsa degli habitat prativi; sviluppo di strategie tali da limitare il disturbo antropico;

6 10 11 RETE ECOLOGICA interventi predisposizione di misure di regolamentazione dei flussi turistici e delle attività di fruizione; sviluppo di strategie per la sostenibilità socio-economica, che non interferiscano con la conservazione della biodiversità presente nel sito. Per l attuazione delle strategie di gestione dovranno essere individuati interventi di gestione, ovvero azioni concrete di tutela per la conservazione, il ripristino e la valorizzazione delle componenti ambientali, assieme all individuazione di specifici indicatori per la verifica dell attuazione del piano e del livello di conseguimento degli obiettivi di conservazione degli habitat e delle specie. Gli interventi dovranno essere raggruppati secondo le strategie che essi perseguono e sintetizzati in schede riportanti modalità realizzative tecnico-operative, costi, tempi di realizzazione, soggetti coinvolti nella fase di realizzazione, risorse necessarie e tutte le ulteriori informazioni sufficienti a chiarire le modalità di realizzazione. Per una maggiore omogeneità e facilità di attuazione, gli interventi andranno distinti in straordinari, ovvero da eseguire una sola volta (azioni di recupero e ripristino), e in ordinari, ovvero da ripetersi periodicamente (periodicità intesa come annuale o stagionale), così come in materiali, ovvero consistenti in azioni concrete sul territorio (interventi di ripristino, realizzazione di opere), e immateriali, ovvero consistenti in azioni immateriali (ad es. campagne di informazione, accordi, ecc.). Le schede per gli interventi possono essere strutturate in modo da fornire per ogni habitat e/o specie di interesse comunitario lo stato di conservazione, i fattori antropici di disturbo, il tipo di intervento che si vuole eseguire e il risultato atteso in seguito alla realizzazione dell intervento. L iter di approvazione di un piano di gestione come ipotizzato dalla Regione Sardegna può essere così sintetizzato: Cervo sardo a) Adozione da parte di tutti i Comuni interessati; b) Pubblicazione del piano e partecipazione della popolazione; c) Definitiva approvazione da parte dei Comuni interessati; d) Approvazione da parte della Regione con decreto dell Assessore. INdICAZIoNI GeStIoNALI e tipologie di INteRveNtI PRevIStI NeI PIANI di GeStIoNe Di seguito alcune indicazioni previste per i piani di gestione, con esempi concreti di interventi per le aree protette del territorio sardo, suddivise in zone costiere, zone umide e zone interne. indicazioni protezione e ricostruzione dei sistemi dunali tutela della Posidonia regolamentazione dell ancoraggio e del traffico marittimo regolamentazione della sosta e del traffico veicolare creazione di fasce di rispetto nell area peristagnale interventi di ripristino della vegetazione regolamentazione degli accessi regolamentazione delle attività di pesca e birdwatching pratiche forestali accordi con gli operatori per una gestione sostenibile delle attività agrozootecniche predisposizione di piani del pascolo (a fini di salvaguardia di habitat e specie e delle attività economiche che ne consentono il mantenimento) regolamentazione degli accessi e delle attività di fruizione regolamentazione attività sportive (arrampicata, trekking, cross, ecc.) gestione di specie in via di estinzione (grifone, gipeto, falco pescatore, cervo sardo, tartaruga marina, trota macrostigma, Papilio hospiton, ecc.) Zone Costiere Zone Umide Zone Interne interventi creazione di aree di sosta e percorsi su passerella sui sistemi dunali recinzioni a tutela degli habitat ripristino di habitat degradati eradicazione di specie alloctone interventi di protezione dagli incendi monitoraggio delle specie marino-costiere regolamentazione della fruizione e delle attivista sportive creazione di percorsi di fruizione sostenibile recinzioni a tutela degli habitat ripristino della vegetazione riparia strutture a supporto delle attività di birdwatching monitoraggio delle specie tipiche delle zone umide monitoraggio della qualità delle acque rispetto agli inquinanti attività di pescaturismo interventi di protezione dagli incendi eradicazione di specie alloctone ripristino di habitat boschivi creazione di radure a pascolo e punti di abbeverata creazione di colture a perdere per la fauna monitoraggio delle specie tipiche delle zone montane recupero di fabbricati e strutture rurali ripristino siepi e ricostruzione muretti a secco riqualificazione aziende zootecniche, incentivazione produzione biologica, recupero produzioni tradizionali RETE ECOLOGICA Tabella 1.1.1: Indicazioni gestionali e tipologie di interventi previsti nei piani di gestione.

7 12 13 RETE ECOLOGICA 1.2 Processi Partecipativi obiettivi Nel promuovere lo sviluppo sostenibile le Amministrazioni locali svolgono un ruolo fondamentale nel sensibilizzare, mobilitare e rispondere alla cittadinanza, è quindi necessario che tali amministrazioni si avvicinino sempre di più alle metodologie della progettazione partecipata (vedasi anche capitolo 28 di Agenda 21). Con questo documento si intende dare qualche utile spunto e una piccola guida metodologica per un primo approccio al settore dei processi partecipativi. Il tema può essere di interesse per qualsiasi Amministrazione: Regionale, Provinciale, Comunale o Ente Territoriale. Inquadramento e giustificazione La pietra miliare nella richiesta del coinvolgimento dei portatori di interesse si può far risalire al Principio 10 della Dichiarazione di Rio del 1992 Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nelle comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo. Per aumentare l efficacia delle politiche è quindi necessario tenere conto, fin dalla loro definizione, del punto di vista dei diversi portatori di interesse che operano nell area considerata, del loro ruolo nel sistema analizzato e delle reciproche interdipendenze. Le metodologie legate alla progettazione partecipata si sono sviluppate molto negli ultimi trent anni grazie a teorie sociologiche, che hanno messo in evidenza l importanza dell interazione tra Pubblica Amministrazione e cittadinanza per la buona riuscita e l accettazione di piani/progetti di varia natura. Individuazione dei portatori di interesse (stakeholder) In senso ampio stakeholder è ogni soggetto interessato o coinvolto da un tema. L individuazione e l analisi dei portatori di interesse è una procedura finalizzata a: definire i portatori di interesse coinvolti nella questione (piano/progetto) in oggetto; valutare l importanza relativa e l influenza che i diversi portatori di interesse sono in grado di esercitare riguardo al problema analizzato; individuare le modalità attraverso le quali ogni portatore di interesse può influenzare il sistema o gli altri portatori di interesse, con le sue attività. L individuazione e l analisi di tutti gli stakeholder è una fase delicata poiché alcuni di essi possono non essere immediatamente evidenti e quindi esclusi. Chi per primo deve individuare i portatori di interesse? Tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione coinvolti a vario titolo nel piano/progetto in esame, potenzialmente possono stendere un elenco di quelli che loro percepiscono come portatori di interesse e di quelle che secondo loro sono le priorità legate al piano/progetto. Il secondo passo è l organizzazione di riunioni, interne all Amministrazione, in cui coloro che hanno individuato i portatori di interesse possono discutere con lo scopo di produrre una lista in ordine decrescente di importanza di quelli che risultano essere gli stakeholder e le relative priorità determinate. Si prosegue poi con delle interviste semi-strutturate (o incontri di gruppo informali) ai portatori di interesse individuati per raccogliere il loro punto di vista sul piano/progetto ma anche per integrare la lista con altri stakeholder che loro stessi individuano. Spesso infatti, alcuni nuovi portatori di interesse si scoprono proprio a seguito di questi incontri. A questo punto si procede con la mappatura degli stakeholder che si effettua tramite l analisi di tutte le interviste o incontri cercando di produrre una grande mappa che comprenda tutti gli stakeholder individuati e le priorità che ogni stakeholder ritiene importanti relativamente al piano/progetto in esame; sarebbe importante e utile evidenziare nella mappa anche le varie relazioni presenti tra stakeholder. Informazione dei portatori di interesse La Pubblica Amministrazione promotrice del processo partecipativo deve fornire ai portatori di interesse individuati tutte le indicazioni necessarie sul piano/progetto che intende realizzare. Nei processi partecipativi, per un efficace coinvolgimento, è importante che le informazioni siano disponibili ai portatori di interesse, anche se questo passaggio risulta alle volte difficile da realizzare. In questo frangente è importante individuare il giusto metodo per comunicare con i portatori di interesse e soprattutto il giusto linguaggio. Spesso i funzionari delle Pubbliche Amministrazioni utilizzano termini e metodologie di comunicazione (power point, grafici, immagini, ecc.) troppo tecnici, che non vengono ben assimilati dagli interessati. Spesso per adempiere a questa fase di informazione ci si limita all organizzazione di convegni o workshop che però non sembrano essere il mezzo più idoneo, è invece consigliabile l organizzazione di focus group, con numero limitato di partecipanti che seppur più impegnativi da gestire danno sicuramente risultati migliori. Qui diventa fondamentale la figura del facilitatore, persona che ha il compito di agevolare il focus group lavorando insieme ai partecipanti, assicurando che tutti siano ascoltati, registrando i prodotti della discussione, evitando inutili divagazioni. Spesso si possono utilizzare in questi focus group simulazioni e giochi di ruolo che stimolano i partecipanti a essere più consapevoli dei punti di vista, interessi e aspirazioni di ciascuno; matrici e diagrammi che agevolano le attività dei partecipanti e del facilitatore, registrando i risultati via via raggiunti; video, foto, disegni, suoni come strumenti di comunicazione diversi che permettono di rendere più efficace, coinvolgente e divertente la comunicazione; visite sul campo: escursioni e visite guidate presso luoghi o persone oggetto di analisi. Coinvolgimento dei portatori di interesse Una volta rese disponibili le informazioni ai portatori di interesse bisogna far si che questi esercitino l opportunità di esprimere le loro opinioni e stimolare la formulazione di proposte concrete che soddisfino le loro esigenze. Progettazione partecipata L analisi dei problemi e l elaborazione di soluzioni sono definiti congiuntamente dai vari attori. Le decisioni per la loro realizzazione sono di tipo multilivello in base a competenze, risorse e responsabilità: alcune da parte dell ente promotore, altre da parte dei singoli attori che hanno partecipato, altre in partnership. Isola di Mal di Ventre RETE ECOLOGICA

8 14 15 RETE ECOLOGICA Fenicotteri parco Molentargius Orgosolo monitoraggio soddisfazione stakeholder È da prevedere un doppio monitoraggio: sulla soddisfazione degli attori coinvolti rispetto all efficacia del processo partecipativo; sull effettivo riscontro delle opinioni degli stakeholder nell effettuazione del piano/progetto. Processi partecipativi e reti ecologiche Gennargentu Anche per quanto concerne la biodiversità si sta affermando un nuovo approccio che è rintracciabile nelle strategie europee per contrastare la perdita di tale importante risorsa (Count down 2010) dove, in particolare tra gli strumenti prioritari per conseguire i dieci obiettivi chiave, viene introdotta l informazione, la creazione di partnership e la partecipazione. L istituzione di reti ecologiche a scala regionale, provinciale o locale non deve essere vista come imposizione di legge, ma come occasione di sviluppo a cui le Amministrazioni e i soggetti interessati possono decidere di aderire. Seguendo questa prospettiva la Regione Sardegna ha emanato delle linee guida per la redazione dei piani di gestione dei psic e ZPS che richiamano più volte l importanza dei processi partecipativi come elemento costitutivo della progettazione e della gestione del territorio. Questo documento riporta quanto segue: Tenendo conto della necessità di rendere il Piano di Gestione uno strumento condiviso e partecipato da parte dei gruppi di interesse che intervengono nel sito, è essenziale che l elaborazione del piano, a partire dalla identificazione delle sue linee generali, fino alla approvazione della stesura finale, venga realizzata con un continuo confronto con i gruppi di interesse. La partecipazione delle parti interessate potrà essere garantita facendo ricorso a vari canali: 1. incontri con i diversi attori coinvolti; 2. sito internet che consente, per sua natura, un approccio diretto e altamente indifferenziato ad ogni categoria di interessati; 3. mass media locali, che permettono di raggiungere la popolazione insistente sul territorio in modo ampio. Ovviamente un processo partecipativo di questo tipo non ha termine perchè continua come continua le gestione del territorio. Errato sarebbe pensare di aver svolto il compito di coinvolgimento con il raggiungimento dell approvazione del Piano di Gestione; è proprio da questo momento che il processo attivato nella prima parte del lavoro può dare i suoi frutti. Può capitare di aver commesso degli errori di valutazione e una corretta partecipazione di tutti gli attori coinvolti permette di gestire le responsabilità e le azioni di correzione. La realizzazione di reti ecologiche, coinvolgendo numerosissimi soggetti presenti nel territorio, può avvenire solo tramite un processo di confronto, condivisione e concertazione delle scelte. 1.3 Gestione zone umide Le zone umide sono aree di palude, pantano, torbiera, distese di acqua, naturali ed artificiali, permanenti o temporanee con acqua ferma o corrente, dolce salata o salmastra includendo anche le acque marine la cui profondità durante la bassa marea non supera i sei metri (definizione da D.P.R. 448/). Ciò che caratterizza generalmente una zona umida è la ricchezza e la varietà di specie, sia vegetali che animali. L intervento dell uomo, anche in anni non lontani, ha spesso alterato questi ambienti unici anche perché venivano associati all idea di inutilità produttiva o di pericolosità igienico sanitaria. Anche alla luce delle convenzioni internazionali, delle normative europee e della istituzione di numerose aree protette che interessano le zone umide, la necessità di conservarle è ormai interesse comune. Già nel 190 il Consiglio d Europa emanò la carta dell acqua, contenente i principi basilari per la tutela e la gestione delle zone umide a livello europeo. L importanza ambientale di questi biotopi ha quindi ricevuto nel corso degli anni l interesse e la protezione delle comunità scientifiche e sociali di tutto il mondo. Con il consolidarsi di una diffusa coscienza ambientale, le zone umide hanno acquistato un ruolo non secondario anche nel settore turistico. Le funzioni principali delle zone umide La necessità di salvaguardare, mantenere ed ampliare le zone umide si giustifica con una lunga serie di funzioni che esse svolgono nel complesso degli equilibri ecologici del territorio. In particolare si ricordano le seguenti: mantengono e regolano i livelli delle falde freatiche; controllano e regolano i livelli di marea costieri; accumulano e depurano attraverso la fitodepurazione le acque di deflusso superficiale; regolano il flusso delle acque in piena (in occasione di eventi meteorologici intensi); regolano il microclima locale mitigando le escursioni termiche; trattengono i sedimenti trasportati dalle acque attraverso i meccanismi di decantazione e sedimentazione; sono habitat di molti componenti delle catene alimentari a vari livelli trofici e presentano condizioni uniche per il rifugio, la sosta e la riproduzione di moltissime specie strettamente legate all acqua (sia dolce che salata); mantengono un elevata biodiversità locale, grazie alla presenza di numerose specie vegetali ed animali; sono luoghi privilegiati a scopo didattico, ricreativo e fruitivi; contribuiscono alla gradevolezza del paesaggio e al richiamo turistico. Norme per la protezione In Italia la prima normativa organica sulle zone umide è il d.p.r. del 13/3/1976 n. 448 (Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat di uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 191), che ratifica la Convenzione Internazionale di Ramsar sulla conservazione di zone umide di interesse internazionale. Successivamente è stata adottata anche la direttiva n. 409 del 1979, che attraverso l articolo 1 si prefigge la protezione e la gestione di tutti i tipi di uccelli selvatici presenti sul territorio europeo, prevedendo forme di protezione degli habitat; con l articolo 4, comma 2 delle stessa direttiva si fa riferimento all importanza della protezione delle zone umide. In seguito è stata emanata, sempre a livello Comunitario, la direttiva n. 43 del Questa prevede la conservazione di determinati habitat naturali e naturaliformi, ivi comprese le zone umide nelle loro varie tipologie (es. di acqua dolce, di acqua salata), elencate nell allegato I della citata direttiva. Successivamente la Legge nazionale n. 157 del 1992, in applicazione della Direttiva n. 43 del 1992, con riferimento all articolo 10, ha delegato alle Regioni il compito di provvedere al ripristino dei biotopi RETE ECOLOGICA

9 16 17 RETE ECOLOGICA alterati ed alla creazione di nuovi biotopi. In Sardegna la legge di recepimento della 157 è la legge n. 23 del 1998 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l esercizio della caccia in Sardegna. Interventi di gestione e ripristino In questo paragrafo vengono riportate alcune tipologie di interventi che possono essere presi come riferimenti per una corretta gestione nello spazio e nel tempo di una generica zona umida. Si ricorda che ogni zona umida, sebbene possa riportare caratteri fisici o ecologici simili ad altre, presenta delle specificità date dal clima, dal regime idraulico, dall utilizzo che se ne è fatto in passato, ecc. Questi caratteri devono essere pienamente considerati all atto della definizione degli interventi di manutenzione e sviluppo, sia che riguardino le comunità vegetali che quelle animali. Tali interventi devono essere possibilmente inseriti in un programma di gestione più generale che consideri anche il territorio limitrofo ed il bacino idrografico in cui la zona umida è inserita. Inoltre dovranno essere condotti nel rispetto di eventuali norme vigenti all interno delle aree di intervento (es. piani paesaggistici, indicazioni date dall Ente Parco, ecc.). Lo schema seguente individua i fattori che determinano la complessità di una zona umida. CARATTERISTICHE DELL ACQUA DIMENSIONE DELL AREA Gestione idraulica CARATTERISTICHE DELLA COMUNITà VEGETALE GESTIONE DELLA VEGETAZIONE E DEI LIVELLI IDRICI CARATTERISTICHE DELLA COMUNITà ANIMALE PRESENZA ANTROPICA Figura 1.3.1: Fattori che determinano la complessità di una zona umida (Fonte Il Divulgatore, 1996). MORFOLOGIA DELLE RIVE E DEI FONDALI PRESENZA DI ISOLE Il livello idrico entro la zona umida è condizionato da fattori quali la topografia dell area, i volumi in ingresso ed uscita, il livello della falda, il tipo di suolo/fondale, la sua struttura, ecc. Il livello idrico può essere regolato artificialmente mediante la formazione di piccoli argini in terra che consentono l ingresso o l uscita di portate regolari. Nei canali collegati alle zone umide possono essere previsti sistemi che consentono di isolare temporaneamente o periodicamente le singole unità idrologiche afferenti al bacino principale. Una zona umida può essere costituita da un unico bacino o da sottobacini divisi tra loro da piccoli argini eretti artificialmente. Il collegamento tra un sottobacino e l altro è ottenuto da aperture che possono permettere la regolazione dei flussi. Il livello dell acqua influisce notevolmente sulla componente vegetale e soprattutto animale; ad esem- pio la presenza di uccelli limicoli caratterizza ambienti con acqua molto bassa, mentre in acque più profonde gli uccelli predominanti saranno le varie specie di anatre selvatiche. Mantenimento della biodiversità Il ripristino della vegetazione ottimale e il mantenimento della varietà biologica per un determinato biotopo sono da considerarsi interventi prioritari. Nel caso di ambienti che nel tempo hanno subito un depauperamento della biodiversità andranno messe in atto azioni per favorire l insediamento/incremento di specie utili e/o il controllo delle specie invasive o ad impatto negativo. Questi interventi mirano a ricreare le condizioni ecologiche in grado di supportare la presenza delle specie di elevata valenza ambientale. Questo può essere agevolato forzando i tempi di re-insediamento delle specie vegetali, in modo da accelerare la successione ecologica naturale. Durante il processo di arricchimento della componente vegetale, l area umida verrà progressivamente colonizzata da differenti specie animali. Tali interventi richiedono uno stretto controllo in fase attuativa e non sono indicati in caso di habitat umidi che siano naturalmente poveri di specie. Gestione della vegetazione Uno dei fenomeni naturali che determina la scomparsa degli habitat umidi è il progressivo interramento del fondo causato dall abbandono delle pratiche di taglio e gestione della vegetazione. Per mantenere le caratteristiche di un habitat umido la gestione della vegetazione deve: 1) creare un giusto equilibrio tra zone vegetate e specchi d acqua; 2) ottenere aree emerse prive di vegetazione; 3) garantire lo sviluppo di popolazioni vegetali disetanee. Lo sfalcio della vegetazione deve mirare a creare un equilibrato rapporto tra zone con piante e zone di acqua libera dalle piante. Si dovrà creare un mosaico di aree prive di vegetazione alternate a zone con diverso sviluppo del canneto. Una comunità vegetale diversificata e possibilmente disetanea può supportare diverse comunità faunistiche e quindi un alto numero di specie animali legate all acqua. Lo sfalcio può essere fatto con differente cadenza temporale e deve essere condotto con l ausilio di attrezzi manuali o mezzi meccanici. Tagli annuali favoriscono l insediamento di formazioni vegetazionali monospecifiche; tagliando meno frequentemente, all opposto, si stimola lo sviluppo di comunità più complesse. Il materiale sfalciato dovrà essere asportato dall area. Il taglio va fatto in autunno-inverno, adottando tutti gli accorgimenti necessari per salvaguardare le specie animali particolarmente protette. Elenco delle zone umide di importanza internazionale in Sardegna Peschiera di Corru S Ittiri - Stagno di S. Giovanni e Marceddì Stagno di Cabras Stagno di Mistras Stagno di Molentargius Stagno di Pauli Maiori Stagno di Sale e Porcus Stagno di Cagliari RETE ECOLOGICA

10 18 19 RETE ECOLOGICA 1.4 Salvaguardia e ripristino di dune costiere Le spiagge sono il prodotto di un equilibrio dinamico derivante da numerosi fattori. Fra questi i principali sono: l apporto di sedimenti (limi, sabbie, ciottoli) da parte dei corsi d acqua, il regime delle correnti marine e dei venti che movimentano le masse di sedimenti, la vegetazione che colonizza le sabbie contribuendo alla loro stabilizzazione ed accumulo in dune di maggiori o minori dimensioni. Gli effetti del passaggio delle persone sulle dune costiere producono alterazioni del sistema dunale stesso, consistenti nel danneggiamento e nell asportazione della componente vegetale, nella conseguente diminuzione della stabilità della duna ed, in ultimo, nella modifica del comportamento dinamico e dell equilibrio della spiaggia, con conseguente erosione della stessa. Anche la presenza di auto e motoveicoli nei suddetti contesti e negli stagni retrodunali tipici di molte spiagge della Sardegna, adibiti spesso a parcheggi durante l estate, compromette l equilibrio dei delicati ambienti costieri a causa della compattazione dei terreni, del danneggiamento e asportazione della vegetazione, della sottrazione di habitat di specie tipiche (per esempio uccelli limicoli che utilizzano queste aree come luoghi di riproduzione e di alimentazione) nonché con fenomeni locali di inquinamento dovuti a perdite di olio e combustibili. Gli habitat costieri sono particolarmente protetti dalla direttiva europea 92/43/CEE e molti di essi sono considerati prioritari. La Regione Sardegna disciplina la salvaguardia e la valorizzazione di tali territori attraverso uno strumento che è il Piano Paesaggistico Regionale, seguendo le indicazioni a livello europeo per la Gestione integrata delle zone costiere in Europa (2002/413/CE) e del Mediterranean Action Plan, elaborato nell ambito della Convenzione di Barcellona. In questo documento le fasce costiere vengono definite una risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo, che necessita di pianificazione e gestione integrata. Con la delibera n. 27/7 del , la Giunta Regionale ha approvato Gli indirizzi urgenti per la gestione della fascia costiera che sono il frutto del lavoro degli uffici tecnici dell Assessorato della difesa dell Ambiente e dell Assessorato degli enti Locali, Finanze e urbanistica, integrato dalla collaborazione dell Agenzia della Conservatoria delle Coste. L obiettivo è quello di offrire uno strumento utile alla migliore gestione e indicazioni pratiche sul corretto comportamento da tenere nei confronti di alcune problematiche ricorrenti quali la pulizia delle spiagge, la gestione della posidonia spiaggiata, la conservazione dei sistemi dunali e degli stagni costieri temporanei e la preservazione dei fondali marini dall ancoraggio non regolamentato. Tali misure preventive comprendono anche adeguate azioni di sensibilizzazione e di informazione mirata ai fruitori della fascia costiera che vengono affidate all Agenzia della Conservatoria delle Coste della Sardegna. I fattori essenziali per la formazione delle dune sono la sabbia, il vento e la vegetazione. Le dune rappresentano il risultato di lenti processi di trasporto e di accumulo della sabbia, ad opera del vento e delle correnti marine lungo costa. La formazione delle dune è collegata inoltre ad un meccanismo di trasporto, che provvede alla distribuzione lungo costa dei materiali versati in mare dai corsi d acqua, per effetto combinato di onde e correnti. Le dune costiere costituiscono habitat caratterizzati da comunità vegetali alle quali sono riconducibili i meccanismi più significativi di consolidamento ed accrescimento. La vegetazione ha un ruolo fondamentale nella formazione e nella stabilizzazione delle dune attraverso l azione di rallentamento del vento e di consolidamento della sabbia, contribuendo alla protezione della fascia costiera dall azione di erosione e proteggendo l entroterra dall invasione della sabbia. Le comunità vegetali che si sviluppano sulle coste sabbiose sono caratterizzate da specie botaniche alofite, ovvero specie aventi la caratteristica ecologica di potersi insediare in luoghi fortemente ventosi, salsi e con substrato incoerente come la sabbia. Una regressione della vegetazione in tale ambiente espone la duna all erosione del vento. Anche sotto il profilo faunistico gli ecosistemi dunali rappresentano habitat unici a cui va aggiunto il Baunei, Perda Longa Isola di Mal di Ventre, lato orientale Pula, Spiaggia di Santa Margherita ruolo irrinunciabile di corridoi ecologici in ambiente costiero, ovvero zone di collegamento tra diverse aree che favoriscono lo spostamento e la colonizzazione delle specie in aree limitrofe e garantiscono uno scambio genetico tra individui. Qualsiasi interferenza sul processo naturale di apporto e di trasporto verso mare dei sedimenti, comporta il disequilibrio della spiaggia che si traduce, nella maggior parte dei casi, in erosione. Allo stato di conservazione delle dune e delle spiagge è strettamente legato quello di altri ecosistemi, di estrema importanza, quali gli ambienti umidi retrodunali, le lagune ed i laghi costieri, le foci fluviali, sino alle praterie di Posidonia oceanica e di altre fanerogame marine. I sistemi dunali necessitano di protezione attraverso diverse tipologie di azione: una protezione fisica che comprende l installazione e la manutenzione di staccionate a basso impatto visivo che, nel delimitare e guidare i flussi di transito dei bagnanti, consentano l indispensabile mantenimento della vegetazione. Importante supporto sono considerati pannelli informativi che contribuiscono ad informare e responsabilizzare chi utilizza i litorali della fragilità di questi ambienti e della necessità che vengano tutelati; una protezione formale, che include la possibilità di adottare apposite ordinanze attraverso le quali le autorità competenti preposte alla tutela delle dune regolamentino le attività permesse e proibite nell area previa definizione delle aree di duna e di spiaggia. I sistemi dunali dovranno essere protetti dal calpestio e dall utilizzo da parte dei turisti come luoghi di riposo attraverso il posizionamento di recinzioni in legno; un adeguata informazione di accompagnamento consentirà il rafforzamento dello strumento di tutela. Fermo restando che il traffico veicolare e ciclabile deve essere interdetto, si dovranno identificare gli accessi più adatti ad attraversare il sistema dunale per incanalare il transito pedonale e prevedere la chiusura degli stradelli formatisi dal calpestio tra le dune. Per l accesso alla spiaggia si dovranno utilizzare passerelle in legno che possono essere posizionate sulla sabbia tra le dune fisse, ma che dovranno essere sopraelevate in corrispondenza di dune mobili ed embrionali per garantire il trasporto della sabbia da parte del vento. La sopraelevazione, che dovrà essere sufficientemente elevata da far passare la luce è utile, oltre che per evitare che le stesse passerelle siano facilmente sommerse, per consentire alla vegetazione di crescere. I sistemi sopraelevati dovranno possedere caratteristiche di accessibilità per i diversamente abili. Qualora il sistema dunale risultasse in consistente erosione dovranno essere previsti sistemi frangivento realizzati con materiali naturali e se necessarie dovranno essere effettuate opere per la regimazione delle acque di ruscellamento dalla strada alla spiaggia. La pulizia delle dune dovrà essere effettuata con l utilizzo del punzone o altro sistema a mano atto a non danneggiare la vegetazione. RETE ECOLOGICA

11 20 RISORSA IDRICA 21 RETE ECOLOGICA La Conservatoria delle Coste Nella Convenzione Europea sul Paesaggio, l Unione Europea si sofferma sugli effetti della trasformazione dei paesaggi marini e costieri ad opera delle attività umane e propone, in suo sostegno, che vengano attivate forme di protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale e identitario locale. La Regione Sardegna vi aderisce attraverso il Piano Paesaggistico Regionale. La Conservatoria delle Coste, istituita con l art. 1 della legge regionale 29 maggio 200 n. 2., è un Agenzia tecnico-operativa della Regione, che ha come obbiettivo quello di avviare un processo dinamico di tutela, gestione e valorizzazione che tenga conto sia della fragilità degli ecosistemi e dei paesaggi costieri, sia della diversità delle attività e degli usi, delle loro interazioni e dei loro impatti. L agenzia fa propri strumenti normativi quali: il piano paesaggistico regionale, i piani territoriali di coordinamento, i piani urbanistici comunali, i piani di gestione dei parchi nazionali, delle aree marine protette, della zone ricadenti nelle aree SIC e ZPS, applicandoli nell ambito delle proprie funzioni. Il ruolo della Conservatoria delle Coste, è di svolgere compiti di gestione integrata di quelle aree costiere di particolare rilevanza paesaggistica ed ambientale, di proprietà regionale o poste a sua disposizione da parte di soggetti pubblici o privati e che quindi assumono la qualità di aree di conservazione costiera. Le finalità istituzionali dell Agenzia sono quelle di salvaguardia, tutela e valorizzazione degli ecosistemi costieri. Gli obiettivi principali della Conservatoria delle Coste si possono sintetizzare come segue: Gestione integrata delle aree costiere della Sardegna attraverso azioni di coordinamento e progettazione; Attività di cooperazione internazionale nell ambito della gestione integrata delle aree costiere; Recupero, conservazione e tutela di beni culturali ed ambientali del patrimonio costiero della Sardegna; Promozione e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali acquisiti attraverso strumenti innovativi di sviluppo sostenibile; Trasmissione culturale ed educazione ambientale, attraverso eventi e conferenze all interno delle scuole dell obbligo, sull importanza dell ambiente e della sua conservazione come eredità per le generazioni future; Ricerca scientifica degli ambienti costieri e marini della Sardegna. La Conservatoria può gestire i beni immobili costieri facenti parte del patrimonio e del demanio regionale o acquisire nuovi territori costieri dall equilibrio ecologico più fragile o a rischio di degrado e compromissione. Dopo aver effettuato, laddove necessario, i lavori di riqualificazione ambientale al fine della conservazione naturalistica, identifica un modello per la gestione, la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile delle stesse aree che vengono denominate Aree di Conservazione Costiera. A questo punto può predisporre i piani di gestione integrata per poi affidare successivamente il controllo ad Enti locali, a cooperative, società di servizi o associazioni ambientaliste che dovranno, comunque, assicurare l accesso al pubblico. Il 13 maggio 2008 a Cagliari, la Giunta regionale ha approvato un programma di buone pratiche per la gestione dei litorali: preservazione delle aree dunali e campi boe per l ormeggio finalizzati a garantire la tutela e la conservazione dei fondali e della Posidonia. Le Linee guida per la gestione della fascia costiera, sono il frutto del lavoro degli uffici tecnici degli assessorati dell Ambiente e degli Enti locali, con la collaborazione dell Agenzia della Conservatoria delle Coste. Le linee guida non si limitano alla pulizia degli arenili e offrono uno strumento utile nei casi di: presenza di Posidonia spiaggiata; smaltimento della Posidonia spiaggiata; preservazione di ambienti di pregio quali dune e stagni costieri temporanei; ormeggio delle imbarcazioni in prossimità delle spiagge e preservazione dei fondali soprattutto in presenza di praterie di Posidonia. Le linee guida prevedono misure per la preservazione delle aree dunali, retrodunali e retrostagnali dal continuo calpestio dei campeggiatori e dei bagnanti, dal parcheggio e dal passaggio di moto e auto che distruggono la vegetazione pioniera dell anteduna e quella più stabile della duna e della retroduna. Tali misure preventive comprendono anche adeguate azioni di sensibilizzazione e di informazione mirata ai fruitori della spiaggia. Anche il fenomeno diffuso dell ancoraggio sottocosta delle numerose imbarcazioni da diporto, che si verifica durante la stagione estiva, causa la distruzione dei fondali. Le linee guida propongono la disposizione di campi boe per l ormeggio finalizzati a garantire la tutela e la conservazione dei fondali. 2.1 La raccolta differenziata delle acque di pioggia Premessa e inquadramento generale Le acque di pioggia che caratterizzano il deflusso nel periodo iniziale sono dette acque di prima pioggia e costituiscono una delle principali sorgenti di inquinamento dei corpi idrici. Nell atmosfera e sul terreno si accumulano, con modalità diverse legate alle stagioni e al clima, i prodotti finali di scarico delle attività umane: particolati, metalli pesanti e sostanze organiche. La pioggia, nei primi momenti, rileva questo stato di inquinamento dall ambiente e compie un azione di bonifica dell atmosfera e dei terreni con efficacia diversa a seconda dell intensità e della durata della pioggia. Questa azione benefica si compie però a scapito della qualità dell acqua che trasporta sostanze tossiche e inquinanti. Risulta pertanto indispensabile adottare sistemi per l avvio di tali portate all impianto di trattamento, attraverso la rete di raccolta delle acque nere, per evitare che le sostanze in esse contenute vengano scaricate direttamente nei corpi idrici ricettori. Il D.Lgs. 152/200, prevede che le regioni disciplinino i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici (art. 113, comma 3). La Regione Sardegna ha in corso di approvazione un apposita Disciplina Regionale per gli scarichi che regolamenta, tra l altro, la materia della raccolta e dello smaltimento delle acque di prima pioggia e di lavaggio delle superfici scolanti in cui si svolgono attività che possono rilasciare su tali superfici sostanze inquinanti. Sono identificate in particolare le seguenti attività: Asinara Industrie petrolifere e chimiche; Estrazione, produzione, lavorazione, trasformazione e deposito di minerali e di inerti; Trattamento e rivestimento dei metalli; Concia e tintura delle pelli e del cuoio; Produzione della pasta carta, della carta e del cartone; Produzione di pneumatici; Aziende tessili che eseguono stampa, tintura e finissaggio di fibre tessili; Aziende di produzione di cemento, calcestruzzo, conglomerati e assimilati; Autofficine, carrozzerie; Depositi di mezzi di trasporto pubblico, aeroportuali e portuali; Aree di sosta di estensione superiore a mq, calcolate escludendo le aree verdi e le coperture; Aree di deposito e stoccaggio di rifiuti, centri di raccolta e/o trasformazione degli stessi, di rottami e di veicoli destinati alla demolizione; Superfici scolanti destinate al carico/scarico e alla distribuzione dei carburanti e combustibili ed operazioni connesse e complementari nei punti di vendita e deposito; Superfici scolanti specificamente o anche saltuariamente destinate al deposito, al carico, allo scarico, al travaso e alla movimentazione in genere delle sostanze pericolose. Castiadas Rio Piccocca Costa di Buggerru Hanno collaborato: Bixio V., Bixio A. C., Dalla Villa E., Fanton P., Fiume A., Romagnoli V., Tortorelli M., Vazzoler C., Calegari G., Cappelletto C., Furlan S. RISORSA IDRICA

12 22 23 RISORSA IDRICA Lo scarico delle acque di prima pioggia e di lavaggio delle superfici scolanti è soggetto ad autorizzazione, e sono previsti i seguenti recapiti, in ordine preferenziale: 1. Rete fognaria, nel rispetto delle norme tecniche, delle prescrizioni regolamentari e dei valori limite di emissione adottati dal gestore del servizio fognario-depurativo; 2. Acque superficiali, nel rispetto dei valori limite di emissione previsti dal D.Lgs. 152/2006 e dalla disciplina regionale in corso di approvazione; 3. Suolo o strati superficiali del sottosuolo, nelle zone non direttamente servite da rete fognaria e non ubicate in prossimità di corpi idrici superficiali e solo qualora risulti non tecnicamente possibile o eccessivamente oneroso utilizzare i recapiti in rete fognaria o in acque superficiali; 4. In ogni caso è vietato lo scarico o l immissione diretta delle acque di prima pioggia e di lavaggio in acque sotterranee. Alle acque di prima pioggia e di lavaggio deve essere destinata una specifica rete di raccolta e convogliamento la cui portata di dimensionamento deve essere calcolata assumendo che l evento meteorico si verifichi in quindici minuti. Dovranno essere sempre adottati opportuni dispositivi, quali le vasche di prima pioggia, in grado di garantire la separazione e la raccolta delle acque di prima pioggia da quelle di seconda pioggia. Lo svuotamento della vasca di prima pioggia dovrà avvenire tra le 48 e le 72 ore dal termine delle precipitazioni. Per la gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio si prevedono opportuni trattamenti atti a rendere le acque idonee al tipo di scarico previsto. Amministrazioni coinvolte Il progetto coinvolge Amministrazioni ed Enti Pubblici a vari livelli, secondo le specifiche competenze e gli strumenti a disposizione. Amministrazione o Ente Regione Provincia Comune Obiettivi del progetto Le esperienze condotte in altre regioni italiane e in altri Paesi evidenziano come, mediante la realizzazione di vasche di volume relativamente modesto per lo stoccaggio e il successivo avvio al trattamento delle acque di prima pioggia, si possano realizzare notevoli miglioramenti qualitativi dei corpi idrici ricettori. La finalità del progetto è dunque la tutela delle acque dall inquinamento per raggiungere gli obiettivi di qualità previsti dal D.Lgs. 152/2006 per i corpi idrici. Sviluppo del progetto Strumento di controllo Disciplina Regionale per la Tutela delle Acque Rilascio autorizzazioni allo scarico Rilascio autorizzazioni allo scarico Regolamenti edilizi L inquinamento urbano diffuso varia con la tipologia d uso del suolo; studi relativi ai differenti contributi di inquinamento originati dai diversi tipi di uso del suolo hanno consentito la seguente classificazione, in ordine decrescente, di carichi inquinanti generati: Aree urbane con attività di cantieri in corso; Arterie di traffico; Aree industriali; Aree residenziali ad alta densità abitativa e zone commerciali, con fognatura; Aree residenziali a media densità abitativa, con fognatura; Aree residenziali a bassa densità abitativa, prive di fognatura; Parchi ed aree ricreative. È stato evidenziato inoltre come le concentrazioni medie di inquinanti che si misurano nelle acque di sfioro di una fognatura mista siano superiori, ma tuttavia confrontabili, con quelle delle acque di scorrimento urbane raccolte dalla fognatura bianca, come mostrato nella tabella seguente: Tipologia di acque BOD Solidi sospesi N tot P tot [mg/l] [mg/l] [mg/l] [mg/l] Acque di sfioro di fognature miste Acque di scorrimento urbane Tabella 2.1.1: Concentrazioni medie di inquinanti nelle acque di sfioro di fognature miste e nelle acque di scorrimento urbane raccolte dalla fognatura bianca L apporto di inquinanti nel corpo idrico ricettore è legato ai volumi affluiti e può risultare di notevole entità in caso di eventi pluviometrici intensi. Da osservazioni sperimentali è emerso come le concentrazioni di inquinanti tendono a diminuire con l evolversi della pioggia e buona parte del carico inquinante viene scaricato prima dell arrivo del colmo di piena. La realizzazione di invasi in grado di intercettare le prime consistenti portate inquinate risulta quindi un intervento efficace per la riduzione dell inquinamento e la tutela dei corpi idrici. Per il dimensionamento di un invaso per la raccolta delle acque di prima pioggia vengono confrontate nella tabella seguente la definizione di acque di prima pioggia che la Regione Sardegna sta approvando, con quelle adottate in alcune regioni italiane: Regione Sardegna Lombardia Piemonte Emilia Romagna Veneto Riferimento legislativo Disciplina regionale per gli scarichi (in corso di approvazione) L.R. n. 62 del 27 maggio 1985 D.P.G.R. 20 febbraio 2006, n. 1/R D.G.R. 14 febbraio 2005, n. 286 Piano di Tutela delle Acque, dicembre Definizione di acque di prima pioggia Acque corrispondenti, per ogni evento meteorico, ad una precipitazione di cinque millimetri uniformemente distribuita sull intera superficie scolante; ai fini del calcolo delle portate si stabilisce che tale valore si verifichi in quindici minuti. Quelle corrispondenti per ogni evento meteorico ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita sull intera superficie scolante servita dalla rete di drenaggio. Ai fini del calcolo delle portate, si stabilisce che tale valore si verifichi in 15 minuti; i coefficienti dell afflusso alla rete si assumono pari a 1 per le superfici coperte, lastricate o impermeabilizzate e a 0.3 per quelle permeabili di qualsiasi tipo, escludendo dal computo le superfici coltivate. Quelle corrispondenti, nella prima parte di ogni evento meteorico, ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita sull intera superficie scolante servita dalla rete di raccolta delle acque meteoriche. I primi 2,5 5 mm. di acqua meteorica di dilavamento uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di drenaggio. Per il calcolo delle relative portate si assume che tale valore si verifichi in un periodo di tempo di 15 minuti; i coefficienti di afflusso alla rete si considerano pari ad 1 per le superfici lastricate od impermeabilizzate. Restano escluse dal computo suddetto le superfici eventualmente coltivate. Le acque meteoriche di dilavamento di superfici di qualsiasi genere, che corrispondono ai primi 15 minuti di precipitazione e che producono una lama d acqua convenzionale pari ad almeno 5 mm. Tabella 2.1.2: Confronto tra la definizione delle acque di prima pioggia in via di approvazione dalla Regione Sardegna e le definizioni adottate da alcune regioni italiane

13 24 25 RISORSA IDRICA Adottando quindi la definizione della Regione Sardegna, il volume della vasca di prima pioggia viene calcolato moltiplicando il volume affluito di prima pioggia, corrispondente ad una precipitazione di 5 mm sull intera superficie scolante, pari a 50 m 3 /ha, per l estensione della superficie di scolo servita dalla vasca: dove V vasca è espresso in m 3, S scolante è espressa in ettari. Nel caso di bacini di una certa estensione, le acque di prima pioggia provenienti dalle zone più distanti dal punto di stoccaggio, impiegano più tempo a raggiungere la vasca rispetto alle acque delle zone prossime al punto d invaso; è possibile quindi che, anziché invasare le acque di prima pioggia dell intero bacino, vengano stoccate le acque di prima e seconda pioggia delle aree più prossime alla vasca, con conseguente versamento di acque di prima pioggia inquinate provenienti dalle aree più distanti nel corpo idrico ricettore. La soluzione è quindi quella di adottare sistemi per lo stoccaggio delle acque di prima pioggia distribuiti sul territorio e che interessino aree limitate: strade, parcheggi, piazzali di manovra e le coperture dei fabbricati. Si consideri ad esempio il caso di un area privata, nella quale sono presenti due edifici ed un piazzale antistante dove possono transitare e sostare autoveicoli; si suppone che le relative superfici di scolo abbiano le seguenti dimensioni: Copertura edificio A Copertura edificio B Piazzale di manovra Giardino V vasca = S scolante. V affluito = S scolante m m m m 2 Tabella 2.1.3: Dati ipotizzati per il calcolo esemplificativo del volume di una vasca di prima pioggia. Il volume della vasca per lo stoccaggio delle acque di prima pioggia sarà quindi pari a: V vasca = ( ). 50 = 6.5 m 3 Nel sistema a reti separate il volume di prima pioggia viene intercettato e invasato nella vasca; il rilascio delle acque di prima pioggia nella fognatura nera avviene dopo un certo tempo, stabilito dalla disciplina regionale e comunque con portate molto basse, tali da non pregiudicare il funzionamento della rete nera. Una volta che la vasca risulta riempita, le portate meteoriche in arrivo sono convogliate direttamente alla fognatura bianca. Nel sistema a rete mista il volume di prima pioggia viene intercettato e invasato nella vasca. In seguito al riempimento della vasca le portate meteoriche sono convogliate direttamente alla fognatura. Al fine di avviare le acque di prima pioggia al trattamento, lo svuotamento della vasca di prima pioggia può avvenire solo quando la fognatura mista ritorna a funzionare in regime di acque nere e comunque dopo un certo tempo stabilito dalla disciplina regionale. Figura 2.1.1: Rappresentazione schematica del funzionamento di una vasca di prima pioggia in presenza di fognatura separata o mista. Nel caso di fognature miste, l adozione di vasche di prima pioggia consente di ottenere un effetto di laminazione delle piene che riduce la frequenza degli sfiori e quindi del versamento di acque inquinate nel corpo idrico ricettore. Sarebbe utile prevedere inoltre dei dispositivi che consentano di separare all origine le acque di prima pioggia da avviare in fognatura mista, dalle acque di seconda pioggia da avviare, nel caso in cui sia possibile, direttamente ad un corpo idrico oppure nel suolo, in presenza di terreni permeabili e falda sufficientemente profonda, con sistemi di pozzi o condotte drenanti. RISORSA IDRICA

14 26 27 RISORSA IDRICA 2.2 Reti duali e riutilizzo dei reflui depurati Premessa e inquadramento generale L utilizzo di risorse idriche non convenzionali oggi si presenta come un azione prioritaria, alla luce del sempre crescente livello di inquinamento dei corpi idrici superficiali e dell entità dello sfruttamento delle riserve idriche di acqua dolce. Nella regione Sardegna il problema della siccità ha afflitto la popolazione per molti anni e tuttora, nonostante l allarme sia finalmente rientrato, si pone come una questione di notevole importanza. Per tale motivo nell attività di pianificazione la Regione ha preso più volte in considerazione la necessità di utilizzare risorse idriche alternative, in accordo anche con quanto previsto dalla normativa nazionale. Il D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale, considera più volte l argomento, in particolar modo per quanto concerne il riutilizzo delle acque: La necessità di effettuare il riutilizzo viene più volte evidenziata dal decreto, il quale impone che i Piani di bacino contengano le misure per contrastare i fenomeni di subsidenza e di desertificazione, anche mediante programmi ed interventi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica ed il riuso della stessa (Art. 65, comma 3); si evidenzia inoltre come sia necessaria l individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche (Art. 73, comma 2); al fine di incentivare il riutilizzo inoltre viene rilasciato il provvedimento di concessione alla derivazione solo se non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico (Art. 96 comma 3); Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l utilizzazione delle migliori tecniche disponibili. (Art. 98 comma 1); Il decreto dispone che le autorità competenti come ad esempio il Ministero dell ambiente e della tutela del territorio e le regioni adottino norme per il riciclo ed il riutilizzo delle acque (articoli 99 e 101); Gli scarichi, secondo il comma 8 dell art. 104, devono essere destinati ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all utilizzazione agronomica ; Il decreto prevede una riduzione dei canoni di concessione per l utenza di acqua pubblica nell ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso ; Sono previste anche riduzioni delle tariffe, come riportato al comma 6 dell art. 155: Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. Per quanto concerne il riutilizzo delle acque reflue, si fa riferimento al D.M. 12 giugno 2003 n. 185 Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell articolo 26, comma 2, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 che dà tutte le disposizioni necessarie e stabilisce i criteri qualitativi dei reflui in uscita dagli impianti di depurazione e destinati al riutilizzo. Riferimenti alla necessità di utilizzare risorse idriche alternative sono numerosi anche nell ambito della pianificazione regionale della Sardegna. Il Piano Stralcio di bacino per l utilizzo delle Risorse Idriche (PSURI), al capitolo della Relazione Generale, considera il tema dell utilizzo delle risorse non convenzionali, che comprendono le acque di eduzione dalle miniere, le acque reflue di origine civile o industriale e le acque prodotte mediante processi di dissalazione di acque marine o salmastre; riguardo il riutilizzo dei reflui, il piano definisce tale pratica come la più efficace sia in termini tecnici che per la salvaguardia dell ambiente. Per quanto riguarda il Piano d ambito della regione Sardegna, nella parte 1 della Relazione Generale si individua la pratica del riutilizzo come un modo per far fronte alla grave situazione idrica della regione, e si individuano come risorse idriche alternative, oltre alle acque reflue, anche quelle provenienti dai processi di dissalazione. Anche il Piano Stralcio Direttore di bacino regionale (PSDRI) per l utilizzo delle risorse idriche individua il riutilizzo come pratica fondamentale per gli usi agricoli in quanto libera risorse naturali per l ambiente o per eventuali altri usi. La realizzazione di reti duali per il trasporto di acqua potabile e non potabile viene auspicata, laddove economicamente praticabile e tecnicamente realizzabile, dal Nuovo Piano Regolatore Generale degli Acquedotti della Sardegna (NPRGA). Anche l Accordo di Programma Quadro Risorse Idriche Opere fognario-depurative riporta tra le premesse che in un ottica di tutela, anche quantitativa del bene, inteso come valore da mantenere, risulta strategico adottare misure di risparmio idrico sviluppando in particolare il riutilizzo delle acque reflue depurate. L Accordo riporta inoltre gli interventi in via di esecuzione per quanto riguarda le opere fognario depurative, tra cui figurano anche interventi per il riutilizzo delle acque reflue. Uno degli obiettivi del Piano di Tutela delle Acque (PTA), approvato il 4 aprile 2006 in attuazione del D.Lgs. 152 /99 e in corso di attuazione e di aggiornamento, è la promozione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche. In tale piano (Relazione Generale parte A e B) sono presenti molti riferimenti al recupero e riutilizzo delle acque reflue. In tal senso, inoltre, la legge regionale 14/2000, all art 3 prevede che Il riutilizzo ai fini irrigui o produttivi delle acque reflue urbane, industriali e domestiche, previo adeguato trattamento, è da intendersi, ai sensi dell articolo 26 del decreto legislativo n. 152 del 1999, come risorsa idrica non convenzionale restituita in ambiente o in ciclo produttivo, complementare allo scarico in corpo idrico superficiale, soggetto a preventiva comunicazione ai Comuni interessati e alle Province, con modalità di utilizzo secondo apposita direttiva emanata dall Assessorato della difesa dell ambiente. La mancata preventiva comunicazione, l inosservanza delle modalità e siti di utilizzo, dei limiti di accettabilità e delle prescrizioni stabiliti nella direttiva citata, sono perseguiti con sanzioni amministrative ( ). La Regione Sardegna, quindi, in attuazione sia delle norme nazionali e regionali sia della pianificazione di settore ha in corso di ultimazione il Piano del riutilizzo delle acque reflue che comprende un Piano direttore e una specifica Direttiva che entrerà in vigore entro il Amministrazioni coinvolte Il progetto coinvolge Amministrazioni ed Enti Pubblici a vari livelli, secondo le specifiche competenze e gli strumenti a disposizione, come riportato nella seguente tabella. Amministrazione o Ente Regione Consorzi di Bonifica ERA, ERSAT, LAORE ENAS (Ente acque della Sardegna) Abbanoa S.p.a. Strumento di controllo Regolamentazione dell utilizzo di fonti idriche non convenzionali mediante adozione di leggi e regolamenti. Gestione e controllo della distribuzione delle risorse idriche recuperate nelle reti di propria competenza. Partecipazione al reperimento di risorse idriche alternative ed all avvio dei progetti di utilizzo nell ambito dell uso irriguo. Partecipazione al reperimento di risorse idriche alternative ed all avvio dei progetti di utilizzo. Adeguamento delle strutture impiantistiche depurative, gestione delle reti di trasporto nelle aree di propria competenza. RISORSA IDRICA

15 28 29 RISORSA IDRICA Obiettivi del progetto Per far fronte alla scarsità di acqua potabile, per conseguire il fine del risparmio idrico e per favorire la riduzione dell inquinamento dei corpi idrici superficiali è necessario orientarsi verso l utilizzo di risorse idriche non convenzionali. Tra queste il riutilizzo dei reflui si configura, anche alla luce della più recente normativa, come l azione prioritaria: essi costituiscono infatti una risorsa strategica specialmente in ambiente mediterraneo. Obiettivo primario del presente progetto è dunque guidare le Pubbliche Amministrazioni nella scelta della realizzazione di un sistema di utilizzo di acque non potabili, mediante l esposizione dei diversi aspetti correlati a tale decisione. Sviluppo del progetto Spesso l acqua potabile viene utilizzata anche per usi che non necessitano di acqua ad elevato grado di purezza. Questi usi sono, analogamente a quanto riportato all art. 3 del D.M. 185/2003: Irrigazione di colture sia destinate alla produzione di alimenti che a fini non alimentari; Irrigazione di parchi e verde pubblico in generale; Lavaggio strade; Alimentazione sistemi di riscaldamento e raffreddamento; Reti ed interventi antincendio; Circuiti industriali di raffreddamento dei macchinari; Alimentazione degli impianti di scarico nei servizi igienici domestici. Le tipologie di acqua non potabile utilizzabili per tali scopi sono le seguenti: a) Acque marine o salmastre; b) Acque grezze superficiali, ovvero le acque di derivazione da corpi idrici superficiali quali laghi e corsi d acqua, e le acque meteoriche fatta eccezione per le acque di prima pioggia; c) Acque reflue, ovvero gli effluenti degli impianti di depurazione prima dello scarico al recettore finale. L utilizzo di queste risorse idriche alternative è reso possibile dalla realizzazione di una rete duale di trasporto che permette, nel caso delle acque grezze, di bypassare il processo di potabilizzazione, ed in tutti i casi di fornire alle utenze un duplice servizio di fornitura di acqua potabile e di acqua non potabile. La pratica del riutilizzo comporta i seguenti vantaggi: L aumento della disponibilità di acqua potabile per usi civili; Il risparmio economico conseguente alla ridotta necessità di potabilizzazione delle acque grezze; Nel caso del riutilizzo delle acque reflue, la riduzione dei volumi degli effluenti depurati scaricati nei corpi idrici recettori e la conseguente diminuzione dell inquinamento; La possibilità di utilizzare a scopo irriguo acque reflue con un contenuto di nutrienti tale da incrementare la produzione nelle aree a carenza idrica. Dall altro lato l adozione di questa pratica necessita di ingenti investimenti connessi alla realizzazione della rete di distribuzione dell acqua non potabile. In ogni caso, nella fase di valutazione della fattibilità di un intervento di realizzazione di una rete di distribuzione parallela a quella di distribuzione dell acqua potabile è necessario: 1) Tenere in considerazione i futuri gestori ed utilizzatori del servizio, soprattutto per quanto riguarda il riutilizzo di acque reflue, prevedendo campagne di sensibilizzazione ed informazione; 2) Valutare attentamente, soprattutto per l utilizzo irriguo, la porosità e la permeabilità del suolo, in modo che si eviti il rischio di percolazione in falda di sostanze inquinanti.. a) Reti duali alimentate da acque marine o salmastre Le acque salmastre possiedono generalmente una salinità pari a 2 10 psu, mentre l acqua di mare è caratterizzata da un valore medio di salinità pari a 35 psu (soggetto a variazioni locali e stagionali). L utilizzo di acque marine o salmastre come risorse idriche non convenzionali è possibile previo trattamento di dissalazione o, se a fini irrigui, previa miscelazione con acque dolci. Il trattamento di dissalazione, nonostante per gli utilizzi sopra riportati non sia necessario garantire una efficienza elevata di rimozione dei sali, è oneroso dal punto di vista economico e richiede, per la produzione di elevati volumi d acqua, impianti di notevoli dimensioni. Le tipologie di trattamento oggi maggiormente utilizzate per la dissalazione sono la distillazione, o dissalazione per via termica, e l osmosi inversa. Queste tecniche sono attualmente molto diffuse nei paesi arabi ed in Israele, in cui la situazione idrica è critica ma vi è elevata disponibilità di petrolio. Il processo di distillazione richiede infatti un elevata quantità di carburante per il riscaldamento dell acqua, mentre il trattamento di osmosi inversa richiede elettricità per l applicazione all acqua della pressione necessaria per l attraversamento della membrana filtrante. Inoltre il processo di dissalazione produce la cosiddetta salamoia, ovvero un residuo liquido a salinità molto elevata, il cui scarico può creare problemi alla vegetazione del corpo idrico recettore. Una stima del fabbisogno energetico e della potenza impegnata dai due sistemi di dissalazione è riportata nella Tabella La stima è stata effettuata supponendo di dover soddisfare un fabbisogno idrico per abitante pari a 200 litri/giorno, con un consumo specifico di 4,5 kwh elettrici per m 3 di acqua dissalata, ipotizzando un funzionamento nelle condizioni nominali di 7900 ore/anno e assumendo come utilizzo dell acqua dissalata quello idropotabile. Aree urbane CAGLIARI Il consumo di energia elettrica pro capite per la Sardegna nell anno 2004 è risultato essere pari a 7,164 kwh/ab (Fonte: PEAR Sardegna 2006). Considerando la popolazione della regione e confrontando quindi i consumi energetici totali con i consumi legati alla dissalazione si ricava che il trattamento termico genera un consumo annuo di energia elettrica pari al 65% dell energia elettrica consumata in un anno dalla popolazione sarda, mentre il trattamento di osmosi inversa comporta un consumo pari al 4,6% del consumo totale annuo. L utilizzo combinato di acque dolci e acque salmastre in agricoltura è una tecnica diffusa in molti Paesi mediterranei, in modo particolare in Israele; in Italia è praticata soprattutto in Pu- IGLESIAS- CARBONIA SASSARI-PT OLBIA ORISTANO ALGHERO TOTALE Abitanti Produzione idrica (m 3 /d) Dissalazione termica Fabbisogno di energia (GWh/ anno) Potenza impegnata (MW) Osmosi inversa ,2 1459,06 184,7 101,62 12, ,4 280,41 35,5 19,53 2, ,4 692,76 87,7 48,25 6, ,2 192,18 24,3 13,39 1, ,2 199,49 25,5 13,89 1, ,4 185,70 23,3 12,93 1, ,8 3009,62 380,9 209,61 26,53 Tabella 2.2.1: Consumi energetici della dissalazione per via termica e mediante osmosi inversa (Fonte: Progetto di Piano Energetico Regionale Volume II, 2002). Fabbisogno di energia (GWh/anno) Potenza impegnata (MW)

16 30 31 RISORSA IDRICA glia. È comunque una tecnica che necessita di ulteriori studi e non viene attualmente applicata su larga scala. I problemi connessi all utilizzo di acque ad elevato contenuto di sali riguardano, per tutti gli usi (irriguo, civile ed industriale), il rischio di corrosione delle condotte e di ogni altro apparato di controllo realizzato in metallo, con la conseguente necessità di utilizzare quindi materiali resistenti come acciaio inossidabile e materiali quali PVC, PET e PRFV. Inoltre il ruscellamento superficiale e la percolazione delle acque ad elevato contenuto di sali pone il rischio della salinizzazione e dell inquinamento dei corpi idrici superficiali e delle falde acquifere. Per quanto riguarda invece gli usi agricoli i problemi principali sono connessi al possibile effetto tossico sulle colture ed alla destrutturazione dei suoli. Essa è dovuta principalmente all accumulo di sodio: in presenza di questo elemento infatti i colloidi presenti nel suolo si idratano immediatamente all inumidirsi del terreno, provocando un accumulo di acqua in superficie. Viceversa, in assenza di umidità i colloidi si separano provocando la repentina fessurazione. Il progressivo accumulo rende via via più grave il disturbo osmotico, e l elevata concentrazione di sali nel terreno inibisce l assorbimento di acqua da parte delle piante e provoca l isterilimento del suolo. In aggiunta l utilizzo di acque marine e salmastre comporterebbe costi considerevoli connessi al sollevamento ed al trasporto di queste verso le aree più interne. b) Reti duali alimentate da acque grezze Dato l elevato contenuto di solidi sospesi che potrebbero creare problemi di ostruzione delle condotte, queste acque devono essere sottoposte a trattamenti primari di tipo fisico, quali grigliatura, sedimentazione primaria o filtrazione. L utilizzo di acque grezze viene già praticato in agricoltura ed in alcuni impianti industriali che le utilizzano come acque di raffreddamento. Nel caso quindi sia già presente una condotta di distribuzione di acque grezze all interno del tessuto urbano risulta conveniente l allacciamento a questa per l espletamento delle funzioni di lavaggio delle strade ed irrigazione di parchi e verde pubblico. La realizzazione di una rete di distribuzione dell acqua grezza parallela a quella dell acqua potabile renderebbe possibile anche l allacciamento delle utenze domestiche e l utilizzazione quindi di dette acque per gli scarichi dei servizi igienici e le operazioni di innaffiamento di orti e giardini privati. L utilizzo di queste acque può tuttavia richiedere in alcuni casi trattamenti chimici di disinfezione per la rimozione di agenti patogeni che possono essere presenti a causa di fenomeni più o meno accentuati di inquinamento dei corpi idrici da cui viene effettuata la derivazione. Il rispetto di requisiti minimi di qualità delle acque non potabili è di fondamentale importanza in quanto l utilizzo ed il trasporto di acque con agenti patogeni o concentrazioni eccessive di determinate sostanze potrebbe portare a fenomeni di contaminazione dei suoli o delle falde a causa del ruscellamento e della percolazione di tali acque. c) Reti duali alimentate da acque reflue Il riuso di acque provenienti dagli impianti di depurazione consegue il triplice fine di recuperare volumi d acqua in aree che presentano deficit critico, soprattutto durante i mesi estivi, svincolare risorse idriche pregiate per usi civili e ridurre l inquinamento dei corpi idrici recettori. Il riutilizzo dei reflui richiede tuttavia un trattamento più spinto dei liquami, in quanto è necessario garantire l assenza di batteri e sostanze inquinanti, sia per il riutilizzo agricolo che per quello civile ed industriale. In relazione alle caratteristiche chimiche, biologiche e microbiologiche del refluo depurato è quindi necessario prevedere caso per caso la realizzazione di trattamenti terziari di affinamento, che possono consistere in trattamenti di defosfatazione, nitrificazione-denitrificazione, filtrazione, disinfezione ecc. Per la rimozione del carico di nutrienti in eccesso può essere vantaggiosa la realizzazione di un trattamento di affinamento mediante fitodepurazione. Per quanto riguarda l utilizzo in agricoltura, gli effetti negativi sul terreno e sulle colture dell utilizzo di reflui possono essere dovuti principalmente alla presenza di macroelementi quali sodio, calcio, magnesio, cloruri e solfati, e alcuni microelementi come il boro. L accumulo di sali, come già riportato, provoca i fenomeni della destrutturazione ed isterilimento del suolo. Il boro è una sostanza che spesso è presente nei reflui di origine civile, a causa dell elevato consumo di detergenti contenenti perborato: la concentrazione di boro può infatti raggiungere i 2 mg/l, rendendo rischiosa l irrigazione di alcune colture sensibili (come gli agrumi). I reflui, principalmente quelli di origine industriale, possono inoltre contenere concentrazioni non trascurabili di metalli pesanti che possono esercitare un effetto tossico sulle colture. Per quanto riguarda l utilizzo di reflui a fini irrigui è inoltre necessario prevedere bacini di accumulo o individuare corpi idrici in grado di invasare le acque in eccesso prodotte durante i mesi invernali, in quanto il depuratore produce volumi pressoché costanti di acqua durante i vari mesi dell anno mentre la domanda di acqua non potabile è soggetta ad oscillazioni di tipo stagionale. Il riutilizzo dei reflui per usi civili ed irrigui può infine generare anche un rischio per la salute umana connesso alla presenza di agenti patogeni come escherichia coli e salmonella. Il D.M. 185/2003 riporta in allegato una tabella contenente i limiti di qualità per il riutilizzo dei reflui. Essi garantiscono la possibilità di utilizzo irriguo, civile e industriale in condizioni di sicurezza. Nonostante ciò è necessario definire delle procedure di controllo e monitoraggio sia delle caratteristiche qualitative delle acque, in modo da evitare fenomeni di inquinamento dei suoli e delle falde e rischi per la salute umana dovuti alla presenza di agenti patogeni, sia degli effetti ambientali del riutilizzo; in particolar modo per l utilizzo irriguo dei reflui va previsto un piano di controllo qualitativo delle acque rigenerate prima della distribuzione e nelle aziende agricole, con analisi sul suolo irrigato e sulle colture. Riutilizzo dei reflui nell impianto di depurazione di Is Arenas I reflui in uscita dall impianto di Is Arenas vengono attualmente scaricati a mare e in parte riutilizzati nell Ecosistema filtro; dopo ulteriore affinamento mediante fitodepurazione, vengono utilizzati per alimentare lo stagno del Bellarosa minore facente parte del più vasto compendio del Molentargius a Cagliari. Nel 2002 i reflui provenienti da Is Arenas, previo affinamento nell impianto terziario e accumulo nel bacino del Simbirizzi, sono stati riutilizzati a scopo irriguo nella zona del Campidano meridionale. Perché questo fosse possibile l impianto è stato dotato di un terzo stadio di trattamento, che prevede la defosfatazione chimica invernale (provvede all abbattimento del 60% del fosforo presente) e la sterilizzazione mediante 566 lampade a raggi UV-c durante i mesi estivi. L effluente depurato veniva poi sollevato al lago Simbirizzi, utilizzato nella stagione invernale sia come serbatoio di regolazione dei reflui trattati sia per un opportuna miscelazione con una quota parte di acque provenienti dai laghi del Flumendosa. Nella stagione irrigua invece i reflui trattati erano prelevati dal lago ed utilizzati per l irrigazione oppure, se le caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche lo consentivano, potevano bypassare l invaso ed essere immessi direttamente nella rete irrigua. L impianto di trattamento terziario di Is Arenas, che ha una capacità produttiva di 35 milioni di m 3 all anno, serviva 7900 ha di distretti irrigui con una dotazione irrigua di 6000 m 3 /ha/anno, producendo refluo riciclato al costo di 0,08 e/m 3. Il riutilizzo dei reflui depurati dell impianto di Is Arenas è stato sospeso a causa delle infiltrazioni di acque salmastre che, aumentando notevolmente le concentrazioni di cloruri, rendevano tossiche per le colture e dannose per i suoli tali acque. Un impianto attualmente funzionante per il riutilizzo a fini irrigui dei reflui depurati è quello del Comune di Villasimius. L impianto, ultimato nel 1999, è stato progettato per l affinamento di m 3 /giorno di acqua depurata, al fine di irrigare 250 ettari di aree agricole e 150 ettari in zona turistica. RISORSA IDRICA

17 32 33 Risorse alternative Acque marine o salmastre Acque grezze Acque reflue Trattamenti necessari Rimozione solidi sospesi (sedimentazione primaria filtrazione) Dissalazione Miscelazione con acqua dolce (acque salmastre) Rimozione solidi grossolani (grigliatura) Rimozione solidi sospesi (sedimentazione primaria, filtrazione) Disinfezione (eventuale) Rimozione solidi grossolani (grigliatura) Rimozione solidi sospesi (sedimentazione primaria, filtrazione) Disinfezione (eventuale) Campi di utilizzo Irriguo Civile Industriale Irriguo Civile Industriale Irriguo Civile Industriale Aspetti positivi Possibilità risparmio acqua per consumo idropotabile Risparmio per ridotta necessità di potabilizzazione Elevate quantità disponibili Limitata necessità di trattamento per acque salmastre miscelate con acque dolci Possibilità risparmio acqua per consumo idropotabile Risparmio per ridotta necessità di potabilizzazione Limitata necessità di trattamento Possibilità dell esistenza di condotte nel tessuto urbano Bassi costi di trattamento Possibilità risparmio acqua per consumo idropotabile Risparmio per ridotta necessità di potabilizzazione Riduzione inquinamento corpo idrico recettore Possibile incremento produzione agricola per nutrienti già presenti nel refluo Tabella 2.2.2: Aspetti positivi e negativi legati all utilizzo delle risorse idriche alternative proposte. Aspetti negativi Costi realizzazione rete di trasporto Costi elevati per trattamento di dissalazione Costi per sollevamento e trasporto acque marine verso zone interne Possibilità corrosione parti metalliche Possibilità effetti negativi sul suolo (per acque salmastre non dissalate) Costi realizzazione rete di trasporto Possibilità presenza agenti patogeni (in assenza di disinfezione) Costi realizzazione rete di trasporto Necessità individuazione bacino di regolazione per mesi invernali Costi per la realizzazione e la gestione dei trattamenti di affinamento 2.3 Sistemi vegetati per la riduzione dell inquinamento di origine diffusa Premessa e inquadramento generale L inquinamento di origine diffusa è attualmente una delle tipologie di contaminazione dei corpi idrici che richiede maggiore attenzione, essendo un problema di elevata entità quanto di complessa gestione: gli apporti di contaminanti provengono infatti sia dal dilavamento delle superfici agricole sia dal dilavamento delle superfici urbane, e possono essere presenti sia in forma particolata che in forma disciolta. Le sostanze inquinanti provenienti da zone ad utilizzo agricolo intensivo sono principalmente: Fertilizzanti (contenenti nutrienti quali azoto e fosforo); Pesticidi ed erbicidi. Gli apporti dovuti ad attività zootecniche sono invece costituiti da: Sostanza organica e nutrienti; Carica batterica (agenti patogeni). Infine le aree urbane contribuiscono all inquinamento diffuso principalmente mediante: Oli lubrificanti; Liquidi antigelo; Sali. Per proteggere i corpi idrici dall inquinamento diffuso è necessario adottare le cosiddette Best Management Practices (BMP), ovvero sistemi, tecniche e misure atte a prevenire o ridurre l inquinamento di origine diffusa delle acque attraverso i mezzi più idonei ed efficienti per produrre un acqua di qualità. Soluzioni particolarmente efficaci sono i sistemi vegetati, che comprendono fasce tampone (sistema naturale non strutturato), fasce filtro e canali inerbiti (sistema strutturato). Le fasce tampone sono BMP particolarmente adatte all utilizzo in aree agricole, le fasce filtro sono sistemi facilmente realizzabili sia in aree urbane che in aree agricole, mentre i canali inerbiti sono BMP diffuse principalmente in aree urbane. In queste ultime le BMP citate possono essere considerate solamente come interventi di mitigazione, laddove quindi la creazione di nuove aree urbane porti ad un aumento del ruscellamento superficiale e quindi anche delle quantità di sostanze inquinanti trasportate. Nelle zone urbane infatti tutte le superfici impermeabilizzate dovrebbero essere collegate ad un sistema di scolo delle acque meteoriche che provveda alla raccolta differenziata delle acque di prima pioggia, da inviare alla depurazione (si veda a questo proposito la scheda La raccolta differenziata delle acque di pioggia ): è questo infatti il sistema più efficiente per la rimozione delle sostanze inquinanti dalle acque di pioggia. La vegetazione riparia e le fasce tampone sono in grado di ridurre l inquinamento diffuso mediante l intercettazione ed il filtraggio dei sedimenti trasportati dalle acque di dilavamento e tramite l assorbimento e la degradazione di nutrienti ed altre sostanze da parte delle piante e dei microrganismi che si sviluppano nella zona delle radici. Oltre a ciò, la vegetazione riparia svolge anche importanti funzioni di stabilizzazione delle sponde, mitigazione della velocità delle acque di ruscellamento e protezione degli ecosistemi acquatici e ripari. L importanza di queste fasce è riconosciuta dal D.Lgs. 152/06 il quale delega alle regioni l autorità di disciplinare gli interventi per il mantenimento e la gestione di tali aree. L art. 115 (Tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici) riporta infatti quanto segue: Al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici ( ) le regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune ( ). RISORSA IDRICA

18 34 35 RISORSA IDRICA Specifiche riguardanti la salvaguardia della vegetazione riparia nelle fasce di tutela dei corpi idrici superficiali sono presenti anche all interno delle norme di attuazione del Piano stralcio per l Assetto Idrogeologico (PAI) della Regione Sardegna, che: Vieta, nelle fasce di tutela dei corpi idrici superficiali, tutti i tagli di vegetazione riparia naturale ed eccezione di quelli richiesti da una corretta manutenzione idraulica (art. 8, comma 9); Elenca le finalità riconosciute alle fasce di tutela dei corpi idrici superficiali, tra cui la conservazione della naturalità e della biodiversità dei corsi d acqua, il mantenimento della vegetazione riparia spontanea con particolare riferimento a quella capace di rinsaldare gli argini e stabilizzare i terreni limitrofi, e la capacità di favorire la creazione di fasce tampone (art. 8, comma 11); Esplicita la necessità di tutelare la vegetazione riparia. Per quanto concerne le attività selvicolturali ai fini di prevenzione dei pericoli e dei rischi idraulici, dispone infatti di: a) evitare i tagli in alveo e l eliminazione della vegetazione ripariale dei corsi d acqua se non per motivi insuperabili di sistemazione e manutenzione idraulica; b) favorire la ricostituzione di vegetazione elastica resistente agli allagamenti ed adatta ai processi di fitodepurazione; ( ). (art. 11, comma 3); Riporta disposizioni specifiche sulle caratteristiche della vegetazione ripariale compatibile, e sulle operazioni da effettuare per la manutenzione: Gli interventi di manutenzione della vegetazione ripariale sono orientati preferibilmente all impianto e alla conservazione di specie autoctone e comunque garantiscono che le specie compatibili: a) possiedano caratteristiche morfomeccaniche e di elasticità tali da resistere allo scalzamento dall alveo; b) siano preferibilmente mantenute a coltivazione cedua rinnovata continuativamente al primo turno utile, con densità tale da ottenere una distanza reciproca delle ceppaie e con un numero di polloni tale da assicurare il massimo risultato in termini di sicurezza idraulica. (art. 15, comma 4); Per quanto riguarda le funzioni di stabilizzazione delle sponde e riduzione della velocità dell acqua, connesse alla riduzione del rischio idraulico, riporta: ( ) nelle aree di pericolosità idraulica molto elevata sono consentiti esclusivamente: ( ) d) le opere di sistemazione e riqualificazione ambientale e fluviale dirette alla riduzione dei pericoli e dei danni potenziali da esondazione, rivolti a favorire la ricostituzione degli equilibri naturali, della vegetazione autoctona, delle cenosi di vegetazione riparia; ( ). (art. 27, comma 1). Infine il Piano di Tutela delle Acque della Regione Sardegna, nella tabella riepilogativa del processo di attuazione delle misure riportata in Appendice, individua la tutela della vegetazione ripariale e ecosistema, conservazione della biodiversità, come obiettivo per la verifica dell efficacia dei provvedimenti adottati ai fini della tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici. Amministrazioni coinvolte Il progetto coinvolge Amministrazione ed Enti Pubblici a vari livelli, secondo le specifiche competenze e gli strumenti a disposizione, come riportato nella seguente tabella. Amministrazione o Ente Regione Comuni Consorzi di bonifica Strumento di controllo Disciplina regionale degli interventi come indicato dal D.Lgs. 152/06, art Controllo, monitoraggio, programmazione degli interventi, inclusione degli interventi negli strumenti urbanistici. Controllo, monitoraggio, programmazione degli interventi in ambiti di propria competenza. Obiettivi del progetto L obiettivo del progetto di seguito presentato è condurre le diverse Amministrazioni e gli Enti coinvolti alla realizzazione di BMP come fasce tampone, mantenimento della vegetazione riparia e realizzazione di sistemi di mitigazione che possano attenuare l impatto della crescente urbanizzazione sulle caratteristiche qualitative dei corsi d acqua. A tale scopo si intende quindi fornire informazioni esaustive circa le diverse funzioni di questi sistemi, in particolar modo in relazione all obiettivo di riduzione dell inquinamento diffuso, ed alcune indicazioni pratiche riguardanti la realizzazione delle BMP proposte. Sviluppo del progetto Il ruscellamento superficiale è il fenomeno responsabile del trasporto dei sedimenti, ovvero delle particelle minerali insolubili in sospensione, e delle sostanze più fortemente adsorbite alle particelle di suolo, come nutrienti e pesticidi. In assenza di barriere, i sedimenti e le sostanze su di essi adsorbite vengono trasportati direttamente nei corpi idrici che ricevono le acque di ruscellamento, provocandone l inquinamento. Le fasce tampone (buffer strips) si definiscono come fasce di vegetazione erbacea e/o arborea (in tal caso prendono il nome di fasce tampone boscate) che separano i corpi idrici superficiali (scoline, fossi, canali, fiumi, laghi) da una possibile fonte di inquinamento diffuso (aree agricole, strade ecc.). Esse svolgono quindi prevalentemente la funzione di barriere fisiche tra zone a differente utilizzo, ma non solo. Sono infatti in grado di: Filtrare i contaminanti: La vegetazione, rallentando il flusso delle acque, induce la sedimentazione dei solidi sospesi. La presenza delle radici migliora inoltre la struttura ed aumenta la porosità del suolo, favorendo la percolazione delle acque contenenti sostanze inquinanti disciolte nel sottosuolo; esse inoltre creano un fitto reticolo che funge da substrato per lo sviluppo e la crescita di microrganismi. Nella zona adiacente alle radici si instaurano condizioni ossidate e ridotte che si alternano permettendo la coesistenza di processi microbici che richiedono condizioni redox opposte, come la nitrificazione e la denitrificazione. Inoltre parte dei nutrienti (azoto e fosforo) contenuti principalmente nelle acque provenienti dal dilavamento delle aree agricole viene assorbita dalle radici delle piante che li utilizzano per la crescita. L azione di filtro delle fasce tampone è massima quando il trasporto di acqua e inquinanti avviene perpendicolarmente all asse del corso d acqua, e risulta invece sensibilmente ridotta in corrispondenza di un interruzione di continuità della fascia; Ridurre la velocità dei flussi in arrivo: L ambiente ripario funge da ostacolo idraulico, rallentandone il flusso delle acque di dilavamento verso il corpo idrico superficiale. Questo permette di ridurre la potenziale erosione o degradazione dei canali e di favorire la ricarica delle falde grazie all incremento della quantità di acqua che si infiltra nel terreno; Stabilizzare le sponde dei corsi d acqua: Le radici, in particolar modo quelle della componente arborea, svolgono un importante funzione di stabilizzazione delle sponde, grazie alla creazione di un reticolo che aumenta la coesione del suolo; Favorire l aumento della biodiversità: le zone tampone hanno la funzione di habitat per numerose specie selvatiche; l ambiente ripario è un corridoio ecologico, funge infatti da tessuto connettivo tra ecosistemi diversi. Inoltre le specie arboree forniscono ombra, la quale riduce la temperatura dell acqua ed evita il verificarsi di brusche oscillazioni che sarebbero dannose per le specie acquatiche; Incrementare la valenza paesaggistica: le zone adiacenti ai corsi d acqua, se opportunamente mantenute e gestite, possono acquisire un notevole valore paesaggistico che può portare vantaggi di tipo economico legati alle attività ricreative sviluppabili. RISORSA IDRICA Ente Foreste Progettazione e gestione degli interventi di mantenimento, protezione e realizzazione delle fasce tampone- Le fasce tampone possono essere presenti naturalmente lungo i corsi d acqua, oppure possono venire realizzate appositamente. Le superfici delle fasce tampone possono essere lineari oppure avere forme libere che seguono la conformazione del territorio. La larghezza delle fasce è determinata dall ingombro delle piante a maturità, e dipende dalla pendenza del terreno in direzione del corso d acqua: in

19 36 37 RISORSA IDRICA generale per garantire una significativa efficacia la fascia deve essere larga almeno 3-5 m. La vegetazione più idonea dipende da diversi fattori, quali per esempio: Caratteristiche pedo-climatiche della zona; Necessità di espletare funzioni aggiuntive (filtro per rumore, barriere visive ecc.); Necessità di manutenzione. E comunque sempre necessario scegliere specie autoctone preferibilmente già presenti lungo le sponde del corso d acqua interessato. Lungo i corsi d acqua arginati le fasce tampone vanno poste in aree golenali ed in banchine all interno dell alveo o in prossimità del piede esterno dell argine, in modo da essere efficaci e nel contempo non creare pericolo per la stabilità dell argine stesso. Figura 2.3.1: Rappresentazione schematica di una fascia tampone. Figura 2.3.2: Corretto posizionamento di una fascia tampone. Le fasce filtro (vegetated filter strips) sono sezioni di terreno densamente vegetate progettate al fine di: Convogliare le acque di pioggia in modo laminare da un area urbanizzata o agricola adiacente al corpo idrico recettore: queste fasce indirizzano infatti le acque da trattare attraverso superfici alberate o più spesso solamente inerbite, che ne rallentano il flusso; Rimuovere le sostanze inquinanti: il passaggio attraverso una superficie vegetata determina la rimozione delle sostanze particolate inquinanti attraverso la sedimentazione e l assorbimento da parte delle piante dei nutrienti disciolti; Favorire l infiltrazione nel suolo delle acque di pioggia con conseguente riduzione del ruscellamento superficiale, riduzione della potenziale erosione dei canali ed incremento della ricarica della falda. La larghezza delle fasce filtro dipende da: Pendenza del terreno; Lunghezza del pendio; Estensione totale della superficie scolante. In generale la pendenza del terreno dovrebbe essere compresa tra il 2 ed il 6%. Per pendenze comprese in questo range è stato calcolato che una fascia della larghezza di circa 3 metri è in grado di rimuovere fino al 70% dei solidi sospesi sedimentabili. La tipologia di vegetazione più idonea è rappresentata da piante erbacee perenni di altezza elevata: esse sono infatti in grado di trattenere quantità maggiori di solidi sospesi e di rallentare il flusso delle acque. Per incrementare l efficacia depurativa delle fasce è opportuno predisporre, parallelamente alla fascia di vegetazione erbacea, anche una fascia di vegetazione arbustiva o arborea. Per evitare che sostanze contaminanti raggiungano la falda, è necessario rispettare una distanza minima di 0,9 m dal livello di massima escursione della falda, entro 10 m dal perimetro della zona dove si verifica l invaso temporaneo. E importante infine eseguire una periodica manutenzione, al fine di eliminare gli accumuli di sedimenti che andrebbero a ridurre la capacità di trattenimento della vegetazione e quindi l efficienza del sistema. Figura 2.3.3: Rappresentazione schematica di una fascia filtro. I canali inerbiti (grassed swales) sono canali rivestiti da erba o piante resistenti all erosione, costruiti nelle aree urbane allo scopo di: Ridurre le velocità di flusso: I canali inerbiti fanno defluire le acque di pioggia, in particolare lungo le strade, in maniera regolare, sfruttando la capacità della vegetazione compatta di ridurre le velocità di flusso. In questo modo vengono evitati i fenomeni di erosione e ridotti i picchi in uscita; Rimuovere parte degli inquinanti: la vegetazione erbacea presente all interno dei canali permette la filtrazione delle acque in arrivo. I solidi sospesi rimangono intrappolati nella vegetazione e sedimentano, mentre le sostanze inquinanti presenti in forma solubile, come i nutrienti, possono infiltrarsi nel terreno e venire assorbiti dalle radici o degradati dai microrganismi. Il grado di depurazione raggiungibile dipende soprattutto dal tempo di residenza delle acque nel canale e dal grado di contatto di queste con la vegetazione e con la superficie del terreno. RISORSA IDRICA

20 38 39 RISORSA IDRICA In presenza di pendenze elevate i canali possono essere dotati di depressioni o piccole paratoie sul fondo del letto, in modo da rallentare ulteriormente i flussi e aumentare la capacità di ritenzione idraulica. La presenza di strutture all interno del letto come paratoie e depressioni può migliorare la capacità di rimozione aumentando i tempi di residenza. I canali inerbiti possono essere realizzati in zone dove la pendenza non è molto elevata (minore del 4%), in quanto in tal caso si verificherebbero fenomeni di erosione e l acqua non avrebbe il tempo necessario per infiltrarsi nel terreno; per lo stesso motivo essi non sono adatti a terreni impermeabili o poco permeabili. Il fondo del canale inoltre andrebbe posizionato ad una distanza di almeno 60 cm dal livello di massima escursione della falda, in modo tale da evitare possibili contaminazioni a causa della percolazione di sostanze inquinanti nel sottosuolo. La larghezza del canale può variare a seconda della disponibilità di spazio, ma in generale dovrebbe essere compresa tra 0,6 e 2 m: il valore minimo individua una superficie minima di filtrazione per la rimozione dei contaminanti, mentre il valore massimo previene la formazione di vie preferenziali di scorrimento sul fondo del canale. I canali vanno infine dotati di una tubazione di scarico, che convoglia le acque raccolte al corpo idrico recettore o al sistema di fognatura. Figura 2.3.4: Rappresentazione schematica di un canale inerbito a lato di una strada. 2.4 Monitoraggio delle reti di acquedotto Premessa e inquadramento generale Vari documenti e piani della Regione Sardegna, tra i più recenti il Piano di tutela delle acque (PTA), hanno posto in evidenza le problematiche delle reti di distribuzione idrica della regione. Le perdite di rete costituiscono la causa principale di inefficienza del servizio idrico, in quanto comportano: Entità Costi di produzione eccessivi dovuti alla necessità di prelevare, trattare ed immettere nella rete volumi idrici superiori all effettivo consumo; Costi socio-economici legati all insorgere di conflitti per l uso dell acqua tra i diversi utilizzatori, poiché l uso potabile è considerato prioritario e deve essere garantito a scapito di altri utilizzi; Costi ambientali causati da una sottrazione eccessiva di risorsa dal ciclo naturale; Mancato soddisfacimento dell utenza, prodotto da disservizi e malfunzionamenti. In genere si parla di perdite idriche apparenti, costituite dalla somma di perdite fisiche e di perdite commerciali. Le perdite fisiche sono le perdite reali della rete, dovute a: Difetti di costruzione; Vetustà degli impianti; Inadeguatezza della manutenzione; Errori di gestione e disservizi. Le cause maggiori di perdite fisiche sono generalmente le rotture di tubazioni, la compromissione dei giunti e l inadeguatezza delle derivazioni all utenza. Le perdite commerciali sono invece dovute ad acqua consegnata all utenza ma non fatturata, a causa di sottrazioni non autorizzate (furti), o ad usi autorizzati che non vengono fatturati. Il bilancio idrico riportato dal Piano d Ambito della Regione Sardegna con riferimento ai dati del 2001 evidenzia la situazione riferita nelle seguenti tabelle: Volumi totali disponibili ATO Volumi ceduti ad altri distributori Volumi immessi in rete potabile Volume perso in adduzione Volume ceduto a reti di distribuzione Volumi fatturati Perdite apparenti in distribuzione Volume (milioni di m 3 ) = = = Tabella 2.4.1: Bilancio idrico nella rete di adduzione e distribuzione della Sardegna (Fonte dati: Piano d Ambito della Regione Sardegna, 2001). RISORSA IDRICA

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