Appunti per Algebra Superiore

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1 Appunti per Algebra Superiore Monica Idà April 29, 2009 Qui anello significa sempre anello commutativo unitario; A denota sempre un anello e K un campo. 1 Moduli su un anello Definizione 1.1 Un A-modulo, o modulo su A, è un un gruppo abeliano (M, +) con una operazione esterna (detta prodotto per scalari) µ : A M M (a, x) ax tale che: i) a(x + y) = ax + ay per ogni a A, x, y M; ii) (a + b)x = ax + bx per ogni a, b A, x M; iii) (ab)x = a(bx) per ogni a, b A, x M; iv) 1 A x = x per ogni x M. Osservazione 1.2 Usando il fatto che in (M, +) vale la proprietà di cancellazione, cioé a + b = a + c b = c, si vede subito che: 0 A x = 0 M per ogni x M; a0 M = 0 M per ogni a A; ( a)x = ax per ogni a A, x M. Esempio 1.3 Sia A un anello; allora A è un A-modulo su se stesso: per ogni a, b A, µ(a, b) è il prodotto ab nell anello. Esempio 1.4 Sia A un anello, e a un ideale di A; allora a è un A-modulo così: per ogni a A, x a, µ(a, x) è il prodotto ax nell anello. Esempio 1.5 Sia f : A B un morfismo di anelli; allora B è un A-modulo così: per ogni a A, x B, µ(a, x) è il prodotto f(a)x nell anello B. Esempio 1.6 Un K-modulo è un K-spazio vettoriale. Esempio 1.7 Sia (G, +) un gruppo abeliano; allora G è uno Z-modulo così: per ogni n > 0, x G, µ(n, x) = nx è la somma di n addendi uguali ad x, µ( n, x) = nx è la somma di n addendi uguali ad x, e 0x = 0 G. Viceversa, uno Z-modulo M è un gruppo abeliano additivo dove se n > 0 nx = ( )x = 1x x = x x, ( n)x = ( )x = ( 1)x ( 1)x = x... x, e 0x = 0 M. 1

2 Chiaramente 1.3 è un caso particolare sia di 1.4 che di 1.5. Esempio 1.8 Sia K un campo. Un K[x]-modulo M è una coppia formata da un K-spazio vettoriale e da un endomorfismo fissato φ di tale spazio vettoriale. Infatti la moltiplicazione: µ : K[x] M M (f, m) fm = µ(f, m) ristretta a K M dà ad M una struttura di K-modulo (è banale verificare che valgono ancora gli assiomi relativi al prodotto per scalari). Consideriamo ora l applicazione φ : M M m xm = µ(x, m) si ha, per ogni a, b K, ed ogni m, m M: φ(am + bm ) = x(am + bm ) = (xa)m + (xb)m = a(xm) + b(xm ) = aφ(m) + bφ(m ), dunque φ è lineare. Sia r un intero positivo; φ r denota l r-esima iterata di φ, cioé φ φ... φ. }{{} r Si ha µ(x 2, m) = x(xm) = φ 2 (m), e così via, quindi se f(x) = a 0 + a 1 x a d x d K[x], si ha: µ(f(x), m) = (a 0 + a 1 x a d x d )(m) = a 0 m + a 1 φ(m) a d φ d (m). Viceversa, dato un K-spazio vettoriale V e un φ EndV, è facile convincersi che l applicazione: µ : K[x] V V (a 0 + a 1 x a d x d, m) a 0 m + a 1 φ(m) a d φ d (m) dà a V una struttura di K[x]-modulo. Definizione 1.9 Un morfismo di A-moduli, o applicazione A-lineare, è un morfismo dei soggiacenti gruppi abeliani che rispetta il prodotto esterno. Dunque, un morfismo di A-moduli f : M N è un applicazione di insiemi tale che: f(m + n) = f(m) + f(n) m, n M; f(am) = af(m) a A, m M. Definizione 1.10 Un sottomodulo, o sotto A-modulo, di un A-modulo M è un sottoinsieme N M tale che: i) (N, +) è un sottogruppo di (M, +); ii) N è chiuso rispetto alla moltiplicazione per scalari, cioè µ(a N) N. Quindi un sottoinsieme N di M è un suo sottomodulo se è non vuoto e se per ogni x, y N e per ogni a, b A, si ha ax + by N. Esempi 1.11 Sia A un anello, con la sua struttura naturale di A-modulo (si veda 1.3); un sottoinsieme a di A è un sottomodulo di A se e solo se a è un ideale di A. Un morfismo di anelli f : A B è un morfismo di A-moduli se diamo a B la struttura di A-modulo come in 1.5. Se A è un anello con la sua struttura naturale di A-modulo ed h : A A una mappa A-lineare, non è detto che h sia un morfismo di anelli, ad esempio Z 2 Z è un morfismo di Z-moduli ma non di anelli, perché 1 non va in 1. Un sottoinsieme di un K-spazio vettoriale V (Esempio 1.6) è sotto K-modulo di V se e solo se è un sottospazio vettoriale di V ; un morfismo di K-moduli è una applicazione lineare di K-spazi vettoriali. Un sottoinsieme di uno Z-modulo G (Esempio 1.7) è sottomodulo di G se e solo se è un sottogruppo di G; un morfismo di Z-moduli è un morfismo di gruppi abeliani. ; 2

3 Osservazione-Definizione 1.12 Si vede subito che: i) Se f : M N e g : N P sono morfismi di A-moduli, allora anche g f : M P lo è. ii) Se f : M N è un morfismo biettivo di A-moduli, allora l aplicazione inversa f 1 : N M è un morfismo anch essa, ed f viene detto isomorfismo. Se esiste un isomorfismo f : M N, scriviamo M = N. Dunque se M = N allora N = M. iii) Se M è un A-modulo, M = M (tramite l identità id M ). iv) Se M = N e N = P, allora M = P (tramite la composizione degli isomorfismi). Definizione 1.13 Sia N sottomodulo di un A-modulo M; essendo N sottogruppo del gruppo abeliano (M, +), è possibile costruire il gruppo quoziente M/N, i cui elementi nel seguito verranno denotati con x + N, oppure con [x] o [x] N o per finire con x. Questo quoziente ha una struttura naturale di A-modulo, nel modo seguente: µ : A M/N M/N (a, x + N) ax + N. Con tale struttura, M/N è detto l A-modulo quoziente di M rispetto a N, e la proiezione naturale p : M M/N x x + N. è un morfismo di A-moduli. Esempio 1.14 Sia a un ideale dell anello A. Possiamo considerare l anello quoziente A/a e poi dotarlo della struttura di A-modulo tramite il morfismo di anelli proiezione sul quoziente: A A/a (si veda 1.5). Oppure, possiamo pensare ad A come A-modulo e ad a come ad un sottomodulo, e fare il quoziente di A-moduli A/a; si verifica subito che le due struttura di A-modulo così ottenute per A/a sono in realtà la stessa. Esempio 1.15 Consideriamo l R-spazio vettoriale R 2, e il suo sottospazio < v >, dove v è un vettore non nullo; in questo caso è facile visualizzare il quoziente R 2 / < v >: le classi di equivalenza sono le rette del piano reale affine con vettore di direzione v (cioé tutte le rette parallele a v). Il quoziente R 2 / < v > è quindi visualizzabile come una qualsiasi delle rette per l origine diverse da < v >: se infatti U è una tale retta, U contiene esattamente un rappresentante di ogni classe di equivalenza, e la struttura vettoriale sul quoziente coincide con la struttura vettoriale di U. Si osservi che però questa rappresentazione non è canonica, perché non c è modo di scegliere, tra le rette per l origine diverse da < v >, una che sia migliore delle altre. È possibile fare un discorso analogo per un qualsiasi K-spazio vettoriale V di dimensione finita, e un suo sottospazio W. Proposizione 1.16 Sia f : M N un morfismo di A-moduli. Si ha: i) se Q è sottomodulo di M, allora f(q) è sottomodulo di N; ii) se P sottomodulo di N, allora f 1 (P ) è sottomodulo di M. Dimostrazione. Esercizio. Proposizione 1.17 Sia M un A-modulo, N un suo sottomodulo, e p : M M/N la proiezione sul quoziente. C è una corrispondenza biunivoca che preserva le inclusioni tra i seguenti insiemi: A := {Q Q sottomodulo di M, Q N} B := {P P sottomodulo di M/N} Q p(q) 3

4 Dimostrazione. Se Q è un sottomodulo di M contenente N, p(q) è un sottomodulo di M/N per Se P è sottomodulo di M/N, p 1 (P ) è un sottomodulo di M sempre per 1.17 e inoltre 0 P dà N p 1 (P ). Quindi abbiamo due applicazioni ben definite: φ : A B Q p(q), ψ : B A P p 1 (P ). Risulta p 1 (p(q)) = Q; infatti l inclusione p 1 (p(q)) Q è sempre vera; per l altra inclusione, osserviamo che y p 1 (p(q)) x Q, y + N = x + N x Q, y x N Q y Q, cioé p 1 (p(q)) Q. Si ha (φ ψ)(p ) = p(p 1 (P )) = P perché p è su, quindi φ ψ = id B. Inoltre, ψ φ = id A segue da (ψ φ)(q) = p 1 (p(q)) = Q. Quindi φ e ψ sono biezioni inversa l una dell altra; per concludere, è chiaro che φ e ψ rispettano le inclusioni, infatti se P P allora p 1 (P ) p 1 (P ), e se Q Q allora p(q ) p(q). Proposizione-Definizione 1.18 Sia f : M N un morfismo di A-moduli; si pone: kerf := {x A, f(x) = 0}, Imf := f(m), Cokerf := N/Imf; kerf è un sottomodulo di M, Imf lo è di N. Il morfismo f è iniettivo se e solo se kerf = 0, è suriettivo se e solo se Imf = N. Se P è un sottomodulo di kerf, l applicazione f : M/P N x + P f(x) è ben definita e A-lineare; diremo che f induce il morfismo di A-moduli f sul quoziente M/P. Dimostrazione. Sono tutte verifiche banali; per esempio, per vedere che f è ben definita basta osservare che se x + P = y + P, allora x y P kerf, e quindi f (x + P ) f (y + P ) = f(x) f(y) = f(x y) = 0. Corollario 1.19 Sia f : M N un morfismo di A-moduli; allora f fattorizza canonicamente nel modo seguente: M p M/kerf dove p è la proiezione canonica sul quoziente, i è l inclusione del sottomodulo Imf in N, ed f : x + kerf f(x) è un isomorfismo. Dimostrazione. Che f sia ben definita segue dalla Proposizione 1.18, con P = kerf. L applicazione f è su: se y Imf, sia x tale che y = f(x); allora y = f (x + kerf). L applicazione f è 1-1: se x M, f (x + kerf) = f(x) = 0 se x kerf, cioé se x + kerf = 0. Esempio 1.20 Sia f : A B un morfismo di anelli, e sia a un ideale dell anello A; allora f(a) per 1.16 è un sotto A-modulo di B, ma non ha alcun motivo per essere un sotto B-modulo di B, cioé un ideale dell anello B. Se però f è suriettiva, allora per ogni y f(a) e per ogni b B esistono f f N i Imf 4

5 x a e a A tali che y = f(x) e b = f(a), quindi si ha by = f(a)f(x) = f(ax) f(a), cioé f(a) è un ideale di B (f(a) è necessariamente un sottogruppo perché immagine di un sottogruppo). In realtà in questa situazione ogni ideale di B si ottiene come immagine di un ideale di A, adesso vediamo perché. Sia ā un ideale fissato dell anello A; la Proposizione 1.17, applicata all Esempio 1.3, ci fa ritrovare la corrispondenza biunivoca tra gli ideali di A che contengono ā, e gli ideali di A/ā. Se f : A B è un morfismo di anelli, f fattorizza canonicamente nel modo seguente: A p A/kerf con f isomorfismo, p suriettivo e i iniettivo; infatti, il Corollario 1.19 ci dà il diagramma per i gruppi abeliani sottogiacenti ed è immediato vedere che le frecce sono morfismi di anelli. Questi due risultati ci dicono che, se g : A B è un morfismo suriettivo di anelli, c è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali di A che contengono kerg e gli ideali di B, data da: f f B i Imf {a a ideale di A, a kerg} {b b ideale di B}. a g(a) La cosa si fa alquanto più complicata se il morfismo di anelli non è suriettivo; infatti, come detto sopra, in generale non è nemmeno vero che l immagine di un ideale sia un ideale; quello che rimane vero è che la controimmagine di un ideale è un ideale, e questo è già qualcosa. Ad esempio, sia i : Z R l inclusione; l immagine di un qualsiasi ideale (n) 0 non può essere un ideale, visto che un campo non ha ideali diversi da 0 e da (1). Naturalmente, deve essere un sotto Z-modulo di R, cioé un sottogruppo del gruppo abeliano (R, +); ad esempio, se n = 3, i(3) = {3x, x Z} lo è. Quello che si considera, se si ha un morfismo qualsiasi di anelli, è l estensione dell ideale di partenza, cioè il più piccolo ideale generato dall immagine dell ideale di partenza. Ci torneremo sopra più avanti. 2 Operazioni sui sottomoduli Osservazione 2.1 Sia M un A-modulo, e {M i } i I i I M i è un sottomodulo di M. una famiglia di sottomoduli di M; allora Proposizione-Definizione 2.2 Sia X un sottoinsieme non vuoto di un A-modulo M; chiamiamo sottomodulo generato da X il sottomodulo: < X >:= N N sottomodulo di M,N X che è quindi il più piccolo sottomodulo di M contenente X. Risulta < X >= { a i x i, x i X, a i A, n N}. i=1,...,n In particolare, se X = {x 1,..., x r } è finito, scriveremo più brevemente < x 1,..., x r > anziché < {x 1,..., x r } >; risulta < x 1,..., x r >= { a i x i, x i X, a i A}. Se x M si pone Ax :=< x >= {ax, a A}. i=1,...,r 5

6 Dimostrazione. { i=1,...,n a ix i, x i X, a i A, n N} è un sottomodulo di M che contiene X, dunque < X > { i=1,...,n a ix i, x i X, a i A, n N}. Sia ora N un sottomodulo di M che contiene X; allora N necessariamente contiene ogni somma del tipo i=1,...,n a ix i, quindi < X >= N { i=1,...,n a ix i, x i X, a i A, n N}. Definizione 2.3 Sia M un A-modulo, e {M i } i I una famiglia di sottomoduli di M; si chiama somma degli M i il sottomodulo M i >= { x j, x j M j }. i I M i :=< i I Se x 1,..., x r M, il sottomodulo < x 1,..., x r > di M generato dagli x i si può quindi scrivere anche come Ax Ax r. Definizione 2.4 Se X è un sottoinsieme non vuoto di un A-modulo M, tale che M =< X > (quindi ogni elemento di M può essere espresso come combinazione lineare finita a i x i con x i X, a i A, non necessariamente in modo unico), allora X è detto un insieme di generatori per M. L A-modulo M è detto finitamente generato (o anche, in alcuni testi, di tipo finito) se ha un insieme finito di generatori; se cioé esistono x 1,..., x n M tali che M =< x 1,..., x n >= Ax Ax n. Osservazione 2.5 L analogia formale tra la definizione di K-spazio vettoriale e A-modulo non deve trarre in inganno; è comodo pensare agli spazi vettoriali come ad esempi di moduli, però il comportamento di un A-modulo qualsiasi non ricalca sempre il comportamento di un K-spazio vettoriale, anzi. Per esempio, se V è un K-spazio vettoriale finitamente generato, V non è mai isomorfo ad un suo sottospazio proprio. Consideriamo ora Z come Z-modulo; è finitamente generato (da 1), 2Z = {2n, n Z} è un suo sottomodulo proprio, e l applicazione f : Z 2Z così definita: f(n) = 2n è un isomorfismo. Se al posto di Z consideriamo R, quello che succede è che 2R = R perché 2 genera R come R-modulo, mentre ció non è vero, naturalmente, per Z. Definizione 2.6 Sia a un ideale dell anello A, M un A-modulo, P un sottomodulo di M; si chiama prodotto di a per P il sottomodulo: ap :=< {ax, a a, x P } >= { a i x i, a i a, x i P }. finita finita Se a = (a) è un ideale principale, scriviamo più brevemente ap := (a)p = {ax, x P }. Definizione 2.7 Siano M un A-modulo ed N e P sottomoduli di M; (N : P ) denota il seguente ideale di A: (N : P ) := {a A, ap N}. In particolare, si chiama annullatore di P, e si denota con Ann A (P ) o con Ann(P ) se è chiaro su quale anello stiamo lavorando, l ideale Ann(P ) := (0 : P ) = {a A, ap = 0 p P }. Osservazione 2.8 Sia M un A-modulo, e sia a un ideale dell anello A, a Ann(M). Allora M è anche un A/a-modulo, con la moltiplicazione seguente: A/a M M (b + a, m) bm 6

7 Basta osservare che la moltiplicazione è ben definita, infatti se b + a = c + a, esiste un a a tale che b = c + a, quindi bm = cm poiché am = 0. Definizione 2.9 Un A-modulo M è detto fedele se Ann(M) = 0. Si vede subito che un qualsiasi A-modulo M è fedele come A/Ann(M)-modulo. Esempio 2.10 Se V è un K-spazio vettoriale, W e U due suoi sottospazi, la somma e l intersezione di W e U come sottomoduli ci ridanno le analoghe definizioni di somma e intersezione di sottospazi, mentre (U : W ) = K se W U, (U : W ) = 0 se W non è contenuto in U. Esempio 2.11 Sia M = Z/(3) considerato con la struttura di Z-modulo indotta dalla proiezione sul quoziente. Si ha Ann(M) = (3), infatti m[x] = 0 per ogni x Z se e solo se m 0 (mod 3). Si osservi che se V 0 è un K-spazio vettoriale, Ann(V ) = 0; infatti av = 0 con a K e v V implica a = 0 o v = 0. Se preferite, Ann(V ) è un ideale di K, e quindi se non è 0 è tutto K, nel qual caso V = 0. Operazioni sugli ideali di un anello 2.12 Sia A un anello, X un suo sottoinsieme, {a i } i I una famiglia di ideali di A, b, c, b 1,..., b n ideali di A; pensando ad A come A-modulo ed ai suoi ideali come sottomoduli, le definizioni da 2.1 a 2.7 ci fanno ritrovare le seguenti nozioni note per gli anelli e i loro ideali: i I a i è un ideale. < X >:= a ideale di A,a X a = { finita a ix i, a i A, x i X} è il più piccolo ideale contenente X, cioé l ideale generato da X. Di solito per l ideale generato da X useremo però la notazione più comune (X) anziché < X >. Se b è un ideale, e se esiste un sottoinsieme finito X = {a 1,..., a n } A tale che b(x), scriviamo b = (a 1,..., a n ) e diciamo che b è un ideale finitamente generato. i I a i :=< i I a i >= { finita x j, x j a j } è l ideale somma degli a i ; in particolare, b + c = {x + y, x b, y c}. bc =< {bc, b b, c c} >= { finita b ic i, b i b, c i c} è l ideale prodotto di b e c. Quindi il prodotto di un numero finito di ideali risulta: b 1... b n =< {b 1... b n, b i b i, i = 1,..., n} >. (b : c) = {a A, ac b} è l ideale quoziente di b e c. Dato che un anello possiede una moltiplicazione interna, è possibile definire un operazione che non si può definire per un sottomodulo: il radicale di un ideale a è l ideale di A così definito: a := {x A n > 0, x n a}. L ideale (0) = {x A n > 0, x n = 0} è detto il nilradicale di A. In 1.20 avevamo lasciato in sospeso il problema seguente: visto che in un morfismo di anelli f : A B l immagine di un ideale a di A non è detto sia un ideale, qual è l ideale di B che è più imparentato con f(a)? Ovviamente, è l ideale < f(a) >= { finita b if(x i ), b i B, x i a}, che viene detto estensione di a. Considerando B come A-modulo, l estensione di a è il prodotto ab dell ideale a per l A-modulo B, e quindi nel seguito verrà denotata appunto con ab; questa notazione non è ambigua a patto che sia chiaro chi è il morfismo f che dà a B la struttura di A-modulo. 7

8 References [AM] M.F.Atiyah - I.G.Macdonald, Introduction to Commutative Algebra. Addison-Wesley Publishing Company, Reading, [BM] G.Birkhoff - S.Mac Lane: Algebra. Mursia editore, Milano [Ci] C.Ciliberto, Algebra Lineare, Bollati Boringhieri, Torino [C1] P.M.Cohn, Algebra volume 1, John Wiley & Sons, London [C2] P.M.Cohn, Algebra volume 2, John Wiley & Sons, London [C3] P.M.Cohn, Basic Algebra: groups, rings and fields, Springer, London, 2nd printing [L] J.P.Lafon: Les formalismes fondamentaux de l algèbre commutative. Hermann, Paris [H] P.R.Halmos: Naive Set Theory. Springer, New York [Ha] Robin Hartshorne: Algebraic Geometry. Graduate Texts in Mathematics 52, Springer [J1] N.Jacobson: Basic Algebra I. W.H.Freeman and Company, San Francisco [J2] N.Jacobson: Basic Algebra II. W.H.Freeman and Company, San Francisco [La] S.Lang: Algebra (second edition). Addison-Wesley Publishing Company, Menlo Park (Ca)

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