Geometria e Topologia I 18 maggio

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1 Geometria e Topologia I 18 maggio Mappe affini (17.1) Definizione. Siano X e Y due spazi affini sullo stesso campo K. Una funzione f : X Y si dice affine (anche, mappa affine o trasformazione affine) se per ogni x X la funzione indotta sugli spazi vettoriali sottostanti X Y definita da è lineare. v X f(x + v) f(x) Y (17.2) Esempio. Se X = Y = K = R, allora le mappe affini sono le mappe che si possono scrivere come x ax + b. (17.3) Esempio. Se f : X Y è una mappa costante, allora è affine. L identità è anche una mappa affine. (17.4) Esempio. Tutte le traslazioni x x + v sono mappe affini. (17.5) Una funzione f : X Y tra spazi affini su campo K è una mappa affine se esiste x 0 X per cui la funzione è lineare. v X f(x 0 + v) f(x 0 ) Y Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni x X la funzione indotta v f(x + v) f(x) è lineare X Y. Sia dunque x X arbitrario. Supponiamo che esista x 0 come nell enunciato, e quindi sia L: X Y la funzione lineare (omomorfismo di spazi vettoriali) definita da Dal momento che per ogni v X L(v) = v f(x 0 + v) f(x 0 ). f(x + v) f(x) = f (x 0 + x 0 x + v) f (x 0 + x 0 x), si ha f(x + v) f(x) = f (x 0 + x 0 x + v) f (x 0 ) + (f (x 0 + x 0 x) f (x 0 )) = L( x 0 x + v) L( x 0 x) = L( x 0 x) + L(v) L( x 0 x) = L(v) che è quindi lineare in v. (17.6) Definizione. Una mappa affine f : X Y tra spazi affini su campo K si dice isomorfismo affine se è una mappa affine biunivica. Se X = Y, allora si dice automorfismo affine o anche affinità. (17.7) Teorema. Sia X uno spazio affine su campo K di dimensione n. La scelta di un riferimento affine induce un isomorfismo di spazi affini X = A n (K). Quindi due spazi affini su campo K con la stessa dimensione sono sempre tra loro isomorfi. D.L. Ferrario 18 maggio

2 Geometria e Topologia I 18 maggio Dimostrazione. Se x 0, x 1,... x n è un riferimento affine per X, allora si può definire la mappa f : A n (K) X definita da (λ 1,..., λ n ) x 0 + n i=1 λ i x0 x i X. Non è difficile verificare che f è una mappa affine. Dato che i punti x 0,..., x n costituiscono un riferimento affine, la giacitura x 0 x 1,..., x 0 x n ha dimensione n, e quindi la funzione lineare indotta f(x 0 + v) f(v) è un isomorfismo di spazi vettoriali. Da cui segue che f è bijettiva. (17.8) Teorema. Ogni mappa affine f : A d (K) A n (K) (nel sistema di riferimento affine standard) si scrivere in modo unico come f(x) = Ax + b = A(x 0) + (b 0), dove A è una matrice n d e b un vettore di R n. Dimostrazione. Basta considerare il punto z = (0,..., 0) A d (K). Per definizione la mappa f(z + v) f(z) è lineare, e dunque esiste A: K d K n (rappresentata come matrice nella basta standard) tale che f(z + v) f(z) = Av. Ponendo f(z) = b 0 si ha cioè f(x) = Ax + b in coordinate di K d. f(z + v) = Av + b, (17.9) Corollario. Sia X uno spazio affine di dimensione n e Y uno spazio affine di dimensione d. Se p 0, p 1,..., p n sono un riferimento affine per X, allora per ogni scelta di n + 1 punti q 0, q 1,..., q n in Y esiste una unica mappa affine f : X Y tale che f(p i ) = q i per ogni i = 0,..., n. Dimostrazione. Sia X = A n (K) l isomorfismo indotto dalla scelta del riferimento affine. Il riferimento corrispondente in A n (K) è 0, e 1,..., e n, dove gli e i sono i versori canonici di K n. Scelto un qualsiasi riferimento affine per Y, l applicazione affine cercata si può scrivere come f(x) = Ax + b, dove A è la matrice che ha per colonne le coordinate dei vettori q 1,..., q n, mentre il termine noto b è il vettore colonna delle coordinate di q 0. Infatti, se A i,j indicano le componenti di A e b i le componenti di b, si ha (nelle coordinate scelte) per ogni i = 1... n i,1 A i,1e j + b 1 i,2 f(p i ) = Ae i + b = A i,2e j + b 2. i,d A i,2e j + b d e f(p 0 ) = b. Questo determina i coefficienti A i,j in modo unico, come indicato sopra. (17.10) Teorema (Equazioni cartesiane). Sia S X = A n (K) un sottospazio affine di dimensione d. Allora esiste una mappa affine e suriettiva f : X A n d (K) per cui S = {x X : f(x) = 0}. Viceversa, per ogni mappa affine suriettiva f : X A n d l insieme {x X : f(x) = 0} è un sottospazio affine di X di dimensione d. D.L. Ferrario 18 maggio

3 Geometria e Topologia I 18 maggio Dimostrazione. Sia W la giacitura di S e P un punto di S, in modo tale che S = P + W. È sempre possibile trovare un completamento W di W in X, cioè un sottospazio vettoriale W di X tale che X = W W. Se dim(w ) = d, allora dim(w ) = n d. Per ogni x X il vettore x P si scrive in modo unico come x P = w + w con w W e w W, ed è possibile definire la proiezione (lineare) L: X W. Scelta una base per W, è dato un isomorfismo W = K n d. Si consideri quindi (mediante l identificazione naturale tra A n d (K) e K n d ) la funzione f : X A n d (K) definita da (dove 0 appartiene a K n d ). f(x) = 0 + L(x P ) A n d (K) È facile vedere che è una mappa affine e che f(x) = 0 x P W x P + W x S, e dunque S = {x X : f(x) = 0}. Viceversa, sia f : X A n d (K) una mappa affine e suriettiva. Sia S = {x X : f(x) = 0} e x 0 S. L applicazione L: X = K n K d definita da Lv = f(x 0 + v) f(x 0 ) è lineare e suriettiva, ha quindi un nucleo W K n di dimensione n (n d) = d. Dal momento che x 0 S, per definizione f(x 0 ) = 0, e quindi un elemento x 0 + v appartiene a S se e solo se f(x 0 + v) = 0 Lv = 0 v W, e quindi S = x 0 + W, dove W ha dimensione d. (17.11) Esempio. In dimensione 2 e 3, si ritrovano le equazioni cartesiane dei delle rette in A 2 (R) (ax + by + c = 0 ), dei piani in A 3 (R) (ax + by + cz + d = 0) e delle rette in A 3 (R) (viste come zeri di una funzione A 3 (R) A 2 (R). { ax + by + cz + d = 0 a x + b y + c z + d = 0 (17.12) Proposizione. Se f : X Y è una mappa affine, allora l immagine di una retta è una retta. Più in generale, l immagine di un sottospazio affine di X è un sottospazio affine di Y e la controimmagine di un sottospazio affine di Y è un sottospazio affine di Y. Dimostrazione. Sia S X un sottospazio affine con giacitura S e passante per p X: S = p + S. Allora, se L: X Y denota l omomorfismo indotto da f (L(v) = f(x 0 + v) f(x 0 )), si ha f(s) = {f(p + s) : s S } = {f(p + s) f(p) + f(p) : s S } = {L(s) + f(p) : s S } = {f(p) + w : w L( S ) Y }. Dal momento che L è lineare, l immagine L( S ) Y è un sottospazio vettoriale, da cui segue la tesi. In modo analogo si dimostra la seconda parte (vedi esercizio (11.18)). D.L. Ferrario 18 maggio

4 Geometria e Topologia I 19 maggio Incidenza e parallelismo (18.1) Definizione. Due sottospazi affini S, T X di uno spazio affine X sono paralleli se S T, e si indica con S T. 12 I due sottospazi S e T si dicono incidenti se S T 13. (18.2) Proposizione. Se S X e T X sono due sottospazi affini paralleli e S T, allora S T oppure T S. Dimostrazione. Sia P S T. A meno di scambiare S con T, possiamo supporre dim(s) dim(t ) e quindi V W se V e W sono le giaciture di S e T rispettivamente. Per ogni x S si ha x P V, e quindi x P W, da cui x T. Cioè S T. (18.3) Corollario. Se S X e T X sono due sottospazi affini paralleli, dim(s) = dim(t ), e S T allora S = T. Dimostrazione. Nella notazione della dimostrazione precedente, risulta V = W, e quindi S = T. (18.4) Corollario. Se S X è un sottospazio affine e x X è un punto di X, allora esiste un unico sottospazio affine T X di dimensione dim(s) che contiene x e parallelo a S. Dimostrazione. Due sottospazi T e T con la stessa dimensione, contenenti x e paralleli a S, in particolare sono paralleli tra loro e con intersezione non vuota (x T T ), per cui si può usare il corollario (18.3). (18.5) Nota. Nel caso in cui X = A 2 (R), ritroviamo la proposizione (15.9) (quinto postulato di Euclide assioma delle parallele ). (18.6) Definizione. Due sottospazi affini S, T X si dicono sghembi se non hanno punti in comune e non sono paralleli. (18.7) Proposizione. Siano S, T X sottospazi affini di X. Se l intersezione S T non è vuota, allora è un sottospazio affine di X, la cui dimensione soddisfa la disuguaglianza dim(s) + dim(t ) dim(x) + dim (S T ) Vale l uguaglianza nella disequazione di se e solo se dim( S + T ) = dim( X ). Dimostrazione. Sia x 0 S T. Allora risulta da cui si deduce che S = x 0 + S T = x 0 + T S T = x 0 + S T, 12 Alcuni definiscono sottospazi paralleli i sottospazi per cui S = T, mentre se S T allora S e T sono paralleli in senso lato. Altri poi assumono in più che spazi incidenti non sono affini. 13 Forse sarebbe meglio, seguendo la tradizione italiana, definire incidenti due rette che si incontrano in un solo punto, due piani dello spazio che si incontrano in una retta, una retta e un piano nello spazio che si incontrano in un punto, etc. etc. Nella tradizione anglosassone questi vengono chiamati concorrenti (invece che incidenti). C è il problema dell uniformità: due piani nello spazio A 3 (R) che si incontrano in una retta sarebbero incidenti, ma lo sarebbero se immersi in A 4 (R), per esempio aggiungendo una coordinata nulla? D.L. Ferrario 19 maggio

5 Geometria e Topologia I 19 maggio e quindi S T è un sottospazio affine con giacitura S T = S T. Ora, la formula di Grassmann (dimensioni di sottospazi vettoriali di uno spazio di dimensione finita) dà da cui si deduce dim( S ) + dim( T ) = dim( S + T ) + dim( S T ), (18.8) dim(s) + dim(t ) = dim( S + T ) + dim(s T ) dim(x) + dim(s T ), dato che dim( S + T ) dim( X ) = dim(x). È altresì chiaro che vale l uguaglianza quando vale l uguaglianza in quest ultima disequazione. (18.9) Nota. Osserviamo che dalla dimostrazione di (18.7) si può dedurre un metodo per calcolare la dimensione dell intersezione di due sottospazi affini (calcolando il rango della matrice del sistema di equazioni). (18.10) Proposizione. Siano S, T X sottospazi affini di X tali che S + T = X. Allora l intersezione S T non è vuota. Dimostrazione. Siano x S e x T punti di S e T rispettivamente. Un punto x X appartiene all intersezione S T se e solo se esistono v S e w T tali che x = x S + v = x T + w, cioè l intersezione è non vuota se e solo se esistono v S e w T tali che x T x S = v w. Ma per ipotesi S + T = X, e dato che x T x S X esistono s S e t T per cui x T x S = s + t. Basta porre v = w S e w = t T per ottenere le soluzioni v e w cercate. (18.11) Definizione. Consideriamo un sottospazio affine S X, S X e un sottospazio W X tale che S W = X (complemento). Allora si può definire la proiezione di X su S parallela a W, indicata con p S,W : X S, come segue: se x X, allora per (16.4) esiste unico il sottospazio affine T = T x,w passante per x con giacitura W. L intersezione S T x,w è non vuota per (18.10), e dato che S + T x,w = S + W = X per (18.7), la dimensione è dim(s T x,w ) = 0, cioè consiste di un solo punto. Si può dunque definire la proiezione su S parallela a W p S,W mediante la relazione x X, p S,W (x) S T x,w. (18.12) Definizione. In modo analogo definiamo la riflessione r S,W : X X, lungo S parallela a W X (con S W = X ), mediante la formula r S,W (x) = p S,W (x) + xp S,W (x) (18.13) Proposizione. Riflessioni e proiezioni sono mappe affini. Le riflessioni sono affinità con la proprietà che r 2 = r r = 1 X. Se S è la sottovarietà su cui si proietta (risp., lungo la quale si riflette), allora S rimane fissata dalla proiezione (risp., dalla riflessione). D.L. Ferrario 19 maggio

6 Geometria e Topologia I 19 maggio Dimostrazione. Cominciamo a mostrare che le proiezioni sono mappe affini: sia f = p S,W, dove S è un sottospazio affine di X e W un sottospazio vettoriale di X complemento di S. È facile dedurre dalla definizione che se x S, allora f(x) = x. Vogliamo mostrare che per qualche x X la mappa L: X S definita da L(v) = f(x + v) f(x) è lineare in v. Per definizione {p S,W (x + v)} = S T x+v,w e {p S,W } = S T x,w, dove T x,w e T x+v,w sono le sottovarietà con giacitura W passanti per x e x + v rispettivamente. Nulla ci vieta di considerare x S, per cui si ha f(x) = x. Dal momento che per ipotesi X = S W, ogni v X si scrive in modo unico come v = s + w con s S e w W. Ora, se w W, allora per ogni y X i sottospazi con giacitura W passanti per y e per y + w coincidono e quindi y + W = y + w + W, T x+v,w = T x+s+w,w = T x+s,w, da cui f(x+v) = f(x+s). Ma dato che x S e s S, anche x+s S, per cui f(x+s) = x+s. Ma allora f(x + v) f(x) = f(x + s) f(x) = x + s x = s, cioè L(v) = s, ovvero L: X = S W S è la proiezione (vettoriale) sul primo fattore, ed è lineare. Passiamo a dimostrare che le riflessioni sono affini: se r = r S,W è una riflessione X X, allora si scrive mediante la formula vista poco sopra r(x) = p(x) + xp(x) = p(x) + (p(x) x) dove p è la corrispondente proiezione parallela. L(v) = r(x + v) r(x) è quindi uguale a Scelto x X, la corrispondente funzione L(v) = p(x + v) + (p(x + v) (x + v)) (p(x) + (p(x) x)) = p(x + v) p(x) + (p(x + v) p(x) (x + v) + x) = 2(p(x + v) p(x)) v, che è lineare in v dato che p(x+v) p(x) lo è (e quindi è somma di funzioni lineari in v). (18.14) Nota. Se K = R oppure K = C (con la topologia metrica), allora ogni spazio vettoriale V = K n ha la topologia data dal prodotto. Quindi, se X è uno spazio affine con spazio vettoriale associato X = K n, è possibile, fissato x 0 X, definire una topologia su X tramite la biiezione X X definita da v x 0 + v. Si può mostrare che la topologia non dipende dalla scelta di x 0 e che tutte le traslazioni sono omeomorfismi. Quando non indicato altrimenti, uno spazio affine si intende munito della topologia di K n. In questo modo si può facilmente vedere che tutte le mappe affini sono continue, e che le affinità sono omeomorfismi. Tutti i sottospazi affini risultano chiusi (dato che sono controimmagini di 0 mediante mappe affini, cioè funzioni continue). D.L. Ferrario 19 maggio

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