Le Politiche per l'immigrazione e il Welfare State Europeo

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1 Le Politiche per l'immigrazione e il Welfare State Europeo Herbert Brücker, Gil Epstein, Barry McCormick, Gilles Saint-Paul, Alessandra Venturini e Klaus Zimmermann Sintesi Nell'ultimo decennio, l'immigrazione nell'unione Europea ha raggiunto dimensioni ragguardevoli: dopo aver toccato un picco di oltre 1 milione di persone all'anno nei primi anni '90, l'immigrazione netta è calata nel corso del decennio, ma recentemente ha ripreso a crescere, e nel 1999 ha superato quota unità. Il tasso di immigrazione legale netta per l'intera Unione Europea nel periodo è stato pari a 2,2 arrivi ogni 1000 abitanti, contro il 3 degli Stati Uniti e circa lo zero del Giappone. Per quanto riguarda l'immigrazione clandestina, si stima che in Europa sia del 60% più elevata (circa ingressi all'anno) rispetto agli Stati Uniti, laddove la popolazione complessiva dell'unione supera quella statunitense del 34%. Gli stranieri in cerca di asilo nella UE tra il 1989 e il 1998 hanno superato in media i l'anno: a oltre il 20% di questi è stato consentito l'ingresso. In conseguenza dei considerevoli flussi netti positivi, la quota di popolazione nata fuori dai confini dei Paesi dell'unione è andata sensibilmente crescendo, specialmente in Germania, dove lo stock degli stranieri è aumentato di circa 3 milioni tra il 1985 e il 1999, raggiungendo i 7,3 milioni di individui. La quota di popolazione di nazionalità straniera nei Paesi dell'unione raggiunge l'8,9% in Germania, il 9,1% in Austria, l'8,7% in Belgio, il 6,3% in Francia, il 2,1% in Italia e il 3,8% nel Regno Unito. Il processo di naturalizzazione fa sì che in alcuni Paesi queste cifre sottostimino in buona misura il fenomeno. Mentre la migrazione verso i Paesi europei negli anni '50 e '60 sembra essere stata in larga misura determinata dalla domanda di lavoro, i flussi degli anni '90 hanno avuto luogo nonostante i tassi di disoccupazione dei Paesi europei, e ciò ha originato preoccupazioni circa le pressioni che l'immigrazione può esercitare sui sistemi di protezione sociale. Questa preoccupazione è amplificata dal costo dei generosi benefici assistenziali caratteristici di alcuni Paesi europei. Mentre negli anni '50 e '60 l'immigrazione - specie se temporanea - era incoraggiata, in seguito alla crescita della disoccupazione europea dopo lo shock petrolifero dei primi anni '70, l'indirizzo politico oggi si è orientato in favore della "migrazione economica zero". L'elevato numero di rifugiati e la pressione dei flussi illegali, insieme con le conseguenze migratorie dell'allargamento ad Est dell'unione Europea, hanno riacceso vecchie preoccupazioni e il dibattito su quali politiche sia opportuno adottare. La popolazione complessiva dei dieci Paesi candidati all'ingresso nella UE ammonta a 104 milioni, mentre il PIL medio in questi Paesi è pari ad appena il 40% del PIL medio degli attuali Stati Membri (in Parità di Potere d'acquisto). Pertanto, con la libera circolazione dei lavoratori nei confini dell'unione allargata, sembra altamente probabile attendersi flussi migratori maggiori di quando Grecia, Spagna e Portogallo (con una popolazione 1

2 complessiva di appena 59 milioni di persone e un PIL pro capite pari a circa due terzi di quello dell'unione) entrarono nella UE. Finora, i flussi migratori dai Paesi dell'est europeo hanno principalmente interessato la Germania e l'austria. L'analisi dell'immigrazione in Europa va considerata entro l'attuale contesto del calo del tasso di crescita della popolazione e del progressivo invecchiamento della popolazione. Tra il 1975 e il 2000, la popolazione nella UE-15 è passata da 349 milioni a 375 miloni; tuttavia, si prevede un calo della popolazione in età attiva (20-64) dai 225 milioni del 1995 a 223 milioni nel La quota degli over 65 sul totale della popolazione era pari al 15,4% nel 1995, e se ne prevede una crescita fino al 22% nel I Paesi del'est candidati all'ingresso nella UE presentano tassi di crescita della popolazione persino inferiori. Pertanto, l'immigrazione è diventata la fonte principale di crescita della popolazione nella UE, ed è in corso un dibattito intenso sul ruolo che l'immigrazione potrebbe giocare nel risolvere i problemi derivanti dall'invecchiamento della popolazione. Il presente lavoro esamina questi temi sotto diversi aspetti. Alla luce della scarsità di dati statistici uniformi sui flussi migratori verso i Paesi UE, nella Prima Parte si fornisce una descrizione del fenomeno, documentando l'evoluzione della presenza di stranieri nei Paesi UE, dei flussi migratori per Paese di origine, e in particolare dei flussi provenienti dall'est europeo. Si descrive inoltre l'evoluzione del numero di stranieri in cerca di asilo politico nella UE e negli altri Paesi OCSE, e si presentano dati sui flussi di immigrati clandestini. Si forniscono, altresì, dati sull'età e sulle qualifiche professionali degli immigrati, sui settori che maggiormente offrono loro occupazione e sulle dimensioni delle imprese in cui gli immigrati sono impiegati. Infine, si presenta evidenza empirica sulla concentrazione degli immigrati in certe aree urbane. Nella Seconda Parte si discutono tre fattori alla base dell'atteggiamento dei cittadini europei verso l'immigrazione: il razzismo, l'influenza delle condizioni del mercato del lavoro e l'accesso ai sistemi di protezione sociale. I risultati delle analisi mostrano come nonostante sia le condizioni del mercato del lavoro sia le questioni legate al welfare contribuiscano a spiegare le opinioni sull'opportunità di espandere l'immigrazione, le preoccupazioni di tipo razziale restano comunque il fattore più importante. Il livello di istruzione dei rispondenti ha un peso notevole sull'atteggiamento verso gli immigrati. La Terza Parte esamina il rapporto tra l'immigrazione e le pressioni sul welfare state. In che misura si può affermare che gli immigrati scelgono il Paese di destinazione tenendo conto della generosità dei sistemi di welfare? In che misura gli immigrati hanno maggiori probabilità rispetto ai nativi di beneficiare dei programmi di assistenza pubblica, a parità di altre condizioni osservabili? Si riscontrano notevoli differenze tra i Paesi europei per quanto riguarda le caratteristiche della popolazione immigrata e il loro grado di "dipendenza dal welfare". In effetti, una crescita dell'immigrazione sembrerebbe poter mettere sotto pressione - anche se in misura piuttosto moderata - il welfare state dei Paesi con i sistemi pubblici più generosi, mentre non avrebbe effetti sul welfare dei Paesi meno generosi. Resta il fatto che una porzione non trascurabile della maggiore dipendenza dal welfare mostrata dagli immigrati rimane non spiegata dalle differenze nelle caratteristiche osservabili. Inoltre, tali differenze nella dipendenza dal welfare mostrano una certa persistenza nel tempo. 2

3 La Quarta Parte è dedicata alle politiche per l'immigrazione. Si offre dapprima una descrizione delle politiche per l'immigrazione verso la UE e all'interno della UE. Successivamente, ci si domanda in quale misura l'allargamento dell'unione abbia mutato le dimensioni dei flussi migratori e le caratteristiche degli immigrati in termini di capitale umano. Vengono esaminati i legami tra le politiche per l'immigrazione e le dimensioni e le caratteristiche dei flussi di immigrati, insieme con le conseguenze sulla dipendenza dal welfare. Si presenta altresì un'analisi degli individui in cerca di asilo politico, delle loro caratteristiche in termini di capitale umano e della loro condizione sul mercato del lavoro. Infine, si discute il tema dell'armonizzazione tra i Paesi UE delle politiche per l'immigrazione. Nella Quinta Parte si analizzano i potenziali vantaggi di una politica di incoraggiamento di forme contrattate di immigrazione temporanea, e se ne confrontano costi e benefici con quelli dell'immigrazione permanente. Inoltre, si discutono i problemi legati al controllo di tali forme di immigrazione a termine, e i potenziali benefici per i Paesi di origine e per quelli di destinazione. Nella Sesta Parte si discute il tema dell'estensione all'europa dell'est della libera circolazione dei lavoratori, e ci si domanda in quale misura l'allargamento ad Est dell'unione si tradurrà in un'immigrazione massiccia dall'est verso l'attuale area EU-15. Si stima che la libera circolazione darà origine, nel lungo periodo, a migrazioni in una misura compresa tra il 2 e il 4 percento della popolazione dei Paesi candidati. Si prevede che il processo di aggiustamento avverrà entro un periodo di tempo piuttosto lungo, con flussi netti verso l'unione dell'ordine di persone l'anno nel primo decennio. Con ogni probabilità, circa la metà di questi flussi saranno diretti verso la Germania. La Settima Parte è dedicata alla discussione delle implicazioni di politica economica sollevate dall'immigrazione in Europa. L'attuale cornice politica è data dall'orientamento della Commissione Europea favorevole al potenziamento dei canali di ingresso legale degli immigrati. La traduzione in concreto di questa volontà politica si presenta piuttosto difficoltosa, alla luce dei già elevati flussi in ingresso registrati negli anni '90 e della scarsa popolarità delle misure in favore dell'immigrazione. Pur avendo ben presente il fatto che le politiche per l'immigrazione non si limitano alla gestione dei flussi ma devono comprendere le politiche per l'integrazione degli immigrati, l'analisi è limitata alle politiche sulla struttura dell'immigrazione e al contesto politico entro cui queste politiche evolveranno. 3

4 Raccomandazioni di Policy Allargamento ad Est dell'unione Europea. La proposta della Commissione Europea di subordinare la liberalizzazione dei flussi migratori ad un lungo periodo di transizione rischia semplicemente di posticipare il potenziale flusso dall'est e di mantenere elevata l'incertezza sulle conseguenze della libera circolazione. Un simile indirizzo potrebbe inoltre avere effetti indesiderati sulle caratteristiche degli immigrati dall'est in termini di capitale umano. In alternativa, bisogna introdurre quote che riducano l'incertezza circa le effettive dimensioni dell'immigrazione, ne attenuino l'impatto anziché semplicemente posporne gli effetti, e consentano l'ingresso di lavoratori con caratteristiche professionali migliori. Le politiche UE dovrebbero inoltre comprendere misure di compensazione verso le regioni di origine degli immigrati, sotto forma di allocazioni dai fondi strutturali e di coesione. Ricongiungimenti familiari. Circa la metà dell'immigrazione verso l'unione Europea deriva dal diritto degli immigrati regolari di portare con sé i propri familiari dipendenti. Sebbene sembri evidente che le riunificazioni familiari abbiano contribuito alla dipendenza degli immigrati dal welfare state, sembra poco probabile che si possa limitare il fenomeno. Infatti, le misure a sostegno dell'unità familiare e della cura dei figli rappresentano il cuore della politica sociale dell'unione, e cambiamenti in quest'ambito non sono auspicabili. Nondimeno, i Paesi dell'unione dovrebbero prendere in considerazione l'opportunità di diversificare regole per l'ingresso degli stranieri basate su criteri familiari. Asilo politico e rifugiati. Al momento, le regolamentazioni nazionali delle migrazioni per ragioni umanitarie stanno progressivamente livellandosi verso il basso. L'Unione Europea dovrebbe stabilire un insieme di regole comuni per l'ammissione dei rifugiati e delle persone in cerca di asilo, coordinarne l'implementazione e ripartire equamente i costi dell'accoglienza, per esempio attraverso un Fondo appositamente designato. Date le ampie differenze tra le normative nazionali, lo scoglio politico consiste nel raggiungere un accordo su un insieme di norme comuni che disciplinino l'accoglienza ai rifugiati in Europa. Standard minimi, finanziati a livello europeo, con i Governi nazionali liberi di ammettere ulteriori quote di immigrati per ragioni umanitarie, potrebbe costituire un primo passo verso una politica comune europea in materia di asilo politico e rifugiati. Immigrazione per motivi di lavoro e immigrazione clandestina: verso politiche coordinate con i Paesi di origine. Il progressivo invecchiamento della popolazione europea e la carenza di manodopera, specie per certe qualifiche professionali, sono la cornice entro la quale l'unione Europea sta attualmente considerando incentivi all'immigrazione di lavoratori qualificati. Comunque, la distribuzione di questi lavoratori tra i Paesi UE potrebbe essere fortemente sbilanciata. Da un certo punto di vista, il flusso di lavoratori qualificati potrebbe compensare i flussi di clandestini, tipicamente poco qualificati. In effetti, l'immigrazione qualificata ammonta a circa individui, contro i illegali e rifugiati. Tuttavia, una politica che incoraggi l'ingresso nell'attuale UE di manodopera qualificata avrebbe l'effetto di privare i Paesi di origine, tipicamente a reddito medio-basso, della forza lavoro migliore; inoltre, potrebbe creare problemi ulteriori alle già congestionate aree urbane dell'europa Occidentale. Appare 4

5 auspicabile l'abbandono di politiche unilaterali volte ad attrarre manodopera qualificata dai paesi a reddito medio-basso, in favore di una politica per l'immigrazione coordinata a livello europeo e con i Paesi di origine. Un più stretto coordinamento porterebbe benefici sia all'unione Europea, sia ai Paesi di origine. Per la UE, i benefici arriverebbero dalla riduzione dell'immigrazione clandestina e dei costi per la gestione dei rifugiati. I Paesi di origine, dal canto loro, vedrebbero ridursi le esternalità negative associate nel lungo periodo all'emigrazione di lavoratori e imprenditori qualificati. Nel quadro di una politica coordinata, i Paesi di origine sarebbero compensati per le conseguenze del "brain drain". Inoltre, i Paesi di origine verrebbero disincentivati dal tollerare l'emigrazione clandestina attraverso un sistema di "multe", che colpirebbero anche in caso di violazione dei diritti umani. Nel quadro di una simile "partnership", i Paesi di origine potrebbero preferire il contenimento dell'emigrazione permanente di lavoratori qualificati al di sotto del livello che si produrrebbe in assenza di vincoli e controlli, e incentivare (come discusso nella Quinta Parte) una rotazione delle migrazioni temporanee. Ciò consentirebbe ai lavoratori emigrati di rimpatriare risparmi e conoscenze accumulati nel periodo di lavoro all'estero, in misura decisamente maggiore rispetto a un contesto di migrazione permanente. L'implementazione di un tale quadro normativo richiederebbe senz'altro una fase di preparazione piuttosto laboriosa, ma la partnership con i PVS coinvolti renderebbe questo "contratto politico"significativamente diverso dai programmi di "guest workers" degli anni '60, e dovrebbe pertanto essere in parte considerato come parte del programma di sviluppo internazionale dell'unione Europea. 5

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