IPERCOAGULABILITÀ E ANTICOAGULAZIONE

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1 IPERCOAGULABILITÀ E ANTICOAGULAZIONE L incidenza della tromboembolia venosa, comprendente la trombosi venosa profonda (TVP) e l embolia polmonare, e della tromboembolia arteriosa, che può portare all infarto miocardico (Myocardial Infarction, MI) e all ictus, aumenta con l età, particolarmente dopo i 55 anni. L incidenza relativamente minore degli eventi trombotici nelle donne, che si osserva fino ai 60 anni, sfuma con il tempo; intorno ai 60 anni, i tassi di incidenza negli uomini e nelle donne sono praticamente identici La predisposizione alla trombosi intravascolare nella popolazione anziana è difficile da spiegare, ma la cosa più probabile è che sia il riflesso di un processo multifattoriale che possiede un espressione clinica variabile. I principali fattori di rischio per la trombosi arteriosa, infatti, potrebbero avere origine all interno stesso dell albero circolatorio, sotto forma di aterosclerosi. Tuttavia, viene colpito anche il sistema circolatorio venoso, il che suggerisce che vi siano coinvolti anche uno o più fattori di natura sistemica. Fisiopatologia La triade di Virchow aiuta a schematizzare la comprensione della trombosi intravascolare e fornisce una base di partenza per un approccio completo alla sua diagnosi differenziale. Le tre componenti della triade di Virchow sono: (1) le alterazioni della parete vascolare, (2) le alterazioni del sangue circolante e (3) la stasi ematica. Sebbene molti stati protrombotici siano caratterizzati dalla presenza di difetti multipli, le alterazioni isolate, se sono profonde, possono essere sufficienti a provocare la trombosi. Pareti vascolari: la superficie vascolare interna (luminale), che è continuamente a contatto con il sangue circolante, deve essere atrombogena per evitare l ipercoagulabilità. Nondimeno, deve avere proprietà protrombotiche, nel caso in cui si rendesse necessaria una coagulazione protettiva. Le alterazioni strutturali profonde possono essere sufficienti a stimolare la trombosi; tuttavia, generalmente, coesiste anche un difetto della coagulazione.

2 L aterosclerosi svolge un ruolo importante nella stimolazione della coagulazione indesiderata ed è considerata il più comune tra gli stati di ipercoagulabilità acquisiti. Il processo aterosclerotico può essere influenzato direttamente dalle alterazioni dell attivazione piastrinica, della coagulazione e della fibrinolisi, ognuna delle quali concorre alla deposizione di fibrina e, in ultima analisi, all accrescimento della placca, la cui rottura può stimolare una coagulazione anomala. L aterosclerosi ha una componente infiammatoria che in sostanza non è altro che una malattia infiammatoria cronica dell apparato vascolare. L infiammazione, oltre a produrre una superficie trombogena, è responsabile del rilascio di mediatori (p. es., citochine, chemiochine) che possono contribuire direttamente o indirettamente alla trombosi. Le pareti vasali possono essere colpite anche da una vasculite, che può portare a una coagulazione anomala. Essa è caratterizzata da diversi stadi di infiammazione, che interessano i vasi di piccolo, medio o grosso calibro (a seconda della patologia). L infiammazione, accompagnata da alterazioni strutturali e funzionali dell endotelio e dallo stress tangenziale (che aumenta in seguito alle modificazioni del calibro luminale), favorisce l adesività delle piastrine, la loro attivazione e la deposizione di fibrina. Sebbene alcune vasculiti possano essere associate alla presenza di fattori procoagulativi circolanti (p. es., anticorpi antifosfolipidi), la maggior parte di esse aumenta la tendenza alla trombosi soprattutto producendo alterazioni focali che interessano la parete vascolare. Localmente, una vasculite attiva può provocare una trombosi arteriosa, compreso un MI. In aggiunta, una vasculite guarita del circolo coronarico può accelerare l aterosclerosi, che è essa stessa uno stato procoagulativo. Complessivamente, le vasculiti più comunemente associate con la trombosi arteriosa sono la poliarterite nodosa e l arterite gigantocellulare. Alterazioni del sangue circolante: in condizioni normali, il sangue circola liberamente e i fattori plasmatici della coagulazione si trovano in uno stato non attivato. In condizioni di attivazione, una serie di meccanismi regolatori intrinseci impedisce che abbia luogo una coagulazione eccessiva (cioè, di entità superiore a quanto richiesto per l emostasi). Sia le alterazioni dell attivazione della cascata coagulativa, sia quelle della sua disattivazione una volta che essa sia stata innescata, possono condurre all ipercoagulabilità. Tali alterazioni possono svilupparsi come conseguenza di anomalie dei livelli dei fattori coagulativi, di anomalie intrinseche della loro struttura proteica oppure a causa della presenza di anticorpi circolanti che attivano la cascata in maniera abnorme. I livelli di fibrinogeno aumentano con l età, mostrando il maggior incremento proporzionale tra i 65 e gli 85 anni. Tra gli uomini e le donne la differenza è piccola. La relazione tra la fibrinogenemia e il rischio cardiovascolare sembra essere indipendente dall età. Rimane ancora da stabilire se l attività del fattore VII e quella del fattore XII siano fattori di rischio indipendenti per gli eventi trombotici, nella popolazione anziana. Esse potrebbero essere

3 epifenomeni dell attività della malattia di fondo (p. es., aterosclerosi), piuttosto che veri fattori di rischio protrombotici. Stasi del flusso ematico: la stasi venosa si verifica durante i periodi di immobilizzazione prolungata, come accade in seguito a traumi, interventi chirurgici maggiori o patologie internistiche gravi. Periodi altrettanto lunghi di guarigione e di convalescenza sono molto frequenti tra gli anziani, nei quali provocano un aumento del rischio di stasi e di tromboembolia venosa. STATI DI IPERCOAGULABILITÀ Gli stati di ipercoagulabilità (trombofilici), nei quali è presente un eccesso di fattori della coagulazione e/o un difetto dei meccanismi regolatori intrinseci (tromboresistenza), possono essere ereditari o acquisiti (v. TABELLA 70-1). Sebbene sia possibile che le trombofilie ereditarie facciano il loro esordio in età avanzata, nella maggior parte delle persone anziane in cui si manifesta un evento trombotico bisogna ricercare la presenza di una trombofilia acquisita. TROMBOFILIE EREDITARIE Resistenza alla proteina C attivata Iperomocisteinemia Altre trombofilie ereditarie Nella maggior parte delle trombofilie ereditarie, la tromboembolia venosa è più frequente di quella arteriosa. Tuttavia, sono stati descritti anche MI e ictus (che in alcuni casi sono stati la conseguenza di un embolia paradossa o di una trombosi del seno cerebrale). Resistenza alla proteina C attivata Quasi il 30% dei pazienti con trombosi venosa spontanea ha un difetto del fattore V che lo rende resistente alla neutralizzazione da parte della proteina C attivata. La mutazione genetica specifica, denominata difetto del fattore V Leiden, è presente quasi nel 5% della popolazione generale, facendo della resistenza alla proteina C attivata la trombofilia ereditaria di gran lunga più frequente. La resistenza alla proteina C attivata fa aumentare di circa cinque volte il rischio di tromboembolia venosa, portando il 30-40% dei soggetti portatori dell anomalia ad avere un evento trombotico entro i 60 anni. Di conseguenza, una percentuale relativamente ampia di persone affette non avrà mai alcuna trombosi o avrà il primo episodio in una fase più tardiva della vita. Quasi il 30% degli uomini che hanno la loro prima tromboembolia venosa dopo i 60 anni è portatore della mutazione del fattore V

4 Leiden. In queste persone, il rischio di tromboembolia venosa idiopatica ricorrente è aumentato da quattro a cinque volte. La resistenza alla proteina C attivata è un difetto importante da tenere presente quando si prende in considerazione una terapia ormonale. Tra le donne colpite da tromboembolia venosa durante l assunzione di contraccettivi orali, il 60% è portatore del difetto. Per le donne in terapia ormonale sostitutiva, il rischio non è stato ancora stabilito. Nelle donne fumatrici è stata descritta un associazione tra resistenza alla proteina C e MI. Iperomocisteinemia Diversi difetti ereditari del metabolismo della metionina possono provocare un aumento lieve, moderato o notevole dei livelli plasmatici di omocisteina. L iperomocisteinemia acquisita si osserva nelle persone con deficit di vitamina B 6 (piridossina), di vitamina B 12 (cobalamina) e di folato, così come in quelle affette da insufficienza renale cronica e da alterazioni indotte dai farmaci sul metabolismo dell acido folico (metotrexato, antiepilettici), della cobalamina (ossido nitroso) o della piridossina (teofillina). Diversi studi epidemiologici hanno messo in evidenza una relazione tra l iperomocisteinemia e la tromboembolia venosa. È stata descritta anche un associazione con la trombosi arteriosa (MI, ictus) (Vedi: "Iperomocisteinemia"). Se ciò verrà confermato, l iperomocisteinemia potrebbe rappresentare uno degli stati di ipercoagulabilità più frequenti, data la sua diffusione ubiquitaria e la possibilità che essa si manifesti sia in forma ereditaria sia in forma acquisita. Altre trombofilie ereditarie Il deficit di antitrombina, noto in precedenza come deficit di antitrombina III, può presentarsi anche nell anziano. L antitrombina è una glicoproteina che lega e inattiva la trombina e altre proteine della coagulazione. L effetto inibitorio dell antitrombina viene notevolmente accelerato dall eparina somministrata dall esterno (a scopo terapeutico) e dal solfato di eparina endogeno localizzato sulla superficie endoteliale dei vasi sanguigni. Il deficit di proteina C (prevalenza, circa 1/100) può insorgere perché la quantità della proteina è scarsa (deficit di proteina C di tipo I) oppure perché la sua qualità non è normale (deficit di proteina C di tipo II). Fino al 50% dei soggetti portatori di questa anomalia va incontro a tromboembolia venosa entro i 50 anni e il 75% entro i 60. L espressività variabile della malattia e la presenza di fattori di rischio concomitanti sono responsabili dell insorgenza della prima tromboembolia in età più avanzata. Il deficit di proteina S, generalmente, causa la prima tromboembolia venosa entro i 40 anni. La proteina S è una glicoproteina dipendente dalla vitamina K, che viene sintetizzata nel fegato e ha una funzione di supporto meccanico per l attività della proteina C.

5 Non esistono dati dettagliati riguardanti gli anziani. Nel caso delle anomalie ereditarie, la prevalenza di malattia non deve modificarsi nel tempo, a meno che gli eventi patologici provocati non siano fatali. Nella maggior parte delle persone affette da deficit di antitrombina, proteina C o proteina S, la prima tromboembolia venosa si verifica entro i 40 anni. Tuttavia, in alcuni casi, i pazienti non si sono mai rivolti a un medico, né sono stati mai sottoposti a indagini approfondite per l identificazione di una trombofilia ereditaria. TROMBOFILIE ACQUISITE Sindrome da anticorpi antifosfolipidi Neoplasie maligne Coagulazione intravascolare disseminata Diagnosi Terapia Sindrome da anticorpi antifosfolipidi Gli anticorpi antifosfolipidi sono un gruppo eterogeneo di immunoglobuline circolanti di tipo policlonale (IgG, IgM, IgA) o misto, dirette contro molecole fosfolipidiche aventi carica negativa o neutra. All interno di questo gruppo, gli anticorpi anticoagulanti lupici e gli anticorpi anticardiolipina sono quelli che vengono acquisiti più frequentemente. La loro presenza predispone sia alla trombosi arteriosa, sia a quella venosa. Gli anticorpi antifosfolipidi compaiono in una quantità di malattie autoimmuni, neoplasie maligne, malattie linfoproliferative e infezioni virali sistemiche; tuttavia, la maggior parte delle persone colpite da tromboembolia non è affetta da alcuna patologia identificabile. Questi individui vengono considerati affetti da una sindrome da anticorpi antifosfolipidi di tipo primitivo. Neoplasie maligne Tra le neoplasie maligne e la tromboembolia venosa esiste una forte associazione. L incidenza cumulativa della tromboembolia venosa tra i pazienti neoplastici varia tra l 1 e il 15% nelle casistiche cliniche e arriva fino al 30% negli studi basati sui riscontri autoptici. I tumori nei quali la tromboembolia compare con maggior frequenza sono gli adenocarcinomi mucinosi dell apparato gastroenterico, seguiti dai tumori polmonari, mammari e ovarici. Anche le malattie mieloproliferative e le leucemie sono associate a un aumento dell incidenza di tromboembolia.

6 Nei pazienti anziani non è raro che la TVP o l embolia polmonare costituiscano la manifestazione di esordio della neoplasia. Pertanto, in tutti i pazienti di età > 60 anni affetti da tromboembolia venosa idiopatica (spontanea), è bene eseguire uno screening accurato. Coagulazione intravascolare disseminata Formazione anomala di fibrina nel sangue circolante. La coagulazione intravascolare disseminata (CID) può accompagnare un ampia varietà di condizioni patologiche, tra le quali la sepsi, l acidosi metabolica, le leucemie acute e croniche, le neoplasie maligne e le reazioni emolitiche trasfusionali. Spesso l evento iniziale è mediato dal fattore tissutale, che viene rilasciato dalle cellule endoteliali vascolari, dai monociti o dalle cellule amniotiche. Anche la causa scatenante varia dalle endotossine al liquido amniotico e ai fattori procoagulativi rilasciati dalle cellule tumorali. La CID ha inizio con uno stimolo alla trombosi intravascolare, seguito dal consumo dei fattori della coagulazione e dalla stimolazione della fibrinolisi. La malattia si manifesta clinicamente con la presenza contemporanea di trombosi, che colpiscono caratteristicamente il microcircolo, ed emorragie. La CID acuta è un processo fulminante che provoca necrosi tissutale ed emorragia minacciosa per la vita. Quando una CID cronica si accompagna alle neoplasie maligne, spesso il quadro predominante è la trombosi. Diagnosi Il tempo di protrombina (PT), il tempo di tromboplastina parziale attivata (aptt) e il tempo di trombina sono tipicamente prolungati e la fibrinogenemia e la conta piastrinica sono ridotte. In circa il 50% dei pazienti sono presenti schistociti (segno di emolisi intravascolare), un reperto che si osserva anche in altre condizioni che causano anemia emolitica microangiopatica. I prodotti di degradazione del fibrinogeno (della fibrina) (FDP) sono elevati nell % dei pazienti con CID; tuttavia, anch essi sono aspecifici, anche quando vengono dosati utilizzando un test di agglutinazione su lattice. Ciò nonostante, poiché l aumento della fibrinolisi è una caratteristica della CID, molti medici si affidano ancora agli FDP come test di screening iniziale. Contrariamente agli FDP, i d-dimeri sono specifici per l attivazione del fattore X e la formazione di fibrina. Sebbene essi possano essere elevati anche nei pazienti con TVP ed embolia polmonare (senza CID), il test viene considerato il metodo più affidabile per la diagnosi di CID. I d-dimeri risultano elevati quasi nel 95% dei casi. I livelli di antitrombina e il dosaggio quantitativo dei complessi trombina-antitrombina sono strumenti importanti per la diagnosi e il monitoraggio della CID. Durante la malattia viene consumata antitrombina e vengono generati complessi antitrombina-trombina. Il dosaggio del fibrinogeno non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive, ma il suo livello deve essere misurato nei pazienti con emorragia incontrollata, perché in presenza di

7 una fibrinogenemia bassa e di una CID accompagnata da un emorragia minacciosa per la vita, possono essere utili le trasfusioni di crioprecipitati. Una volta che la diagnosi di CID sia stata confermata dal riscontro di concentrazioni elevate di d-dimeri e di FDP (associate alla riduzione dei livelli di antitrombina), il monitoraggio successivo (e la valutazione dello stato della CID) può essere effettuato, in base alle necessità, con i dosaggi seriati dei d-dimeri. Terapia La chiave per il trattamento della CID risiede nella diagnosi e nella terapia della patologia sottostante. La terapia specifica della CID è limitata, ma può essere suddivisa in tre categorie di provvedimenti: (1) ripristino dell emostasi, (2) prevenzione della trombosi e (3) rimozione del trombo. Per ripristinare il volume intravascolare e reintegrare i fattori della coagulazione consumati può essere necessaria la trasfusione di GR concentrati e di plasma fresco congelato. I crioprecipitati e le trasfusioni piastriniche possono essere utilizzati nei pazienti con sanguinamento copioso, sebbene esista il rischio teorico che ciò aggravi la coagulazione. L eparina a basse dosi (da 300 a 400 U/h) può prevenire la microtrombosi nei pazienti in cui il rischio di sanguinamento è più basso, rispetto alla probabilità di trombosi. È utile soprattutto per i pazienti con shock settico e CID, ma va tenuta in considerazione anche quando un evento trombotico (p. es., embolia polmonare) è la causa scatenante della CID. In questo caso, se non vi sono sanguinamenti, si possono utilizzare dosi standard del farmaco. Quando è presente un sanguinamento, bisogna considerare la possibilità di una trombectomia (chirurgica o con estrazione via catetere) e del posizionamento di un filtro. PROFILASSI DELLA TROMBOEMBOLIA ARTERIOSA E VENOSA La tromboembolia venosa è una delle cause principali di morte e di inabilità nei pazienti ospedalizzati. Stime recenti suggeriscono che ne vengano diagnosticati > casi ogni anno negli ospedali e che altrettanti siano i casi misconosciuti. Si ritiene che l incidenza della tromboembolia venosa sia più elevata, forse doppia, nei centri di riabilitazione e nelle residenze assistenziali. La TVP e l embolia polmonare sono particolarmente frequenti nei pazienti anziani; l incidenza di queste patologie aumenta con l età, senza predilezioni di sesso o di razza. I fattori di rischio aggiuntivi per i pazienti chirurgici e internistici sono elencati nella TABELLA La base razionale per la profilassi della tromboembolia venosa risiede nella natura clinicamente silente della malattia. Infatti, la maggior parte degli eventi causa pochi sintomi specifici e la diagnosi clinica è notoriamente inaffidabile. Oltre alle complicanze immediate dell embolia polmonare, che può portare a morte entro 30 min, la TVP misconosciuta e non trattata può essere causa di morbilità a lungo termine, derivante dalla stasi venosa

8 cronica (sindrome postflebitica), e predisporre i pazienti alla tromboembolia venosa ricorrente (v. TABELLA 70-3). La sindrome postflebitica è caratterizzata da diversi gradi di stasi venosa cronica e dalle sue manifestazioni di accompagnamento, cioè, edema periferico, dermatite da stasi e, nei casi più gravi, ulcere venose difficili da trattare. Tra i pazienti a rischio di sindrome postflebitica vi sono quelli affetti da TVP estesa prossimale e da TVP ricorrente, nei quali si stabilisce un danno e, alla fine, un incompetenza delle valvole venose. La chiave della prevenzione è il trattamento precoce. La terapia a lungo termine prevede l utilizzo di calze elastiche di sostegno, la prevenzione della stasi (p. es., stile di vita sedentario), il sollevamento delle gambe durante i periodi di inattività per ridurre al minimo l edema periferico e, infine, la cura meticolosa della cute. Il rischio di tromboembolia venosa è massimo nel primo periodo postoperatorio o post-evento, ma varia in relazione al profilo di rischio complessivo. Dopo gli interventi ortopedici, la profilassi deve essere proseguita per giorni (o anche più a lungo, se il paziente ha avuto complicanze postoperatorie che ritardano il programma riabilitativo e la deambulazione). Per i pazienti sottoposti a interventi di chirurgia generale, è probabile che da 5 a 7 giorni di profilassi siano adeguati, con l eccezione di coloro che sono affetti da neoplasie maligne (o che hanno avuto precedenti tromboembolie venose, nei quali può essere vantaggioso un periodo di prevenzione più lungo). Nei pazienti affetti da patologie internistiche, l approccio deve essere personalizzato. In genere, la profilassi va proseguita fino a quando non si recupera la deambulazione completa. Come è avvenuto per la tromboembolia venosa, sono state messe a punto strategie di profilassi anche per la prevenzione della tromboembolia arteriosa nei pazienti a rischio. Di seguito vengono descritte brevemente le condizioni specifiche che rendono indicata la profilassi. Procedure ortopediche: il rischio di TVP dopo l esecuzione di una procedura ortopedica è alto, particolarmente quando l intervento chirurgico viene effettuato in condizioni di semi-elezione o di urgenza dopo una frattura traumatica. Per la protesi totale dell anca, l incidenza della TVP prossimale (in assenza di profilassi) si avvicina al 25%, con un allarmante incidenza del 3-4% di embolia polmonare fatale. La profilassi riduce l insorgenza della tromboembolia venosa del 30-50%. I regimi profilattici più efficaci prevedono l impiego delle eparine a basso peso molecolare (p. es., enoxaparina 30 mg SC q 12 h, o 40 mg SC q 24 h), degli anticoagulanti orali (warfarin, per raggiungere un INR [International Normalized Ratio] compreso tra 2,0 e 2,5) e dell eparina EV a dosi mirate (titolata in modo da mantenere l aptt ai limiti superiori della norma). Per la frattura traumatica dell anca, l approccio alla profilassi della TVP rimane ancora una sfida notevole, a causa del rischio di sanguinamento che è contemporaneamente presente in questi pazienti tipicamente anziani.

9 L incidenza della tromboembolia venosa (in assenza di profilassi) è circa del 50%. L anticoagulante di elezione è il warfarin o l eparina a basso peso molecolare, la cui somministrazione deve cominciare, quando è possibile, prima dell intervento. Sebbene nella pratica clinica vengano usati frequentemente i gambali a compressione pneumatica intermittente, i dati sulla loro efficacia sono limitati. Per la protesi totale del ginocchio, l incidenza della TVP è prossima al 60%. Con l eparina a basse dosi SC e il warfarin si ottiene un beneficio marginale. I vantaggi maggiori sono stati ottenuti con l eparina a basso peso molecolare e con i gambali a compressione pneumatica intermittente; tuttavia, l incidenza della TVP prossimale rimane compresa tra il 5 e il 10%, anche con questa profilassi. Fibrillazione atriale: la formazione di trombi negli atri e nelle appendici atriali (a sinistra molto più spesso che a destra) è un fenomeno conosciuto in tutti i pazienti con fibrillazione atriale. La terapia anticoagulante riduce le tromboembolie e la loro manifestazione più temuta e devastante: l ictus. La terapia antiaggregante è raccomandata per almeno 3 sett. prima e 4 sett. dopo l esecuzione di una cardioversione efficace. L ecocardiografia transesofagea può avere un ruolo nell identificazione dei pazienti a basso e ad alto rischio di tromboembolia. Flutter atriale: nei pazienti con flutter/fibrillazione atriale e con flutter atriale che hanno anche una valvulopatia o una riduzione della funzione ventricolare sinistra, è indicata la terapia con warfarin o, come minimo, una valutazione più approfondita mediante ecocardiografia transesofagea. In assenza di cardiopatie valvolari o di compromissione della funzione ventricolare, la cosa più probabile è che il flutter atriale rappresenti una condizione a rischio molto basso. Le linee guida per la gestione della terapia anticoagulante nei pazienti con flutter atriale non sono state ancora stabilite; tuttavia, alcuni medici preferiscono trattare i pazienti con warfarin, come farebbero con i pazienti con fibrillazione atriale. Infarto miocardico acuto: l incidenza cumulativa della tromboembolia venosa è circa del 20%; i pazienti anziani e quelli colpiti da infarti complicati da scompenso cardiaco, angina ricorrente o aritmie ventricolari sono quelli con il rischio più elevato. È raccomandata la profilassi mediante eparina a basse dosi, eparina a basso peso molecolare o gambali a compressione pneumatica intermittente. Sono attualmente in corso studi sperimentali per il confronto tra eparina a basse dosi ed eparina a basso peso molecolare nei pazienti internistici ad alto rischio. I pazienti con infarti estesi (frazione di eiezione < 35%), particolarmente se a carico della parete anteriore e della regione apicale del miocardio, sono a rischio di trombosi murali e di eventi cardioembolici. L esecuzione di ecocardiografie seriate può essere una strategia diagnostica vantaggiosa. La terapia profilattica prevede l impiego dell eparina non frazionata o dell eparina a basso peso molecolare. Il warfarin (INR di riferimento: da 2,0 a 3,0) è una terapia efficace per i pazienti ambulatoriali e viene somministrato classicamente per 2-3 mesi

10 dopo un infarto miocardico. I pazienti nei quali si verifica un evento cardioembolico devono essere sottoposti a terapia con warfarin per un periodo 1 anno, se la loro funzione ventricolare rimane scarsa. Ictus ischemico: nei pazienti con ictus colpiti da paralisi di un arto inferiore, l incidenza della TVP è circa del 30-40%. Sia l eparina a basse dosi sia l eparina a basso peso molecolare riducono l insorgenza della TVP almeno del 50%. È probabile che siano di beneficio anche i gambali a compressione pneumatica intermittente. ANTICOAGULANTI SPECIFICI Eparina non frazionata Eparina a basso peso molecolare Warfarin Anticoagulanti trombinici diretti Fibrinolitici Antiaggreganti piastrinici Esistono numerosi anticoagulanti differenti, molti dei quali hanno un utilizzo specifico, specialmente per la profilassi della tromboembolia venosa (v. Tab. 70-3). In generale, i farmaci somministrati per via endovenosa, come l eparina o i fibrinolitici, vengono usati a breve termine per i pazienti ospedalizzati, mentre i farmaci orali, come il warfarin e gli antiaggreganti piastrinici, vengono usati a lungo termine per i pazienti ambulatoriali. Le eparine a basso peso molecolare, somministrate SC, si possono utilizzare praticamente in ogni situazione. Eparina non frazionata L eparina, che è l anticoagulante impiegato più diffusamente, accelera l interazione inibitoria fra l antitrombina e diverse proteine emostatiche, in modo particolare la trombina e il fattore X. Dopo la somministrazione EV, circa un terzo delle molecole di eparina circolanti si lega all antitrombina; i due terzi rimanenti hanno un attività anticoagulante minima. L eparina viene eliminata dalla circolazione attraverso l intervento combinato di un meccanismo rapido saturabile (legame) e di un meccanismo molto più lento di fase I (renale). L eparina non frazionata è indicata nei pazienti anziani a rischio di tromboembolia venosa o arteriosa. La prevenzione della tromboembolia venosa si ottiene con dosi di 5000 U somministrate SC per 2 o 3 volte/die. Il trattamento della TVP o dell embolia polmonare richiede dosi superiori e comincia tipicamente con un bolo (60 U/kg) seguito da un infusione EV continua (15 U/kg/h), in modo da raggiungere un aptt 1,5-2,5 volte superiore a quello di controllo. Il fabbisogno del farmaco è influenzato dal peso corporeo e dalle risposte di fase

11 acuta. Queste ultime sono particolarmente importanti nella pratica clinica, perché alla trombosi vascolare acuta si accompagna sia un infiammazione sia l attivazione piastrinica, che neutralizzano l eparina nella circolazione (attraverso un legame diretto) e ne aumentano il fabbisogno iniziale. Anche l età e la funzionalità renale influiscono sul dosaggio dell eparina, ma in misura minima. Dopo la sua somministrazione EV, l eparina si lega alle cellule endoteliali vascolari, ai macrofagi e alle proteine plasmatiche. A causa della complessità di questa farmacocinetica, l effetto anticoagulante dell eparina alle dosi terapeutiche non è lineare, anche se abitualmente sia la sua intensità sia la sua durata aumentano parallelamente con il dosaggio. Per questo motivo, l emivita biologica dell eparina aumenta da 30 min dopo una dose EV di 25 U/kg, a 60 min dopo una dose di 100 U/kg, a 150 min con una dose di 400 U/kg. Gli effetti anticoagulanti dell eparina, generalmente, vengono controllati con l aptt, un test sensibile agli effetti inibitori del farmaco sulla trombina e sul fattore X. Una condizione terapeutica di anticoagulazione sistemica (da 1,5 a 2,5 volte i valori di riferimento) è un prerequisito indispensabile quando l eparina viene utilizzata nel trattamento delle patologie tromboemboliche venose e arteriose. Dal momento che la farmacocinetica e la farmacodinamica dell eparina sono complesse, durante il trattamento è necessario un monitoraggio frequente. Il più frequente effetto indesiderato dell eparina è l emorragia. Altre complicanze comprendono la trombocitopenia (con o senza trombosi), la necrosi cutanea, l alopecia, le reazioni di ipersensibilità e l ipoaldosteronismo. Le circostanze che fanno aumentare il rischio di sanguinamento sono l aumento del dosaggio (e dell effetto anticoagulante), l età, la riduzione del peso corporeo, i traumi, gli interventi chirurgici recenti, le procedure invasive e l assunzione contemporanea di aspirina. Un sanguinamento di entità lieve o moderata deve essere gestito, inizialmente, riducendo la dose di eparina (particolarmente se l aptt è eccessivamente prolungato) o sospendendo l infusione per 30 min. Sanguinamenti più intensi richiedono spesso la sospensione della terapia o, in caso di emorragie minacciose per la vita, la neutralizzazione con solfato di protamina (1 mg ogni 100 U di eparina somministrata nelle 4 ore precedenti). Tuttavia, nell interesse del paziente, può essere opportuno proseguire l anticoagulazione sistemica, particolarmente se il sanguinamento non è minaccioso per la vita e può essere controllato adeguatamente con provvedimenti locali (p. es., compressione manuale sulla sede di un trauma vascolare). Eparina a basso peso molecolare Le eparine a basso peso molecolare (Low-Molecular-Weight Heparins, LMWH) vengono utilizzate per la profilassi della TVP e per il trattamento della TVP e delle sindromi coronariche acute (angina instabile, MI senza sopraslivellamento del tratto ST). Le LMWH possono essere somministrate EV o SC. Sono state stabilite strategie di dosaggio (p. es., dose profilattica: enoxaparina 30 mg SC bid o 40 mg SC in unica somministrazione; terapia della TVP o delle sindromi

12 coronariche acute: enoxaparina 1 mg/kg SC bid) che, tenuto conto della biodisponibilità e della farmacocinetica conosciute, producono una concentrazione plasmatica sicura ed efficace (livello di picco anti-xa pari a circa 1,5 U/ml e livello allo stato stazionario di circa 0,5 U/ml). A causa delle dimensioni ridotte della loro catena peptidica e delle proprietà anticoagulanti peculiari (inibizione del fattore Xa), le LMWH non prolungano l aptt e non vengono neutralizzate completamente (circa il 60%) dal solfato di protamina. Il rischio di sanguinamento legato alla somministrazione di LMWH è simile, o leggermente inferiore, a quello osservato con l eparina non frazionata ed è correlato con la dose e con il peso molecolare (le frazioni con peso molecolare più elevato causano un rischio di sanguinamento maggiore). Warfarin Come l eparina, il warfarin è un anticoagulante di impiego frequente nella pratica clinica. È indicato sia per i pazienti anziani a rischio di tromboembolia (venosa o arteriosa), sia per quelli con tromboembolia già in corso. Il warfarin viene assorbito rapidamente dal tratto gastrointestinale dopo la somministrazione orale, raggiunge la concentrazione plasmatica massima in 90 min e, in circolo, ha un emivita di ore. Il farmaco circola legato alle proteine plasmatiche, in particolare all albumina. Il suo profilo dose-risposta è diverso da un individuo all altro ed è influenzato da fattori farmacocinetici e farmacodinamici. Le condizioni che incidono sulla disponibilità della vitamina K influenzano anche la risposta al warfarin (v. TABELLA 70-4). La clearance (metabolismo) epatica del warfarin diminuisce con l età. Pertanto, nell anziano, si ritiene più sicuro iniziare la terapia con dosi più basse ( 5 mg/die). Alcuni studi hanno prospettato la possibilità che gli anziani siano più predisposti alle complicanze emorragiche con l assunzione di warfarin. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti anziani che necessita di una terapia anticoagulante prolungata può essere trattata in maniera sicura ed efficace con il farmaco, se il trattamento comprende l educazione del paziente, l attenzione meticolosa alle patologie concomitanti e all assunzione contemporanea di altri farmaci e il monitoraggio delle dosi mediante un programma anticoagulativo coordinato. Il sanguinamento è la complicanza più frequente della terapia a lungo termine con warfarin. Altre complicanze sono la necrosi e la trombosi cutanea nei pazienti con deficit di proteina C. Il rischio di sanguinamento è influenzato direttamente dall intensità della terapia anticoagulante, dall età, dall insufficienza renale e dalla presenza di patologie occulte dell apparato digerente e genitourinario. L effetto anticoagulante del warfarin può essere ridotto o eliminato del tutto riducendo il dosaggio, sospendendo il trattamento, somministrando vitamina K o reintegrando con plasma fresco congelato i fattori della coagulazione difettosi. La quantità di verdure fresche a foglia larga assunta con la dieta modifica sostanzialmente la risposta al warfarin.

13 La determinazione del tempo di protrombina (PT) è il metodo più comunemente utilizzato per il monitoraggio della terapia con warfarin. Il PT aumenta a causa della depressione di tre delle quattro proteine coagulative dipendenti dalla vitamina K, cioè i fattori II, VII e X. Nelle fasi iniziali della somministrazione del farmaco, il prolungamento del PT è dovuto principalmente alla depressione del fattore VII (che ha l emivita più breve). Il valore di PT desiderato (e il suo INR corrispondente) varia a seconda della malattia da trattare. Per esempio, un INR compreso tra 1,5 e 2,0 può essere adeguato per la TVP, ma per trattare la tromboembolia associata alle sindromi anticardiolipiniche può essere necessario un valore di 3,0. La prevenzione della tromboembolia venosa conseguente alle procedure chirurgiche ortopediche si ottiene con un INR di riferimento compreso tra 2,0 e 2,5, mentre il suo trattamento richiede un INR di 2,0-3,0. La prevenzione efficace della tromboembolia arteriosa nei pazienti con flutter atriale, fibrillazione atriale e trombosi murale si ottiene con un INR di 2,0-3,0. L INR di riferimento per i pazienti portatori di valvole cardiache meccaniche è compreso tra 2,5 e 3,5. Anticoagulanti trombinici diretti Gli anticoagulanti trombinici diretti, comprendenti l irudina, la bivalirudina e l argatroban, hanno prodotto risultati contrastanti nei trial clinici; uno dei problemi principali è rappresentato dagli eventi emorragici. Sebbene il loro impiego nelle malattie trombotiche arteriose possa essere limitato, l irudina (lepirudina-irudina ricombinante) si è dimostrata promettente per il trattamento della trombocitopenia da eparina e per la profilassi della TVP. Sono in corso ricerche sugli antagonisti del fattore Xa (orali, endovenosi), su un inibitore della via del fattore tissutale e su altri composti anticoagulanti particolari. Fibrinolitici I farmaci fibrinolitici che abbiamo a disposizione, comprendenti l attivatore tissutale del plasminogeno (tissue Plasminogen Activator, tpa), la streptochinasi (StreptoKinase, SK), il complesso anisoilato attivatore del plasminogeno-streptochinasi (Anisoylated Plasminogen-Streptokinase Activator Complex, APSAC), l urochinasi e i farmaci di 3 a generazione (attivatore del plasminogeno ricombinante [recombinant Plasminogen Activator, rpa], nuovo attivatore del plasminogeno [novel Plasminogen Activator, npa] e TNK-tPA) convertono il plasminogeno, proenzima inattivo, nella sua forma enzimatica attiva, la plasmina, che a sua volta è responsabile della dissoluzione della fibrina. Le prove sperimentali suggeriscono che i pazienti anziani colpiti da infarto miocardico acuto traggono un beneficio significativo dalla riperfusione mediante fibrinolisi; tuttavia, il loro rischio di emorragie gravi, compresa l emorragia endocranica, è aumentato. I fibrinolitici sono stati utilizzati anche nel trattamento dei pazienti anziani con ictus ischemico. I risultati più incoraggianti sono stati ottenuti con il tpa, se somministrato entro 3 ore dall esordio della sintomatologia. Prima di somministrare questi agenti per la terapia dell ictus

14 ischemico, bisogna eseguire uno screening accurato, comprendente anche la TC dell encefalo, per escludere la presenza di un ictus emorragico. I fibrinolitici possono essere presi in considerazione anche per i pazienti con embolia polmonare massiva. Come accade per altri tipi di indicazione, va eseguito uno screening particolareggiato per escludere i soggetti a rischio di complicanze emorragiche. Approssimativamente nel 5% dei pazienti trattati con fibrinolitici si verifica un sanguinamento grave (v. TABELLA 70-5). Tuttavia, la maggior parte dei pazienti è in terapia adiuvante contemporanea con antiaggreganti piastrinici (aspirina) e anticoagulanti (eparina). Questa pratica, probabilmente, aumenta il rischio di sanguinamento, particolarmente se non è stato eseguito un monitoraggio accurato della coagulazione nelle prime ore. Per contrastare gli effetti dei fibrinolitici quando si verifica un sanguinamento, il plasma fresco congelato fornisce i fattori V e VIII, l α-2-antiplasmina e l inibitore dell attivatore del plasminogeno. Il crioprecipitato (1 U/10 kg) è la fonte migliore di fibrinogeno (da 200 a 250 mg/10-15 ml) e di fattore VIII (80 U/10-15 ml). Se il numero delle piastrine è basso (< /µl), bisogna somministrare piastrine (da 6 a 10 U da un donatore casuale). Per correggere le alterazioni piastriniche qualitative si può usare la desmopressina (0,3 mg/kg EV in 20 min). Le emorragie prolungate, potenzialmente minacciose per la vita, che non rispondono ai provvedimenti terapeutici standard (come descritto sopra), possono richiedere una terapia antifibrinolitica con acido aminocaproico o acido tranexamico. Questo trattamento va intrapreso con cautela, perché può scatenare l insorgenza di complicanze trombotiche gravi. Antiaggreganti piastrinici Le piastrine partecipano al processo trombotico aderendo alle superfici alterate, aggregandosi per formare un tappo piastrinico iniziale, stimolando una ulteriore aggregazione e infine innescando la cascata della coagulazione. L aspirina acetila in maniera irreversibile la ciclossigenasi, interferendo con il metabolismo l aggregazione piastrinica che avviene in risposta al collagene, all adenosina difosfato e alla trombina. Tuttavia, non modifica l adesività delle piastrine, né il loro rilascio. L effetto inibitorio dell aspirina persiste per tutta la vita delle piastrine (7 ± 2 giorni), perché i trombociti non hanno la capacità sintetica necessaria per rigenerare la ciclossigenasi. L effetto trombolitico dell aspirina può essere ottenuto con dosi variabili da 160 a 325 mg/die (e forse ancora più basse); probabilmente, il mantenimento di mg/die è sufficiente nella maggior parte delle situazioni cliniche. Sebbene anche i farmaci antiinfiammatori non steroidei inibiscano la ciclossigenasi, il loro effetto è reversibile. Questi composti non sono stati sperimentati adeguatamente in grandi trial clinici randomizzati, con questa indicazione.

15 L aspirina è indicata per la prevenzione primaria e secondaria del MI e dell ictus e viene utilizzata anche in associazione con il clopidogrel o la ticlopidina dopo le procedure di posizionamento degli stent intracoronarici. L aggiunta di aspirina a basse dosi alla terapia con warfarin può essere vantaggiosa per i pazienti portatori di valvole cardiache meccaniche; questa associazione è particolarmente indicata nei pazienti che sono stati colpiti da eventi trombotici nonostante stessero assumendo warfarin alle dosi più appropriate. Gli antagonisti delle glicoproteine piastriniche IIb/IIIa (abciximab, tirofiban ed eptifibatide) sono indicati per i pazienti affetti da sindromi coronariche acute e per quelli sottoposti a procedure coronariche percutanee ad alto rischio. Essi inibiscono completamente, in vitro, l aggregazione piastrinica indotta dagli agonisti che si ritiene agiscano in vivo. La ticlopidina ha una struttura molecolare diversa da quella di tutti gli altri antiaggreganti piastrinici. È un potente inibitore dell aggregazione piastrinica indotta dall adenosina difosfato e inibisce in misura variabile l aggregazione innescata dal collagene, dall adrenalina, dall acido arachidonico, dalla trombina e dal fattore attivante le piastrine. Inoltre, inibisce l azione di rilascio delle piastrine e può ridurre la loro adesività. La ticlopidina è stata impiegata nel trattamento degli attacci ischemici transitori, degli ictus (particolarmente quelli verificatisi in corso di terapia aspirinica) e dell angina instabile, oltre che dopo il posizionamento di uno stent intracoronarico (che probabilmente è la sua indicazione più frequente). La neutropenia e la porpora trombotica trombocitopenica sono complicanze rare, ma possono mettere in pericolo la vita del paziente. Il clopidogrel riduce il rischio di MI (e di MI ricorrente) nei pazienti affetti da vasculopatia aterosclerotica. Il profilo dei suoi effetti indesiderati, sulla base dell esperienza fatta fino a questo momento, è migliore di quello della ticlopidina e la sua emivita relativamente lunga ne permette la monosomministrazione giornaliera.

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