L imperativo del developmental welfare per l Europa

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1 57 L imperativo del developmental welfare per l Europa Anton Hemerijck A partire dalla fine degli anni 70 tutti i più avanzati sistemi di welfare dell Unione europea hanno riformato il mix di politiche su cui erano stati edificati i sistemi nazionali di protezione sociale dopo il La crescita della competizione globale, la ristrutturazione industriale, l austerity di bilancio, il cambiamento delle relazioni familiari e l invecchiamento demografico hanno messo in discussione i sistemi di welfare dell età dell oro, un tempo stabili e sovrani. Recentemente, inoltre, le questioni nazionali relative al lavoro e al welfare si sono sempre più intrecciate con i processi di integrazione politica ed economica dell Europa. A questo proposito si può affermare che nell Unione europea ha avuto inizio un era di sistemi di welfare a sovranità limitata. Tutte queste forze unite insieme hanno generato una spinta al cambiamento politico e alla trasformazione del sistema che supera di gran lunga la nozione comune di «ridimensionamento» del welfare. La «nuova» struttura del welfare suggerisce la necessità di passare da una nozione di protezione sociale la cui prospettiva è dominata dallo «scontro tra politica e mercato» a una nozione di investimento sociale basata sulla prospettiva dell «incontro tra politica e mercato». Questo studio cerca di cogliere il carattere globale dell attuale sforzo volto a rifondare l architettura del contratto sociale post-bellico sulla base del concetto di «ricalibratura» del welfare a scopo sia euristico sia prescrittivo. Nel fare questo viene considerato anche il coinvolgimento dell Unione europea nei processi in corso di ricalibratura dei sistemi europei di welfare a sovranità limitata. In conclusione lo studio mette a punto un agenda del welfare «evolutivo» in Europa all inizio del XXI secolo, prendendo in esame anche i vincoli e le opportunità politiche. 1.La capacità di adattamento del welfare state europeo A partire dagli anni 90 la maggioranza degli Stati membri dell Unione europea (Ue) ha coraggiosamente intrapreso una riforma globale del welfare, anche se gran parte della letteratura accademica sull analisi comparativa del welfare state trasmette l immagine stantia di un «oriz-

2 58 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA zonte del welfare congelato». In molti Stati membri dell Ue la portata reale della riorganizzazione del welfare si riduce a nulla più che una revisione del sistema, che va ben oltre i popolari concetti di «ridimensionamento», «contrazione», «austerity» e «cancellazione». Tuttavia, negare che i sistemi di welfare europei siano sclerotici non significa affermare che siano in buona salute. Quando vi sono 18 milioni di cittadini privi di lavoro e livelli costantemente alti di disoccupazione giovanile, soprattutto negli Stati membri più grandi, non è certamente il caso di rallegrarsi. Il welfare state fu concepito come risposta ai rischi dell economia industriale nella cornice dello Stato-nazione. Oggi è opinione sempre più diffusa che l imperativo di riformare il welfare state derivi sia dall incongruenza tra i nuovi rischi e i nuovi bisogni sociali, connessa al cambiamento sociale post-industriale e alla crescente internazionalizzazione dell economia, sia dalla capacità del modello tradizionale di politica sociale (a favore del maschio breadwinner) di sopravvivere sul terreno istituzionale. La riforma del welfare è un processo fortemente riflessivo e ad alta intensità di conoscenza. L esperienza di riforma dei due decenni passati si è basata soprattutto sulle lezioni tratte dai processi indotti dalle crisi interne nei singoli Stati. Inoltre si sta sviluppando un processo transnazionale di apprendimento sociale nel contesto dell Unione europea. In breve, il welfare state va considerato come un sistema imperfetto «in evoluzione», i cui obiettivi, propositi, funzioni e istituzioni cambiano nel tempo, seppure con lentezza. La gran varietà di modelli di revisione della politica sociale ed economica nei diversi paesi e l elaborazione creativa di nuovi principi di giustizia sociale fanno emergere le capacità di apprendimento dei sistemi di welfare europei. Dopo l introduzione (sezione 1), la mia argomentazione si sviluppa come segue. La sezione 2 prende in esame la triplice sfida dell internazionalizzazione economica, della differenziazione post-industriale e dell austerity permanente, ciascuna delle quali interagisce con le altre ponendosi di fronte agli odierni responsabili politici, sfidandoli a riorganizzare i sistemi di welfare, a ridisegnare le istituzioni e a elaborare nuovi principi di giustizia sociale. La sezione 3 elenca poi una serie di sostanziali cambiamenti nella costruzione dei sistemi maturi di welfare europei nell ultimo quarto del ventesimo secolo, che complessivamente hanno prodotto una basilare trasformazione dei tradizionali sistemi di welfare post-bellici. La sezione 4 prende in esame le performance occupazionali dei diversi sistemi di welfare. La sezione 5 cerca di cogliere lo sforzo attuale per ridisegnare l architettura del

3 59 contratto sociale post-bellico, dal punto di vista del concetto di «ricalibratura» del welfare per fini euristici ed esplicativi. Questa sezione e- videnzia anche i vincoli e le opportunità relativi al coinvolgimento dell Ue nei processi di ricalibratura in corso dei sistemi di welfare europei, caratterizzati oggi da semi-sovranità. La sezione 6 articola infine un agenda del welfare «evolutivo» per l Europa all inizio del XXI secolo, considerando anche i vincoli e le opportunità politiche. Oggi un crescente numero di osservatori accademici auspica un nuovo programma di prestazioni del welfare basato su solidi principi normativi, interpretazioni causali, preoccupazioni (re-)distributive e pratiche istituzionali coerenti. Per raggio d azione e portata questo nuovo programma di welfare potrebbe essere paragonato in linea di massima al modello keynesiano di welfare state fondato sul modello del maschio percettore di reddito, che ha dominato l epoca successiva al Adottando la prospettiva del corso di vita, che mi consente di evidenziare le interconnessioni intertemporali tra rischi e bisogni sociali, metterò in rilievo il carattere evolutivo delle politiche sociali fondamentali. La nozione di developmental welfare state mette a disposizione un linguaggio condiviso per un agenda politica che ponga come obiettivo prioritario la ricerca di alti livelli di occupazione per uomini e donne, combinando elementi di flessibilità e sicurezza. Tale agenda dovrebbe aiutare gli uomini, e soprattutto le donne, a conciliare lavoro e vita familiare, basandosi su nuove forme di governance e sull efficace combinazione di sforzi e risorse pubbliche, private e individuali (Esping-Andersen e al., 2002; Esping- Andersen, 2005; Jenson e Saint-Martin, 2006; Taylor-Gooby, 2004). L enfasi keynesiana sulla gestione della «domanda effettiva» sembra cedere il passo all enfasi sull «offerta effettiva», con l effetto di eliminare le barriere sociali all ingresso nel mercato del lavoro, di scoraggiare l uscita anticipata, rendendo le transizioni nel mercato del lavoro meno precarie, e di assicurare l uguaglianza di genere e le pari opportunità per tutta la durata del corso di vita, in risposta ai drastici cambiamenti del mondo del lavoro e del welfare (Ocse, 1999; Giddens, 1998 e 2001; Ferrera, Hemerijck e Rhodes, 2000; Esping- Andersen e al., 2002; Kenworthy, 2004; Nesc, 2005). È mia opinione che, con un po più di creatività politica, saremmo in grado di trasformare l attuale ondata di pessimismo introspettivo sulla sostenibilità del welfare state in un rinnovato sforzo politico per un lungimirante «pragmatismo sociale». Anton Hemerijck

4 60 2.I tre pilastri dei sistemi di welfare a sovranità limitata L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA Mentre gli architetti del welfare state post-bellico, John Maynard Keynes e William Beveridge, potevano riferirsi a un ordinamento familiare stabile, fondato sull uomo percettore di reddito, e su mercati del lavoro industriali in espansione, oggi questo quadro della società e dell economia non regge più. I responsabili politici si trovano di fronte a tre grandi sfide che impongono l esigenza di riorientare l attività del welfare, di ridisegnare le istituzioni e di elaborare nuovi principi di giustizia sociale. In primo luogo, dall esterno, la competizione internazionale sta mettendo in discussione la prospettiva redistributiva e il potere di demercificazione dei sistemi nazionali di welfare. Molti osservatori accademici sostengono che l aumento della competizione economica internazionale negli scambi monetari, dei beni e dei servizi ha sostanzialmente ridotto la capacità di manovra dei sistemi di welfare nazionali (Scharpf, 2000). L internazionalizzazione economica pone dei vincoli alla gestione macroeconomica anticiclica, mentre la maggiore apertura dei mercati espone i sistemi di welfare più generosi alla concorrenza commerciale e consente al capitale di spostarsi verso i paesi che producono a costi più bassi. Vi è inoltre il timore che la concorrenza fiscale si traduca in un insufficiente fornitura di risorse pubbliche. In secondo luogo, dall interno, l invecchiamento della popolazione, il declino dei tassi di nascita, il cambiamento dei ruoli di genere all interno del nucleo familiare in seguito al massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro, il passaggio da un economia industriale a un economia dei servizi, l utilizzo delle nuove tecnologie nell organizzazione del lavoro, sono tutti fattori che si sommano a livelli occupazionali sub-ottimali, a nuove disuguaglianze e a modelli di esclusione sociale fondati sulla discriminazione professionale. Secondo Gøsta Esping-Andersen (2002), la ragione principale per cui gli attuali sistemi di protezione sociale sono diventati eccessivamente onerosi sta nell indebolimento dei mercati del lavoro e dei nuclei familiari tradizionali, in quanto fornitori sussidiari di welfare. Le nuove ondate di immigrazione, inoltre, sono causa di segregazione, soprattutto nel mercato edilizio delle aree metropolitane, e portano un ulteriore sfida alla coesione sociale. Infine, mentre i responsabili politici devono trovare nuove strade per gestire le conseguenze sfavorevoli dell internazionalizzazione economica e della differenziazione post-industriale, il loro tentativo di rifondare il welfare è fortemente ostacolato da de-

5 61 terminati impegni di lungo periodo assunti dalla politica sociale durante il periodo dell austerità permanente in materia di disoccupazione e pensioni (Pierson, 2001). Il venire a maturazione degli impegni del welfare, cioè delle politiche messe in atto per arginare i rischi sociali connessi all era industriale post-bellica, sembra oggi aver saturato e sovraccaricato lo spazio disponibile per l avvio di politiche efficaci, soprattutto nel settore dei servizi pubblici, in presenza di una bassa crescita economica. Ed è probabile che il fantasma dell austerity permanente sia destinato a rafforzarsi a causa dell invecchiamento della popolazione. Le questioni del lavoro e del welfare, che intervengono come variabili nel processo a partire da metà degli anni 80, si intrecciano sempre più con i processi europei di integrazione politica ed economica. Si può dire che nell Ue siamo entrati in un era di sistemi di welfare a sovranità limitata (Leibfried e Pierson, 2000). L integrazione economica europea sta ridisegnando in profondità i confini dei sistemi nazionali di protezione sociale, sia perché limita l autonomia delle scelte politiche nazionali, sia perché offre nuove opportunità per un coordinamento politico aperto e multilivello governato dall Unione europea (Ferrera, 2005; Zeitlin e Pochet, 2005). Anton Hemerijck 3.Una sequenza di riforme incisive Sin dalla fine degli anni 70 una serie di cambiamenti consecutivi nelle strutture mondiali dell economia, del mercato del lavoro e della famiglia hanno scosso gli «equilibri» di stabilità e di sovranità del welfare, fondati su una politica macroeconomica favorevole all occupazione, sulla contrattazione collettiva dei salari, su un sistema di tassazione progressiva, su un ampia copertura della previdenza sociale e su una regolazione protettiva del mercato del lavoro. Di conseguenza tutti i sistemi sviluppati di welfare dell Unione europea hanno ridefinito il mix delle politiche su cui erano stati fondati dopo il 1945 i sistemi nazionali di protezione sociale (Hemerijck e Schludi, 2000). Se consideriamo il welfare come qualcosa di più ampio di un sistema di protezione sociale inteso nel suo significato più limitato, è possibile tratteggiare un processo globale e cumulativo di cambiamento delle politiche in una serie di aree di intervento strettamente connesse tra loro. Nell area della politica macroeconomica, fino alla fine degli anni 70 avevano prevalso le priorità politiche macroeconomiche del modello keyne-

6 62 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA siano, mirate alla piena occupazione come obiettivo principale del governo dell economia. In presenza di stagflazione cioè la combinazione di alta inflazione e crescente disoccupazione il modello keynesiano ha ceduto il passo a una politica macroeconomica più rigida, imperniata su imperativi di stabilità economica, moneta forte, bassa inflazione, risanamento del bilancio e riduzione del debito. I deficit pubblici e i tassi di inflazione costantemente elevati sono di per sé indesiderabili e incompatibili con la competizione sui mercati finanziari globali. Tuttavia l attuale cornice dell Unione economica e monetaria (Uem) e del Patto di crescita e di stabilità (Pcs) non rappresenta un regime macroeconomico adeguato. Oggi il problema centrale è che l Uem e il Pcs non rendono giustizia alle differenze di condizioni economiche degli Stati membri. La Banca centrale europea (Bce) stabilisce i tassi d interesse in conformità con le medie europee e con l evoluzione del corso economico, piuttosto che adattarli ai traumi dei singoli paesi. La stabilità macroeconomica è un imperativo, ma c è bisogno di maggiore flessibilità. Nel corso degli anni 80 la responsabilità dell occupazione si è spostata dalla politica macro-economica alle aree limitrofe della regolazione sociale ed economica. Nel campo della politica salariale vi è stato, dagli anni 80 in poi, un ri-orientamento a favore di un contenimento salariale basato sugli imperativi del mercato di fronte alla crescita dell internazionalizzazione economica. Molti paesi europei hanno adottato strategie di contenimento salariale attraverso una nuova generazione di patti sociali, collegati a pacchetti più ampi di riforme negoziate che in paesi come l Olanda, l Irlanda e la Danimarca comprendevano la regolazione del mercato del lavoro e la protezione sociale. Negli anni 90 l esame di ammissione all Uem ha giocato un ruolo decisivo nel rifiorire dei patti sociali nazionali nei paesi più ritardatari, come l Italia, il Portogallo e la Grecia, sollecitando i responsabili politici e i loro partner sociali a ricercare soluzioni di carattere cooperativo a somma positiva per raggiungere l equilibrio economico, rendendo cioè il sistema di tassazione e la protezione sociale più «favorevoli all occupazione». Nell area della politica del lavoro, il nuovo obiettivo degli anni 90 è diventato quello di massimizzare l occupazione piuttosto che favorire l uscita dal mercato del lavoro, e ciò ha generato nuove connessioni tra la politica dell impiego e la protezione sociale. Più alto è il numero di persone che partecipano full-time e part-time al mercato del lavoro, più forte è il contributo al mantenimento di adeguati livelli di prote-

7 63 zione sociale. È questo il messaggio chiave del rapporto Jobs, Jobs, Jobs della task force sull occupazione istituita dalla Commissione europea e presieduta dall ex primo ministro olandese Wim Kok (Kok e al., 2003). Nel corso di questo processo i Servizi pubblici per l impiego (Spi, Pes nell acronimo inglese, n.d.t.) hanno perso in molti paesi il loro monopolio sul collocamento. Le agenzie private non hanno ancora conquistato una grande fetta del mercato, ma hanno spinto gli Spi a modernizzare l offerta. Per quanto riguarda la regolazione del mercato del lavoro, l esperienza empirica della Danimarca e dei Paesi Bassi dimostra che vi è maggiore accettazione della flessibilità dei mercati del lavoro quando essa è accompagnata da forti garanzie sociali. Mentre i sistemi che a una limitata tutela in caso di licenziamento uniscono insufficienti indennità di disoccupazione soddisfano essenzialmente gli interessi degli insider, i sistemi basati sulla «flexicurity», che offrono una tutela dell impiego minima ma standard decenti di protezione sociale in caso di disoccupazione, sono in grado di colmare meglio il divario fra insider e outsider. Nella sfera della sicurezza sociale, i cambiamenti nella gestione macroeconomica e nella politica salariale hanno spostato la priorità dalle politiche passive mirate al mantenimento del reddito, all attivazione e alla reintegrazione dei gruppi vulnerabili. In questo processo la funzione della sicurezza sociale si è trasformata da compensazione passiva dei rischi sociali a tentativo di correzione mirato a trasformare gli incentivi comportamentali dei richiedenti e dei datori di lavoro, ponendo maggiore enfasi sugli investimenti sociali con finalità preventive. Tale cambiamento è confermato dal passaggio dai benefici out-of-work ai benefici in-work. Di fronte al relativo indebolimento dei tradizionali programmi di assicurazione sociale, fondati sul modello del maschio percettore di reddito, i responsabili politici hanno dato maggior peso alle funzioni del welfare state mirate a rafforzare la tutela del reddito minimo, associate a una forte politica di attivazione e a misure di reintegrazione. In questa direzione i sistemi di welfare francesi e belgi hanno incrementato la protezione dell assistenza sociale a favore dei più bisognosi, utilizzando benefici mirati al posto dei benefici universali, finanziati attraverso la tassazione e le entrate generali. Nel 2005, grazie alle riforme cosiddette «Harz IV», la Germania ha seguito l esempio di quei paesi, modificando i requisiti per la ricerca di impiego richiesti ai disoccupati. Nell area delle pensioni di vecchiaia, la tendenza più rilevante è la crescita delle pensioni private e di quelle obbligatorie su base aziendale. Anton Hemerijck

8 64 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA La maggior parte dei sistemi di welfare sono impegnati a sviluppare sistemi basati su pilastri multipli, combinando i regimi pensionistici pay-as-you-go (a ripartizione, n.d.t.) e quelli a capitalizzazione, con uno stretto legame attuariale tra beneficio pensionistico e contribuzione. Inoltre hanno introdotto incentivi fiscali per incoraggiare le persone a stipulare un assicurazione pensionistica privata. Negli anni 90 una serie di paesi, in particolare Olanda, Francia, Portogallo, Irlanda e Belgio, hanno iniziato ad accumulare fondi di riserva allo scopo di garantire un livello adeguato di prestazioni quando andrà in pensione la generazione del baby-boom. Anche i cambiamenti delle regole di indicizzazione hanno contribuito a ridurre la solvibilità dei sistemi pensionistici. In Spagna le restrizioni sono andate di pari passo con il tentativo di incrementare i benefici pensionistici minimi. In Danimarca e in Belgio sono state introdotte alcune misure mirate ad associare impiego e pensionamento attraverso incentivi fiscali e benefici pensionistici parziali. La Finlandia ha sviluppato una politica finalizzata a migliorare la salute nei luoghi di lavoro, la capacità di lavoro e il benessere dei lavoratori anziani, allo scopo di trattenere il più a lungo possibile nella forza lavoro i lavoratori più anziani. Negli ultimi anni i servizi sociali sono stati protagonisti di una specie di rimonta. Nel corso del decennio passato è aumentata in quasi tutti i paesi dell Europa occidentale la spesa per servizi all infanzia, istruzione, sanità e assistenza agli anziani, accanto a quella destinata ai servizi per la formazione e l impiego. L invecchiamento della popolazione e l aumento della longevità, in particolare, hanno incrementato la domanda di assistenza professionale che non può più essere soddisfatta dalle famiglie, soprattutto quelle in cui lavorano entrambi i coniugi. Nei paesi scandinavi l espansione dei servizi alle famiglie è iniziata negli anni 70, in contemporanea con l incremento dell offerta di lavoro femminile. È stata in gran parte questa politica di «de-familizzazione» delle responsabilità di cura a far sì che il modello del doppio reddito familiare diventasse la norma. Nella maggior parte degli altri paesi europei la crescita dell occupazione femminile è iniziata molto più tardi (Daly, 2000). E solo nello scorso decennio abbiamo assistito a una crescita pronunciata nei paesi dell Europa meridionale. Un po tutti i paesi dell Unione europea hanno conosciuto una forte espansione delle intese sui congedi, in termini sia di tempo sia di copertura, fino a comprendere l assistenza agli anziani deboli e ai figli ammalati. Inoltre le strutture erogatrici dei servizi sociali hanno acquisito maggiore autonomia decisionale riguardo all uso migliore delle proprie risorse per

9 65 raggiungere i risultati concordati e beneficiano di maggiori incentivi per migliorare la qualità attraverso l innovazione, ri-orientando la loro responsabilità nei confronti degli utilizzatori dei servizi e del governo centrale. Per quanto riguarda la struttura finanziaria del welfare state, possiamo osservare un incremento del finanziamento da parte dell utente nelle aree dell assistenza all infanzia, dell assistenza agli anziani e dell assistenza medica. Allo stesso tempo sono stati introdotti incentivi fiscali per incoraggiare le persone a usufruire di servizi e di assicurazioni private, soprattutto nei settori della sanità e delle pensioni, e sistemi di verifica gestionale per controllare e monitorare il volume delle spese pubbliche, prevedendo un limite per i bilanci annuali e delegando la responsabilità finanziaria e l autonomia alle scuole e agli ospedali in paesi come la Svezia, la Germania e l Olanda. Per quanto riguarda il sistema di tassazione, molti Stati membri, per effetto dell intensificazione della concorrenza all interno dell Unione europea, hanno iniziato a perseguire una strategia ibrida di riduzione delle aliquote fiscali e di ampliamento della base fiscale. Per effetto dell ampliamento della base fiscale, ne deriva una perdita di centralità del modello di redistribuzione verticale tra cittadini ricchi e poveri, senza che questo vada però a detrimento degli impegni principali del welfare. Nel corso dei due decenni passati, come dimostra la serie di riforme appena descritte, molti sistemi di welfare europei hanno introdotto con differenti gradi di successo, ma anche di fallimento misure finalizzate a ri-orientare la ristrutturazione economica e sociale attraverso aggiustamenti della politica macroeconomica, delle relazioni industriali, del sistema di tassazione, della sicurezza sociale, della politica del lavoro, della legislazione di tutela dell impiego, delle pensioni, dei servizi sociali e del finanziamento del welfare. Molte riforme sono state impopolari, ma un discreto numero è stato introdotto con il consenso dei partiti di opposizione, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Anton Hemerijck 4.Welfare state e risultati occupazionali La corrente principale della ricerca empirica comparativa ha stabilito che non vi è trade-off tra performance macroeconomica e dimensione del welfare, che l ampiezza del settore pubblico non riduce necessariamente la competitività, che vi può essere una relazione positiva tra

10 66 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA fertilità e alti livelli di occupazione femminile, che flessibilità del mercato del lavoro e basso livello di povertà si accompagnano il più delle volte ad alti livelli di occupazione e che, infine, un buon livello di istruzione, intesa come competenza matematica, scientifica e letteraria, può essere conseguito soprattutto con sistemi educativi che si basano sul principio delle pari opportunità (Ferrera, Hemerijck e Rhodes, 2000; Esping-Andersen e al., 2002; Lindert, 2004; Kenworthy, 2004; Ainginger e Guger, 2006; Wrr, 2006 e 2007). Per quanto riguarda la performance macroeconomica possiamo osservare una significativa convergenza tra stabilità dei prezzi e risanamento del bilancio. Si può registrare un analoga convergenza tra i diversi paesi con riferimento ai costi unitari del lavoro. I livelli di spesa per la protezione sociale, espressi in percentuale del Pil, sono rimasti relativamente stabili. Per quanto riguarda l occupazione vi è stato un ampio grado di convergenza a partire dagli anni 90, quando la maggior parte dei sistemi di welfare maturi ha registrato una partecipazione al mercato del lavoro oscillante tra il 65% e il 75%. L occupazione è l indicatore più importante per misurare la sostenibilità del welfare state e il successo della politica sociale ed economica. La ragione è semplice: i benefit e i servizi per la sicurezza sociale devono essere finanziati dal sistema fiscale e dai contributi versati da chi lavora. Più alto è il numero di persone occupate, più ampia è questa base di finanziamento. In caso di disoccupazione di lungo periodo, di inabilità al lavoro e di pensionamento anticipato, la spesa per la sicurezza sociale aumenta e, allo stesso tempo, le entrate diminuiscono. Da un punto di vista sociale anche il fatto di avere un impiego giova alle persone, poiché viene loro offerta un opportunità di auto-identificazione e di auto-realizzazione. Oggi la partecipazione al mercato del lavoro è la forma più importante di interazione sociale e, in quanto tale, è un elemento indispensabile di coesione sociale. A registrare i tassi di occupazione tradizionalmente più alti sono i sistemi di welfare dei paesi scandinavi, seguiti dal Regno Unito. Quanto a percentuale di occupati, anche i Paesi Bassi fanno parte del gruppo di paesi più avanzati. Nel modello di welfare state scandinavo il governo svolge un ruolo importante come datore di lavoro nel settore dei servizi sociali ad alta intensità di lavoro. In questo modo il welfare state scandinavo offre ampie opportunità di impiego nel settore pubblico a uomini e donne con livelli di istruzione inferiori, creando allo stesso tempo occupazione per i lavoratori qualificati con livelli di istruzione più alti. In Danimarca e in Svezia un quarto della forza la-

11 67 voro (soprattutto femminile) è impiegata nel settore dei servizi pubblici. Dagli anni 70 in poi l espansione dell occupazione nei servizi sociali, nell assistenza all infanzia e in quella agli anziani, ha dato origine a un meccanismo che si auto-alimenta: un numero più alto di donne è entrato nel mercato del lavoro, determinando una sensibile riduzione dell assistenza fornita dalle famiglie (con entrambi i coniugi che lavorano), che a sua volta ha portato a un aumento della domanda per servizi di assistenza professionali. La risposta ai processi di ristrutturazione economica degli anni 70 e 80 da parte dei sistemi di welfare dei paesi dell Europa continentale e mediterranea era mirata a limitare l offerta di lavoro attraverso la creazione di una serie di opzioni di pensionamento anticipato. La crescente domanda di sicurezza sociale determinò l incremento di una serie di costi che dovevano essere sostenuti dal mercato del lavoro. Dalla metà degli anni 80 in poi le aziende operanti all interno dei sistemi continentali di welfare hanno iniziato a utilizzare in misura crescente le tecnologie labour-saving e a disfarsi, attraverso il sistema di sicurezza sociale, dei lavoratori meno produttivi. Ciò ha trasformato la riduzione della produttività che caratterizzava i sistemi di welfare continentali in una trappola dell inattività. Il tasso di occupazione è diminuito nei settori dove la produttività ristagnava e dove i prezzi dei beni e dei servizi non potevano essere aumentati per riequilibrare il sistema. Ne è derivato un circolo vizioso caratterizzato da alti costi salariali lordi, bassi salari netti, uscita dall impiego dei lavoratori meno produttivi e crescita dei costi sociali, che a sua volta ha creato una spirale di caduta dell occupazione e aumento dell inattività economica. Tale situazione ha indebolito anche la base finanziaria del sistema di sicurezza sociale. Solo a partire dalla seconda metà degli anni 90 si è registrata una crescita limitata del tasso di occupazione nei sistemi di welfare dei paesi mediterranei. In confronto agli altri paesi l Olanda occupa una posizione particolare, perché il suo è stato il primo welfare state continentale con un tasso di occupazione femminile storicamente basso a migliorare la propria performance, avviandosi verso i livelli dei paesi scandinavi. La figura 1 illustra la dinamica europea della performance occupazionale per il gruppo di età più rilevante in cinque paesi che rappresentano i diversi tipi di welfare state. Il primo aspetto che colpisce è la caduta netta del tasso di occupazione in Svezia in seguito alla crisi dei primi anni 90. La forte crescita degli impieghi part-time pone l O- Anton Hemerijck

12 68 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA landa all ultimo posto nell Ue quanto a numero di ore lavorate per unità di lavoro. A partire da metà degli anni 90 si può osservare una forte convergenza nel gruppo di età compreso tra i 25 e i 54 anni (vedi figura 1). In seguito alla crisi economica che ha colpito i paesi scandinavi all inizio degli anni 90 il tasso di occupazione è sceso a un livello strutturalmente più basso, mentre nei sistemi di welfare continentali si è registrata un netta tendenza alla crescita, in direzione delle nuove medie scandinave. Il modello di welfare dei paesi mediterranei ha ancora difficoltà a raggiungere i paesi continentali in questo trend di crescita, mentre i sistemi di welfare anglosassoni presentano un trend di consolidamento verso l alto. Figura 1 - Tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra i 25 e i 54 anni 95,0 90,0 85,0 80,0 75,0 70,0 65,0 60,0 55,0 50, Svezia Germania Regno Unito Italia Paesi Bassi Fonte: Ocse, Oecd Labour Force Statistics. La variazione tra i diversi regimi è molto più ampia nel gruppo di età tra i 55 e i 65 anni (vedi figura 2). Il Belgio ha il tasso di occupazione più basso tra i lavoratori anziani (20%), mentre la Svezia ha il più alto (70%). A partire dagli anni 80 i sistemi di welfare dei paesi continentali e mediterranei hanno registrato una caduta enorme di oltre il 30% del tasso di occupazione dei lavoratori anziani, a causa del pensionamento anticipato soprattutto tra gli uomini. Dalla fine degli anni 90 il tasso di occupazione tra i lavoratori anziani ha iniziato a crescere in

13 69 alcuni sistemi di welfare continentali, con l Olanda in testa. Si è registrata anche una crescita generale dei tassi di attività tra i lavoratori anziani in altri sistemi di welfare continentali, in particolare Francia e Belgio. Figura 2 - Tasso di occupazione dei lavoratori anziani Svezia Germania Paesi Bassi Regno Unito Italia Anton Hemerijck Fonte: Eurostat, Structural Indicators: Employment 4.1 Occupazione per genere Prendendo in considerazione il genere, possiamo osservare un certo grado di convergenza nel tasso di occupazione degli uomini, con un dimezzamento del differenziale rispetto a metà degli anni 80 (vedi figura 3). Lo sviluppo più significativo dei sistemi di welfare europei è l ingresso delle donne nella forza lavoro (vedi figura 4). All inizio degli anni 70 l Olanda aveva il tasso di occupazione femminile più basso tra i paesi Ocse, pari al 29,2%, inferiore a quello di paesi come l Irlanda, la Grecia, la Spagna e l Italia, dove il tasso superava di poco il 30%. Da allora il tasso di occupazione femminile è cresciuto in misura considerevole. In termini netti il tasso dell Olanda è salito al 55%, la crescita più consistente fra tutti gli Stati membri dell Ocse. Oggi in Olanda il tasso di occupazione femminile è ancora inferiore a quello dei paesi scandi-

14 70 navi, ma i gruppi di età più giovani, anche nei sistemi di welfare dei paesi mediterranei, stanno convergendo notevolmente in direzione delle medie più elevate dei paesi scandinavi. Figura 3 - Tasso di occupazione degli uomini in età compresa tra i 15 e i 64 anni L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA 90,0 85,0 80,0 75,0 70,0 65,0 60,0 55,0 50, Fonte: Ocse, Oecd Labour Force Statistcs. Svezia Germania Regno Unito Italia Paesi Bassi Per quanto riguarda il tasso di occupazione delle donne anziane, è tuttora ampio il divario tra sistemi di welfare continentali e mediterranei, da un lato, e sistemi scandinavi e anglosassoni, dall altro. In Italia il tasso di occupazione delle donne anziane non supera il 16%. Segue l Olanda con il 23%, un tasso ancora lontano dal 65% della Svezia. Nei sistemi di welfare mediterranei le donne abbandonano normalmente l impiego una volta raggiunti i 50 anni di età, in modo da potersi prendere cura dei genitori o dei suoceri. Nei sistemi di welfare mediterranei il basso tasso di occupazione femminile solo parzialmente in crescita evidenzia in particolare una serie di barriere che caratterizzano il mercato del lavoro dei paesi dell Europa meridionale. Nei sistemi di welfare continentali e anglosassoni la possibilità di lavorare part-time ha creato le condizioni per l ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Nei paesi in cui l occupazione femminile non costituisce un problema, come in quelli scandinavi, l impiego part-time è meno frequente. Nell Europa continentale e in quella meridionale l occu-

15 71 pazione femminile dei gruppi di età più giovani sta rapidamente avviandosi a raggiungere le medie dei paesi dell Europa settentrionale. Oggi la partecipazione dei lavoratori con alta qualificazione supera di circa 15 punti percentuali il parametro del 70% fissato a Lisbona, indipendentemente dalle caratteristiche del regime di welfare. Sono le opportunità di impiego dei gruppi meno qualificati a essere seriamente indebolite, e ciò è dovuto al cambiamento tecnologico piuttosto che all internazionalizzazione dell economia. Figura 4 - Tasso di occupazione delle donne in età compresa tra i 15 e i 64 anni Anton Hemerijck 90,0 80,0 70,0 60,0 50,0 Svezia Germania Regno Unito Italia Paesi Bassi 40,0 30, Fonte: Ocse, Oecd Labour Force Statistics. 5.Perché è necessario riformare il welfare La riforma del welfare non è un processo semplice. Le misure correttive sono difficili ma, di fronte al protrarsi dei fallimenti politici, vengono definite e implementate sul terreno della competizione politica. Inoltre la riforma del welfare è un processo politico fortemente riflessivo e ad alta intensità di conoscenza. Ne consegue, in questa prospettiva, che il welfare state va inteso come un sistema «evolutivo», i cui obiettivi, propositi, funzioni e istituzioni cambiano nel tempo, anche se in modo lento e imperfetto. Mentre nei due decenni passati le

16 72 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA riforme sono state realizzate soprattutto sulla base delle lezioni tratte dall esperienza e dalle crisi prodottesi nei singoli paesi, più di recente si è tenuto conto delle acquisizioni sociali derivanti dal confronto tra i diversi paesi nel contesto dell Unione europea. I processi di riforma della politica sociale, in quanto tali, non possono essere ridotti a mere giustificazioni politiche dei cambiamenti di equilibrio tra i poteri e tra gli interessi. Nel tentativo di cogliere questo sforzo globale di riscrivere il contratto sociale postbellico, soprattutto a partire dagli anni 90, negli ultimi anni Maurizio Ferrera, Martin Rhodes ed io ci siamo orientati verso il concetto multidimensionale di «ricalibratura» del welfare, a scopi sia euristici sia prescrittivi (Ferrera, Hemerijck e Rhodes, 2000; Ferrera e Hemerijck, 2003)1. La nozione di ricalibratura del welfare vuole suggerire una forma estensiva di ridefinizione, che produce un nuovo modello di welfare state nelle quattro dimensioni fondamentali della ricalibratura: funzionale, distributiva, normativa e istituzionale. La domanda chiave a proposito di ricalibratura del welfare è: che tipo di «nuova architettura del welfare» è compatibile con la competitività internazionale, la trasformazione della vita lavorativa, l abbandono dei modelli tradizionali di famiglia, l invecchiamento della popolazione e l austerità di bilancio? In questa prospettiva le decisioni di riforma passano attraverso, e si basano su, giudizi cognitivi, normativi, distributivi e istituzionali su come migliorare i risultati delle politiche in condizioni di cambiamento ambientale strutturale. Ciascuna delle quattro dimensioni della ricalibratura del welfare richiede un approfondimento. La ricalibratura funzionale ha a che fare con i rischi sociali da cui il welfare state cerca di proteggere i propri cittadini. La necessità di ricalibratura funzionale è spesso descritta in termini di passaggio dai «vecchi» ai «nuovi» rischi sociali che le persone devono affrontare per effetto della transizione dalla società industriale basata sul modello del maschio percettore di reddito alla società post-industriale basata sul modello della famiglia «bi-reddito». Il cambiamento tecnologico «skillbiased» (che privilegia la richiesta di lavoratori qualificati, n.d.t.), la femminilizzazione del mercato del lavoro e l invecchiamento della popolazione dovuto all aumento dell aspettativa di vita e alla rapida diminuzione dei tassi di natalità, sono i principali fattori che determinano il profilo dei nuovi rischi della società post-industriale. Di fronte all invecchiamento della popolazione e in una situazione di forza lavoro 1 Il termine «ricalibratura» ci è stato suggerito da Jonathan Zeitlin.

17 73 declinante, nessuno può essere lasciato per lungo tempo inattivo. Inoltre il ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e l uscita anticipata dei lavoratori più anziani, assieme a una più alta aspettativa di vita, contribuiscono a esporre il welfare state al deficit finanziario. Tutti i sistemi di welfare europei hanno intrapreso un processo di allontanamento dal modello basato su un unico percettore di reddito/prestatore di cura, secondo il quale le madri devono restare a casa con i figli, verso un modello di «impiego per tutti», secondo il quale le madri devono entrare nella forza lavoro. Questa transizione, che Ann Orloff definisce «addio alla maternità», non è solo effetto del cambiamento dei valori di genere (ricalibratura normativa). È anche parte di una più deliberata strategia dei responsabili politici atta a far fronte all invecchiamento della popolazione, attirando le donne nelle forze di lavoro attraverso la creazione di programmi, agevolazioni fiscali, la regolazione dell impiego part-time e l espansione dei servizi alle famiglie (Orloff, 2006). I nuovi rischi sociali, che riguardano sia la vita familiare sia il mercato del lavoro, estendono l esigenza di una ricalibratura funzionale dall assicurazione contro la disoccupazione, la malattia, l invalidità e la vecchiaia ai servizi per la famiglia, allo scopo di accrescere simultaneamente le opportunità di impiego per le donne e i tassi di natalità. La ricalibratura distributiva ha a che vedere con il ri-equilibrio della fornitura di protezione sociale tra le clientele politiche, gli interessi degli stakeholders e le risorse pubbliche e private. Molti dei cosiddetti «nuovi rischi sociali», come la formazione di una famiglia, il divorzio, la crescente dipendenza degli anziani dall assistenza, il declino della fertilità e l accelerazione dell invecchiamento della popolazione, pesano soprattutto sui giovani e sulle famiglie giovani, determinando uno spostamento dei rischi sociali dagli anziani ai giovani. Ma coloro che sostengono il peso dei nuovi rischi sociali hanno scarsa influenza sul piano politico e su quello sociale. La loro capacità di esercitare una pressione elettorale ed extra-parlamentare è limitata dal fatto che, per la maggior parte di loro, l esposizione ai nuovi rischi sociali è una fase transitoria del corso di vita familiare, legata all allevamento dei figli, all assistenza agli anziani, all ingresso e all uscita dal mercato del lavoro (Taylor-Gooby, 2004). La ricalibratura normativa ha a che vedere con le norme e i valori richiamati dai dilemmi che emergono nella ricerca di proposte politiche efficaci dal punto di vista funzionale, ed eque dal punto di vista distributivo. Il fulcro normativo del welfare postbellico era costituito dalla Anton Hemerijck

18 74 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA tutela delle persone vulnerabili e dall impegno per impedire che le persone svantaggiate divenissero vulnerabili. Dal punto di vista politico, più le proposte di riforma alterano l equilibrio distributivo tra i gruppi e gli interessi costituiti, più diventa importante proporre impianti e argomentazioni normative capaci di promuovere l agenda della riforma come progetto «a somma positiva», giustificando cioè la riforma sulla base dei suoi «fondamenti morali» (Vandenbroucke, 2002). Il fulcro normativo della politica sociale si sposta così dalla compensazione ex post in direzione dell occupabilità ex ante o preventiva. La ricalibratura istituzionale ha a che vedere con la riforma dell architettura delle istituzioni, dei livelli di decisione politica e della governance della politica economica, che chiama in causa anche le responsabilità individuali e congiunte degli individui, degli Stati, dei mercati e delle famiglie. Una delle caratteristiche istituzionali peculiari del welfare state europeo è la sua natura pubblica legalistica: la responsabilità di assicurare la solidarietà e la coesione sociale ricade fondamentalmente sui governi nazionali (cioè centrali) per quanto riguarda la formazione, il finanziamento, l amministrazione e la realizzazione delle politiche. Negli ultimi anni diversi sviluppi hanno messo in discussione questo edificio Stato-centrico del welfare state una sfida spesso rappresentata dalla comparsa di nuove forme di «governance» che vanno oltre i limiti del tradizionale Stato-nazione su base territoriale. La ridefinizione in corso del ruolo dello Stato, con riferimento alla fornitura di welfare, si manifesta in tre modi (Supiot, 2001). In primo luogo, l inevitabile insuccesso nella fornitura di beni pubblici diversificati e di servizi decentrati scatena, a sua volta, il malcontento popolare all interno del settore pubblico. Il mercato e le famiglie hanno acquisito una maggiore responsabilità e le associazioni del «terzo settore» su base territoriale sono state chiamate a fornire nuovi servizi. In secondo luogo, in una prospettiva orizzontale, si riconosce sempre più che la formazione e la realizzazione di una politica sociale efficace richiedono una governance «congiunta» tra enti governativi, agenzie pubbliche, organizzazioni del settore privato e associazioni territoriali, assieme a forme più efficaci di coordinamento tra diverse aree di intervento differenziate dal punto di vista funzionale, come l attivazione, la protezione sociale, i servizi alla famiglia e la politica della casa. In terzo luogo, le problematiche nazionali riguardanti il lavoro e il welfare hanno iniziato a intrecciarsi sempre di più, a partire da metà degli anni 80, con i processi di integrazione politica ed economica dell Europa. Negli anni più recenti l Ue è emersa come un autonoma entità sovra-

19 75 nazionale di regolazione sociale e, in una certa misura, di redistribuzione (attraverso i fondi strutturali), creando ulteriori strati di governance multilivello. 6.Il «doppio vincolo» dell Europa sociale Il risultato negativo dei referendum del 2005 sul Trattato costituzionale dell Unione europea in Francia e in Olanda è un segno delle «crescenti inquietudini» che accompagnano il passaggio da un unione diplomatica, guidata da élite, a una più ampia unione politica. Il rigetto del Trattato costituzionale da parte degli elettori francesi e olandesi ha portato alla ribalta lo scontento nei confronti della globalizzazione, il disagio dovuto all immigrazione e la resistenza alla prospettiva dell ingresso della Turchia nell Ue in un futuro prossimo, il tutto sullo sfondo di un economia stagnante nella zona euro (Wallace, 2005). Il mercato unico, l Uem, il Patto di crescita e di stabilità sono nati come riforme politiche strutturali innovative sul terreno di una cooperazione economica europea rafforzata, ponendo la crescita e la stabilità di lungo periodo su un piano potenzialmente più elevato dal punto di vista strutturale. Oggi queste riforme sono considerate sempre più come un insieme di vincoli che ostacolano la libertà di manovra nella sfera nazionale. Non c è dubbio che i paesi rimasti fuori dalla prima fase dell Uem, come il Regno Unito, la Svezia e la Danimarca, si trovano in condizioni di gran lunga migliori. Tuttavia l attuale crisi di legittimazione dell Ue non è solo una questione di performance economica, ma è piuttosto una crisi di leadership politica e di incisività delle politiche. Sin dall adozione del mercato unico, le élite politiche nazionali di destra e di sinistra sono state più che felici di aver trovato nell Ue un capro espiatorio per giustificare la necessità di riforme dolorose. In questo modo hanno alimentato il malcontento popolare nei confronti della nuova Costituzione, che le stesse élite avrebbero tuttavia finito per sostenere. Ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato pubblicamente, è impossibile tornare allo statu quo ante di un integrazione europea tecnocratica guidata da élite, con la Commissione al posto di comando, sostenuta solo episodicamente dai governi degli Stati membri. Per contrastare le tendenze delle economie politiche nazionali dell Ue all autoreferenzialità, al protezionismo e alla xenofobia che celebrano nostalgicamente i passati successi dei rispettivi sistemi di welfare nazionali i leader politici dell Ue devono sviluppare una vi- Anton Hemerijck

20 76 L IMPERATIVO DEL DEVELOPMENTAL WELFARE PER L EUROPA sione politica del progresso sociale alla quale i cittadini europei possano aderire. Senza un agenda sociale l Ue non otterrà il sostegno che occorre a livello nazionale per mettere in atto riforme assolutamente necessarie sul piano europeo. Nell attuale situazione politica di forte tensione le direttive di Bruxelles, basate sull applicazione di una stessa misura per tutti gli Stati membri, non costituiscono certamente una soluzione. L Ue dovrebbe coraggiosamente intraprendere un percorso politico bi-direzionale, seguendo un ambiziosa agenda politica messa a punto dal Consiglio europeo e dagli Stati membri. Il coordinamento della politica sociale ed economica nell Ue può essere individuato in linea generale lungo due dimensioni. In primo luogo va sottolineata l importanza dell assunzione collettiva e transnazionale del rischio, adottando una legislazione vincolante contro la competizione senza regole, attraverso il ben noto «Metodo comunitario». In secondo luogo, avendo il compito fondamentale di stabilire l agenda politica, le istituzioni dell Ue possono contribuire a individuare la natura e la portata delle principali sfide e a identificare le soluzioni politiche potenzialmente più efficaci. Sebbene la relazione tra queste due dimensioni del coordinamento politico dell Ue superi di gran lunga la semplice sovrapposizione o coesistenza, nel dibattito accademico sul futuro dell «Europa sociale» queste due forme di coordinamento politico sono molto spesso considerate alternative piuttosto che complementari. Studiosi di punta, in particolare Wolfang Streeck (1995) e Fritz Scharpf (1999), sostengono che il mercato unico e l introduzione dell Uem, alla vigilia delle successive fasi di allargamento, sono il riflesso della tendenza generale alla «crescita disuguale» delle politiche economiche e sociali dell Ue. L Uem, esempio di «integrazione positiva» mirata a correggere il mercato, non è stata capace di stare al passo con la logica dell «integrazione negativa» «rimozione delle tariffe, restrizioni quantitative, altre barriere al commercio e ostacoli alla competizione libera e priva di alterazioni» (Scharpf, 1999, pp ) orientata all espansione del mercato. Secondo questa lettura pessimistica, i sistemi di welfare europei si trovano ad affrontare una condizione di «doppio vincolo». Da una parte gli Stati membri lasceranno difficilmente cadere gli obblighi dei propri sistemi di welfare, poiché questo metterebbe a repentaglio la base politica della loro legittimazione. Dall altra gli Stati membri dell Ue si sono irreversibilmente impegnati, sin da metà degli anni 80, a portare avanti un programma pervasivo di integrazione economica europea. Di fronte a questo «doppio vin-

21 77 colo», i responsabili politici nazionali non possono tentare di venir meno alle funzioni proprie dei loro sistemi di welfare senza mettere a repentaglio le basi territoriali della loro legittimità politica, e allo stesso tempo non possono cercare di invertire il processo di integrazione economica che espone sempre più alla competizione regolatoria i loro sistemi di welfare, oggi a sovranità limitata. Il doppio vincolo pone i responsabili politici, a livello nazionale ed europeo, di fronte a uno spinoso dilemma: soluzioni comuni a livello europeo sono desiderabili, ma non sono né realizzabili né efficaci sul piano degli interessi nazionali, delle sensibilità politiche e della grande diversità dei sistemi di sicurezza sociale nell Ue a 25 membri (Scharpf, 2002). Tuttavia, se si assume una prospettiva più volontaristica, la logica del «doppio vincolo» può essere trasformata in una logica di «doppio impegno». Questo deriva da un corollario dell europeizzazione. I problemi di aggiustamento nei singoli paesi che dipendono dall integrazione economica possono provocare qualche squilibrio, spingendo i successivi round delle iniziative politiche dell Ue, sotto la pressione dei responsabili politici nazionali, ad affrontare le conseguenze indesiderate del primo round di liberalizzazioni. Tali squilibri creano lo spazio politico per «trasferire» a livello Ue le considerazioni relative alla politica sociale. Lo spettro di un welfare competitivo in chiave restrittiva, dovuto al prevalere dell «integrazione negativa», può così fungere da leva (e da risorsa intellettuale) per i politici europei e nazionali più avanzati, spingendoli a impegnarsi nel «coordinamento positivo» per ricalibrare costruttivamente i regimi di welfare nazionali e l agenda europea della politica sociale. Il consistente rilancio dei «patti sociali» che, come abbiamo accennato, ha interessato un po tutti i paesi dell Unione europea negli anni 90, costituisce un esempio della logica del «doppio impegno» a livello nazionale. Seguendo questa linea di ragionamento, Maurizio Ferrera ed Elisabetta Gualmini (2000) arrivano ad affermare che, in realtà, l Uem ha salvato il welfare state italiano dalla completa ingovernabilità. A livello di Ue, l introduzione nel Trattato di Amsterdam di un capitolo separato sull occupazione ha offerto al «doppio impegno» un nuovo spazio politico europeo. La Strategia europea per l occupazione, in seguito denominata Processo di Lussemburgo, è stata approvata a condizione che nessuna autorità nazionale sarebbe stata trasferita a Bruxelles, che non ci sarebbero stati costi aggiuntivi e che le regole dell Uem sarebbero state pienamente rispettate. Allo stesso modo, con l impegno dell Unione a diventare «l economia basata sulla conoscenza più dinamica e competi- Anton Hemerijck

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