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1 Anno XI - n Luglio / Settembre ,07 - Spedizione in Abbonamento Postale - 45% - Art. 2 comma 20/B - Legge 662/96 - Milano ISPIRelazioni Internazionali IL FUTURO DELL EUROPA E LE RESPONSABILITÀ ITALIANE L Unione europea sta attraversando un periodo che i futuri cronisti non mancheranno di definire storico. Da un lato, infatti, si appresta a realizzare in modo del tutto pacifico la sua riunificazione, accogliendo dieci e più Stati membri. Dall altro, sta ridefinendo il suo assetto istituzionale per rispondere con maggiore efficienza e prontezza alle nuove sfide che deve fronteggiare. All interno ISPI In Brief SPECIALE EUROPA Convenzione europea: riflessioni a un mese dalla chiusura dei lavori Il futuro dell Unione dopo il vertice di Salonicco Una Costituzione per l Europa tra luci e ombre L impatto della chiusura dei negoziati di adesione: il caso di Repubblica Ceca e Polonia SPECULANDO di Franco Bruni Economia globale: a disagio su un terreno cedevole DALLA RICERCA ISPI Les malentendus transatlantiques. Gli Usa, la Francia e la crisi irachena L amministrazione Bush e l America Latina La Sars in Cina: vincoli politici ed effetti economici La nuova legge sugli investimenti diretti esteri in Turchia Politica valutaria e riforme economiche in Iran ATLANTE Argentina SPECIALE CARRIERE INTERNAZIONALI IN NETWORK CON ISPI: VILLA VIGONI ISPI DA LEGGERE ALUMNI DIRETTORE RESPONSABILE Franco Bruni COMITATO EDITORIALE Franco Bruni, Paolo Magri, Franco Zallio di Boris Biancheri La Convenzione di Giscard d Estaing ha abbozzato un testo di Costituzione europea che ha suscitato molte critiche da parte sia di chi si dichiara euroscettico sia dei più convinti federalisti. I capi di Stato e di governo hanno definito tale testo come punto di partenza della prossima Conferenza intergovernativa e iniziano già a pensare alle modifiche da apportare. È evidente che il giudizio sul documento della Convenzione sia differente a seconda delle aspettative che vi si riponevano, ma in ogni caso è auspicabile che sui passi avanti compiuti non si torni indietro. Difendere questo documento non implica una sua accettazione acritica, tuttavia le proposte alternative possono essere recepite solo se vanno nella direzione di migliorare la Costituzione permettendo all Unione a 25 o 30 Stati membri di poter funzionare bene. L Italia ha certamente una grande responsabilità, perché sotto la sua presidenza si darà avvio alla Conferenza intergovernativa e si dovrà mediare su posizioni ancora distanti (come nei casi della politica estera, della sicurezza e della fiscalità), in un momento in cui non mancano venti sfavorevoli che soffiano sia dall interno dell Unione sia dall esterno. L agenda della presidenza italiana è ricca: creare maggior consenso sui temi delle riforme istituzionali, rendere il continente europeo sempre più attore chiave nel contesto internazionale attraverso la ricerca di una nuova partnership con gli Usa, assunzione di precise responsabilità per contribuire alla risoluzione della questione mediorientale, maggiore attenzione all ormai drammatica situazione dei flussi migratori e così via. L Ispi segue da vicino questo complesso contesto internazionale con particolare riferimento alle questioni europee attraverso una pluralità di iniziative di studio, informazione e formazione. Tra maggio e giugno sono stati infatti promossi una serie di eventi incentrati sia sui lavori della Convenzione sia sui temi da includere nell agenda della presidenza italiana. Tali attività proseguiranno per tutta la durata del semestre di presidenza coinvolgendo personalità di rilievo del mondo politico, accademico, imprenditoriale e dei media. ISPI - Relazioni Internazionali 1

2 SPECIALE EUROPA Convegno HEARING FROM EUROPE 27 PAESI A CONFRONTO PER PARLARE DI UNIONE La chiusura dei lavori della Convenzione e il prossimo avvio della Conferenza intergovernativa rendono il 2003 un anno da segnare nel calendario della storia europea. È infatti in questi mesi che verranno definiti i limiti e le modalità di funzionamento dell Europa allargata. Tuttavia molte domande sul futuro dell Unione rimangono ancora senza risposta e il senso di distanza tra i cittadini e le complesse Istituzioni comunitarie continua a crescere. Ascoltare le voci non solo dei politici ma anche di quanti lavorano nel contesto europeo e della gente comune diviene dunque una necessità impellente. A tal fine l Ispi ha partecipato a Hearing from Europe, un importante evento promosso dall associazione Friends of Europe per la discussione ad ampio spettro di queste tematiche. Di vero e proprio evento si può parlare perché dal 23 al 27 giugno si sono tenuti una serie di convegni che hanno coinvolto ben 27 paesi europei e circa 100 personalità di rilievo. Ogni convegno ha previsto il coinvolgimento in videoconferenza di 4 o 5 paesi e la presenza di un politico di spicco, un esponente della business community, un rappresentante della società civile e un giornalista, nonché di un keynote speaker. Il convegno promosso dall Ispi e Tavola rotonda DIBATTITO SULL'ALLARGAMENTO CON I PARTNER DI RICERCA DELL'ISPI NEI PECO Nell ambito del progetto Prince Communication on Enlargement, si è svolta lo scorso 15 maggio presso Palazzo Clerici la tavola rotonda dal titolo Convergence Prospectives for Current and Future Member States of the EU. La conferenza ha visto il coinvolgimento di studiosi degli istituti di ricerca dei Peco con cui l Ispi collabora: Michaela Gajdosova della Slovak Academy of Sciences, Kálmán Dezséri dell Hungarian Academy of Sciences, Paolo Ruspini della Warwick University e Fondazione per le Iniziative e lo Studio sulle Multietnicità, Kaloyan Simeonov della Charles University e Jose Noguera della Warsaw University. Hanno inoltre partecipato all evento, moderato da Lucia Tajoli, professoressa del Politecnico di Milano e senior research fellow Ispi, Aloizy Nowak, senior expert del Consiglio dei ministri della Bulgaria, e Alois Steinbichler, Head of Strategy and International Relations, Foreign Bank & New Growth Division, UniCredito Italiano. Il dibattito è stato focalizzato sul complesso processo di convergenza in atto nei paesi entranti nell Unione europea: sebbene infatti questi ultimi abbiano soddisfatto i criteri di adesione, sono ancora lontani dagli standard europei economici e sociali e dunque l integrazione nel sistema Ue potrebbe rivelarsi più difficoltosa del previsto. La conferenza è stata anche l occasione per mettere a fuoco i risultati di una ricerca in corso di pubblicazione con Egea, vedi Ispi da leggere p. 38 sui vari aspetti della convergenza fra i membri attuali dell Unione e cinque di quelli futuri (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria) condotta dall Istituto con i cinque istituti partner dell Est Europa. Friends of Europe in collaborazione con la Compagnia di San Paolo, con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea e con il sostegno dell Ufficio di Milano del Parlamento europeo nell ambito del progetto Prince-Communication on Enlargement si è svolto il 25 giugno scorso a Torino in videoconferenza con Belgio, Repubblica Ceca, Svezia e Lussemburgo. Il dibattito è stato moderato dal commissario europeo per l Ambiente Margot Wallström e dal segretario generale di Friends of Europe Giles Merritt collegati dalla Biblioteca Solvay di Bruxelles. Da parte italiana hanno partecipato Gianni de Michelis, già ministro degli Affari Esteri, Boris Biancheri, presidente dell Ispi, Mario Deaglio, professore dell Università degli Studi di Torino e Fabio Galvano, giornalista de La Stampa. Tra i temi sui quali il dibattito si è maggiormente incentrato vanno sottolineati la partecipazione dei parlamenti nazionali all iter legislativo comunitario, la leadership in Europa, la governance economica e il ruolo dell Unione in ambito internazionale. Ampio spazio è stato inoltre riservato alla discussione con il pubblico presente nei diversi paesi, che, grazie a questo format, ha potuto rivolgere domande a tutti i relatori coinvolti. A seguito di un accordo con Deutsche Telekom, tutti i convegni sono stati inoltre trasmessi in diretta su Internet con qualità televisiva mediante trasmissione satellitare. In tal modo si è cercato di dare la massima visibilità a un iniziativa unica in Europa per il prestigio dei relatori coinvolti e per l ampiezza del pubblico raggiunto. 2 ISPI - Relazioni Internazionali

3 SPECIALE EUROPA Tavola rotonda IL RUOLO DEI PAESI FONDATORI NEL FUTURO DELL UE Il 17 giugno scorso si è tenuta presso Palazzo Clerici la tavola rotonda dal titolo L Europa a una svolta storica: la prospettiva di un nucleo federale in un Unione allargata. Il ruolo dell Italia e dei paesi fondatori, a cui hanno partecipato Cristiana Muscardini, membro del Parlamento europeo e della Convenzione, Giorgio Napolitano, presidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, l ambasciatore Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera, Francesco Rossolillo, presidente dell Unione europea dei federalisti e l ambasciatore Boris Biancheri, presidente dell Ispi, in qualità di moderatore. L incontro è stato organizzato nell ambito del ciclo L Italia e il futuro dell Europa parte del più ampio progetto Prince Communication on Enlargement che l Ispi ha avviato nel novembre 2002 in collaborazione con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea e con il sostegno dell Ufficio di Milano del Parlamento europeo. Il testo, elaborato dalla Convenzione in un periodo molto difficile per l Europa vedi il rafforzarsi dei nazionalismi e dei localismi, l umore negativo dell opinione pubblica nei confronti dell euro, i difficili rapporti transatlantici, e il ruolo che i paesi fondatori potranno avere in questa fase cruciale sono stati al centro del dibattito. Secondo Giorgio Napolitano l obiettivo politico del processo d integrazione europea era già evidente nella Dichiarazione Schuman del 1950: nella creazione dell Alta Autorità della Ceca si può infatti chiaramente rintracciare l intenzione di creare istituzioni che fossero indipendenti dai governi e che perseguissero l interesse comune, ha affermato Napolitano. Secondo l onorevole i progressi della Convenzione proprio sul piano politico sono stati troppo lievi, infatti il ruolo della Commissione è risultato indebolito dalla proposta di un presidente a tempo pieno del Consiglio. Tale risultato è stato invece considerato inevitabile e per certi versi positivo da Sergio Romano. Questo organo doveva avere una rappresentanza e l ipotesi della rotazione della presidenza ogni sei mesi in un Unione a 25 o più membri non era percorribile, ha spiegato l ambasciatore. L altro elemento della Convenzione che ha sottolineato Romano è stata la scelta di creare un ministro degli Esteri europeo: anche se non è stato ancora definito se la politica estera e di difesa sarà decisa a maggioranza o all unanimità, la creazione di tale figura è di estrema importanza. Cristiana Muscardini, che in generale ritiene sia stato raggiunto quanto era realisticamente possibile, ha tuttavia evidenziato su questo tema le difficoltà e le ambiguità che potrebbero derivare dal fatto che il ministro degli Esteri europeo dovrà rispondere sia al Consiglio sia alla Commissione. Le critiche di Francesco Rossolillo a questo proposito sono state invece più aspre: fino a quando la sovranità degli Stati rimane più o meno intatta l unico vero collante dell Unione è l unanimità, nel caso per esempio della crisi irachena un ministro degli Esteri europeo sarebbe stato senz altro del tutto impotente. Formazione LA SECONDA EDIZIONE DELLA EUROPEAN YOUTH SCHOOL DI CARPI Dopo la positiva esperienza dell anno passato, il Comune di Carpi ha voluto organizzare anche nel 2003 la European Youth School (Eys), un corso rivolto a studenti universitari della durata di una settimana (5-10 maggio), dedicato ai temi europei e realizzato con il coordinamento scientifico dell Ispi e il sostegno della Regione Emilia Romagna e della Commissione europea. Il corso ha registrato la partecipazione di circa 100 studenti provenienti da università non solo europee ma anche di Stati extraeuropei come Messico, Canada e Armenia. I temi affrontanti durante il corso hanno toccano alcuni tra gli aspetti più delicati della nuova Europa. Un attenzione particolare è stata ovviamente dedicata alle riforme istituzionali e alla redazione della Costituzione europea; a questo proposito sono stati trattati il modello federale e quello confederale, la complessa questione dell attribuzione delle competenze, la Carta europea dei diritti fondamentali e l efficienza del processo decisorio nell Ue. L allargamento dell Unione è stato l altro tema di grande attualità che è stato analizzato congiuntamente alle politiche europee verso l area mediterranea. Sono stati inoltre organizzati, in collaborazione con il Polo interuniversitario Jean Monnet di Modena e Reggio Emilia, altri due filoni di approfondimento: uno dedicato al Mercato unico e alla competizione e liberalizzazione dei settori industriali; l altro incentrato sulla stabilità macroeconomica e sul Patto di stabilità. Il successo dell iniziativa è stato testimoniato non solo dall elevata partecipazione degli studenti, ma anche dalla soddisfazione manifestata da questi ultimi alla fine del corso. La Eys è stata infatti un occasione di vivere in prima persona l importanza di trovarsi insieme in un Europa sempre più unita. ISPI - Relazioni Internazionali 3

4 Convegno MILANO CON L AFRICA IL RUOLO DELLE CITTÀ NEI PROGETTI DI COOPERAZIONE Il 10 e 11 aprile scorsi si è tenuto a Palazzo Clerici il convegno internazionale dal titolo Milano con l Africa. Il ruolo delle città nei progetti di cooperazione promosso dal Comune di Milano in collaborazione con l Ispi e altri istituti e centri di ricerca direttamente impegnati nel continente africano, e in particolare nella regione sub-sahariana: la fondazione Giordano dell Amore, il Cespi, l Istituto di Zootecnica e l Istituto di Malattie Infettive e Tropicali dell Università degli Studi di Milano. L evento si è proposto non soltanto di censire i progetti di cooperazione decentrata realizzati dalle varie realtà milanesi, ma anche di sottolineare il ruolo della città quale sistema territoriale con un forte commitment verso i temi della solidarietà, oltre a quello ben noto verso il mondo dell economia. La conferenza si è aperta con una sessione plenaria che, da una parte, ha presentato le principali sfide e opportunità legate al continente africano e, dall altra, ha contestualizzato l impegno delle autonomie locali in tale scenario. La sessione introduttiva ha visto la partecipazione di importanti personalità politiche italiane e di paesi africani, tra cui Gabriele Albertini, sindaco di Milano, Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri, Linah Mohohlo, governatore della Banca centrale del Botswana e Joseph Nsengimana, consigliere presidenziale per la Cultura del Rwanda, nonché di rappresentanti del mondo delle Organizzazioni internazionali, quali il segretario dell Unione africana Amara Essy, il vicedirettore generale dell Unido Haruko Hirose e il vicedirettore generale della Fao Manfredo Incisa di Camerana. Il giorno seguente i lavori si sono invece articolati in sessioni parallele: Sicurezza alimentare: un diritto improrogabile (a cura dell Istituto di Zootecnica dell Università degli Studi di Milano); Epidemie e società: interventi necessari, interventi possibili (a cura dell Istituto di Malattie Infettive e Tropicali dell Università degli Studi di Milano); Piccole imprese in Africa: servizi reali e finanziari (a cura della fondazione Giordano dell Amore ); La cooperazione decentrata italiana verso l Africa sub-saha- Manfredo Incisa di Camerana, vicedirettore generale Fao; Linah Mohohlo, governatore Banca centrale del Botswana; Joseph Nsengimana, consigliere presidenziale per la Cultura in Rwanda riana e Rapporti tra cooperazione decentrata, governi nazionali e organismi internazionali: programmi e modalità di finanziamento (a cura del Cespi). Durante la sessione conclusiva i rapporteur delle sessioni parallele e dei workshop hanno presen- Gabriele Albertini, sindaco di Milano tato i risultati principali del dibattito e hanno consegnato all assessore Carrubba un documento congiunto, focalizzato sugli strumenti che il sistema territoriale di Milano può mettere a disposizione della cooperazione decentrata. Il documento sottolinea inoltre cinque linee prioritarie d azione: capitalizzare le potenzialità della cooperazione decentrata per lo sviluppo locale in Africa; rafforzare il coordinamento tra i comuni metropolitani e le istituzioni nazionali, le Organizzazioni internazionali e le amministrazioni locali; sviluppare una politica di partenariati con le città africane; concentrare gli sforzi su tre temi prioritari: la promozione del tessuto socio-economico dell Africa sub-sahariana; il sostegno alle infrastrutture e ai servizi pubblici a livello locale; e infine il rafforzamento delle istituzioni a livello locale; superare l approccio per progetti a favore di un approccio per processo che si traduca in programmi da inquadrare nelle politiche economiche e sociali del paese cooperante. Salvatore Carrubba, assessore alla Cultura e alle Relazioni internazionali del Comune di Milano; Alberto Michelini, rappresentante personale del presidente del Consiglio per l Africa; Robert Fowler, ambasciatore del Canada in Italia (Sherpa G8 per il Nepad); Alfredo Mantica, sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri 4 ISPI - Relazioni Internazionali

5 Tavola Rotonda IL RUOLO DELLE GRANDI POTENZE NEL CONTROLLO DEL MONDO Condannati all egemonia? Il ruolo delle grandi potenze nel controllo del mondo questo il titolo della tavola rotonda promossa dall Ispi lo scorso 28 maggio, a cui hanno preso parte l ambasciatore Boris Biancheri, il senatore Livio Caputo, il giornalista Antonio Gambino e Marta Dassù, direttore di Aspenia. Il dibattito ha preso spunto dalla presentazione dell edizione italiana del volume La logica di potenza di John Mearsheimer (Università Bocconi Editore), politologo dell Università di Chicago ed esponente di spicco del neorealismo politologico. Si tratta di un testo che è mosso da un aspirazione teorica alta, ovvero la ricerca di regolarità storiche nella vita internazionale e l elaborazione di strumenti esplicativi (e anche prescrittivi) validi in qualsiasi congiuntura internazionale. I presupposti su cui si basa la teoria di Mearsheimer sono quelli propri del realismo classico: la concettualizzazione della vita internazionale come anarchia hobbesiana ; il principio secondo cui l insicurezza generata dalla situazione anarchica produca di per sé incentivi alla ricerca di potenza; l idea dell inestirpabilità delle pratiche competitive tipiche della politica di potenza e del conflitto armato tra gli Stati; la pronunciata sfiducia nelle istituzioni internazionali come attori autonomi nella vita internazionale; infine la sostanziale irrilevanza delle caratteristiche interne degli Stati per quanto concerne le loro condotte internazionali. L aspro realismo di Mearsheimer di fatto approda a esiti prescrittivi per molti versi distanti dall attuale agenda politica americana e proprio su questo punto si è acceso un intenso dibattito tra i relatori del panel. La teoria proposta da Mearsheimer è effettivamente utile per valutare la politica estera americana e, più in generale, il comportamento degli Stati sulla scena internazionale? L esportazione della democrazia è davvero una strategia fallimentare perché solo l approccio del realismo aggressivo vale a dire ricerca dell egemonia nella propria regione e politica di balancing indiretto nelle altre regioni è l unico in grado di assicurare l assoluta invulnerabilità? A breve-medio termine l ascesa di competitor globali è veramente così impro- Terminerà il prossimo mese di luglio con la tradizionale cerimonia di chiusura e la consegna dei diplomi l edizione 2002/2003 del Master in International Affairs (Mia) dell Ispi. A giugno si sono svolte infatti le prove finali, con le quali si è concluso il terzo modulo del Mia, caratterizzato da una specializzazione ancora maggiore dei contenuti dei due percorsi: nonostante siano state mantenute alcune lezioni comuni del core curriculum in particolare l International Chair di diritto del professor Thomas Heller della Stanford University e di storia del professor Sir Lawrence Freedman del King s College di Londra il percorso Carriera Diplomatica ha infatti sviluppato gli argomenti delle prove scritte del Concorso per la carriera diplomatica, mentre il percorso Carriere Internazionali ha previsto l approfondimento di temi specifici, quali le politiche comunitarie, le aree di azione delle Organizzazioni internazionali, il Project Cycle Management, il Nation Building, il Peacekeeping. All inizio di maggio alcuni studenti hanno inoltre partecipato a Ginevra al Wto Joint Seminar organizzato da un network babile? L unica area che rimane problematica nel medio-lungo periodo è effettivamente l Asia, in particolare la Cina, mentre l Ue non ha alcuna chance di controbilanciare lo strapotere americano? Questi alcuni dei molti aspetti presi in considerazione durante il convegno. Formazione IL MASTER IN INTERNATIONAL AFFAIRS 2002/2003 VOLGE AL TERMINE internazionale di istituzioni formative in International Affairs di cui il Mia fa parte. Gli studenti dell Ispi si sono trovati quindi accanto a quelli di Sciences Politiques (Francia), dell Institute Universitaire des Hautes Etudes Internationales (Svizzera), della St. Petersburg University (Russia), della Stockholm School of Economics (Svezia) e dell Universitët Sankt Gallen (Svizzera). Nel corso delle due giornate sono stati presentati i paper prodotti dagli studenti selezionati dalle scuole europee e si è discusso di diverse tematiche: Services Negotiations, Regionalism and Multilateralism, Accession Countries, Dispute Settlement, Wto and the Environment, Trade and Development. Nel periodo da luglio a settembre gli studenti del percorso Carriere Internazionali partiranno per stage presso Organizzazioni internazionali e Ong, in Italia o all estero, mentre gli studenti del percorso Carriera Diplomatica ultimeranno la preparazione del Concorso del ministero degli Affari Esteri che, per la prima volta quest anno, prevederà alcune prove attitudinali preliminari. Per informazioni: ISPI - Relazioni Internazionali 5

6 Summer School AL VIA LA TERZA EDIZIONE A maggio si è conclusa, con i corsi Il Mediterraneo tra cooperazione e conflitto, L allargamento dell Unione Europea e Management delle Ong: le risorse finanziarie, la terza edizione della Winter School dell Ispi che quest anno ha visto l attivazione di 27 corsi brevi, frequentati complessivamente da più di 500 partecipanti provenienti da tutta Italia. Dopo aver terminato la rassegna invernale di formazione, l Istituto ha aperto il consueto appuntamento estivo della Summer School, che propone 25 corsi intensivi, della durata di una settimana, articolati in numerose aree tematiche di approfondimento (vedi box sotto). I corsi, che si svolgeranno nella 3ª e 4ª settimana di luglio e nella 1ª di settembre, intendono offrire la possibilità a laureandi, laureati e giovani professionisti di trattare i diversi temi internazionali con un approccio interdisciplinare e di acquisire, attraverso una didattica interattiva, gli strumenti necessari per ulteriori approfondimenti. Nell area Sviluppo, che si occupa dell analisi degli attori e degli strumenti dello sviluppo, sono previsti, oltre ai corsi classici, approfondimenti specifici ed estremamente attuali, come Microfinanza: strumento per lo sviluppo, Digital divide e sviluppo, Ambiente ed economia. Nell area European Affairs troviamo corsi che affrontano gli aspetti economici e istituzionali legati al futuro dell Unione europea, come Allargamento dell Ue, Il futuro dell Ue fra costituzione europea e riforma delle istituzioni, ma anche Ue e sviluppo, che intende affrontare l Unione come attore dello sviluppo. Sono presenti anche numerosi corsi del settore Aiuti Umanitari, tra cui il corso, organizzato in collaborazione con Médécins sans Frontières, Gli interventi sanitari in contesti di emergenza e il corso Gli interventi di Nation Building delle Nazioni Unite, che affronta il tema attualissimo della ricostruzione istituzionale dei cosiddetti Failed States. Sono previsti, infine, approfondimenti più tipicamente legati alle tematiche di relazioni internazionali, come il corso Islam: politica, cultura e società e il corso La grand strategy americana per il XXI secolo, che interpreta un dibattito molto sentito nel mondo politico e nell opinione pubblica internazionale. I CORSI PROPOSTI luglio Globalizzazione e povertà (coordinamento: dott. Antonio Villafranca, Ispi) I diritti dell uomo nel terzo millennio (coordinamento: prof. Alberto Malatesta, Università di Castellanza) Islam: politica, cultura e società (coordinamento: prof. Riccardo Redaelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) Microfinanza: strumento per lo sviluppo (coordinamento: dott. Fabio Malanchini, Microfinanza Ltd) Ambiente ed economia: lo sviluppo sostenibile (coordinamento: prof. Gabriele Caiati, Università degli Studi di Milano) European Affairs: il futuro dell Unione fra Costituzione europea e riforma delle Istituzioni (coordinamento: dott. Antonio Villafranca, Ispi) Cooperazione bilaterale (coordinamento: dott. Eduardo Missoni, Università Bocconi) luglio Commercio equo solidale e sviluppo (coordinamento: prof. Francesco Passarelli, Università degli Studi di Teramo e Università Bocconi) Gli interventi sanitari in contesti di emergenza (coordinamento: dott. Loris Defilippi, Médécins sans Frontières) Ong e sviluppo (coordinamento: dott.ssa Maria Cristina Negro, Intervita Onlus e Ispi) Unione europea e sviluppo (coordinamento: dott. Massimo Marra, Università Bocconi) Digital Divide e sviluppo (coordinamento: dott.ssa Matilde Ferraro, Alisei) I progetti di assistenza ai rifugiati (coordinamento: dott. Sandro Tucci, Ispi) La grand strategy americana per il XXI secolo (coordinamento: prof. Alessandro Colombo, Università degli Studi di Milano) L allargamento dell Unione europea: aspetti sociopolitici ed economici (coordinamento: prof. Mario Nava, Commissione europea e Università Bocconi) Project Cycle Management (coordinamento: dott. Javier Schunk, Servizio Formazione Iris) 1-5 settembre Gli interventi di aiuto umanitario (coordinamento: dott. Gianni Rufini, Fields) Microeconomia corso base (preparatorio al Master in International Affairs) (coordinamento: prof. Marco Merelli, Università Bocconi) Ong e sviluppo (coordinamento: dott.ssa Maria Cristina Negro, Intervita Onlus e Ispi) Povertà e sviluppo (coordinamento: dott. Marco Missaglia, Università degli Studi di Pavia) Diritto privato e costituzionale (corso preparatorio al Master in International Affairs) (coordinamento: prof. Marco Pedrazzi, Università degli Studi di Milano) Gli interventi di Nation Building delle Nazioni Unite (coordinamento: dott. Paolo Magri, Ispi e Università Bocconi) Management degli Interventi Umanitari (coordinamento: dott. Gianni Rufini, Fields) Project Cycle Management (coordinamento: dott. Javier Schunk, Servizio Formazione Iris) 6 ISPI - Relazioni Internazionali

7 ISPIRelazioni Internazionali SPECIALE EUROPA continua da pag. 1 CONVENZIONE EUROPEA: RIFLESSIONI A UN MESE DALLA CHIUSURA DEI LAVORI Nei mesi appena precedenti la chiusura dei lavori della Convenzione europea il confronto su quale sarebbe stato o quale avrebbe dovuto esserne l esito è stato molto intenso. A tale dibattito ha preso parte anche l Ispi con molteplici iniziative, tra le quali la tavola rotonda dal titolo Quale Europa dalla Convenzione europea tenutasi il 9 maggio scorso, nel giorno del 53 anniversario della Dichiarazione Schuman. La conferenza, moderata da Franco Bruni, docente di Teoria e politica monetaria internazionale presso l Università Bocconi nonché direttore scientifico dell Ispi, ha preso spunto dalla pubblicazione di due saggi dedicati all Europa e ai problemi connessi alla sua evoluzione istituzionale: Europa politica. Il difficile approdo di un lungo percorso (edito da Donzelli Editore) di Giorgio Napolitano, presidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo e L allargamento dell Unione Europea (edito da Il Mulino) di Enrico Letta, parlamentare italiano e segretario generale Arel. Il panel dei relatori era composto, oltre che dai due autori, dal commissario europeo alla Concorrenza Mario Monti e dall allora direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli. Franco Bruni, introducendo il dibattito, ha sottolineato che un Europa unita e forte è necessaria per uno sviluppo globale che sia equilibrato e fertile sul piano politico, civile, economico e culturale. Una volta pensavo che la costruzione europea fosse una necessità e un beneficio per i singoli paesi membri, soprattutto per l Italia, oggi sono quasi più portato a vedere l Europa come un esigenza del mondo, ha affermato il professore. Tale necessità, secondo Bruni, esiste anche a livello subnazionale, le regioni infatti solo in un gioco europeo possono realizzare pienamente le ragioni della loro autonomia. Eppure, scrive Napolitano a p. 24 del suo libro, quel che deve preoccupare è il rapido ridursi della parola d ordine più Europa, che sembrava condivisa e che racchiudeva in sé una direzione di marcia molto impegnativa, il cui senso originario è stato ben presto contraddetto. Bruni ha concordato con questa analisi dei fatti, ma ha sottolineato che è difficile fare bene più Europa. Dividere i compiti fra il centro e la periferia, ideare l ingegneria istituzionale con cui realizzare in modo efficiente questa assegnazione, decidere quale caratterizzazione politica e quali confini geografici e logici dare all Unione sono compiti estremamente complessi, considerando il clima politico europeo reso difficile dal ritorno dei nazionalismi e dei localismi. Quest ultimi, secondo Bruni, sono in gran parte determinati dalla mancanza di informazione sull Unione, gran parte della popolazione non ha infatti familiarità con le istituzioni e le politiche europee. Inoltre il contesto economico e politico internazionale pone ulteriori tensioni ma, ha affermato Bruni, tali difficoltà possono essere trasformate in opportunità, può essere infatti l occasione per convincere tutti che senza la forza di una maggiore unità rischiamo di essere sopraffatti dalla crisi. Anche Enrico Letta condivide l allarme e allo stesso tempo la fiducia espresse dal professor Bruni, sentimenti che di fatto accomunano i due libri spunto dell incontro. Le due pubblicazioni sono animate dalla stessa preoccupazione per la piega che le vicende europee stanno prendendo, ma esprimono anche la determinazione perché riprendano la strada giusta. Secondo Letta le riforme istituzionali si sarebbero già dovute attuare parallelamente al primo allargamento (Svezia, Austria, Finlandia) successivo alla caduta del Muro di Berlino. Di fatto però la storia degli anni 90 è stata piena di rinvii: prima a Maastricht nel 92, poi ad Amsterdam nel 97, infine a Nizza nel Questa è l ultima occasione per fare le riforme: il 1 maggio dell anno prossimo l Unione europea sarà costituita da 25 Stati e difficilmente riuscirà a fare quello che non ha realizzato con 15 membri. Letta durante l incontro ha indicato quattro questioni decisive per il futuro dell Europa che la Convenzione avrebbe dovuto analizzare nell ultimo mese di lavori e che saranno a ottobre oggetto della Conferenza intergovernativa. Innanzitutto, il voto a maggioranza, che secondo Letta dovrebbe essere applicato al maggior numero di materie possibile considerando che in un Europa a 25 l unanimità sarà difficilmente raggiungibile. Poi il tema del vertice Giorgio Napolitano, presidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo ISPI - Relazioni Internazionali 7

8 dell Unione e a questo proposito Letta ha parlato del ruolo dell Italia: il nostro paese dovrebbe oggi sostenere la posizione di una semplificazione completa, di un unica figura che coordini i lavori del Consiglio e della Commissione e che sia pertanto più democraticamente trasparente e più facilmente comprensibile dai cittadini dell Unione. Inoltre Letta ha affrontato il tema della semplificazione dei trattati, necessaria per rendere comprensibili a tutti i cittadini europei le fonti del diritto comunitario. Infine l onorevole ha toccato il punto degli strumenti per applicare una politica estera comune che anche recentemente si sono dimostrati assolutamente insufficienti. Speculando ECONOMIA GLOBALE: A DISAGIO SU UN TERRENO CEDEVOLE di Franco Bruni All inizio di luglio di ogni anno la situazione economica mondiale viene analizzata da un documento che si distingue per profondità critica ed equilibrio: la relazione della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) di Basilea. L incertezza delle prospettive che tutti avvertiamo rendono l opinione della Bri di quest anno particolarmente importante. Il nocciolo di tale opinione si riflette nel titolo dell introduzione della relazione che, nella versione inglese, suona un poco inquietante: An uncomfortable soft spot. La macroeconomia mondiale è a disagio su un terreno cedevole. Lo scenario d insieme è quello noto, dove le incertezze geopolitiche, gli squilibri delle bilance dei pagamenti, le rigidità e le debolezze strutturali, i residui protezionismi e le imperfezioni della concorrenza, le scorrettezze emerse sui mercati dei capitali, l esasperata avversione al rischio degli investitori, le insufficienze delle politiche monetarie e fiscali sono di ostacolo a una ripresa del ciclo. Su questo brutto sfondo la Bri si concentra soprattutto su due questioni cruciali: il pericolo di crisi bancarie e finanziarie e il problema della deflazione dei prezzi. La questione della stabilità finanziaria è delicata. In una fase prolungata di bassa crescita e di incertezza generale possono esplodere situazioni di illiquidità e di insolvenza di banche o altri intermediari, società di assicurazione, fondi pensione, che da episodi isolati si trasformano per propagazione in crisi sistemiche, rendendo ancor più difficile invertire l andamento della congiuntura e più probabile l avvento di gravi recessioni. In un certo senso il pericolo più grave che corre l economia mondiale è che il suo stato di debolezza si aggravi di colpo perché subentra il moltiplicatore distruttivo di una crisi del settore finanziario. Solo se questo resiste alla congiuntura avversa la speranza di ripresa può aver ragion d essere. Su tale questione la relazione della Bri, che è forse l istituzione col maggior grado di informazione e competenza in materia, è nel complesso rassicurante. Essa considera grande fonte di soddisfazione la tenuta dei sistemi bancari nella maggior parte dei paesi industrializzati. Analizza nel dettaglio le ragioni di questa tenuta e mette in evidenza, in particolare, la crescente consapevolezza con cui le banche stanno imparando a valutare e gestire i rischi della loro attività nonché il vasto consenso internazionale che si è rapidamente formato attorno a un serie di riforme della regolamentazione e della vigilanza le cui passate carenze hanno prodotto, fra l altro, sorprendenti scandali finanziari, gravi scorrettezze nelle contabilità societarie e nell informativa al pubblico, sistemi inadeguati di governo societario e di gestione dei conflitti di interesse fra i vari attori del mercato dei capitali. La soddisfazione per come le cose si stanno muovendo non deve ovviamente frenare l azione mirante a completare l opera di riforma e ad affrontare le carenze che ancora permangono. Da questo punto di vista dobbiamo augurarci che il lungo e accidentato iter della riforma della regolamentazione dei coefficienti patrimoniali delle banche (il cosiddetto Basilea 2 ) termini presto e con successo. Da Bruxelles sappiamo che anche le autorità dell Ue stanno organizzando con impegno il loro lavoro su questo fronte importante. Sui pericoli della deflazione dei prezzi la Bri è meno incoraggiante. Le statistiche mostrano chiaramente come in diverse aree del mondo il problema dell inflazione si sia capovolto nel suo contrario. E sembrano esservi molti dei presupposti perché la deflazione divenga un problema. Soprattutto perché le aspettative di deflazione deprimono la domanda di beni e servizi e perché la difficoltà di ridurre i salari assieme ai prezzi e di abbassare oltre un certo limite i tassi di interesse nominali può far salire i costi reali di produzione e accentuare il ristagno. Per gestire il pericolo di deflazione occorrono politiche economiche adeguate sia dal lato dell offerta che della domanda. E occorre soprattutto che tali politiche siano studiate e condotte in modo ben coordinato a livello internazionale. Quello della Bri è nel complesso un messaggio stimolante. Sul terreno cedevole dobbiamo muovere passi prudenti ma nel contempo coraggiosi e innovativi. L economia mondiale è diversificata ma ha gravi problemi comuni: perché esca dal suo disagio occorre che divenga più globale non solo la sua attività ma anche la sua regolamentazione e il suo governo. 8 ISPI - Relazioni Internazionali

9 Su tutti questi punti, e non solo sul secondo, Letta ha ribadito la necessità che l Italia in particolare non punti ora al compromesso ma faccia la scelta più coraggiosa, tenendo alti gli obiettivi, non solo durante la Convenzione ma soprattutto durante la Conferenza intergovernativa quando avrà la presidenza del Consiglio europeo altrimenti l esito finale delle riforme non sarà quello di cui ha veramente bisogno l Europa. Anche Napolitano ha espresso la speranza che il tradizionale europeismo italiano si rispecchi nel semestre di presidenza. Questo che viviamo è un momento di estrema importanza. ha sottolineato l onorevole Siamo tutti consapevoli della necessità di combinare una dimensione sovranazionale con una dimensione intergovernativa nel governo dell Europa unita, ma ora ci sono forze che spingono per dare maggior peso agli Stati nazionali rispetto Ferruccio De Bortoli, già direttore del Corriere della Sera alle istituzioni europee e soprattutto un paese come l Italia, che tanto ha beneficiato dall essere parte dell Unione, deve impedire un indebolimento delle istituzioni sovranazionali. A questo proposito Napolitano ha ritenuto essenziale richiamare nel suo libro e durante l incontro le origini della costruzione europea. Come emerge dalla Dichiarazione Schuman di 53 anni fa, già nella mente dei fondatori era presente l obiettivo della federazione politica, della fusione di interessi e sovranità nazionali e negli ultimi cinquant anni abbiamo assistito a uno sviluppo lineare in questa direzione: dalla semplice messa in comune di risorse e sovranità in un campo specifico (carbone e acciaio) alla costruzione di un mercato comune, fino allo straordinario traguardo Enrico Letta, parlamentare italiano e segretario generale dell Arel Mario Monti, commissario europeo alla Concorrenza di una moneta unica europea. Ora è giunto il momento che l Unione acquisti una forte fisionomia politica e democratica, che si dia una Costituzione, che assuma le sue responsabilità sulla scena internazionale: ha affermato Napolitano all integrazione economica, che ha portato crescita e benessere, si deve ora aggiungere quella politica affinché si completi la più grande impresa di pace dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre è importante tenere presente che l allargamento che costituisce un ulteriore prova del successo della costruzione europea contiene in sé anche il rischio di una diluizione dell Unione. È pertanto necessario attuare ora le riforme istituzionali che permettano di realizzare una sovranità e una capacità di azione a un livello europeo, sovranazionale. E questa ulteriore evoluzione è resa tanto più necessaria dalle sfide poste dalla globalizzazione che esigono una risposta unitaria. Secondo Ferruccio De Bortoli il modo migliore per portare avanti il dibattito sul futuro dell Europa è dialogare con coloro che temono un ulteriore integrazione senza bollarli come estremisti o nostalgici. Classificarli in tal modo non fa altro che alimentare i movimenti nazionalisti, l Europa deve invece svilupparsi avendo al suo interno anche la negazione di se stessa. Dialogare quindi innanzitutto, ma anche saper spiegare che l appartenenza europea non è in competizione o contraddizione con quella nazionale o regionale e che anzi la costruzione comunitaria, attraverso un percorso di benessere e riconoscimento, può valorizzare queste due dimensioni. Infine l intervento di Mario Monti è tornato su un punto fondamentale toccato in apertura dal professor Bruni: il ruolo di attore globale dell Europa. Anche gli Stati Uniti hanno bisogno di più Europa sul piano internazionale e in particolare della sua politica di mercato più attenta all impatto ambientale e sociale se non vuole che il Terzo mondo gli si rivolti contro, ha affermato il commissario europeo. L Europa può dare un grande contributo al governo della globalizzazione proprio perché, rispetto all America, sa coniugare l integrazione dei mercati affidata alle imprese alla necessaria governance politica, attenta alla dimensione sociale, ed è pertanto un modello più facilmente accettabile. Inoltre l ottimo potenziale dell Europa come attore globale è dimostrato dal fatto che gli Usa frenano la tentazione unilaterale e rispettano l Europa su quei pochi temi su cui l Unione ha già delle regole di decisione unitaria: l asse Washington- Bruxelles funziona infatti nel commercio, nella concorrenza e nella moneta. Per quanto riguarda la necessità di maggiore informazione ai cittadini sull Unione europea, Monti ha auspicato che la Convenzione mantenesse la regola di un commissario per ciascun paese (ndr.: la bozza presentata a Salonicco il 20 giungo scorso ha invece previsto una Commissione composta dal presidente, dal ministro degli Esteri/vicepresidente e da tredici commissari scelti in base a un sistema di rotazione paritaria tra gli Stati membri). Monti ha sostenuto che in tal modo ogni commissario avrebbe potuto spiegare, nella sua lingua natia, all opinione pubblica e ai media del proprio paese le attività e la vita dell Unione e questo sarebbe stato un ruolo molto importante, soprattutto per gli Stati che entreranno l anno prossimo. ISPI - Relazioni Internazionali 9

10 SPECIALE EUROPA IL FUTURO DELL UNIONE DOPO IL VERTICE DI SALONICCO Dopo la guerra in Iraq, la necessità di un Europa più forte che pesi di più sulla scena mondiale è maggiormente avvertita. L Europa deve infatti essere capace di aggregare realtà anche notevolmente differenti attraverso il rispetto delle diversità e la loro sintesi in un sistema istituzionale efficiente e pienamente rappresentativo. La Costituzione europea diviene quindi uno strumento essenziale per stabilire i principi e le regole di funzionamento democratico delle sue istituzioni. All indomani del vertice di Salonicco in cui i capi di Sara Cristaldi, caporedattore del Il Sole 24 Ore Stato e di governo dell Ue hanno esaminato la bozza di Costituzione europea, l Ispi ha promosso una tavola rotonda, moderata e introdotta da Sara Cristaldi, caporedattore de Il Sole 24 Ore, e da Roberto Santaniello, capo della Rappresentanza a Milano della Commissione europea, che ha visto coinvolti Carlo Secchi, rettore dell Università Bocconi, Enrico Decleva, rettore dell Università degli Studi di Milano e Luigi Campiglio, prorettore dell Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e a cui hanno partecipato numerosi studenti dei tre atenei milanesi. L incontro è rientrato nel ciclo L Italia e il futuro dell Europa, avviato dall Ispi nell ambito del progetto Prince Communication on Enlargement in previsione della chiusura dei lavori della Convenzione e dell avvio del semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo. Gli equilibri mondiali sono scossi dalla pesante crisi economica e politica in atto. ha affermato Sara Cristaldi, aprendo la tavola rotonda L Europa, in particolare, soffre di una perdita di produttività e competitività rispetto ad altri nuovi attori e per ora rimane al traino degli Stati Uniti; inoltre la sua coesione politica è stata messa a dura prova dalla lotta al terrorismo internazionale e dalla guerra in Iraq. Tuttavia, secondo la giornalista, l Europa sembra finalmente uscita dalla fase di europessimismo o euroletargo, come dimostra la velocità con cui la Convenzione ha steso la bozza di Carta costituzionale europea e l entusiasmo, soprattutto da parte dei giovani, che si riscontra nei paesi dell Europa centroorientale che il prossimo anno entreranno nell Unione. Roberto Santaniello a questo proposito ha sottolineato come, secondo i risultati dell Eurobarometro, malgrado la maggior parte dei cittadini europei, sia dei paesi membri sia dei paesi candidati, sia favorevole a una maggiore integrazione, ben il 50% degli intervistati ha ammesso di non sapere cosa sia la Convenzione. La scarsa informazione dell opinione pubblica europea è un elemento critico ha affermato Santaniello ed è per questo che stiamo organizzando molte iniziative come questa di oggi: gli sviluppi dell Unione devono essere chiari a tutti, non solo agli addetti ai lavori. Migliorare la capacità di comunicazione sulle attività e l evoluzione dell Ue è importante anche perché spesso è proprio l ignoranza ad alimentare pericolose rivendicazioni nazionaliste. Da questo punto di vista il metodo con cui è stata scritta la bozza consegnata a Salonicco è stato comunque un grande passo avanti, da cui non si potrà prescindere in futuro: per la prima volta infatti i lavori non si sono svolti nelle difficilmente accessibili stanze diplomatiche ma in modo piuttosto aperto e trasparente. Dopo il fallimento di Nizza, il Parlamento europeo ha infatti proposto di superare il vecchio metodo di revisione dei trattati attraverso una cerchia ristrettissima di diplomatici e di rappresentati, uno per ogni stato membro, senza alcun confronto democratico né pubblicità. Anche il professor Campiglio ha sottolineato il clima di ottimismo e fiducia che regna nei paesi dell Europa centroorientale ma ha tenuto a ricordare che quegli stessi paesi costituiscono per noi una frontiera importantissima: la crescita economica e la conseguente espansione dei mercati dell Est Europa potrà essere l occasione per il Vecchio Continente, e in particolare per Italia e Germania che più stanno soffrendo la crisi, di avviare la ripresa. Sono convinto che si attiverà un interazione virtuosa tra nuovi e vecchi Stati membri dell Unione e l economia potrà a quel punto sostenere e facilitare il consolidamento politico, ha affermato il prorettore della Cattolica. A proposito della Convenzione il professore si è soffermato su due punti: il primo riguarda la dimensione quantitativa della bozza, secondo Campiglio il testo è troppo voluminoso e i rischi di disapplicazione sono alti. Mi auguro quindi che alla fine emerga un testo basato su un modello costituzionale più leggero, capace di assorbire i futuri cambiamenti ; il secondo concerne il tanto discusso voto all unanimità che da alcuni viene presentato come Luigi Campiglio, prorettore dell Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 10 ISPI - Relazioni Internazionali

11 Enrico Decleva, rettore dell Università degli Studi di Milano garanzia di democrazia ma che invece spesso significa che la volontà anche di un solo Stato, magari il più arretrato, può bloccare lo sviluppo dell intera Unione. L intervento del professor Decleva ha invece posto l attuale fase di transizione in una prospettiva storica. La Seconda Guerra Mondiale ha segnato la marginalizzazione dell Europa dalla scena mondiale: certo il Vecchio Continente è stato il teatro per eccellenza dello scontro tra Unione Sovietica e Stati Uniti durante la Guerra Fredda, ma non è stato in alcun modo attore. Il 1989 ha segnato un cambiamento epocale da questo punto di vista: ha affermato Decleva l Europa ha da allora la possibilità di tornare a essere protagonista del suo futuro e di quello del mondo e l Europa che potrebbe nascere ha proseguito il professore non potrà che essere fondata su valori diversi da quelli che hanno dominato l era della Guerra Fredda, non la potenza, bensì la convivenza e la tolleranza dovrebbero infatti costituire la specificità europea rispetto alla storia del mondo. L ingresso dei nuovi Stati membri avverrà sulla base di questi valori e principi ed è molto positivo che la Carta dei diritti fondamentali di Nizza divenga parte integrante del Trattato costituzionale. Proprio l allargamento costituisce una prima, importante prova della capacità dell Europa di essere attore globale: l Unione è stata infatti in grado, attraverso la promessa dell adesione, di influenzare l evoluzione interna dei paesi candidati, sia dal punto di vista della transizione democratica sia dal punto di vista della liberalizzazione del mercato. Il problema, ha ammesso lo stesso Decleva, è come tradurre queste parole e aspirazioni in fatti concreti: la futura Carta costituzionale è ricca di possibilità e starà ai cittadini interpretarla e attuarla, ma in generale il rettore della Statale si è detto convinto che il processo in atto, nonostante le evidenti difficoltà di leadership che indeboliscono l Europa, sia in qualche modo irreversibile. Non credo in una vittoria postuma della signora Thatcher che voleva che l Europa si fermasse alla costruzione di un mercato comune, l integrazione politica avrà il suo corso. Secondo Carlo Secchi non ci si deve però aspettare dei risultati immediati, è necessario avere pazienza e, prima di compiere nuovi passi, bisogna lasciare che queste novità si sedimentino. È vero, il mondo cambia rapidamente e la globalizzazione pone sfide sempre nuove che l Europa deve dimostrare di saper fronteggiare, ma bisogna anche lasciare alle cose il tempo di maturare. Il rettore della Bocconi ha fatto l esempio dell Italia che, quando è entrata nella Comunità europea nel 57, era in una situazione non dissimile da quella che vive oggi la Polonia: allora molti erano i dubbi, eppure oggi gli enormi vantaggi derivati da quella scelta sono sotto gli occhi di tutti. Anche il tanto discusso fallimento del vertice di Nizza ha avuto in realtà conseguenze positive: non solo è grazie a esso che si sta procedendo all allargamento, ma soprattutto la fortissima delusione che ne derivò innescò il processo che ha portato all attuale Convenzione. L Unione deve ora concentrarsi, secondo Secchi, su due aspetti fondamentali: lo sviluppo del mercato interno e le opportunità offerte dalla nuova frontiera a Est. L Europa finora non ha saputo valorizzare appieno questi due potenziali punti di forza e lo scarso sviluppo economico di questi anni è da attribuirsi anche a ciò. Secchi ha quindi concordato pienamente con quanto affermato dal professor Campiglio riguardo all impulso che i paesi dell Europa centro-orientale potranno dare alla ripresa economica europea. A proposito di quest ultimi uno studente nel pubblico ha chiesto se non ci sia il rischio che all entusiasmo dei dieci paesi che entreranno nell Unione il prossimo 1 maggio non si affianchi lo Carlo Secchi, rettore dell Università Bocconi scoramento di quelli che sono rimasti fuori dall allargamento. In risposta il rettore della Bocconi ha sottolineato la necessità che tali Stati si sforzino di adeguarsi quanto prima ai criteri di Copenhagen e che continuino il processo di convergenza agli standard dell Unione. In particolare, Bulgaria e Romania, i due esclusi pro-tempore, devono impegnarsi in tal senso ed è bene ricordare che nel frattempo avranno il vantaggio di beneficiare degli aiuti economici da cui saranno invece esclusi i paesi ormai parte dell Unione. Un altro studente ha invece chiesto se e quanto i processi sociali in atto in Europa, quali ad esempio la crescente decentralizzazione produttiva e il fenomeno dell immigrazione, siano stati tenuti in considerazione durante i lavori della Convenzione. A questo proposito è intervenuto Roberto Santaniello che ha ricordato come prima dell inizio dei lavori siano state sentite le organizzazione sociali europee proprio per fare in modo che la Carta costituzionale potesse riflettere i processi sociali in atto. Purtroppo esse non hanno invece partecipato alla stesura del testo. Un altra tra le molte domande che hanno caratterizzato l intenso dibattito ha riguardato il mancato inserimento dell espressione valori giudaico-cristiani nel preambolo del testo. Il professor Decleva, pur riconoscendo l importanza della riflessione sulle nostre radici per definire un identità europea, ha però sottolineato la necessità di non perdersi in questioni di immagine ma di concentrarsi sulla sostanza delle cose. ISPI - Relazioni Internazionali 11

12 SPECIALE EUROPA UNA COSTITUZIONE PER L EUROPA TRA LUCI E OMBRE Una delle metafore più usate nelle ultime settimane in merito al documento finale della Convenzione è quella del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. In effetti i giudizi sulla bozza di Costituzione europea possono essere i più vari a seconda delle aspettative che si erano riversate su di essa. I federalisti criticano la portata decisamente limitata delle riforme proposte e la mancanza di coraggio nello spingere verso una maggiore integrazione politica. Molti euroscettici hanno invece espresso il loro malcontento verso un Unione che continua a operare in troppi ambiti, anche quando sarebbe più opportuno delegare poteri e competenze ai livelli più prossimi ai cittadini. Più che esprimere un giudizio sul documento nel suo complesso che presenta tutti i limiti e i difetti, ma anche i pregi, di un testo frutto di una lunga serie di compromessi, credo che sia più utile valutare nel concreto le varie proposte. Su alcuni punti almeno bisogna riconoscere che il lavoro della Convenzione non può che essere accolto favorevolmente. I meriti della Convenzione Il fatto stesso che il documento finale dei lavori della Convenzione sia rappresentato dalla bozza di Costituzione europea è di per sé un risultato positivo, anzi direi proprio di portata storica. Non va infatti dimenticato che in oltre cinquant anni di integrazione europea si sono registrati diversi tentativi di giungere a una Carta costituzionale, ma sono tutti falliti. La stessa Dichiarazione di Laeken non ha attribuito alla Convenzione il compito di redigere la Costituzione europea, ma quello di rivedere e semplificare i Trattati per preparare l Unione alle sfide del futuro, valutando se, eventualmente, questo avesse richiesto la redazione di una Carta costituzionale. Non si tratta di un eccesso di zelo terminologico, poiché il testo di Laeken era stato a lungo dibattuto a causa di posizioni fortemente critiche da parte di alcuni paesi, come la Gran Bretagna, che da sempre non vedono di buon occhio la redazione di una Carta costituzionale. Il fatto che la Convenzione non si sia limitata a produrre uno o più studi ma abbia deciso di redigere una vera e propria Costituzione è dunque già un successo perché radica in tutti i paesi membri la convinzione che il futuro dell Unione europea debba essere inserito nel solco tracciato dalla Costituzione stessa. Un altro merito che va riconosciuto ai membri della Convenzione è quello di essere riusciti a raccogliere in un unico documento le migliaia di disposizioni (e relative modifiche) perse tra le pagine dei Trattati che da Roma in poi si sono succeduti in Europa. Forse si poteva far meglio, con maggior chiarezza e con maggiore sintesi, ma di certo va riconosciuto l indiscutibile vantaggio di poter consultare un unico testo. A ciò va aggiunto che Giscard d Estaing è riuscito a rispettare i tempi (nonostante nelle ultime settimane si siano rincorse voci che si sarebbe chiesta una proroga), e questo è certamente positivo perché, con l allargamento alle porte, l Unione non poteva di certo permettersi di posticipare ancora le decisioni. Infine non va trascurata l importanza di essere giunti all approvazione unanime del documento finale. Questo ha senz altro comportato dei costi, perché ha dovuto far convergere su un unico testo posizioni a volte molto distanti. Il risultato è stata una Carta costituzionale senza vere proposte di radicale cambiamento (che si inseriscono piuttosto nella tradizionale cautela comunitaria), ma che hanno il pregio di essere iscritte in un documento unanime di cui difficilmente i governi potranno non tener conto. L alternativa sarebbe stata una Costituzione più rivoluzionaria ma sulla quale si sarebbe potuta raccogliere solo una maggioranza risicata (con un potere di pressione politica sui leader europei decisamente limitato) oppure, peggio ancora, una serie di diverse proposte di riforma che i governi avrebbero considerato poco più che studi accademici. Queste in sintesi sono le luci di una bozza di Costituzione europea che però nasconde tra le sue pagine varie ombre quando si analizzano nello specifico alcune proposte. I nodi irrisolti Anzitutto rimane il problema delle competenze. Affermare che qualsiasi competenza non attribuita all Unione nella Costituzione appartiene agli Stati membri ha il pregio della chiarezza ma solo a livello teorico. Nella pratica questo principio di attribuzione deve potersi concretizzare in precisi poteri e competenze da attribuire ai diversi livelli di governo e, all interno dell Unione, tra le diverse Istituzioni. Quando le competenze dell Unione non sono infatti esclusive è difficile capire secondo quali criteri esse verranno condivise. Un altro punto su cui ci si poteva attendere di più riguarda il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. La posta in gioco era sicuramente alta; bisognava porre rimedio al vertice di Nizza che per mettere d accordo tutti aveva previsto una maggioranza qualificata che imponeva tre diverse soglie: maggioranza dei paesi membri, 62% della popolazione europea e 71% dei voti del Consiglio. In queste condizioni diversi studi hanno dimostrato che l efficienza del Consiglio a 27 paesi membri misurata in termini di probabilità di passaggio di una proposta qualsiasi è di poco superiore al 2%. Se a ciò si aggiunge che su alcune materie continua a essere applicata l unanimità, il rischio di paralisi del Consiglio appare più che una semplice speculazione matematica. La risposta della Convenzione è effetti- 12 ISPI - Relazioni Internazionali

13 vamente andata nella direzione di risolvere questo problema, sia sottraendo materie all unanimità (che rimane comunque valida per la fiscalità, per la politica estera e di sicurezza, la cultura, etc.) sia introducendo una nuova maggioranza qualificata basata su due soglie (maggioranza degli Stati e il 60% della popolazione dell Unione). Avendo dunque eliminato il computo dei voti in Consiglio (che rappresentava la soglia più vincolante), l efficienza del Consiglio aumenta sensibilmente. Tuttavia per volere di alcuni Stati prima fra tutti la Spagna che con la riponderazione operata a Nizza aveva visto aumentare i propri voti di un invidiabile 238% rispetto a una media di circa 170% sulla questione non è stata presa una decisione finale e si è anzi proposto di far slittare l applicazione di queste due nuove soglie al Ciò vuol dire che prima di tale data bisognerà calcolare la maggioranza secondo le vecchie regole, e dunque il rischio di paralisi nell Europa a 25 o più paesi membri è molto concreto. Se dalla Convenzione ci si aspettava una soluzione definitiva e in tempi brevi, questa purtroppo non è arrivata. Altri due campi in cui è possibile muovere critiche al testo della Convenzione riguardano, rispettivamente, l applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e l introduzione della figura del ministro degli Affari Esteri dell Unione. Nel primo caso si è voluto ribadire che non esiste un organo o un Istituzione europea che sia garante di questi principi, ma che all interno dell Unione e a tutti i livelli bisogna adoperarsi affinché essi siano rispettati. Grande enfasi è stata posta sul coinvolgimento dei parlamenti nazionali con l obiettivo di accrescere la legittimità democratica dell Unione. Oltre a una informativa piuttosto completa di ciò che viene fatto dalle Istituzioni comunitarie, i parlamenti nazionali avranno dunque la possibilità entro 60 giorni dal ricevimento dell opportuna comunicazione di esprimere pareri in merito al rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità delle proposte avanzate dalla Commissione. In pratica a ogni parlamento nazionale (sia esso bicamerale o unicamerale) vengono assegnati due voti. Qualora i pareri negativi circa il rispetto di questi principi rappresentino un terzo dei voti dei parlamenti nazionali, la Commissione sarà tenuta a riesaminare la proposta. In altri termini, se 9 parlamenti su 25 giudicheranno una proposta non rispondente al principio di sussidiarietà o di proporzionalità, la Commissione sarà costretta a rivedere la propria proposta per apportarvi le necessarie modifiche o ritirarla del tutto. Pur essendo questo un tentativo condivisibile per coinvolgere i parlamenti nazionali nella vita democratica dell Unione, va lamentato lo scarso, anzi inesistente, ruolo assegnato ai livelli subnazionali di governo. Ci si limita a dire che i parlamenti nazionali valuteranno se e in che modo consultare all occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi, che è invero ben poca cosa per un testo che dedica un intero protocollo ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità e che non mette a frutto i suggerimenti provenienti da altre Istituzioni comunitarie (ad esempio dalla Commissione nel Libro bianco sulla governance del luglio 2001). Il secondo caso concerne infine la nuova figura del ministro degli Affari Esteri dell Unione, presentato come grande innovazione operata dal testo costituzionale. In effetti avere un Commissario e un Alto rappresentante appariva eccessivo e lo stesso Javier Solana nel discorso sullo stato dell Unione tenuto a Parigi a fine giugno ha sottolineato l importanza di poter accentrare su un unica persona le competenze relative alla politica estera e di sicurezza. Tuttavia le recenti crisi internazionali, prima fra tutte quella irachena, hanno mostrato con chiarezza che il problema non era tanto una differente visione della crisi da parte di Solana e Patten, quanto piuttosto la mancanza di una vera linea comune europea. L Europa potrà anche dotarsi di un ministro degli Esteri, ma se non verranno migliorate le procedure attraverso le quali i paesi membri identificano le linee guida di politica estera, la sua missione sarà minata alle basi. È realisticamente impensabile che al momento l Unione definisca una politica estera unica (questo presupporrebbe infatti l adozione di un modello federale), ma si può quantomeno sperare in una politica estera comune che tracci le linee guida generali, lasciando ai singoli Stati la libertà di agire in casi particolari. Non sarebbe inoltre da escludere a priori la possibilità di operare anche in questo caso mediante cooperazioni rafforzate, anche se molti criticano questa ipotesi in quanto rischierebbe di spaccare l Europa proprio in uno dei terreni più pericolosi. Il percorso dopo la Convenzione Queste rappresentano, per grandi linee e senza pretesa di esaustività, le luci e le ombre della bozza di Costituzione europea. Al vertice di giugno a Salonicco, durante il quale i leader europei dell Unione hanno esaminato il testo, essa è stata definita un buon punto di partenza. Un espressione che in realtà può significare tutto e niente. A ottobre si aprirà, sotto la presidenza italiana, la Conferenza intergovernativa ma sarà difficile che in questa sede si possano sanare quelle divergenze che sono emerse durante i lavori della Convenzione. È tuttavia necessario giungere a un testo di Costituzione forte e capace di catalizzare l attenzione dei cittadini. Infatti affinché questa Costituzione possa veramente definirsi tale, è essenziale che i cittadini europei possano approvare tale Carta. Le alternative a tal proposito sono il referendum europeo (anche se criticato da più parti) oppure l approvazione diretta da parte dei singoli paesi membri. In quest ultimo caso bisognerebbe iniziare a chiedersi cosa succederà se qualcuno dei 25 paesi membri non vorrà ratificare la Costituzione. Probabilmente si potrebbe configurare un ipotesi di ritiro volontario dall Unione, secondo quanto indicato dall art. 59 della Costituzione europea. L auspicio è dunque che la Conferenza intergovernativa, conscia della necessità di scrivere una Costituzione europea chiara e fortemente sentita dai cittadini, parta proprio dal testo della Convenzione salvandone le luci e cercando le migliori soluzioni possibili per debellarne le ombre. Antonio Villafranca Ricercatore Ispi ISPI - Relazioni Internazionali 13

14 SPECIALE EUROPA L IMPATTO DELLA CHIUSURA DEI NEGOZIATI DI ADESIONE: IL CASO DI REPUBBLICA CECA E POLONIA L Ue e il consolidamento democratico Con il Consiglio europeo di Copenaghen (12-13 dicembre 2002) si sono chiusi i negoziati di adesione all Ue con dieci paesi candidati (Polonia, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta e Cipro) il cui ingresso è previsto per il 1 maggio Con il ritorno in Europa dei paesi ex-comunisti, si concretizza l unificazione del nostro continente. L adesione di tali paesi all Unione è il risultato di un lungo processo di europeizzazione e convergenza che ha guidato la transizione alla democrazia e alla liberalizzazione economica degli Stati dell Est. Grazie alla promessa della membership, l Ue è stata in grado di condizionare la loro trasformazione, contribuendo alla progressiva creazione di una comunità di sicurezza. La sola prospettiva dell adesione ha quindi costituito un fattore di accelerazione prima per le riforme intraprese nel periodo della transizione e successivamente per il consolidamento delle istituzioni democratiche e dell economia di mercato. L Ue e i suoi Stati membri hanno fornito un modello di riferimento dopo il vuoto lasciato dall implosione sovietica. La fine dei regimi comunisti, infatti, ha restituito ai paesi dell Est la propria autonomia e la facoltà di gestire le trasformazioni interne, con la responsabilità di ricostruire una statualità del tutto nuova. Questo li ha resi particolarmente ricettivi al modello democratico occidentale identificato nell Ue. Facendo leva sulla loro volontà di adesione, l Unione ha innescato un meccanismo di democratizzazione forzata fondato sull accettazione, da parte dei paesi candidati, dell ordinamento democratico occidentale, condizione fondamentale per la loro legittimazione all interno del sistema internazionale (Dichiarazioni di Bruxelles del ; criteri di Copenaghen del 1993). Il Consiglio europeo di Copenaghen del 93 ha individuato una serie di requisiti la cui soddisfazione determina l ingresso o meno nell Unione favorendo così un processo di democratizzazione attraverso la convergenza inteso come adeguamento delle strutture e delle regole nazionali al modello democratico occidentale. I criteri fissati a Copenaghen sono stati successivamente arricchiti da parametri stabiliti nel corso di altri Consigli europei (Madrid, Helsinki e Nizza). Il costante monitoraggio sui progressi compiuti dai governi e dagli apparati amministrativi dei paesi candidati, attraverso l adozione di rapporti regolari da parte della Commissione europea, ha contribuito all accelerazione del processo riformatore al loro interno. Chiusura dei negoziati e stabilità politica dei futuri membri La prospettiva dell adesione all Ue oltre ad avere contribuito alla trasformazione in senso democratico di questi paesi ha anche portato a una maggiore coesione tra le forze partitiche nazionali che ha favorito, a sua volta, una certa stabilità politica. I partiti al governo e all opposizione hanno sempre condiviso l obiettivo dell adesione e l alternanza non ha avuto effetti determinanti sul processo di avvicinamento all Unione. Tuttavia, dalla chiusura dei negoziati a Copenaghen la situazione politica di alcuni candidati è diventata più instabile : sembra quindi esistere una certa correlazione tra la fase finale dei negoziati e l aumento dell instabilità politica in alcuni dei paesi candidati. È il caso della Repubblica Ceca e della Polonia. È possibile che una volta raggiunto l obiettivo principale della politica estera di questi paesi (l ingresso nell Ue), al loro interno ritrovino spazio vecchie e nuove divergenze tra le forze politiche. Come la prospettiva dell ingresso nell Ue aveva finora soffocato motivi di contrasto, così l ormai prossimo ingresso contribuisce paradossalmente all emergere di nuove divisioni e in alcuni casi gli stessi termini e le condizioni negoziate a Copenaghen sono diventate motivo di scontro tra le forze partitiche interne. Una certa tensione politica si è registrata anche in Lituania e in Slovacchia in occasione dei referendum di adesione (che si sono svolti rispettivamente il maggio scorso e il dello stesso mese). Nella Repubblica baltica sono stati soprattutto gli agricoltori a mettere in discussione i benefici dell ingresso nell Ue del loro paese, mentre in Slovacchia gli abitanti delle regioni più povere hanno accusato il governo di non avere saputo giocare la carta dell adesione per aiutare gli strati più disagiati della popolazione. La Repubblica Ceca Il 28 febbraio 2003, dopo ben due tentativi falliti, il Parlamento ceco ha eletto presidente della Repubblica il candidato del partito di opposizione (Ods, Partito civico democratico) Vaclav Klaus. La sua elezione è stata possibile grazie al sostegno decisivo dei comunisti del Kscm, fortemente critici nei confronti del candidato governativo, Jan Sokol. La sconfitta di quest ultimo ha reso molto delicata la posizione del primo ministro Vladimir Spidla del Partito social democratico (Cssd) che ha infatti chiesto e ottenuto un voto di fiducia da parte della Camera l 11 marzo Il Cssd, vincitore delle elezioni del giugno del 2002, è a capo di una coalizione che comprende l Unione cristianodemocratica e il Partito popolare cecoslovacco (Kdu-Csl) e l Unione per la libertà (Us). Tuttavia il governo detiene una scarsa maggioranza: 101 deputati su 200. L obiettivo dell adesione all Ue ha sicuramente contribuito a preservare la fragile unità della coalizione governativa anche se non sono mancati momenti di crisi (nel settembre 2002 il pacchetto finanziario, che avrebbe indotto a un aumento della tassazione, non è stato approvato a causa del dissenso 14 ISPI - Relazioni Internazionali

15 dell ex leader dell Us, Hana Marvanova). L Unione per la libertà, pur avendo votato la fiducia al governo lo scorso 11 marzo, rimane la spina nel fianco dell attuale esecutivo: perdere il sostegno della Marvanova significherebbe perdere la maggioranza in parlamento. Da sempre contraria all unione del proprio partito con la coalizione governativa, il suo appoggio all esecutivo è stato finora dovuto alla necessità di permettere all amministrazione Spidla di perseguire l obiettivo dell adesione all Ue. Anche il voto di fiducia dell 11 marzo è stato giustificato in riferimento all obiettivo dell ingresso nell Unione: il dover procedere alla formazione di un altro governo in un momento così delicato avrebbe potuto influire negativamente tanto sull esito del referendum di adesione (13-14 giugno 2003) quanto sul proseguimento delle riforme in vista dell ingresso nell Unione. Il rischio che, una volta membri dell Ue, il sostegno al governo da parte dell Us venga meno, diventa quindi alto. Il gabinetto dovrebbe allora richiedere l appoggio del Partito comunista di Boemia e Moravia (Kscm), prospettiva, questa, non auspicata dallo stesso Spidla e dagli altri due partiti della coalizione. Rivivere il clima dell accordo di opposizione ( ) attraverso cui il partito d opposizione (Ods) tollerava il governo di minoranza del Cssd, significherebbe infatti vincolare nuovamente l esecutivo al sostegno dell opposizione con un suo conseguente indebolimento. Nel passato questa situazione ha pregiudicato la capacità del governo di adottare misure di riforma strutturali in vista dell adesione del paese all Ue (si pensi, ad esempio, alla riforma del sistema giudiziario). L instabilità e la divisione partitica interna hanno rischiato di condizionare negativamente l esito del referendum di adesione all Unione. Si è temuto, inoltre, che su di esso influisse anche la posizione assunta dal Kscm, che ha esortato i propri elettori a non votare a favore dell ingresso della Repubblica Ceca nell Unione europea. Pur non rifiutando a priori la membership nell Ue, i comunisti considerano i termini di adesione negoziati dal governo insoddisfacenti. Tuttavia, a favore dell adesione si è espresso il 77,3% degli 8,2 milioni di elettori, contro il 22,7%. L affluenza ai seggi (55,2%), superiore alle aspettative, dovrebbe rafforzare l esecutivo mentre i due partiti di opposizione, i comunisti e i conservatori dell Ods, dovranno rivedere la loro strategia e la loro posizione nei confronti dell ingresso nell Ue. In occasione del referendum è comunque emersa un anomala divisione tra un governo fortemente a favore della causa europea e un presidente della Repubblica, euroscettico e aspramente critico nei confronti di Bruxelles. Unico sinora tra i capi di Stato dei paesi aderenti a non chiedere agli elettori di votare sì, Klaus ha sottolineato nei suoi interventi il rischio per il proprio paese di perdere parte dell identità e sovranità nazionali in seguito all adesione. La Polonia In Polonia l esecutivo è stato dominato da un instabile coalizione di partiti formatasi il 19 ottobre 2001 che comprendeva il partito di maggioranza, l Alleanza della sinistra democratica (Sld), l Unione del lavoro (Up) e il Partito dei contadini (Psl). Il governo guidato da Leszek Miller ha perso la sua maggioranza parlamentare il 1 marzo 2003, data in cui il primo ministro ha estromesso dalla coalizione il Psl in seguito a un conflitto sulla riforma fiscale. Miller si trova quindi a guidare un governo di minoranza in un momento particolare: l esigenza di proseguire sulla via delle riforme in vista dell ingresso nell Unione e l ambiguo esito del referendum di adesione (7-8 giugno 2003) rendono la situazione politica polacca estremamente delicata e instabile. L estromissione dal governo dei due ministri del Psl (il vice premier e ministro dell Agricoltura Jaroslaw Kalinowski e il ministro per l Ambiente Stanislaw Zelichowski) è stata seguita dall annuncio dell indizione di elezioni anticipate che dovrebbero tenersi il 13 giugno 2004, un anno in anticipo, in cambio del sostegno alle riforme necessarie per l adesione all Ue. Tale decisione è stata presa da Miller allo scopo di placare le polemiche contro il proprio governo la cui popolarità è in continuo calo a causa dello scandalo di corruzione (caso Rywin) che ha coinvolto recentemente lo stesso premier e per la cattiva congiuntura economica caratterizzata da crescenti tassi di disoccupazione. Tale situazione ha rischiato di influenzare negativamente l esito del referendum di adesione all Ue. Si profilava infatti il rischio di una bassa affluenza alle urne tale da non permettere il raggiungimento del quorum richiesto (per legge il referendum sarebbe stato valido solo se avesse votato almeno il 50% degli aventi diritto, altrimenti il parlamento avrebbe potuto votare con una maggioranza di due terzi la ratifica del Trattato di Adesione o decidere di indire un altro referendum). Molti elettori, infatti, ritenevano che la membership nell Ue fosse ormai certa e che il loro voto non avrebbe influenzato realmente il processo di adesione sul quale, alla fine, l ultima parola sarebbe stata quella di un parlamento largamente favorevole all ingresso. Ha contribuito a rendere ancora più imprevedibile l esito della votazione la minaccia del Partito contadino di ritirare il proprio sostegno all integrazione nell Ue. Il Psl ha sostenuto una posizione favorevole all adesione fin quando è stato parte della coalizione di governo, dopo la sua estromissione dall esecutivo, tuttavia, è tornato a farsi portavoce di quell euroscetticismo che caratterizza la classe contadina polacca. Nonostante la delicata e tesa situazione politica, il sì ha vinto e il referendum è risultato valido, visto che ha votato il 59,6% degli aventi diritto. Proprio la conclusione dei negoziati a Copenaghen ha influito negativamente sulla stabilità politica interna del paese facendo emergere una delicata spaccatura in seno alla coalizione di governo. Le condizioni dell adesione polacca all Ue, così come negoziate al Consiglio europeo di Copenaghen, hanno suscitato infatti l aspra critica della classe contadina di cui il Psl è il maggiore rappresentante partitico. La prospettiva dell adesione all Unione è stata quindi un importante fattore di legittimazione di un ampio processo di riforme interne la cui realizzazione è stata resa possibile grazie alla coesione delle maggiori forze politiche dei paesi candidati. Tuttavia, la crescente instabilità interna seguita alla fine dei negoziati mostra come la stessa prospettiva dell ingresso nell Unione possa avere un impatto negativo sulla coesione politica dei futuri membri dell Ue. È anche possibile che i paesi candidati rivedano le proprie priorità di policy e si concentrino nuovamente su problematiche di carattere puramente nazionale (educazione, politiche sociali, sanità): potrebbero aprirsi così nuovi termini di conflitto e divisione tra le forze politiche interne prima eclissati dal prioritario obiettivo dell adesione all Ue. Alessia Tribuiani Ricercatrice Ispi ISPI - Relazioni Internazionali 15

16 DALLA RICERCA ISPI LES MALENTENDUS TRANSATLANTIQUES GLI USA, LA FRANCIA E LA CRISI IRACHENA 16 Il faut voir dans quel monde nous voulons vivre. Nous voulons vivre dans un monde multipolaire, [ ] un monde dans lequel l Europe, notamment, aura toute sa place. Con queste parole, il 10 marzo 2003, Jacques Chirac, presidente della Repubblica francese, ha voluto iniziare l intervista in cui la Francia si dichiarò pronta a porre il veto contro un intervento armato in Iraq. Sino al 10 marzo molti analisti avevano ritenuto che Parigi si sarebbe alla fine allineata alle posizioni anglo-americane partecipando, in una forma o in un altra, alle operazioni in Medio Oriente. Ciò non è accaduto e la Francia, ancorata alla posizione dell alleato tedesco, è rimasta salda nella scelta di opposizione a una guerra reputata se non inutile, certamente prematura e troppo carica di significati e conseguenze. Un fragile compromesso Il caso Iraq, dopo anni di quasi oblio da parte delle cancellerie occidentali, prorompe nel dibattito internazionale nell estate 2002 e, dopo alcuni mesi di indecisioni, contribuisce incisivamente a creare le prime crisi in seno all alleanza occidentale. In settembre, infatti, in occasione di un intervista al New York Times, Chirac afferma di essere assolutamente contrario al concetto esplicitato nel National Security Strategy del 20 settembre 2002, e caro all amministrazione americana, di pre-emptive action. Il presidente francese si dice deciso fautore del rispetto da parte di Saddam Hussein degli obblighi che le Nazioni Unite gli impongono, ma al contempo difensore del diritto internazionale e, per questa via, della centralità del Consiglio di sicurezza. Sulla base di questa divergenza, i legami transatlantici si allenteranno nei mesi seguenti portando contrasti di notevole entità fra le due sponde dell Atlantico e all interno dello stesso continente europeo. Tuttavia, ciò che non è ancora chiamata la più grave crisi dell alleanza occidentale (H. Kissinger) sembra venir ricomposta venerdì 8 novembre 2002 in occasione del voto all unanimità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione Più che il testo in sé aperto a molteplici letture per conseguire il più vasto consenso è il fatto che l amministrazione Bush abbia scelto la strada morbida di Colin Powell, piuttosto che un azione unilaterale, che fa credere a una ricomposizione delle divergenze transatlantiche riguardo alla crisi irachena. Parigi è soddisfatta del risultato: l amministrazione americana mostra un certo riguardo rispetto alle posizioni alleate e apre alla cautela. La risoluzione, inoltre, sposta i termini del problema: non si tratta più di un cambio di regime in Iraq, ma del controllo delle armi di distruzione di massa. Tutto dovrà ripassare per il Consiglio di sicurezza dove la Francia avrà ancora voce in capitolo. Nonostante l apprezzamento francese, Condoleezza Rice, consigliere per la Sicurezza del presidente americano, si dichiara molto scettica riguardo al rispetto della risoluzione da parte di Saddam, mentre indiscrezioni della stampa americana rivelano che un piano d attacco all Iraq è già stato steso da parte americana. I mesi passano nella persistente attesa di sapere non tanto se, ma quando e a fianco di chi gli Stati Uniti interverranno in Iraq. Mentre la Francia si avvicina sempre più alla posizione tedesca di contrarietà all uso della forza in Medio Oriente, sui giornali occidentali si moltiplicano posizioni quali quelle di Robert Kagan sulle diverse Weltanschauung di americani ed europei. Ciononostante l avvicinamento francotedesco pare a molti commentatori strumentale, tanto più che le posizioni di Parigi e Berlino collimano solo a un primo e superficiale colpo d occhio: Schroeder con un inappellabile ohne mich esclude in ogni caso che la Germania possa partecipare a un intervento armato in Iraq, mentre Chirac non perde occasione per ricordare che la Francia, sia per storia sia per convinzioni, non può certo essere annoverata fra gli Stati che rifiutano a priori il ricorso all uso della forza. Sulla base di tale differenza di non poco conto, Washington scommette sulla strumentalità dell atteggiamento di Parigi che mirerebbe solamente ad alzare il prezzo della propria adesione e a maggiori dividendi di una stabilizzazione manu militari in Iraq. L atteggiamento francese si fa più chiaro in occasione delle celebrazioni dei 40 anni dal Trattato dell Eliseo. Alle parole del cancelliere Schroeder per cui il rinnovato asse franco-tedesco mobiliterà ogni sforzo perché non ci sia una guerra, Chirac fa seguire il concetto per cui qualsiasi azione militare in Iraq non potrà essere considerata legittima se non sarà approvata dal Consiglio delle Nazioni Unite e qualsiasi altra soluzione sarebbe contraria alla morale internazionale. La rottura Tali affermazioni generano profonda preoccupazione alla Casa Bianca e un irritata risposta da parte del ministro della Difesa Donald Rumsfeld che bolla l intesa ritrovata fra Parigi e Berlino come espressione di una Vecchia Europa contrapposta a una Nuova formata dai paesi europei che appoggiano la strategia americana in Medio Oriente. Da questo momento la strategia statunitense mira chiaramente a isolare la Francia in Europa per spingerla ad allinearsi o quanto meno a non opporsi. Il 29 gennaio viene pubblicata la cosiddetta lettera degli otto : Danimarca, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna e Ungheria firmano un caldo sostegno alla politica americana e una decisa presa di distanza dall unilateralismo di Parigi e Berlino. Pochi giorni dopo, un altra lettera ben più forte nel sostegno agli Stati Uniti viene firmata dai paesi del gruppo di Vilnius (paesi baltici, Bulgaria, Romania, Slovacchia, ISPI - Relazioni Internazionali

17 Slovenia, Albania, Croazia, Macedonia). Si saprà dopo poco, e per stessa ammissione di alcuni rappresentanti del gruppo dei dieci, che la lettera fu scritta a Washington e che le pressioni americane perché venisse firmata furono così esplicite e persistenti che un alternativa alla firma quasi non sussisteva. L Europa è in profonda crisi, ma questo non appare un grave problema per Washington. Anzi, è la logica conseguenza del cosiddetto metodo del cherry-pick per cui le alleanze sono variabili e dipendono unicamente dallo scopo ( the mission determinates the coalition. The coalition does not determine the mission ). Il legame fra la stabilizzazione da parte degli Stati Uniti del proprio ruolo egemone nel sistema internazionale e l evoluzione della nuova Europa a venticinque si fa sempre più evidente. Le divergenze di opinioni all interno dell Unione rispetto all atteggiamento da tenere in merito alla crisi irachena offrono un ottimo varco alla diplomazia americana non solo per incoraggiare la Nuova Europa, ma anche per orientare gli atteggiamenti riguardo al tradizionale motore europeo composto da Francia e Germania che, se ancora in modo forse velleitario, si dicono favorevoli a un mondo multipolare. Ritorna con abiti nuovi la frizione di base fra le Weltanschauung di Stati Uniti e Francia che percorre come fiume carsico i lunghi anni dell Alleanza atlantica (nel 1963 con il veto gollista all Europa atlantica di Kennedy, nel 1973 con il fallimento dell anno dell Europa di Kissinger). Il 28 gennaio, il presidente Bush sceglie l occasione più solenne, il discorso sullo stato dell Unione, per asserire che per quanto concerne la crisi irachena i giochi sono chiusi poiché il dittatore iracheno mente e non disarma. Il giorno di S.Valentino, il giorno che dovrebbe essere dedicato alla definitiva offensiva diplomatica americana, la perorazione di Colin Powell non convince. La parola passa al ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin che, con un discorso di chiaro stampo gollista e concluso fra gli applausi dell aula cosa non comune in tale contesto, rivendica per il proprio paese e per l Europa il diritto di opporsi a un intervento armato e di pretendere che tutte le vie debbano essere percorse per una soluzione pacifica della crisi irachena. Da quel momento la Francia assume con sempre maggiore decisione atteggiamenti tipici del gollismo, sia nella retorica sia nella strategia politica. Nella retorica, quando ad esempio de Villepin si arroga il diritto di poter parlare nel Consiglio di sicurezza a nome di un vieux continent comme le mien, l Europe qui n a cessé de se tenir debout face à l Histoire et devant les hommes. Nella strategia politica, attraverso un atteggiamento critico nei confronti della politica estera americana, un rapporto privilegiato con la Germania e il tentativo di utilizzare la costruzione europea come moltiplicatore di influenza della Francia nel mondo. I mass media francesi ripropongono analogie fra il presidente Chirac e il fondatore della V Repubblica e, come ai tempi di de Gaulle, dall altra parte dell Atlantico cresce l irritazione verso le mosse francesi colpevoli, secondo Washington, di miopia e velleitarismo. Mentre i giornali titolano a proposito di un supposto isolamento americano, le difficoltà statunitensi sembrano aumentare quando il presidente della Federazione russa Vladimir Putin annuncia che il proprio paese lavorerà in stretto contatto con Francia e Germania nel Consiglio di sicurezza. La più grave crisi dell alleanza Il 10 febbraio, si raggiunge il punto più critico delle relazioni transatlantiche quando Francia, Germania e Belgio si oppongono alla proposta americana e turca di far adottare in seno alla Nato misure capaci di difendere la Turchia da eventuali attacchi da parte irachena. La motivazione dei tre Stati europei è che tali disposizioni risulterebbero quale implicito sostegno a una logica di guerra e andrebbero a legittimare la posizione interventista americana tramite l azione della Nato. Tale opposizione, inimmaginabile solo qualche mese prima, viene aggirata passando per una decisione del comando integrato da cui la Francia è assente dal 1966: quella che Henry Kissinger definisce la più grave crisi dell alleanza è all apice. È esattamente un mese dopo, il 10 marzo, che Chirac si esprime per il veto in Consiglio di sicurezza. Washington decide di andare avanti per la strada del voto e mettere con le spalle al muro la Francia con una maggioranza morale. Parigi, Berlino e Mosca depositano al Consiglio una proposta per rinforzare le ispezioni Onu in Iraq conformemente a quanto auspicato da Blix. Inizia un logorante, ma rapido, braccio di ferro diplomatico per convincere i membri del Consiglio di sicurezza a votare per l una o l altra posizione. Gli Stati Uniti non riescono a raggiungere un numero sufficiente di sostenitori per presentare la loro proposta di risoluzione al Consiglio (persino Messico e Canada non raccolgono la richiesta del loro influente vicino): l intervento americano in Iraq debutta senza mandato Onu alle 5,33 ora irachena del 20 marzo e, con alterne vicende, si conclude con la piena disfatta del regime dittatoriale iracheno. Se, per usare le parole di un noto ex consigliere del Pentagono, Richard Perle, è vero che la politica francese mira a diminuire il potere americano nel mondo, la Francia ha indubbiamente subito una grave sconfitta. Ed è anche per questo che, il 22 maggio al Consiglio di sicurezza, Parigi riconosce a tutti gli effetti gli Stati Uniti e la Gran Bretagna quali potenze occupanti dell Iraq. Ciò, però, non vuol necessariamente dire che la Francia si uniformerà alla visione britannica favorevole a un unipolarismo temperato a guida americana. In altri termini, non si può credere che le ragioni alla base dei malentendus transatlantiques si siano dissolte definitivamente con l entrata dei marines americani a Bagdad: la vera partita, per Parigi e in certa misura anche per Washington, non riguardava l Iraq, ma la difesa o l affermazione delle proprie Weltanschauung. Così, si può essere certi che l assunto di base di Robert Kagan e di Charles Kupchan (che per quanto simile non ha impedito loro di giungere a conclusioni opposte), per il quale Europeans and Americans don t necessarily share a common view of the world, porterà ancora frizioni nell alleanza occidentale. Massimiliano Mondelli Ricercatore Ispi ISPI - Relazioni Internazionali 17

18 18 DALLA RICERCA ISPI L AMMINISTRAZIONE BUSH E L AMERICA LATINA Together, let us go forward to build an age of prosperity in a hemisphere of liberty. Together, let us use this Summit of the Americas to launch the century of Americas. Così il presidente George W. Bush concludeva il suo intervento a Quebec City, in Canada, in occasione del terzo Summit delle Americhe, il 21 aprile Davanti ai capi di Stato di tutti i paesi dell emisfero occidentale tranne Cuba, Bush riaffermava così, a tre mesi dall entrata in carica della sua amministrazione, il profondo interesse verso l America Latina già espresso più volte durante la campagna elettorale e che aveva contribuito a garantirgli il voto di gran parte delle comunità ispaniche. I due anni passati da quel momento, però, non sembrano avere dato ragione agli auspici del presidente statunitense. In questo lasso di tempo, infatti, si sono succedute situazioni di forte crisi in tutta l America Latina, che hanno riportato il continente indietro di parecchi anni in termini di solidità della struttura sociale e di condizioni di vita della popolazione. In primo luogo la terribile crisi economica in Argentina e Uruguay, ma anche la controversa politica del presidente Chávez e il fallito colpo di Stato in Venezuela, l escalation di violenza in Colombia, l anarchia ormai endemica ad Haiti e il malcontento diffuso in Paraguay e Bolivia. Secondo i dati forniti dalla Commissione economica per l America Latina e i Caraibi dell Onu (Eclac-Cepal) nel 2002 l economia dell America Latina, considerata globalmente, ha registrato una recessione dello 0,7% del Pil e una contrazione del 2% del Pil procapite. Solo nel corso dell anno scorso, si sono aggiunti 7 milioni di nuovi poveri ai 207 milioni già presenti (il 44% della popolazione totale). La percentuale di disoccupazione urbana ha inoltre raggiunto il 9,1%. Di fronte a dati macroeconomici così negativi, Washington ha mantenuto, contrariamente a quanto si sarebbe potuto ipotizzare all inizio del mandato della nuova amministrazione, una linea di sostanziale indifferenza. Gli avvenimenti dell 11 settembre hanno infatti cambiato radicalmente lo scenario mondiale e, di riflesso, hanno modificato la natura dei rapporti tra gli Usa e quello che, dall enunciazione della Dottrina Monroe (1823) in avanti, è stato considerato il loro cortile di casa. La lotta al terrorismo ha riportato l America Latina a un ruolo periferico sullo scenario mondiale e la Casa Bianca ha iniziato a condizionare il proprio interesse nell area a logiche di difesa nazionale. Si è deciso cioè di intervenire solamente in quelle situazioni nelle quali la sicurezza o gli interessi vitali degli Usa fossero direttamente in pericolo. Deve essere letto in questo senso il forte sostegno (sia in termini di finanziamenti che di cooperazione militare) di Washington alla linea dura del presidente colombiano Uribe nella lotta contro la guerriglia. Oltre alla minaccia costituita dal narcotraffico, infatti, il territorio colombiano direttamente controllato dai guerriglieri (valutato tra il 40% e il 50% dello Stato) è considerato un possibile punto d appoggio per il terrorismo internazionale. Sempre con la stessa chiave di lettura deve essere interpretato l atteggiamento tenuto dall amministrazione Bush nell affrontare le altre crisi continentali. La situazione argentina, per esempio, non essendo in grado di minacciare direttamente la sicurezza del paese, è stata valutata di bassa priorità e dunque si è preferito delegare alle istituzioni finanziarie internazionali la gestione della crisi, evitando un coinvolgimento diretto. Il nuovo orientamento della Casa Bianca si è potuto verificare anche analizzando alcune questioni chiave della politica continentale statunitense: il rapporto con il Messico, la politica commerciale e la scelta dell assistente segretario di Stato per l emisfero occidentale. Il Messico e l immigrazione Nell ambito del generale interesse verso l America Latina mostrato dal presidente Bush all inizio del suo mandato, i rapporti con il Messico occupavano un ruolo cruciale. La sua prima visita fuori dagli Usa in veste presidenziale si è svolta infatti proprio nel ranch del presidente messicano, Vicente Fox, per rappresentare simbolicamente la nuova attenzione di Washington verso il suo vicino meridionale. In quell occasione Bush sottolineò l importanza di rafforzare i legami tra i due paesi, con particolare attenzione alle tematiche energetiche, ed enunciò l intenzione di giungere a un accordo con le autorità messicane in tema di immigrazione ( Some look south and see problems. Not me. I look south and see opportunities and potential ). Tutto lasciava presagire un periodo di rapporti amichevoli e collaborativi tra i due vicini, ma il crollo delle Torri Gemelle guastò anche il clima tra le due capitali. Anche Bush, cioè, iniziò a guardare a sud e a vedere problemi. Gli immigrati messicani, in particolare, non sono stati più considerati come una potenziale risorsa, ma sono tornati a essere una pura e semplice minaccia, foriera di possibili infiltrazioni terroristiche. Le posizioni dei due paesi si sono distanziate sempre di più e le possibilità di un accordo si sono fatte sempre più esigue. Inoltre, nella dura battaglia combattuta all interno del Consiglio di sicurezza dell Onu sulla questione irachena, il Messico non ha appoggiato l intervento armato, ma ha cercato, insieme al Cile, di trovare una mediazione. Tale posizione di Fox è stata interpretata dalla Casa Bianca come un tradimento e oggi i rapporti tra i due paesi sembrano tornati alla tradizionale freddezza. La Free Trade Area of Americas Lanciata durante la presidenza di Bush padre, l idea di un area di libero scambio estesa dall Alaska alla Terra del Fuoco è stata ripresa con entusiasmo dall amministrazione corrente ed è stata inserita tra le priorità della sua politica commerciale. Nel corso dello ISPI - Relazioni Internazionali

19 stesso incontro nel quale Bush ipotizzava un secolo delle Americhe, veniva approvato un percorso di negoziato che dovrebbe portare all istituzione della Ftaa (Alca, nella versione spagnola) entro la fine del L ottenimento dal Congresso nel luglio 2002 del fast track (il potere per il presidente di negoziare accordi commerciali senza la possibilità da parte del Congresso di emendarli) avrebbe dovuto consentire a Bush di portare avanti i negoziati per una liberalizzazione continentale senza gli ostacoli che aveva incontrato il suo predecessore. A un analisi più approfondita, però, la Casa Bianca ha tenuto una condotta non lineare anche in questo campo. La strategia di Washington prevedeva infatti di stipulare una serie di trattati di libero scambio bilaterali, preliminari alla Ftaa, che avrebbero dovuto agevolare i negoziati con gli Stati continentali con cui l accordo è più problematico (in particolare il Brasile e gli altri paesi del Mercosur). Tuttavia tale progetto è stato subordinato a una politica di ricompense e punizioni a seconda della posizione di ogni singolo Stato sulla questione irachena. La firma finale dell accordo con il Cile è stata dapprima rinviata indefinitamente e poi apposta solo nei primi giorni di giugno a causa dell opposizione di Santiago all intervento armato in Iraq. Il negoziato con cinque paesi centroamericani (Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua) per l istituzione di un area di libero scambio (Central America Free Trade Area Cafta) procede invece velocemente grazie al sostegno offerto da questi paesi alla politica della Casa Bianca in Medio Oriente. Tale subordinazione della politica commerciale all allineamento in politica estera rischia dunque di minare le basi della Ftaa e di comprometterne il successo (già seriamente minacciato dalla diffidenza delle nuove amministrazioni brasiliana e argentina). Nel corso dei negoziati, inoltre, Washington non è parsa intenzionata a fare concessioni significative nei settori più sensibili per le economie sudamericane (agricoltura, acciaio, tessile) e in molti paesi si è avvertita con fastidio una dissonanza tra una teorica chiamata all apertura delle economie e l effettiva introduzione di misure neo-protezionistiche, come l aumento dei sussidi all agricoltura e l innalzamento di dazi sull acciaio, che hanno fortemente danneggiato gli Stati dell America Latina. Il limbo della segreteria di Stato Anche dal punto di vista istituzionale si è avvertita la perdita d importanza delle relazioni con l America Latina nella considerazione dell amministrazione Bush. Nel novembre 2002, Otto Reich, l assistente segretario di Stato per gli Affari dell emisfero occidentale, ha dovuto abbandonare il suo incarico dopo non essere riuscito per il secondo anno consecutivo a ottenere la fiducia della Commissione di politica estera del Senato. La forzata rinuncia di Reich, personaggio dal passato controverso, esponente della comunità cubana e vicino alle posizioni dei falchi dell amministrazione, ha aperto un forte conflitto tra la Casa Bianca (che avrebbe ben visto una sua riconferma, nonostante il parere contrario del Senato) e la segreteria di Stato (che al contrario avrebbe preferito un diplomatico di carriera, disponibile a una politica continentale più moderata). Tale conflitto è stato risolto solo all inizio del 2003, dopo più di un mese nel quale la posizione è rimasta vacante, quando il presidente ha optato per una soluzione di parziale compromesso. Bush ha infatti trasferito Reich sotto le sue dirette dipendenze come inviato speciale per l America Latina, mentre ha nominato assistente segretario di Stato Roger Noriega, allora ambasciatore statunitense presso l Organizzazione degli Stati Americani (Oas-Osa), ma uomo di secondo piano negli ambienti repubblicani. La vacanza del ruolo e i contrasti interni all amministrazione hanno portato, nei mesi a cavallo tra 2002 e 2003 a una serie di errori tattici che hanno allentato ancora di più i legami tra Washington e i paesi dell America del Sud. In particolare si è avvertita la mancanza di una figura di riferimento nel momento della cerimonia di insediamento del nuovo presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, quando la delegazione statunitense è stata guidata dal rappresentante per il Commercio, Robert Zoellick. Zoellick è sicuramente un personaggio di primo piano nel continente, per il suo ruolo nei negoziati per l istituzione della Ftaa, ma è altrettanto certo che la sola sua presenza sia stata interpretata come un segno di indifferenza (o peggio di ostilità) da parte della Casa Bianca verso il nuovo governo di Brasilia. La nomina di Noriega ha fatto terminare il periodo di limbo, ma nello stesso tempo ha posto nuovi interrogativi in merito alla politica dell amministrazione Bush in ambito continentale. Se infatti Noriega è riuscito a ottenere all inizio di maggio la fiducia del Senato, acquisendo così una nuova legittimazione, è nello stesso tempo innegabile che si sia creata un ambiguità tra il suo ruolo e quello di Reich, che rischia di creare un doppio binario politico di difficile comprensione per gli interlocutori latinoamericani. Le prospettive future Il 2003 è percepito da numerosi osservatori come un anno decisivo per il futuro dell America Latina. La diffusa valutazione positiva dei primi mesi della tanto temuta presidenza Lula in Brasile, l elezione di Kirchner in Argentina e una generale, anche se tenue, ripresa dell economia continentale (la Cepal prevede una crescita del 2% del Pil nel 2003), rendono infatti possibile guardare con più ottimismo al futuro. In questo contesto la Casa Bianca dovrà decidere nei prossimi mesi quale ruolo vorrà ricoprire nell area. Se l amministrazione Bush dovesse proseguire con la politica pressoché immobilista che l ha contraddistinta negli ultimi due anni, il rapporto storicamente privilegiato dell America Latina con gli Usa potrebbe passare in secondo piano rispetto a quello con l Europa, che negli ultimi anni si è approfondito notevolmente. Sono particolarmente significativi in questo senso i trattati di libero scambio stipulati dall Ue con Messico e Cile, ma anche i notevoli passi avanti nella trattativa con il Mercosur, che, sotto la spinta di Lula e Kirchner e del semestre di presidenza italiano, potrebbe concludersi già nel Se la scelta della Casa Bianca sarà invece quella di ritornare attivamente sulla scena continentale, sarebbe ancora possibile rispettare i tempi previsti per l istituzione della Ftaa e tentare di mantenere la tradizionale preminenza, sia politica che commerciale, sul continente. Matteo Grazzi Ricercatore Ispi ISPI - Relazioni Internazionali 19

20 DALLA RICERCA ISPI LA SARS IN CINA: VINCOLI POLITICI ED EFFETTI ECONOMICI L epidemia di Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) sta costando alla Cina una perdita di legittimità internazionale pari solo alla crisi di credibilità dopo la repressione di Piazza Tienanmen nel Nei primi mesi dell epidemia il governo di Pechino non ha comunicato i casi sospetti e non ha collaborato efficacemente con l Organizzazione mondiale della sanità (Oms). I primi casi di Sars si verificano nella provincia del Guangdong già nel novembre 2002 ma, per evitare turbamenti durante la Conferenza politico-consultiva cinese (3-9 marzo) e la sessione annuale dell Assemblea nazionale del popolo (5-18 marzo), la notizia viene taciuta. Solo il 2 aprile 2003 il nuovo governo, guidato dal neoprimo ministro Wen Jiabao, tiene il primo incontro sulla Sars, nel tentativo di arginare l epidemia. Il 20 aprile il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao lanciano una campagna per cominciare a rendere pubblica la verità sull epidemia. Vengono allora rimossi il ministro per la Salute, Zhang Wenkang, e il sindaco di Pechino, Meng Xuenong. Il vice primo ministro Wu Yi, la donna con la posizione più alta di governo, diventa responsabile di una speciale taskforce per la lotta alla Sars e prende l incarico di ministro della Salute. Vengono sospesi i festeggiamenti del 1 maggio, si sconsigliano i viaggi, si chiudono il locali pubblici e nella sola Pechino oltre persone vengono messe in quarantena, mentre si avviano controlli e blocchi alle uscite dalla città. I costi della Sars L impatto economico più immediato è stato ovviamente quello sul settore dei servizi legati al turismo e ai viaggi d affari come le compagnie aeree, il settore alberghiero, la ristorazione. Nelle zone direttamente colpite dall epidemia (Pechino, Hong Kong, Singapore) le vendite al dettaglio sono crollate insieme a tutti i consumi non-essenziali dei residenti (cinema, ristorante, shopping). Un secondo impatto della Sars è quello sul settore manifatturiero: la messa in quarantena e la sospensione di viaggi impediscono il contatto diretto tra clienti e fornitori. Ne deriva una perdita di contratti, ordini e una possibile diminuzione della qualità per i prodotti fabbricati in Cina. Le principali organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale e l Asian Development Bank (vedi tabella), hanno rivisto al ribasso le stime di crescita. La crescita del Pil in Cina potrebbe scendere quest anno al 7,2% (8% nel 2002) secondo la Banca Mondiale, mentre altre stime prospettano aumenti tra il 6,4 e il 7,4%, in calo da mezzo a un punto percentuale su precedenti previsioni. IMPATTO STIMATO DELLA SARS IN DIVERSI PAESI ASIATICI, 2003 Altro aspetto dell impatto economico è legato alla spesa pubblica che servirà a finanziare la lotta all epidemia. Il governo cinese ha appena stanziato 200 milioni di dollari di Hong Kong, che equivalgono a 24 milioni di euro per sostenere il settore sanitario: si prevede che la spesa complessiva non sarà inferiore ai 9 miliardi di euro. È previsto inoltre un forte peggioramento del deficit pubblico cinese per le ingenti spese sanitarie e si teme un rallentamento del commercio internazionale: nel 2002 la Cina ha sostenuto il commercio mondiale aumentando le proprie importazioni ed esportazioni di oltre il 20% e negli ultimi anni il paese è diventato la principale destinazione degli investimenti diretti esteri (Ide) fino ad attirare, nel 2002, il 10% degli Ide mondiali, pari a 52,7 miliardi di dollari americani. La Sars e l export italiano in Cina L avvento della Sars ha suscitato preoccupazione anche in alcuni settori della nostra economia. Infatti la Cina in questa anni è diventata un importante mercato per le nostre esportazioni, al punto che l Italia costituisce ormai il secondo fornitore europeo dopo la Germania con un valore complessivo di oltre 4 miliardi di euro. L andamento recente evidenzia Economie Riduzione stimata della crescita del Pil annuale Riduzione stimata dei livelli del Pil annuali Impatto Sars Impatto Sars Impatto Sars Impatto Sars di 1 trimestre (%) di 2 trimestri (%) di 1 trimestre di 2 trimestri (US$ billion) (US$ billion) Asia Orientale Prc Hong Kong, Cina Corea del Sud Taiwan Sud-est asiatico Indonesia Malesia Filippine Singapore Tailandia Fonte: Asian Development Bank, ISPI - Relazioni Internazionali

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