Ridurre il rischio ipoglicemico nel trattamento del paziente diabetico: cos è cambiato dagli anni 90 ad oggi nell approccio clinico?

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1 Ridurre il rischio ipoglicemico nel trattamento del paziente diabetico: cos è cambiato dagli anni 90 ad oggi nell approccio clinico? Teresa Vanessa Fiorentino, Giorgio Sesti Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi Magna Graecia, Catanzaro Tight glycemic control represents one of the major goals of the therapeutic management of diabetes mellitus. However, several clinical studies have reported that an intensive glucose-lowering treatment, especially when insulin or sulfonylureas are used, is associated with an increased risk of hypoglycemia and may exert negative effects on the cardiovascular risk. Hypoglycemia is the major side effect of antidiabetic therapy and it has also been associated with adverse cardiovascular events. The surge of sympathetic activity during hypoglycemic episodes may induce cardiac and cerebral ischemia and promote potentially fatal arrhythmias. In addition, hypoglycemic episodes have a negative effect on patient compliance to the antidiabetic treatment and consequently may worsen glycemic control, thus increasing the risk of micro- and macroangiopathic complications of diabetes. Therefore, in order to counteract the cardiovascular risk it is necessary achieving a good glycemic control through therapeutic strategies associated with a lower risk of hypoglycemia. Unlike treatment with sulfonylureas, glucagon-like peptide-1 analogs and dipeptidyl peptidase-4 inhibitors have been demonstrated to improve metabolic control without inducing hypoglycemia and, therefore, represent a new therapeutic option for type 2 diabetes, which offer the advantage of combining glucose-lowering activity with a low risk of hypoglycemia, thus providing a greater cardiovascular protection. Key words. Dipeptidyl peptidase-4 inhibitors; Glucagon-like peptide-1 analogs; Glycemic control; Hypoglycemia. G Ital Cardiol 2014;15(12 Suppl 2):13S-20S 2014 Il Pensiero Scientifico Editore La dr.ssa Fiorentino dichiara nessun conflitto di interessi. Il prof. Sesti dichiara di aver svolto attività di consulenza e di essere stato relatore per AstraZeneca, Boehringer Ingelheim, Eli Lilly, Laboratori Guidotti, Merck Sharp & Dohme, Novartis, Novo Nordisk, Sanofi-Aventis, Servier, Sigma-Tau. La pubblicazione di questo articolo è stata realizzata con la collaborazione di Airon Communication e supportata da un contributo non condizionante di Novo Nordisk. Per la corrispondenza: Prof. Giorgio Sesti Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi Magna Graecia, Viale Europa, Catanzaro sesti@unicz.it Un adeguato controllo glicemico rappresenta uno dei principali obiettivi della gestione clinica del paziente con diabete mellito per la prevenzione dell insorgenza e/o progressione delle complicanze cardiovascolari, che rappresentano la prima causa di mortalità e morbilità del diabete. La gestione clinica del paziente diabetico è resa particolarmente complessa dalla contemporanea presenza di diverse condizioni quali l obesità, la dislipidemia, l ipertensione, l età avanzata, che di per sé rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Inoltre, l ipoglicemia, che costituisce uno dei più comuni effetti indesiderati della terapia antidiabetica con le sue ripercussioni negative sul rischio cardiovascolare e sull aderenza alla terapia, rende complessa la scelta del target glicemico e del trattamento farmacologico necessario per raggiungerlo. Negli ultimi anni, infatti, i risultati ottenuti dai grandi studi clinici di intervento hanno reso evidente come un trattamento intensivo della glicemia non sia associato a un minor rischio di eventi cardiovascolari al contrario di quanto osservato per quanto riguarda le complicanze microvascolari 1-5. L incidenza di ipoglicemia aumenta all aumentare dell intensità terapeutica, soprattutto quando si utilizzano sulfaniluree e/o insulina. Ne consegue da una parte che il target glicemico debba essere individualizzato sulla base dell età del paziente, della durata della malattia diabetica, della presenza di altre comorbilità e dell aspettativa di vita, e dall altra che la scelta del farmaco ipoglicemizzante debba tenere in considerazione non solo il suo meccanismo d azione e la sua efficacia terapeutica ma anche il potenziale rischio di ipoglicemie associato al suo utilizzo. CONTROLLO GLICEMICO E RISCHIO CARDIOVASCOLARE: LA SCELTA DEL TARGET GLICEMICO Diversi studi osservazionali prospettici e metanalisi hanno dimostrato come l esposizione cronica all iperglicemia correla con un aumentata incidenza di complicanze microvascolari e a un maggior rischio di complicanze cardio- e cerebrovascolari 6-9, suggerendo che la normalizzazione dei livelli glicemici possa prevenire l insorgenza di eventi cardiovascolari, un ipotesi solo parzialmente confermata dagli studi clinici di intervento (Tabella 1) 1-5,10. Nello studio UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study), condotto su 3867 soggetti affetti da diabete di tipo 2 13S

2 TV FIORENTINO, G SESTI Tabella 1. Studi clinici di confronto tra trattamento ipoglicemizzante intensivo e terapia standard sugli outcome cardiovascolari. Studio Popolazione esaminata - follow-up Trattamento HbA 1c al termine dello studio Outcome cardiovascolari UKPDS soggetti con DM2 di neo-diagnosi Età media: 54 anni Follow-up: 10 anni con sulfaniluree o insulina 7.0% 7.9% (p<0.0001) Complicanze microvascolari: -25% (0.0099) Infarto miocardico: -16% (p=0.052) Ictus: +11% (p=0.52) Mortalità globale: -6% (p=0.44) Mortalità per complicanze diabetiche: -10% (p=0.34) DCCT soggetti con DM Età media: 27 anni Follow-up: 6.5 anni con insulina 7.4% 9.1% (p<0.01) Complicanze microvascolari: Microalbuminuria -39% (p<0.04) Albuminuria: -54% (p<0.04) Insorgenza retinopatia: -76% (p<0.02) Progressione retinopatia: -54% (p<0.02) Complicanze macroangiopatiche: -41% (p=ns) PROactive soggetti con DM2 e storia di eventi cardiovascolari Età media: 61.8 anni Follow-up: 34.5 mesi Pioglitazone in aggiunta ad altri ipoglicemizzanti Placebo 7.0% 7.6% (p<0.0001) Endpoint primario composito (mortalità globale, infarto miocardico non fatale, ictus, sindrome coronarica acuta, angioplastica o bypass a livello coronarico o delle arterie delle gambe, e amputazione sopra la caviglia): -10% (p=0.095). Endpoint secondario predefinito composto da mortalità generale, infarto miocardico non fatale ed ictus: -16% (p=0.027) ACCORD soggetti con DM2 ad alto rischio cardiovascolare Età media: 62.2 anni Follow-up: 3.5 anni con ipoglicemizzanti orali e insulina 6.4% 7.5% Endpoint composito primario (infarto miocardico non fatale, ictus non fatale e mortalità cardiovascolare): -10% (p=0.16). Infarto miocardico non fatale: -24% (p=0.004) Mortalità globale: +22% (p=0.04) Mortalità cardiovascolare: +35% (p=0.02) ADVANCE soggetti con DM2 ad alto rischio cardiovascolare Età media: 66 anni Follow-up: 5 anni con gliclazide a rilascio modificato 6.5% 7.3% (p<0.001) Endpoint primario (complicanze micro- e macrovascolari): -10% (p=0.01) Endpoint composito macrovascolare (infarto miocardico non fatale, ictus non fatale e mortalità cardiovascolare): -6% (p=0.32) Complicanze microvascolari: -14% (p=0.01) VADT soggetti con DM2 Età media: 60.4 anni Follow-up: 5.6 anni con ipoglicemizzanti orali e insulina 6.9% 8.4% Endpoint primario composito (infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, mortalità cardiovascolare, interventi di rivascolarizzazione per patologie coronariche, cerebrovascolari o vascolari periferiche, insorgenza o peggioramento di insufficienza cardiaca, amputazione per gangrena ischemica): -12% (p=0.14) DM1, diabete mellito di tipo 1; DM2, diabete mellito di tipo 2; HbA 1c, emoglobina glicata. di neo-diagnosi randomizzati a ricevere un trattamento convenzionale o un trattamento intensivo con insulina e sulfaniluree 1, la riduzione a 7% del valore medio di emoglobina glicata (HbA 1c ) ottenuto nel gruppo in trattamento intensivo, rispetto al valore di 7.9% ottenuto nel gruppo in terapia convenzionale (p<0.001), ha indotto, nel corso dei 10 anni di osservazione, una riduzione dell incidenza cumulativa di complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia, neuropatia) pari al 25% (p=0.0099), una riduzione del 16% del rischio di infarto del miocardio, che però non raggiungeva la soglia della significatività (p=0.052) e nessuna significativa riduzione del rischio di ictus (+11%, p=0.52). Gli episodi ipoglicemici erano più frequenti nel gruppo in trattamento intensivo (p<0.0001) con un incidenza annuale di ipoglicemia maggiore di 1.0% con clorpropamide, 1.4% con glibenclamide e 1.8% con insulina rispetto a 0.7% riscontrata nel gruppo in terapia convenzionale 1. Il follow-up a distanza di 10 anni dalla conclusione dello studio UKPDS ha confermato i benefici del controllo glicemico intensivo osservati durante la prima fase dello studio 11. Sebbene già dopo 1 anno dalla conclusione dello studio non vi fossero differenze nei livelli di HbA 1c tra i due gruppi di trattamento, nei pazienti che erano stati randomizzati al trattamento intensivo è stata osservata una riduzione del rischio di complicanze microvascolari (-24%, p=0.001), di infarto del miocardio (-15%, p=0.01) e della mortalità globale (-13%, p=0.007) suggerendo che il trattamento intensivo iniziato subito dopo la diagnosi di diabete può ridurre l insorgenza a lungo termine di eventi micro- e macrovascolari 11. Nello studio DCCT (Diabetes Control and Complications Trial) gli effetti sullo sviluppo e la progressione delle compli- 14S

3 TERAPIA DEL DIABETE E RISCHIO DI IPOGLICEMIA canze diabetiche micro- e macrovascolari di un approccio terapeutico più aggressivo rispetto al trattamento convenzionale sono stati analizzati su 1441 soggetti affetti da diabete di tipo 1 2. Dopo un periodo di osservazione di 6.5 anni il miglioramento del controllo glicemico raggiunto nel gruppo di trattamento intensivo rispetto a quello in trattamento convenzionale (HbA 1c 7.4 vs 9.1%; p<0.01) si associava a una riduzione del 76% dell insorgenza di retinopatia e del 54% della sua progressione. Nel gruppo in trattamento intensivo si osservava una significativa riduzione del rischio di microalbuminuria e di albuminuria (p<0.04), rispettivamente del 39% e 54%, e una tendenza verso la riduzione degli eventi cardiovascolari rispetto al gruppo in trattamento standard (-41%, intervallo di confidenza [IC] 95% %). Come osservato nel follow-up dell UKPDS, anche nei pazienti con diabete di tipo 1 il controllo glicemico ha dimostrato avere effetti a lungo termine sul rischio cardiovascolare nello studio DCCT/EDIC. A 11 anni di distanza dalla conclusione dello studio DCCT i soggetti randomizzati al trattamento intensivo mostravano una riduzione del 42% di tutti gli eventi cardiovascolari (IC 95% 9-63%; p=0.02) e una riduzione del 57% del rischio di infarto del miocardio non fatale, ictus o morte cardiovascolare (IC 95% 12-79%; p=0.02) 12. Nello studio PROactive, condotto su 5238 soggetti con diabete di tipo 2 e storia di eventi cardiovascolari, sono stati valutati gli effetti del pioglitazone aggiunto a vari ipoglicemizzanti sulla mortalità e morbilità cardiovascolare 10. Dopo un followup di 34.5 mesi, il trattamento con pioglitazone ha indotto una maggiore riduzione dei valori di HbA 1c rispetto al placebo (-0.8 vs -0.3%; p<0.0001) portando i valori medi di HbA 1c a 7.0% contro il 7.6% del gruppo di placebo (p<0.0001). Il miglior controllo glicemico ottenuto con l aggiunta di pioglitazone alla terapia antidiabetica rispetto al placebo si rispecchiava in una riduzione del 10%, sebbene non significativa, dell endpoint composito primario (mortalità totale, infarto non fatale del miocardio, ictus, sindrome coronarica acuta, interventi di rivascolarizzazione coronarica o degli arti e amputazioni sopra la caviglia) (p=0.095) e ad una riduzione significativa dell endpoint secondario predefinito, composto dai soli eventi hard (mortalità globale, infarto miocardico non fatale ed ictus) pari al 16% (p=0.027) 10. Sintomi riferibili a episodi di ipoglicemia erano riscontrabili nel 28% dei soggetti trattati con pioglitazone rispetto al 20% dei pazienti in trattamento con placebo (p<0.0001) mentre le ospedalizzazioni per ipoglicemia non differivano tra i due gruppi. Lo studio ACCORD (Action to Control Cardiovacular Risk in Diabetes) ha arruolato soggetti con diabete di tipo 2 che presentavano almeno altri due fattori di rischio cardiovascolare 3. I pazienti sono stati randomizzati a un trattamento ipoglicemizzante intensivo (il cui obiettivo era raggiungere valori di HbA 1c <6.0%) rispetto a un trattamento convenzionale (avente l obiettivo di mantenere livelli di HbA 1c tra 7.0% e 7.9%) 3. Dopo un periodo medio di osservazione di 3.5 anni, i livelli di HbA 1c si sono attestati sui valori di 6.4% e 7.5%, rispettivamente, per il gruppo in trattamento intensivo e convenzionale. Nel gruppo trattato in modo intensivo, si è osservata una riduzione non significativa del 10% dell endpoint composito primario (infarto non fatale, ictus non fatale e morte da cause cardiovascolari) rispetto al gruppo sottoposto al trattamento standard (hazard ratio [HR] 0.90; IC 95% ; p=0.16) e una riduzione del 24% dell infarto miocardico non fatale (HR 0.76; IC 95% ; p=0.004). È stato, tuttavia, osservato un aumento sia della mortalità globale (HR 1.22; IC 95% ; p=0.04) che della mortalità cardiovascolare (HR 1.35; IC 95% ; p=0.02) che ha determinato l interruzione dello studio con 17 mesi di anticipo rispetto alla data prevista 3. Gli episodi ipoglicemici e l incremento ponderale erano più frequenti nei pazienti in terapia intensiva ed è possibile ipotizzare che questi eventi avversi in aggiunta alla rapida riduzione dei livelli glicemici possano aver contribuito alla maggiore mortalità osservata nel braccio intensivo. Lo studio ADVANCE (Action in Diabetes and Vascular disease: Preterax and Diamicron MR Controlled Evaluation), condotto in soggetti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare, ha valutato gli effetti del trattamento intensivo (HbA 1c <6.5%) con gliclazide a rilascio modificato, aggiunto a vari ipoglicemizzanti orali e/o insulina, rispetto ad un trattamento standard su un endpoint composito costituito da eventi microvascolari (nefropatia e retinopatia) e cardiovascolari (infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale e mortalità cardiovascolare) 4. Il trattamento intensivo ha portato a una riduzione dei livelli di HbA 1c che raggiungeva livelli medi significativamente inferiori rispetto a quelli riscontrati nel gruppo in trattamento convenzionale (6.5 vs 7.3%; p<0.001). Dopo un periodo di osservazione di 5 anni, il trattamento intensivo si associava ad una riduzione del 10% dell endpoint primario (eventi micro- e macrovascolari) (IC 95% 2-18%; p=0.01) attribuibile alla riduzione degli eventi microvascolari (-14%; IC 95% 3-23%; p=0.01). Tuttavia la diminuzione dei livelli di HbA 1c ottenuta grazie al trattamento intensivo non era associata a una significativa riduzione del rischio di infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale e della mortalità cardiovascolare (-6%; IC 95% -6-16%; p=0.32) 4. Nel gruppo sottoposto a trattamento intensivo rispetto al gruppo in trattamento convenzionale è stato riscontrato un maggior numero di episodi ipoglicemici maggiori (2.7 vs 1.5%, HR 1.86; IC 95% ; p<0.001), di ospedalizzazioni dovute ad ipoglicemia severa (1.1 vs 0.7%; HR 1.52; IC 95% ; p=0.04) e di episodi ipoglicemici minori (120 eventi per 100 pazienti per anno vs 90) 4. Una sottoanalisi dello studio ADVANCE, inoltre, ha dimostrato come l ipoglicemia severa fosse associata a un aumentato rischio di eventi macrovascolari (HR 2.88; IC 95% ), microvascolari (HR 1.81; IC 95% ) e a un aumentata mortalità sia cardiovascolare (HR 2.68; IC 95% ) che totale (HR 2.69; IC 95% ; p<0.001) 13. Lo studio VADT (Veterans Affairs Diabetes Trial), condotto su 1791 soggetti di età media 60.4 anni con diabete di tipo 2 inadeguatamente controllato dalla terapia con ipoglicemizzanti orali e/o insulina, ha valutato gli effetti sugli eventi cardiovascolari del controllo glicemico intensivo rispetto a quello standard 5. Il trattamento intensivo aveva l obiettivo di mantenere livelli di HbA 1c di 1.5% in meno rispetto al trattamento standard. Dopo un periodo di osservazione medio di 5.6 anni, i livelli di HbA 1c nel gruppo in trattamento intensivo erano più bassi (6.9%) rispetto al gruppo in trattamento standard (8.4%). Tuttavia l intensivo controllo glicemico non era associato a una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori (infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale, mortalità cardiovascolare, interventi di rivascolarizzazione per patologie coronariche, cerebrovascolari o vascolari periferiche, insorgenza o peggioramento di insufficienza cardiaca, amputazione per gangrena ischemica) (HR 0.88; IC 95% ; p=0.14) 5. Rispetto all approccio standard il trattamento intensivo comportava un significativo aumento del peso corporeo (+4 kg, p=0.01) così come un aumentata incidenza di episodi ipoglice- 15S

4 TV FIORENTINO, G SESTI mici (152 vs 44 episodi di ipoglicemia notturna, 1392 vs 348 episodi di ipoglicemia confermata, 203 vs 52 episodi di ipoglicemia severa per 100 pazienti per anno; p<0.001) 5. I risultati contrastanti ottenuti dagli studi appena descritti sull associazione tra controllo glicemico e prevenzione cardiovascolare sono in parte attribuibili alle diverse caratteristiche delle popolazioni analizzate (soggetti più anziani con una lunga storia di malattia diabetica e con un più alto rischio cardiovascolare negli studi ACCORD, VADT e ADVANCE) e al diverso approccio terapeutico usato per raggiungere il target glicemico, più aggressivo negli studi ACCORD e VADT che ha portato ad una più rapida riduzione dei livelli di HbA 1c (-1.4% in 4 mesi nell ACCORD e -2.4% nel VADT) e contemporaneamente ad un maggior numero di eventi ipoglicemici severi (circa 16% e 21%, rispettivamente). Alla luce dei risultati degli studi di intervento è stato suggerito che perseguire un target di HbA 1c < % permette di ridurre il rischio di insorgenza e progressione delle complicanze microvascolari. Per quanto riguarda gli eventi macrovascolari, invece, la scelta del target glicemico deve essere individualizzata tenendo in considerazione diversi fattori quali l età del paziente, la durata della malattia diabetica, l aspettativa di vita, la concomitante presenza di pregresse patologie cardiovascolari e il rischio di ipoglicemia. Infatti, il trattamento ipoglicemizzante intensivo si è dimostrato particolarmente efficace nei pazienti diabetici all esordio o con breve durata di malattia, senza precedenti anamnestici di malattie cardiovascolari e con età <65 anni. Nei pazienti con malattia diabetica conclamata, soprattutto se anziani con storia clinica di gravi ipoglicemie e anamnesi positiva per malattie cardiovascolari un controllo metabolico più stringente potrebbe avere un effetto deleterio sugli eventi cardiovascolari specie se gravato da frequenti episodi di ipoglicemia. In questi pazienti, quindi, nei quali i rischi di un controllo glicemico intensivo superano i benefici attesi, è appropriato un obiettivo meno restrittivo, con valori di HbA 1c compresi tra 7.5% e 8.5%, al fine di evitare gli effetti negativi delle ipoglicemie. IPOGLICEMIA E IMPLICAZIONI CLINICHE Le ipoglicemie rappresentano uno dei più comuni effetti collaterali della terapia antidiabetica soprattutto nei soggetti anziani e con una lunga storia di malattia diabetica in cui la disfunzione autonomica e un alterata soglia glicemica contribuiscono ad aumentare il rischio di ipoglicemie 14. In uno studio di popolazione condotto su pazienti con diabete di tipo 2 di recente insorgenza, nel periodo di osservazione compreso tra il 1998 e il 2009, è stato osservato che, rispetto ai soggetti senza episodi ipoglicemici, quelli con ipoglicemia presentavano un aumentata incidenza di ospedalizzazione per ictus, infarto del miocardio ed eventi cardiovascolari (p<0.0001). Gli episodi ipoglicemici che risultavano essere più frequenti nei pazienti in trattamento con insulina e sulfaniluree si associavano ad un aumentata mortalità totale (HR 2.48, IC 95% ) e un maggiore rischio di ospedalizzazione (HR 2.51, IC 95% ]) e di eventi cardiovascolari (HR 2.09, IC 95% ]) 15. Le ipoglicemie contribuiscono ad aumentare il rischio di eventi cardiovascolari esplicando effetti deleteri diretti sul sistema cardiocircolatorio 16. L attivazione simpatica, scatenata dai bassi livelli glicemici, determina dal punto di vista metabolico un aumentato rilascio epatico di glucosio e dal punto di vista emodinamico un sovraccarico cardiaco dovuto a un aumento della frequenza cardiaca, della contrattilità miocardica, del tono vascolare e un attivazione patologica piastrinica che risulta in un aumento della viscosità ematica. L ipoglicemia, peraltro, può indurre disfunzione endoteliale attraverso molteplici meccanismi tra cui l attivazione piastrinica e la mobilizzazione dei neutrofili indotta soprattutto dallo stimolo adrenergico e il rilascio di fattori infiammatori come il fattore di necrosi tumorale-α, l interleuchina-6, la proteina C-reattiva e l endotelina 1. In alcuni studi inoltre è stato dimostrato come l ipoglicemia si associa ad alterazioni elettriche cardiache e in particolare ad un prolungamento del QT che predispone allo sviluppo di aritmie ventricolari potenzialmente fatali Per di più gli episodi ipoglicemici possono contribuire allo sviluppo delle complicanze micro- e macrovascolari del diabete peggiorando il controllo glicemico. Le ipoglicemie sono solitamente seguite da iperglicemie reattive e la paura o l esperienza di episodi di ipoglicemia risulta in una scarsa adesione del paziente alla terapia o addirittura in comportamenti errati di compensazione (assunzione di cibi o bevande zuccherate per correggere o prevenire l ipoglicemia) che determinano di fatto un peggior compenso metabolico 20. Minimizzare il rischio di ipoglicemie attraverso una scelta individualizzata dell obiettivo glicemico e dell approccio terapeutico, soprattutto nei soggetti anziani, con presenza di fattori di rischio cardiovascolari e altre comorbilità, rappresenta quindi, assieme alla correzione dell iperglicemia, un importante priorità nella gestione clinica dei soggetti affetti da diabete al fine non solo di migliorare la qualità di vita del paziente e la sua compliance al trattamento antidiabetico ma anche di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. VANTAGGI DELLA TERAPIA BASATA SULLE INCRETINE RISPETTO ALLE SULFANILUREE SUL RISCHIO DI IPOGLICEMIE Una delle principali alterazioni fisiopatologiche sottostanti lo sviluppo del diabete mellito è il deficit assoluto o relativo della secrezione insulinica la cui correzione rappresenta uno degli approcci terapeutici. Le sulfaniluree, essendo una classe di ipoglicemizzanti orali capaci di stimolare la secrezione insulinica, sono state e sono tuttora largamente utilizzate nel trattamento dei pazienti affetti da diabete di tipo 2 nonostante l aumentato rischio di ipoglicemia e di incremento ponderale che si associa al loro impiego. Negli ultimi anni si sono aggiunti nell armamentario terapeutico del diabetologo gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4) e gli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1 (GLP-1) che agiscono stimolando la secrezione insulinica e inibendo la secrezione di glucagone in maniera glucosio-dipendente con un rischio di ipoglicemia significativamente più basso rispetto a quello associato all uso di sulfaniluree come dimostrato da numerosi studi clinici di comparazione che verranno di seguito illustrati. Inibitori della dipeptidil peptidasi-4 vs sulfaniluree Gli inibitori del DPP-4 (o gliptine) sono una nuova classe farmacologica di ipoglicemizzanti orali capaci di inibire l attività catalitica della DPP-4, l enzima responsabile della degradazione del GLP-1. Gli effetti sul controllo glicemico dell utilizzo degli inibitori della DPP-4 rispetto alle sulfaniluree sono stati con- 16S

5 TERAPIA DEL DIABETE E RISCHIO DI IPOGLICEMIA frontati in diversi studi effettuati su pazienti in trattamento con metformina in cui si rendeva necessario l introduzione in terapia di un secondo ipoglicemizzante orale (Tabella 2) In uno studio di non inferiorità condotto su 1172 pazienti diabetici inadeguatamente controllati dalla terapia con metformina l aggiunta di sitagliptin 100 mg/die ha dimostrato un efficacia non inferiore rispetto a glipizide 5-20 mg/die nel migliorare il controllo metabolico 21. Dopo 52 settimane in entrambi i gruppi di trattamento, infatti, la riduzione dei valori di HbA 1c era comparabile (-0.67%) così come la percentuale di pazienti che raggiungevano un valore di HbA 1c <7% (63% con sitagliptin vs 59% con glipizide). Tuttavia il numero di pazienti con episodi ipoglicemici era significativamente più alto nel gruppo trattato con glipizide rispetto a quello randomizzato a sitagliptin (32 vs 5%; p<0.001). Da un analisi post-hoc inoltre è emerso che nel gruppo trattato con sitagliptin rispetto a glipizide un maggior numero di pazienti presentava dopo 52 settimane di trattamento una riduzione di HbA 1c >0.5% senza ipoglicemia e incremento ponderale (38.1 vs 11.8%) 30. L estensione di 52 settimane di questo studio ha confermato la non inferiorità del trattamento con sitagliptin rispetto a glipizide nel mantenere il controllo glicemico e dimostrato la sua maggiore tollerabilità. Dopo 2 anni di trattamento non vi erano differenze tra i due gruppi di trattamento nella variazione di HbA 1c (-0.54% con sitagliptin e -0.51% con glipizide) così come nel numero di pazienti che raggiungevano un valore di HbA 1c <7% (63% e 59% con sitagliptin e glipizide, rispettivamente). Il trattamento con sitagliptin, tuttavia, era maggiormente tollerato perché associato a un minor rischio di episodi ipoglicemici. Analogamente a quanto osservato dopo 1 anno di trattamento, la percentuale di pazienti con episodi ipoglicemici dopo 2 anni di terapia era maggiore nel gruppo trattato con glipizide (34%) rispetto a quello randomizzato a sitagliptin (5%) 22. Un altro studio condotto su 1035 soggetti con diabete di tipo 2 inadeguatamente controllati dalla terapia con metformina ha confrontato l efficacia e la sicurezza del trattamento con sitagliptin 100 mg/die rispetto a glimepiride da 1 a 6 mg/die 23. Dopo 30 settimane di trattamento è stata osservata una riduzione nei livelli di HbA 1c pari a -0.47% con sitagliptin e -0.54% con glimepiride dimostrando la non inferiorità del trattamento con sitagliptin rispetto a glimepiride. La percentuale di pazienti che raggiungevano valori di HbA 1c <7% era simile tra i due gruppi di trattamento (52% con sitagliptin vs 60% con glimepiride) mentre il numero di soggetti con ipoglicemia era significativamente più alto nel braccio glimepiride (22%) rispetto a quello trattato con sitagliptin (7%; p<0.001) 23. In uno studio di non inferiorità della durata di 2 anni, 3118 soggetti con diabete di tipo 2 inadeguatamente controllato dalla monoterapia con metformina sono stati randomizzati a ricevere vildagliptin 100 mg/die o glimepiride da 1 a 6 mg/die. Come già osservato in un analisi ad interim a 52 settimane in cui il trattamento con vildagliptin era associato a una riduzione dei livelli di HbA 1c (-0.44%) comparabile a quella indotta dal trattamento con glimepiride (-0.53%) ma con una incidenza di ipoglicemia 10 volte inferiore (39 vs 554 episodi di ipoglicemia; p<0.01) 24, dopo 104 settimane non sono state riscontrate significative differenze nella riduzione dei livelli di HbA 1c e nel numero di pazienti che raggiungevano il target di HbA 1c <7%; tuttavia con vildagliptin un maggior numero di pazienti raggiungeva il target senza presentare ipoglicemia (36.0 vs 28.8%; p=0.004) 25. Il 18.2% dei pazienti trattati con glimepiride aveva riportato almeno un episodio ipoglicemico rispetto al 2.3% dei soggetti randomizzati a ricevere vildagliptin. Il numero di ipoglicemie nel braccio vildagliptin era 14 volte inferiore rispetto a quello riscontrato nel gruppo glimepiride (59 vs 838 episodi di ipoglicemia) e tale differenza si manteneva anche nei Tabella 2. Studi clinici di confronto tra inibitori della dipeptidil peptidasi-4 e sulfaniluree. Autori Durata (settimane) N. pazienti Trattamento Intervento (mg/die) Variazione HbA 1c (%) Pazienti con HbA 1c <7% al termine dello studio Pazienti con 1 episodio ipoglicemico Nauck et al Metformina Sitagliptin 100 mg Glipizide 5-20 mg Seck et al Metformina Sitagliptin 100 mg Glipizide 5-20 mg Arechavaleta et al Metformina Sitagliptin 100 mg Glimepiride 1-6 mg Ferrannini et al Metformina Vildagliptin 100 mg Glimepiride 1-6 mg Matthews et al Metformina Vildagliptin 100 mg Glimepiride 1-6 mg Göke et al Metformina Saxagliptin 5 mg Glipizide 5-20 mg Göke et al Metformina Saxagliptin 5 mg Glipizide 5-20 mg Forst et al Metformina Linagliptin 1 mg Linagliptin 5 mg Linagliptin 10 mg Glimepiride 1-3 mg Gallwitz et al Metformina Linagliptin 5 mg Glimepiride 1-4 mg % 59% 63% 59% 52% 60% 54.1% 55.5% 36.9% 38.3% 42.6% 47.8% 23.1% 22.7% 15% 15% 21% ND 30% 35% 5% 32% (p<0.001) 5% 34% 7% 22% (p<0.001) 1.7% 16.2% (p<0.01) 2.3% 18.2% 3% 36.3% (p<0.0001) 3.5% 38.4% 0% 0% 0% 5% 7% 36% (<0.0001) HbA 1c, emoglobina glicata; ND, dato non disponibile. 17S

6 TV FIORENTINO, G SESTI soggetti di età >65 anni (18 vs 202 eventi). La percentuale di pazienti anziani che aveva avuto esperienza di almeno un episodio ipoglicemico era significativamente inferiore nel gruppo trattato con vildagliptin rispetto a quello randomizzato a glimepiride (2.1 vs 17.5%; p<0.001) 25. In uno studio di 52 settimane condotto su 858 soggetti con diabete di tipo 2 in trattamento con metformina randomizzati a ricevere saxagliptin 5 mg/die o glipizide da 5 a 20 mg/die, il trattamento con saxagliptin, dimostrava di avere pari efficacia nel migliorare il controllo glicemico rispetto al trattamento con glipizide (riduzione dei livelli di HbA 1c pari a -0.74% e -0.80%, e raggiungimento del target di HbA 1c <7% nel 42.6% e 47.8% dei pazienti, rispettivamente nel gruppo saxagliptin e glipizide) 26. Il raggiungimento del target di HbA 1c <7% senza episodi ipoglicemici era più frequentemente osservato nei pazienti trattati con saxagliptin rispetto a glipizide (41.4 vs 30.9%) e il numero di pazienti con almeno un episodio di ipoglicemia risultava molto basso nel gruppo trattato con saxagliptin (3%) e significativamente inferiore rispetto al gruppo randomizzato a glipizide (36.3%, p<0.0001) 26. L estensione di ulteriori 52 settimane di questo studio ha dimostrato come il trattamento con saxagliptin 5 mg/die in aggiunta a metformina, pur avendo la stessa efficacia di glipizide nel ridurre i livelli glicemici, fosse associato ad una minore incidenza di episodi ipoglicemici (3.5 vs 38.4%) e di ipoglicemie confermate (0 vs 9.1%) 27. In uno studio multicentrico di 12 settimane, 333 soggetti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato dal trattamento con metformina in monoterapia o in associazione ad un altro farmaco ipoglicemizzante orale sono stati randomizzati a ricevere linagliptin (1, 5 o 10 mg/die), glimepiride (titolata da 1 a 3 mg/die a discrezione dello sperimentatore), o placebo 28. Dopo 12 settimane di trattamento, il trattamento con linagliptin induceva rispetto al placebo una riduzione di -0.40%, -0.73% e -0.67% con 1, 5 e 10 mg/die, rispettivamente (p< in tutti i gruppi) mentre nel gruppo in trattamento con glimepiride si osservava una riduzione di -0.90%. Nessun episodio ipoglicemico è stato riportato dai pazienti trattati con placebo o con linagliptin diversamente dal gruppo randomizzato a glimepiride (5% dei pazienti) 28. Un altro studio ha confrontato linagliptin e glimepiride come trattamento aggiuntivo in soggetti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato dalla terapia con metformina da sola o in combinazione ad un altro ipoglicemizzante orale 29. I partecipanti sono stati assegnati a ricevere linagliptin (5 mg/die) o glimepiride (1 mg/die, titolata fino a 4 mg/die). Dopo 2 anni di trattamento, linagliptin è risultato non inferiore a glimepiride nel ridurre i valori di HbA 1c. Tuttavia una minore incidenza di episodi ipoglicemici (7 vs 36%; p<0.0001) e di ipoglicemie severe (<1 vs 2%) è stata osservata nei pazienti in trattamento con linagliptin, che peraltro si associava ad un minor rischio di eventi cardiovascolari rispetto al trattamento con glimepiride (HR 0.46, IC 95% ; p=0.0213) 29. Agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1 vs sulfaniluree Gli agonisti recettoriali del GLP-1 sono analoghi del GLP-1 nativo resistenti alla degradazione mediata dal DPP-4. Exenatide bid, exenatide a rilascio prolungato (Exenatide LAR), liraglutide e lixisenatide sono gli agonisti del recettore del GLP-1 attualmente disponibili in Italia per il trattamento del diabete di tipo 2 31 e hanno dimostrato di avere un efficacia nel migliorare il controllo glicemico paragonabile o superiore alle sulfaniluree senza, contrariamente a queste ultime, aumentare il rischio di ipoglicemie (Tabella 3) Nello studio EUREXA (Exenatide Versus Glimepiride for Prevention of Glycemic Deterioration Among Those with Type 2 Diabetes and Metformin Failure), 1029 soggetti con diabete mellito di tipo 2 inadeguatamente controllato dalla monoterapia con metformina sono stati randomizzati a ricevere exenatide 5-10 µg/die in duplice somministrazione o glimepiride 1-6 mg in monosomministrazione giornaliera per 3 anni 32. Il trattamento con exenatide + metformina era associato a una maggiore riduzione dei livelli di HbA 1c (-0.36%) rispetto al trattamento con glimepiride + metfomina (-0.21%; p=0.002), a un maggior numero di pazienti che raggiungevano il target di HbA 1c <7% (45 vs 31%; p<0.0001) e a una incidenza di ipoglicemie significativamente più bassa (1.52 episodi per anno vs 5.32 episodi per anno; p<0.0001). Nel gruppo trattato con exenatide, rispetto a quello randomizzato a glimepiride meno pazienti presentavano ipoglicemie sintomatiche (36 vs 67%; p<0.0001), notturne (10 vs 16%; p<0.007) e non (35 vs 66%; p<0.0001) 32. Il confronto di efficacia e sicurezza tra liraglutide e glimepiride è stato invece oggetto di studio nei trial LEAD (Liraglutide Effect and Action in Diabetes)-2 e 3 33,34. Nello studio LEAD-2, in cui 1091 soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2 inadegua- Tabella 3. Studi clinici di confronto tra analoghi del glucagon-like peptide-1 e sulfaniluree. Autori Durata N. pazienti Terapia Trattamento a confronto Variazione HbA 1c (%) Pazienti con HbA 1c <7% al termine dello studio Pazienti con 1 episodio ipoglicemico Gallwitz et al anni 1029 Metformina Exenatide 5-10 µg Glimepiride 1-6 mg Nauck et al settimane 1091 Metformina Liraglutide 0.6 mg Liraglutide 1.2 mg Liraglutide 1.8 mg Glimepiride 4 mg Garber et al settimane 746 Drug-naive Liraglutide 1.2 mg Liraglutide 1.8 mg Glimepiride 8 mg Garber et al settimane 746 Drug-naive Liraglutide 1.2 mg Liraglutide 1.8 mg Glimepiride 8 mg % 31% 28% 35.3% 42.4% 36.3% 43% 51% 28% 53% 58% 37% 36% 67% (p<0.0001) 3% nei tre gruppi liraglutide 17% (p<0.001) 12% 8% 24% (p<0.0001) 12% 10% 26% (p<0.0001) HbA 1c, emoglobina glicata. 18S

7 TERAPIA DEL DIABETE E RISCHIO DI IPOGLICEMIA tamente controllato dalla monoterapia con metformina sono stati randomizzati a ricevere liraglutide 0.6, 1.2 o 1.8 mg/die, glimepiride 4 mg/die o placebo per 26 settimane, il trattamento con liraglutide (1.2 o 1.8 mg) era associato ad un simile controllo metabolico rispetto a glimepiride (HbA 1c -1.0% nei tre gruppi). Il target di HbA 1c <7% era raggiunto in una simile proporzione di pazienti tra i tre gruppi di trattamento (35.3%, 42.4% e 36.3% dei soggetti trattati rispettivamente con liraglutide 1.2 mg, 1.8 mg e glimepiride) mentre il tasso di ipoglicemie risultava significativamente più basso nei pazienti trattati con liraglutide rispetto a glimepiride (3 vs 17%; p<0.001) 33. Nello studio LEAD-3, 746 soggetti con diabete di tipo 2 drug-naive sono stati randomizzati a ricevere liraglutide 1.2 mg, liraglutide 1.8 mg o glimepiride 8 mg per 52 settimane. Il trattamento con liraglutide (1.2 o 1.8 mg) ha dimostrato di essere più efficace rispetto a glimepiride nel ridurre i livelli di HbA 1c (-0.84%, -1.14% e -0.51%, rispettivamente; p<0.001) che raggiungevano valori <7% più frequentemente nei soggetti trattati con liraglutide 1.2 o 1.8 mg (43% e 51%) rispetto a glimepiride (28%, p=0.007 vs liraglutide 1.2 mg e p< vs liraglutide 1.8 mg). Nonostante il maggior effetto ipoglicemizzante il trattamento con liraglutide si associava a un tasso di ipoglicemie significativamente più basso rispetto a glimepiride (0.30 e 0.25 eventi per anno con liraglutide 1.2 mg e 1.8 mg vs 1.96 eventi per anno con glimepiride; p<0.0001) 34. L estensione a 2 anni dello studio LEAD-3 ha confermato la maggiore efficacia ed il miglior profilo di sicurezza del trattamento con liraglutide in monoterapia rispetto a glimepiride. La riduzione dei livelli di HbA 1c ottenuta con liraglutide (1.2 e 1.8 mg) era significativamente maggiore rispetto a glimepiride (-0.9% [p<0.037] e -1.1% [p<0.0016] vs -0.6%) così come il numero di pazienti che raggiungevano il target di HbA 1c <7% (53% [p<0.03] e 58% [p<0.005] vs 37%) 35. Si confermava inoltre il minor rischio di ipoglicemia associato al trattamento con liraglutide rispetto all utilizzo di glimepiride ( eventi ipoglicemici per paziente per anno con liraglutide mg vs 1.75 eventi con glimepiride; p<0.0001) 35. CONCLUSIONI Diversi fattori contribuiscono a rendere complessa la gestione terapeutica del soggetto affetto da diabete mellito, tra questi la necessità di correggere non solo l iperglicemia ma anche evitare episodi ipoglicemici. L osservazione che un approccio terapeutico intensivo, soprattutto in soggetti ad alto rischio cardiovascolare, anziani con una lunga storia di malattia, non si associa a una riduzione degli eventi cardiovascolari ha portato negli ultimi anni a rivedere i target glicemici nel paziente diabetico fragile e a individualizzare l approccio terapeutico sia per la scelta del target glicemico sia per la scelta della terapia antidiabetica associata a minore rischio di ipoglicemie. Le ipoglicemie possono avere serie conseguenze per la salute sia a breve sia a lungo termine Le ipoglicemie severe possono provocare alterazioni elettriche cardiache, responsabili di un aumentato rischio di morte improvvisa e accrescere il rischio di danno cardiovascolare, cerebrovascolare, di demenza e di incidenti e cadute 36. Oltre al danno acuto, le ipoglicemie possono contribuire allo sviluppo delle complicanze croniche del diabete peggiorando il controllo glicemico, perché da una parte limitano il medico ad implementare la terapia antidiabetica per raggiungere il target glicemico e dall altra impattano negativamente la qualità di vita del paziente limitandone l aderenza alle terapie. L ipoglicemia rappresenta il più comune effetto collaterale della terapia antidiabetica, soprattutto se si utilizzano le sulfaniluree o insulina. Diversamente, la terapia con gli analoghi del GLP-1 o con gli inibitori della DPP-4 ha dimostrato avere un efficacia nel mantenere il controllo glicemico sovrapponibile o addirittura superiore alla terapia con sulfaniluree ma con un più basso rischio di ipoglicemie. Pertanto, assieme alla scelta di target terapeutici individualizzati, un uso più appropriato di farmaci che minimizzano il rischio di ipoglicemie, soprattutto nelle categorie di pazienti più vulnerabili, può rappresentare una valida strategia per garantire un buon controllo metabolico e una maggiore aderenza del paziente alla terapia con un risvolto positivo sulla qualità di vita e sul rischio di complicanze a lungo termine. In questo scenario, gli inibitori della DPP-4 e gli analoghi del GLP-1 rappresentano un efficace opzione terapeutica per il diabete di tipo 2 che offre il vantaggio di combinare il controllo glicemico con un basso rischio di ipoglicemie, garantendo una maggiore protezione cardiovascolare. RIASSUNTO Il buon controllo metabolico rappresenta uno dei principali obiettivi della gestione terapeutica del paziente diabetico, tuttavia studi clinici di intervento hanno dimostrato che un approccio terapeutico intensivo, soprattutto quando si utilizzano insulina e/o sulfaniluree, è gravato da un maggior rischio di ipoglicemia e può avere effetti negativi sul rischio cardiovascolare. L ipoglicemia è uno dei principali effetti indesiderati della terapia antidiabetica ed è associata ad eventi cardiovascolari. L attivazione simpatica durante gli episodi ipoglicemici può favorire l ischemia miocardica e cerebrale e indurre aritmie potenzialmente fatali. Inoltre l ipoglicemia limita l aderenza del paziente alla terapia peggiorando di conseguenza il controllo glicemico e favorendo così l insorgenza delle complicanze diabetiche micro- e macroangiopatiche. Al fine di ridurre il rischio cardiovascolare è necessario quindi garantire un buon compenso glicemico con delle strategie terapeutiche associate a un basso rischio di ipoglicemie. Diversamente dalla terapia con sulfaniluree, gli analoghi del glucagon-like peptide-1 e gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 migliorano il controllo metabolico senza indurre ipoglicemie e pertanto rappresentano un efficace opzione terapeutica per il diabete mellito di tipo 2 che offre il vantaggio di combinare la correzione dell iperglicemia con un basso rischio di ipoglicemie, garantendo così una maggiore protezione cardiovascolare. Parole chiave. Analoghi del glucagon-like peptide-1; Controllo glicemico; Inibitori della dipeptidil peptidasi-4; Ipoglicemia. BIBLIOGRAFIA 1. UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group. Intensive blood-glucose control with sulphonylureas or insulin compared with conventional treatment and risk of complications in patients with type 2 diabetes (UKPDS 33). 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