Il volontariato tra processi di individualizzazione e di personalizzazione di Riccardo Prandini

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1 Il volontariato tra processi di individualizzazione e di personalizzazione di Riccardo Prandini Tutto ciò che non viene donato, va perduto Madre Teresa di Calcutta 1. Le trasformazioni del volontariato nella modernità riflessiva: le poste in gioco e i paradossi Negli ultimi due lustri, soprattutto a livello internazionale, si è acceso un interessante dibattito sulle trasformazioni del volontariato 1. Proprio quando la generazione degli anni Settanta quella che aveva impresso nella rappresentazione collettiva il significato di essere e fare volontariato lasciava spazio ai più giovani, occorreva aggiornare quella immagine ricevuta e data per scontata, quella specifica forma culturale (Prandini 2010; Orlandini 2010). In questo saggio mi propongo di ricostruire brevemente quel dibattito così da utilizzarlo come mappa per orientarsi in quel nuovo mondo del volontariato che non è ancora stato sufficientemente messo a fuoco. Non vi è infatti alcun dubbio che i macrocambiamenti che riguardano la società-mondo o almeno la sua parte Occidentale toccano anche l immagine e la pratica volontaria. Alcuni grandi sociologi hanno colto le trasformazioni e, come spesso accade in questi casi, la figura del volontario è stata utilizzata come grande 1 In questo saggio si adotta la semantica della trasformazione, per indicare i cambiamenti nella forma del volontariato. Ciò serve a sottolineare che non si tratta né di una genesi di nuove forme (prospettiva da utilizzare solo quando vi è davvero la genesi di una forma nuova ), né di una mutazione delle stesse (che implica un cambiamento non solo di forma, ma pure di sostanza degli elementi messi in forma) né di semplice variazione di alcuni aspetti della forma (che non implicano un vero e proprio cambiamento, ma soltanto appunto un discostamento di alcuni suoi elementi).

2 metafora di cambiamenti più globali e radicali. Chi, come Putnam (2000), ha parlato di esaurimento generazionale del volontariato (negli Us) e chi, come Wuthnow, lo ha contraddetto presentando miriadi di casi di loose connections (1998); chi ne ha decretato il restringimento (Macduff 2004) e chi lo svanire (Gaskin 1998); chi ha diagnosticato la crisi irreversibile delle appartenenze a organizzazioni fortemente strutturate (Dekker e van den Broek 2006); chi da tempo analizza le forme episodiche e contingenti di volontariato (Hustinnx 2010a). Tutte queste immagini convergono verso la macro-tesi della de-tradizionalizzazione e individualizzazione del nuovo volontariato (Hustinx e Meijs 2011). Come vedremo più analiticamente, il quadro di riferimento teorico di questi studiosi è tale da focalizzarsi sui processi di individualizzazione, sradicamento, professionalizzazione, managerializzazione, mercantilizzazione, etc. del volontariato, a scapito di altre fenomenologie che pur non contraddicendo questa Grande trasformazione ne illuminano lati diversi e non meno importanti, tali da ricostruirne una immagine più complessa e realistica. Simultaneamente il volontariato di trans-forma anche come personalizzazione, ri-radicamento, umanizzazione, centratura sulle cure all altro, etc., tutti aspetti che dentro a un unico quadro interpretativo non possono essere realmente colti e spiegati. Chi propone la tesi della individualizzazione e detradizionalizzazione del volontariato, non può fare altro che osservare anche sviluppi del tutto contrastanti, come gli innumerevoli tentativi di riradicamento da parte di Terze parti istituzionali, mediante strategie normative obbliganti. Si pensi, solo come esempio, alle innumerevoli proposte di istituire un servizio civile obbligatorio per i maggiorenni, o a tutti i programmi di socializzazione all azione volontaria messe in campo dalle istituzioni scolastiche, educative e finanche dal mondo for profit. Questo modo di osservare, però, non fa altro che ribadire in modo poco innovativo le dinamiche contraddittorie di libertà e controllo (della stessa libertà) che caratterizzano da tempo la tarda modernità. In pratica anche l esperienza del volontariato è sottoposta alla sindrome tipica del gioco guardia e ladri : a processi di liberalizzazione e mercantilizzazione del volontariato che s-catenano energie prima incastonate istituzionalmente si prova a rispondere con processi di obbligazione e re-istituzionalizzazione che falliscono l obiettivo in quanto non fanno altro che deviare le spinte liberalizzanti in altri spazi-tempi (Teubner 2012). Ne deriva, come cercherò di spiegare, una dinamica culturale che rende sempre più difficile riconoscere queste nuove configurazioni come volontariato. Alcune ricerche hanno mostrato proprio come le persone comuni, attraverso il buon senso, non riconoscano più in molte delle

3 attività attuali il volontariato, e cercassero continuamente di ridifferenziarlo, nella sua concettualizzazione e nel suo operare, dalle sue manifestazioni spurie (Handy et alii 2000). Questa dinamica di autodifferenziazione del campo del volontariato ricorda, nel suo aspetto processuale, la tragedia della cultura di simmeliana memoria: qualsiasi forma culturale istituita viene decostruita e messa in crisi dal fluire della vita sociale che preme per ridefinire i confini di significato delle forme. D altra parte l espressione vivente del volontariato, per potersi manifestare, necessita di prendere forma. Le rappresentazioni culturali e le pratiche del volontariato vengono costantemente ibridate e toccate da altri valori provenienti da altri sub-universi di senso (per esempio: dall efficacia; dalla professionalizzazione; dalla ricerca di ricompense sociali; dalla necessità di regolazione, etc.). Questa ibridazione crea in un primo memento forme spurie di volontariato che hanno una loro logica e rispondono a determinati problemi, venendosi così a istituzionalizzare. Simultaneamente però, il nucleo puro del (valore sociale del) volontariato, attraverso l operare di particolari attori (individuali e quali leader e/o collettivi), si ri-distingue dalle ibridazioni, innescando veri e propri processi di fuga. Nella parte finale del saggio vorrei provare a descrivere proprio la parte ricostruttiva di questa dinamica di toccata e fuga, laddove sono i volontari stessi ad auto-differenziarsi dalle commistioni con logiche spurie e a ri-specificare le aspettative di ruolo che informano la figura del volontariato. Cercherò quindi di innescare una riflessione su cosa significhi, oggi, essere ed agire come volontari. L ipotesi che introduco afferma che oggi volontari si diventa (e si viene riconosciuti come tali), solo in-vestendo la propria identità personale di un certo abito, impegnandosi nel generare, in un certo modo, legame sociale di un certo tipo 2. Le variabili distintive in opera in questo divenirevolontario sono almeno tre: 1) l abito sociale con cui si in-veste la propria identità personale; 2) la modalità di operare; 3) il tipo di legame sociale generato. La prima variabile è costituita dalla distinzione personale/individuale ; la seconda dalla distinzione personalizzante (unico)/spersonalizzante (standardizzato); la terza dalla distinzione 2 Utilizzo il concetto di in-vestimento e di im-pegno, riprendendoli dalla concettualizzazione di Laurent Thévenot (2006). In buona sostanza il concetto di investimento richiama alla necessità di dare forma riconoscibile alle proprie azioni, affinché siano collegabili ad altre azioni: quello di impegno, sta a significare che ogni azione è implicata in un contesto esistenziale e che istituisce un rapporto di co-implicazione.

4 prossimo/distante. Potremmo sintetizzare il discorso con l affermazione creare legame sociale è possibile in molteplici modi, ma solo uno particolare è quello riconosciuto come genuinamente generato mediante l agire volontario: quello messo in opera personalmente, in modo personalizzante e capace di generare un legame di prossimità. Quali sono i contesti strutturali e culturali, oltreché personali, che rendono possibile essere volontari, oggi, diversamente che nel passato? Questa riflessione mi pare necessaria proprio nel momento in cui stiamo perdendo la vecchia rappresentazione e pratica del volontariato. In altre parole vorrei riflettere sui processi sociali (e non psicologici) che trasformano un individuo in volontario, cercando di mostrare come, similmente agli oggetti della quotidianità, anche gli individui possano tradursi da un contesto uniformante in cui vengono valutati in quanto portatori oggettivi di ruoli a contesti dove sia invece atteso il loro agire personalizzato. Da qui, trattandosi comunque di uno shift, di un crossing, tra contesti e ruoli diversi, concluderò con il paradosso della tragedia del volontario: volontari si diventa agendo al di fuori dei ruoli professionali, familiari, politici, etc., tipici della società contemporanea funzionalmente differenziata; simultaneamente, però, per fare/essere volontario si deve entrare in un ruolo sociale ben definito, riconosciuto, contestualizzato in organizzazioni (formali o informali), con identità e storie precise. Questo ruolo è a sua volte un fascio di aspettative socialmente istituzionalizzate e quindi non è concepibile come lo spaziotempo della libertà individuale, bensì come un abito che si indossa (e su cui investe ) per agire in certi modi. Questa uscita da ruoli funzionalmente definiti ed entrata nel ruolo del volontario è chiaramente un paradosso perché l agire volontario (per essere tale) deve uscire da certe aspettative senza però rimanere in uno spazio neutrale, bensì ri-entrando in un diverso ruolo dove ci si aspetta un agire specifico. Il paradosso sta nel potersi convertire in volontari in modo non volontaristico, bensì rientrando la distinzione agire personale/agire di ruolo, dentro all agire di ruolo. In questa operazione di re-entry, il volontario in-veste la sua identità in una forma riconoscibile socialmente, ma questa particolare riconoscibilità converte la forma da qualcosa di uniforme verso la possibilità di trascendere se stessi (come individui standardizzati dalle attese funzionali sistemiche); converte nella direzione di un divenire-persona. 2. Nuove forme di volontariato come risposta ai processi di individualizzazione sociale e il paradosso della dividuazione

5 2.1. Le nuove forme del volontariato: da quello collettivo a quello riflessivo Per inquadrare la riflessione internazionale sulla figura del volontario e del volontariato, utilizzerò alcuni illuminanti contributi di Lesley Hustinx. La sociologa belga ci aiuterà a situare il passaggio del volontariato cosiddetto tradizionale e classico a quello moderno e/o nuovo. Si tratta di marcare un passaggio di figura e di orizzonte culturale che sembrerebbe accadere verso la metà degli anni Ottanta. In entrambi i casi quelli del volontariato tradizionale e moderno siamo al cospetto di figure tipiche soltanto della società moderna differenziata per funzioni. Ogni società, in ogni tempo e spazio, ha conosciuto atti di generosità, di aiuto gratuito, di cura incondizionale, ma soltanto la società moderna strutturandosi sulla base di funzioni specifiche svolte entro specifiche sfere d azione ha ritagliato un ruolo per il volontario. Non è un caso che, se si sfoglia un qualsiasi dizionario della lingua italiana, le prime due accezioni del termine riguardino la relazione tra un individuo e i ruoli militari, prima (l arruolarsi e il prestare servizio, come volontario, nelle forze armate di uno stato o in una formazione militare o paramilitare); occupazionali (prestazione volontaria di lavoro, gratuita o semigratuita, eseguita al fine di acquisire la pratica necessaria allo svolgimento di un attività professionale o di un lavoro, e il relativo titolo di riconoscimento) e, solo in ultimo (anche in termini temporali) in riferimento al cosiddetto terzo settore (prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a emergenze occasionali oppure come servizio continuo). Non si tratta dunque di analizzare tratti psicologici peculiari di certi individui (la propensione o l orientamento al volontariato) e neppure tipologie caratteriali, quanto di soffermarsi su quelle aspettative riflessive (su quella cultura socialmente trasmessa), che permettono ai membri di una società di riconoscere in certe esperienze ed azioni quelle del volontario. Nella definizione corrente gli elementi definitori della figura del volontario sono: 1) operare a favore di altri (solitamente non della propria cerchia familiare) o di organizzazioni; 2) senza alcun corrispettivo in denaro; 3) in modo del tutto libero; 4) entro un contesto organizzativo (Van Daal 1990). Si noti come la quarta caratteristica sia fondamentale anche se spesso non debitamente considerata. Infatti, agire liberamente e senza remunerazione è qualcosa di (normativamente) atteso nella sfera familiare e

6 amicale (per cui apparecchiare la tavola o aiutare a portare in casa la spesa, etc., non sono attività considerate di volontariato), ma anche del tutto normale entro quasi tutte le sfere sociali non familiari/intime: aiutare un collega di lavoro a terminare le pratiche urgenti; dare una mano all anziana per trasportare un pacco; aiutare un vicino a tenere in ordine il giardino, etc., sono attività volontarie e gratuite, ma che non rientrano del tutto nell esperienza moderna del volontariato. Certo, personalmente ci si può sentire volontari, ma se lo si fa da soli e senza rendersi pubblicamente riconoscibili come volontari, questo agire è piuttosto classificato come dedizione personale a una causa o come generosità. Il rapporto con una organizzazione o un gruppo (più o meno formalizzato) e la continuità dell agire nel tempo (e nell organizzazione), sono perciò aspetti centrali per definire il volontario. Questo per il motivo fondamentale che il volontario come figura riconoscibile socialmente, deve (in)vestirsi di un particolare ruolo, tra gli altri a disposizione, che appunto gli permette di presentarsi pubblicamente come tale ( faccio volontariato ). Non sempre comunque l identificazione del volontario è agevole. Si pensi a un signore in pensione che in modo continuativo, a casa sua e senza pubblicizzarlo aiuta dei bambini a fare i compiti. In questo caso, potremmo dire che egli fa del volontariato, ma non è un volontario in quanto non membro di alcuna organizzazione riconoscibile. Per ovviare a queste difficoltà definitorie, lo studioso Cnaan (1996) propone di identificare il volontariato in modo graduale, partendo dalla sua forma pura fino ad ampliare la definizione. Egli seleziona quattro variabili definitorie: 1) libertà vs obbligo ad agire; 2) assenza di remunerazione vs remunerazione molto bassa o solo simbolica; 3) contesto organizzativo in cui si opera (formale vs informale); 4) beneficiari dell attività (l Altro generalizzato e sconosciuto vs se stessi). Come vedremo a breve, sono proprio i contemporanei processi di mutamento sociale che stanno rendendo sempre più difficile identificare i volontari e il volontariato, soprattutto tra le generazioni più giovani. La Hustinx, ponendo il cambiamento del volontariato circa a cavallo degli anni Ottanta, almeno in Europa, lo definisce in diversi modi: come passaggio da un orientamento collettivistico a uno individualistico, da uno basato sull appartenenza a una basato su progetti; da uno istituzionalizzato a uno auto-organizzato. In buona sostanza il vecchio volontario che agiva per in modo continuativo, impegnandosi per una causa collettiva e socialmente condivisa, entro la stessa organizzazione, sta lasciando il posto a un impegno molto più caratterizzato da interessi personali (non inquadrati in un contesto comune), forte ricerca di auto-realizzazione e da finestre temporali più brevi (Hustinx 2010b). Più in generale quella della Hustinx è

7 una interpretazione modernista che legge i cambiamenti e le innovazioni in termini di de-tradizionalizzazione, sradicamento, individualizzazione, autoriflessività (della modernità). Fondamentale per questa interpretazione è l idea che la Modernità dopo aver trasformato le strutture e le culture delle società tradizionali stia auto-sabotandosi, rendendo le proprie strutture e processi sempre più precari e ambigui. Dal punto di vista del Terzo settore, potremmo ipotizzare un passaggio da una esperienza di tipo collettivistico e fortemente etero-normativa (l appartenere a grandi movimenti con strutture ideologiche precostituite), ad una più individualistica e autonoma. Il volontariato serio starebbe declinando generazionalmente sostituito da un nuovo ethos, cioè da disposizioni e preferenze soggettive, orientato agli interessi e bisogni personali, alla ricerca di autonomia e libertà rispetto alle organizzazioni, alla selezione chiara e precisa di compiti e tempi per eseguirli: in una parola a un ethos dell auto-realizzazione personale che utilizza il volontariato in termini piuttosto strumentali. Potremmo anche dire, utilizzando i termini di Taylor e di Bellah, che il volontariato contemporaneo esprime un ethos terapeutico ed espressivistico, ma simultaneamente anche uno atomistico e strumentale (Taylor 1994). Ciò andrebbe a trasformare poco a poco e strutturalmente il ruolo stesso del volontario, rendendolo più effimero, transitorio, episodico: meno comunitario e più individualistico; meno duraturo; meno rivolto al bene degli altri; meno sacrificale, etc. Di fronte a questo ipotetico cambiamento, si osservano da parte delle organizzazioni da un lato tentativi dal basso di personalizzare i compiti e gli impegni richiesti ai volontari, rendendoli molto più flessibili e negoziabili e dall altro tentativi dall alto da parte di istituzioni pubbliche di rinvigorire il volontariato andando a cambiare le componenti di volontarietà e di gratuità che stanno al cuore della pratica. Agli individui è richiesto di fare volontariato come esperienza curriculare necessaria ad acquisire un posto di lavoro e le loro attività vengono riconosciute e remunerate in modalità diverse. Le teorie della modernizzazione riflessiva che basicamente stanno alla base di questa diagnosi (Beck e Beck-Gernsheim 2002), riconoscono la compresenza di almeno due fonti normative in contraddizione e competizione reciproca nel dare senso alle biografie contemporanee dei volontari: da un lato una spinta verso l individualizzazione che mal sopporta ogni appartenenza collettiva forte e qualsiasi richiamo alla eteronomia; dall altro una spinta ad appartenenze più stabili ed eteronome che, seppure non più di tipo tradizionale, si richiamano ancora a quadri di riferimento comuni. La modernità riflessiva non è la semplice Modernità

8 con il suo progetto in crisi, bensì l insieme plurale di culture derivato dalla decostruzione di quel progetto che si scontrano l una con le altre. A partire da questo sfondo, Hustinx e Lammertyn (2003) elaborano una tipologia di stili di volontariato basata sulle trasformazioni strutturali delle biografie individuali. Vengono considerati i percorsi biografici dei volontari, così come sono inquadrati entro le strutture e culture sociali contemporanee. Non siamo di fronte a una versione individualistica del cambiamento, ma invece a una focalizzata sulle trasformazioni embedded delle biografie individuali. Gli autori differenziano un piano oggettivo dell analisi che riguarda i vincoli strutturali delle biografie e uno soggettivo relativo alle motivazioni. Selezionano poi sei variabili specifiche che dovrebbero caratterizzare quegli stili: il quadro di riferimento biografico; la struttura motivazionale; il corso e l intensità dell impegno; l ambiente organizzativo; la scelta del campo di attività; la relazione al lavoro (pagato). Ne derivano due macro tipologie di volontariato, quello tradizionale e quello riflessivo, che sintetizziamo nella Tab. 1. Tab.1. Quadro analitico per esplorare stili collettivi e riflessivi di volontariato. Fonte Hustinx e Lammertyn (2003). Quadro di riferimento biografico Struttura motivazional e Stile di volontariato Volontariato collettivo Soggettivo: motivazionaleattitudinale Oggettivo: strutturalecomportamentale - Biografia standard e collettiva; - Continuità biografica; - appartenenza ascrittiva al gruppo; - Codice di condotta collettivamente prescritto. - Coordinare il significato religioso e ideologico; - Posizioni e ruoli chiari nella comunità di rilevanza. - Identità collettiva; - assoggettamento dato per scontato ai fini collettivi; - Dichiarazione di appartenenza al gruppo; - Monitoraggio eteronomo. - Senso ovvio del dovere e di responsabilità alla comunità e alla collettività; - Strumenti per una affermazione di stabilità e identità biografica. Volontariato Riflessivo Oggettivo: strutturalecomportamentale - Biografia autocostruita; - Discontinuità biografica; - appartenenza elettiva al gruppo; - Corso d azione auto-determinato. - Interazione intensa tra condizione biografica ed esperienza di volontariato; - Discontinuità biografiche in termini di crisi e di ri-orientamenti attivi. Soggettivo: motivazionaleattitudinale - Auto-identità; - Autoriflessività; - Match biografico; - Libertà e incertezza; - Automonitoraggio - Motivazioni auto-centrate; - Strumenti per avere a che fare con incertezze biografiche e per una autorealizzazione attiva; - individualismo solidale o altruistico.

9 Corso e intensità dell impegno Ambiente organizzativ o Scelta dell attività - Corso di vita prevedibile è la base per un impegno regolare e a lungo termine; - Partecipazione intensa; - Impegno centrale. - Gerarchico, organizzazioni segmentate socialmente o ideologicamente; - Centralità di leadership forti; - Accoppiamento stretto tra appartenenza formale e volontariato; - Volontariato associativo. Inclusione/esclusion e basate sull universalismo di una cultura e di modi di vita comuni; - Iniziate e controllate da altri; - Riproduzione di modelli di genere tradizionali. - Impegno incondizionale ed auto-evidente; - Devozione completa. - Attaccamento forte all organizzazion e; - Impegni sovrapposti; - Socializzazione e integrazione tramite impegno; - Dedicazione ai valori e scopi organizzativi. - Politiche basate sul gruppo; - Solidarietà ristretta; - Idealismo; - Impegno comunitario di ampio respiro e multi scopo. - Corso di vita imprevedibile è la base per un impegno accidentale, irregolare e a breve termine; - coinvolgimento dinamico: entrate e ritirate frequenti; - flessibilità e mobilità; - impegno effimero o lasco. - Organizzazioni non profit e terziarie, iniziative decentralizzate; - Disaccoppiamento tra membership e volontariato; - Strutture istituzionali e forme di acquisizione centrate sui volontari; - Volontariato di programma. - Disintegrazione locale tra integrazione globale; reti elettive globali; - interazione tra azione locale e impegni locali. - Impegno condizionale, dipendente su bisogni e condizioni biografiche; - Preferenza per progetti sequenziali e contingenti. - Attaccamento all organizzazion e debole; - impegno vicario; - Impegno delocalizzato; - Orientamenti funzionali: focus sulle attività offerte; non sulle organizzazioni in cui sono prestate. - Politiche dell identità e degli stili di vita; - Sentimenti contingenti di solidarietà; - Pragmatismo, attivismo localizzato; - Preferenza per servizi personalizzati; - Valori postmaterialistici. Relazione al lavoro pagato - Società centrata sul lavoro retribuito; - Autorità professionale; - Posizione ancillare del volontario. - Buone intenzioni e senso comune. - Significato esteso del lavoro; volontariato come parte dell esperienza lavorativa; - Professionalizzazio ne del settore volontario e del - Volontari professionali.

10 volontariato; - Volontariato corporativo. Come è facile osservare gli stili sintetizzano due momenti della Modernità, quello tipico dalla fine delle Guerra Mondiale fino alla metà degli anni Settanta (tradizionale) e quello successivo che vede esplodere le pratiche riflessive. Per inciso si tratta di un passaggio generazionale che vede esplodere i cosiddetti valori immateriali. Gli autori concludono e rilanciano la loro proposta teorica con tre riflessioni: 1) non è assolutamente vero che la cosiddetta individualizzazione del volontariato coincida con una perdita di influenza della società. I processi di individualizzazione sono processi del tutto sociali. Le dinamiche strutturali che innescano l imprevedibilità e la complicazione dei corsi di vita, la cultura del professionismo che entra nel volontariato così come molte altre pressioni strutturali e culturali collettive danno forma alle nuove esperienze di volontariato; 2) una vera trasformazione è visibile nella relazione tra i volontari e le organizzazioni. È infatti evidente che i volontari più giovani non hanno una relazione di appartenenza forte e neppure una forte identificazione con i valori e le procedure delle organizzazioni. Il rapporto è molto più lasco, libero, meno coinvolgente e più pragmatico. Inoltre l impegno dei volontari tende a diventare più intermittente, oscillante, contingente, dipendente da molti altri impegni che si sovrappongono in maniera non sempre ordinata o ordinabile (e ciò deve essere tenuto in conto dalle organizzazioni); 3) infine, tra chi esperimenta momenti di volontariato aumenta la presenza di persone dotate di capitali umani, economici e sociali elevati, mentre tendono a venire marginalizzati coloro che hanno minori dotazioni. Questa riflessione è corroborata da miriadi di ricerche internazionali che mostrano correlazioni statistiche positive tra numero di volontari/organizzazioni volontarie, un contesto sociale sviluppato e con la presenza di istituzioni pubbliche forti (contraddicendo la tesi della compensazione tra pubblico e privato) Le strategie per affrontare l individualizzazione: l emergere della volunteerability In un successivo saggio Hustinx e Meijs (2011), a partire dalla riflessione sulla de-tradizionalizzazione del volontariato, presentano le diverse strategie messe in atto per re-radicarlo collettivamente. Identificano

11 perciò due aspetti salienti della trasformazione biografica in atto che influenzano la capacità di diventare volontari: 1) la volontà e 2) la possibilità, di diventare volontari. Il primo aspetto riguarda le preferenze individuali i desideri e i bisogni che orientano le persone a diventare volontari; il secondo riguarda invece i cambiamenti sociali strutturali che influenzano le biografie individuali e che, conseguentemente, possono agevolare o limitare la possibilità di diventare volontari. Gli studiosi osservano il divenire volontari dal punto di vista soggettivo (quanto si desideri fare volontariato) e oggettivo (il contesto che agevola o contrasta quella volontà). L insieme di aspetti soggettivi e oggettivi definisce la variabile chiamata volunteerability delle persone (la loro volontariabilità ): non solo il desiderio personale di diventare volontario, ma anche tutto quell insieme di funzionamenti che possono agevolare il volontariato. Questa volontari-abilità può essere sostenuta e agevolata a tre livelli operativi: individuale (lavorando sugli orientamenti valoriali personali), organizzativo (lavorando sulla relazione tra volontari e organizzazioni) e sociale (lavorando sui macro contesti di vita che possono agevolare il volontariato come, per esempio, gestire meglio l organizzazione temporale della società). I tentativi di promuovere la volontari-abilità, cioè di riradicarla in un contesto comune e non individualistico, fanno presa su diverse logiche, strategie e attori. Le logiche possono essere funzionali e/o normative e sono finalizzate a ri-orientare i volontari sempre più alla ricerca di premi e ricompense individuali verso ricompense più collettive. Rispetto alla variabile della willingness soggettiva, le logiche sono solitamente di tipo normativo, come per esempio i tentativi di socializzare a valori di buona cittadinanza e impegno comune; rispetto al lato oggettivo della availability, invece, si lavora sulla pervasiva mancanza di tempo e sull asimmetrizzazione tra i tempi sociali. Le organizzazioni di volontariato rispondono a quelle sfide ampliando, per i loro membri, le possibilità di negoziazione e di impegno contingente. In sintesi pretendono un impegno meno durevole e pervasivo, accettando invece volontari oscillanti. Le strategie attuate comprendono, da un lato, la possibilità di adattarsi alle nuove spinte individualistiche e, dall altro, tentativi di rimediare alle conseguenze negative dell individualizzazione. Nel primo caso non si cerca di legare il volontario per sempre e olisticamente, bensì a progetti limitati nel tempo e molto specifici: il volontario non sposa la causa nella buona e nella cattiva sorte, ma più semplicemente si impegna finché ciò lo soddisfa. Potremmo dire con Giddens che il volontario elabora una relazione pura con l organizzazione. Organizzazioni e volontari negoziano e scambiano tempi, impegni, risorse, premi, riconoscimenti, etc.,

12 sviluppando così strategie funzionalmente abilitanti. Nel secondo caso, più presente tra le istituzioni pubbliche, si opera mediante pressioni normative di tipo culturale cercando di modificare e contrastare la cultura dell individualismo. Qui sono protagoniste tutte le campagne di informazione e formazione del volontariato che cercano di modificare la willingness dei cittadini. Rispetto agli attori, infine, si distingue tra interni, cioè relativi alla organizzazione, ed esterni cioè relativi a terze parti (quali i governi, le aziende, la scuola, i gruppi di pressione, i mass mediai, etc.) che cercano di influenzare la partecipazione al volontariato elaborando ampi programmi di socializzazione (corsi di civismo, giornate del volontariato, giorno della donazione, servizio civico pubblico, etc.). Gli autori evidenziano tre tipi diversi di strategie in atto. La prima prende il nome di abilitazione funzionale e risponde in termini prevalentemente organizzativi ai problemi dell individualizzazione. I nuovi valori e desideri degli individui così come la loro disponibilità di tempo sempre minore, contingente, episodica e oscillante spingono le organizzazioni a ritagliare le loro attività in modalità estremamente individualizzate. Si parla quindi di flessibilizzazione laddove si cerca di proporre impegni più leggeri e semplici che necessitano di meno competenze e attenzioni. In buona sostanza il management delle organizzazione rende più semplice ai volontari entrare ed uscire dal contesto, riducendo il loro impegno e modificando il significato dello stesso. È come se il taylorismo fosse entrato nel mondo del volontariato, con le conseguenze del caso. Non più artigiani, ma operai in una sorta di catena di montaggio del volontariato. Uno dei modi più utilizzati dalle organizzazioni per attirare nuovi individui, è quello di unire una esperienza di volontariato con un diverso tipo di esperienza (per esempio lavorativo, religioso, politico, di tempo libero, etc.), o viceversa, così da rendere possibili due esperienze nel medesimo tempo. Altri esempi molto interessanti sono quelli di combinare una esperienza di volontariato a un appuntamento con altri individui single; organizzare esperienze di volontariato famigliare così da tenere unite le famiglie per un obiettivo comune; sperimentare forme di volon-turismo mixando turismo e volontariato; unire volontariato ambientalista con attività fisica e finalizzata al fitness, etc. Questo tipo di strategia è chiamato Add-On e implica che i volontari non debbano dedicare tempo alla sola attività di volontariato,

13 bensì fare diverse cose e apprendere nuove capacità che potranno poi essere spese ben al di fuori della sfera volontaria. Non a caso sempre di più i datori di lavoro sono interessati a ingaggiare persone che abbiano avuto anche esperienze di volontariato, perché ritenute più capaci di lavorare in opzione multitasking. La seconda strategia ha invece a che fare con pressioni normative che cercano di influenzare i processi di individualizzazione, esattamente in termini opposti ai precedenti. Qui, infatti, si tratta di agenzie formative prevalentemente terze, meno implicate sul piano pratico e organizzativo, che tentano di ri-socializzare i volontari a pratiche meno individuali e contingenti. Le strategie istituzionali vanno da pressioni limitate che mostrano ricompense innovative per i volontari; modalità per informare in modo chiaro sul tipo di impegno richiesto; obblighi istituzionali. Gli autori distinguono tra soft pressure esercitate soprattutto dai governi, dai politici o da leader che fanno appelli pubblici per il volontariato, celebrandone le virtù e provando a incrementare la willingness degli individui appellandosi a valori come la solidarietà collettiva, la cittadinanza attiva e la coesione sociale: e hard pressure come ad esempio l istituzione di banche del tempo che rendono reciproco l aiuto, andando così a modificare il sistema di ricompense del volontariato (solitamente asimmetrico); o forme di punizione come il rendere obbligatoria una attività di volontariato per chi ha commesso certi tipi di reato. Una forma diversa di pressione normativa è quella operata dalle istituzioni educative, o comunque da ogni istituzione che attivi un curriculum teso a socializzare gli individui al volontariato. In alcuni Paesi è stato anche istituito un anno di volontariato civico obbligatorio, per i più giovani. Nella loro purezza ideal-tipica queste due strategie esistono raramente. Quasi sempre si tentano mix e ibridazioni proprio perché è necessario operare sia in termini soggettivi sia oggettivi, normativi e funzionali, organizzativi e sociali. Uno degli esempi migliori è dato dal principio della self-reliance utilizzato da numerose organizzazioni per rendere esplicita e obbligatoria la norma del dover fare volontariato : un membro è anche un volontario, questo il contratto. Si pensi alle attività richieste ai genitori di figli che frequentano un gruppo sportivo, laddove gli si chiede di accompagnare i figli alla partita, o di lavare l abbigliamento da gara, etc. Qui l azione volontaria è obbligata, ma allo stesso tempo molto limitata, esplicita e programmabile. Oppure si pensi al movimento cooperativo, laddove per diventare membri occorre anche svolgere ore di volontariato. Queste ibridazioni legano attività volontarie alla erogazione di un servizio, anche se spesso questo volontariato è spesso rivolto a se stessi e ai membri della propria organizzazione. Si tornerebbe

14 quasi all idea di volontariato come gettone di accesso a un lavoro o a un servizio. La riflessione conclusiva degli autori è che queste logiche e strategie, nel tentativo di agevolare la volunteerability, stanno rendendo sempre più difficile riconoscere il nuovo volontariato come volontariato tout court. Di fatti stanno entrando nel campo semantico del volontariato aspetti di obbligatorietà molto espliciti e una cultura della negoziazione e del tornaconto personale molto evidente: il risultato finale sembra quello di modificare il significato basilare del volontariato, diminuendo il senso di dedicazione e di auto-sacrificio personale che sta alla base della sua moderna immagine. Non è un caso che numerose survey ci informino della ricezione preoccupata e ambivalente dei cittadini che non riconoscono più in queste forme il volontariato. D altra parte è però evidente che il volontariato del futuro sarà simultaneamente più ricompensato (individualmente) e più regolato (collettivamente), fino a sfiorare il campo della obbligatorietà. Quali saranno le conseguenze di questi processi a tenaglia che, da un lato, enfatizzano in modo non coordinato (e difficilmente coordinabile) libertà individuale ricompensata e obbligatorietà collettiva sanzionabile e, dall altro, cercano di ibridarli in una immagine di volontario a tempo determinato, su temi sociali sempre più specifici, senza appartenenze forti, e sempre più mediato dalle tecnologie e dai social network? 2.3. Individualizzazione o dividualizzazione? I possibili effetti perversi delle strategie in atto Non è affatto un caso che la stessa Hustinx (2010b) in un recente contributo, metta in evidenza il paradosso di quello che ora chiama volontariato istituzionalmente individualizzato e che rappresenterebbe il pendant culturale della cosiddetta rivoluzione delle forme organizzative ibride della tarda modernità. Di cosa si tratta? Riprendendo la concettualizzazione di Beck, la studiosa belga sottolinea come con processo di individualizzazione non si intenda affatto la liberazione dell individuo dai lacci e lacciuoli delle istituzioni e dalle loro regolazioni. Non si può parlare di gioco a somma zero, uno in cui diminuirebbe il peso normativo e aumenterebbe corrispettivamente quello della libertà individuale. Si tratta, invece, proprio di un processo istituzionale che impone all individuo di diventare più individuo. In buona sostanza per individualizzazione si deve concepire il processo di inclusione sociale da parte delle istituzioni

15 della modernità: una «struttura di controllo istituzionalmente dipendente delle situazioni individuali» (Beck 1986, 131). Non vi è alcuna possibilità di confondere questo processo con uno scelto liberamente e di pura emancipazione: nella contemporaneità si diventa individui non per scelta, ma in quanto ri-prodotti dalle strutture e culture sociali. D altronde questo assoggettamento, questo processo imposto, realmente implica nuove opportunità di libertà e di scelta. Potremmo vedere in questo processo e la sua concettualizzazione, come erede di una lunga tradizione sociologica che percepisce la Modernità come incremento simultaneo di libertà e controllo (Wagner 1994): dalla sacralizzazione dell individuo come rappresentazione sociale di durkheimiana memoria, passando per i processi di razionalizzazione che però scatenano anche spazi di irrazionalità e libertà di derivazione weberiana, fino all idea di Legge individuale di Simmel, per proseguire con le configurazioni sociali individualizzanti di Elias, l individualismo individualizzato di Parsons, i processi di distinzione descritti da Bourdieu, fino alla nuova governamentalità di foucaultiana memoria, etc. Per utilizzare una immagine più attuale, siamo di fronte alla società delle apps. Le apps sono riduzioni istituzionali della complessità, dispositivi pre-definiti di orientamento che un individuo può utilizzare per personalizzare il suo rapporto con il multiverso virtuale della rete. Nella scelta e nell utilizzo delle apps, l individuo attiva suoi disposizioni e poteri, ma lo fa su qualcosa che comunque è già stato preparato da altri. È ben visibile qui il meccanismo sociale dell individualizzazione che, appunto, implica una duplice logica in atto: quella del controllo e della standardizzazione, e quella della libertà di scelta. Ciò che non può essere però scelto è se individualizzarsi o meno in questo modo. La scelta dei life-styles, compresi quelli dei volontari, è già incluso in questo meccanismo e non fa problema: ciò che invece è scandaloso è qualsiasi tentativo di uscire da questa tenaglia. Così, per fare un esempio chiaro, la scelta di fare famiglia numerosa non può che essere concepito come il risultato di una razionalità limitata e osservato con sorpresa: chi vuole stare fuori dalla forma di individualizzazione moderna, non può che esporsi al ridicolo. L individualismo istituzionalizzato trova una sua traduzione, anche nel campo del volontariato, esattamente in questi termini: la crescente istituzionalizzazione di forme più individualizzate di volontariato (Hustinx 2010b). Il nuovo volontariato è agevolato da forme organizzative che, managerialmente, predispongono ruoli aperti e flessibili per individui disposti a svolgerli in modi più oscillanti e meno normativamente regolati. Di nuovo siamo di fronte all emergere di una configurazione sociale

16 generata da meccanismi la cui logica, simultaneamente, implica l attivazione di (determinate) capacità individuali e di (determinate) regole organizzative adatte a quel tipo di attivazione. I tentativi delle organizzazioni di abilitare un volontariato più individualizzato e meno impegnativo richiede, paradossalmente, una organizzazione molto più analitica e specifica delle attività volontarie. Da qui la miscela di libertà e controllo tipica di questa sindrome individualistica di cui vedremo più avanti la contingenza e i limiti. Secondo la Hustinx sono in atto due processi di ri-strutturazione del volontariato, uno primario e uno secondario. Quelli primari si riferiscono alla istituzionalizzazione dell individualismo entro associazioni volontarie di tipo classico; quelli secondari, invece, riguardano l attività di attori diversi, specialmente quella di organizzazioni ibride. La tipologia è così riassunta (Tab. 2). Tab. 2. Il volontariato istituzionalmente individualizzato (Hustinx 2010b, 170). Ri-strutturazione primaria Ri-strutturazione secondaria Forma organizzativa Associazione classica Organizzazioni ibride Contesto Cambiamento biografico Welfare mix, politiche dell ethos Immagine del Il nuovo volontario Volontariato Plug-in volontario Tipo di intervento Logica organizzativa interna; bottom-up; approcci di nuovo management Logica istituzionale esterna; top-down; intervento di terze parti Logica dominante Rilevanza della scelta Rendicontabilità; disciplinamento I processi primari riguardano le organizzazioni classiche di volontariato e gli attori della società civile moderna. Ne deriva una configurazione dove il volontario è considerato essere un membro stabile di una organizzazione che partecipa alla vita sociale in modo spontaneo e informale, mediante attività multifunzionali, generando legami significativi in un tessuto sociale ben localizzato e denso di tradizioni. Potremmo dire che è un volontariato comunitario, cioè ascritto, particolaristico, rivolto all altro, con attività diffuse, e ricco di attaccamenti affettivi. È da questo contesto che emergono i processi di trasformazione. Il nuovo volontariato si caratterizza come la risposta delle organizzazione ai cambiamenti nelle biografie individuali dei

17 volontari, divenute più flessibili, meno normative e più frammentate. Le organizzazioni, mediante un nuovo tipo di management, cercano soluzioni (solitamente basate su programmi ben determinati) per attirare individui non più disposti a fare i volontari nel vecchio modo. Nascono così progetti di volontariato ad hoc, con tempistiche specifiche e richieste di competenze molto determinate. Il volontariato si presenta nella veste di un menu in cui scegliere su cosa, come e per quanto tempo impegnarsi. Alcuni studiosi parlano di individualismo organizzato proprio a sottolineare come le associazioni si trasformino per poter essere scelte da volontari sempre più individualizzati. È un passaggio verso un volontariato di tipo contrattuale, cioè fortemente scelto (acquisito), universalistico, rivolto alla crescita del sé, con attività molto specifiche e pregno dei valori della razionalità strumentale (Lichterman 2006; Eliashop 2013). I processi secondari sono, invece, interventi top-down realizzati da terze parti, soprattutto governi, istituzioni socializzative e imprese. Qui non siamo all interno del contesto della società civile, quanto del welfare mix o comunque della ibridazione e delle partnership pubblico-private che implicano la presenza di attori istituzionali, imprenditoriali e di terzo settore. È da questo contesto dove la cooperazione attori con identità ben specifiche era schermata dai principi della competizione mercantile che si sviluppano i nuovi processi di ibridazione istituzionale. Entrano qui le pratiche dei quasi-mercati, dell accreditamento, del contracting-out. Per alcuni come Bode (2006) si tratterebbe di una mercantilizzazione dell erogazione di servizi. Ma questa non è la sola logica in atto. Si osserva un contro movimento di ri-collettivizzazione del volontariato, mediante l intervento di terze istanze votate alla ri-socializzazione degli individui. Il caso del servizio civile nazionale che permette ai ragazzi di sperimentare l impegno civico; del volontariato scolastico che attribuisce crediti formativi; del volontariato per esclusi e per persone in difficoltà; del volontariato nel contesto d impresa che permette di incamminarsi verso una professione che concili idealità e reddito, sono esempi espliciti di quella strategia top-down che seleziona forme di volontariato a progetto, funzionalizzato a raggiungere uno scopo preciso, con impegni ben determinati e di tipo plug-in. Questo secondo stream di volontariato non attiva la libertà di scelta, bensì forme inconsuete di disciplinamento e di politiche dell ethos, una sorta di ortopedia dell individualismo autocentrato che le strategie di primo tipo invece enfatizzavano. Le conseguenze di queste due logiche generative, quella della flessibilizzazione organizzativa e quella risocializzazione degli

18 individui, sono piuttosto problematiche per una serie di motivi che cerco di evidenziare di seguito: 1) vi è una netta contraddizione tra i programmi di flessibilizzazione e di ri-collettivizzazione del volontariato. Sebbene entrambi facciano leva sull individualismo istituzionalizzato, i primi tendono a liberarlo nel mercato (o in arene che somigliano a mercati), aprendolo a competizione, professionalizzazione e ricerca di ricompensa; i secondi, invece, provano a rinchiuderlo entro istituzioni pubbliche-collettive e a disciplinarne le attività soprattutto a scopi di ri-educativi. Non si comprende bene come queste due logiche, spesso compresenti, possano convivere senza creare confusione nel significato e nella pratica del volontariato; 2) in nessuno dei due programmi il volontariato è più vissuto come un ruolo che richiede una dedicazione definitiva, come un impegno di lungo termine e multi-funzionale, ma ormai come una attività tra le altre che ha una sua logica fondamentalmente funzionale, finalizzata a scopi delimitati (per esempio la crescita personale). Il ruolo del volontario diventa funzionale ad altri ruoli ora però vissuti in parallelo e ritenuti più rilevanti dal punto di vista personale; 3) in entrambi i programmi muta in modo radicale la relazione tra individuo e organizzazione, sempre più estrinseca e non fondativa di un senso di membership rilevante per l identità personale. Potremmo anche dire che essere volontario diventa molto rilevante per il riconoscimento sociale, diventa una maschera che si indossa per acquisire una buona reputazione spendibile in altri campi; 4) muta anche la figura sociale del volontario non più concepito come qualcuno che, senza ricercare alcun ritorno o vantaggio si dedica ai bisogni degli altri, ma come qualcuno che impersona il ruolo per finalità di crescita personale, di auto-realizzazione, di self-display; 5) cambiano i rapporti tra i volontari e tra le organizzazioni, laddove i primi somigliano sempre più a quelli tra colleghi e i secondi a quelli di competizione per un mercato dei servizi in espansione; 6) cambiano i tipi di attività da svolgere, sempre meno caratterizzati da un contenuto politico, assistenziale, religioso e sempre più riferiti a compiti leggeri ed esperienzialmente arricchenti; 7) cambia il significato dell azione volontaria sempre più centrata su attività di micro-cambiamento, sulla ricerca di soluzioni ad hoc e senza un contesto di riferimento orientato al mutamento sociale collettivo; 8) cambia il riferimento alle grandi visioni ideali della società che tendono a svanire, essendo sostituite dalla ricerca di alleanze sul territorio

19 che prescindono da ideologie e che tendono a riprodurre lo status quo con pochi, ma precisi miglioramenti; 9) cambia il processo di selezione degli scopi del volontariato, sempre meno scelti autonomamente dai volontari e sempre più decisi dall alto, da terze istanze non appartenenti al terzo settore. Il volontario diventa forza lavoro per progetti decisi da élite; 10) cambia il rapporto tra volontari e appartenenti ad altre forme del terzo settore, laddove la differenza tende a diventare meno chiara. Inoltre aumentano le forme di volontariato ad altissimo turn over associazionistico, laddove ciò che conta non è la fedeltà alla causa auto-definita in un percorso di maturazione e deliberazione collettivo, ma il passare da esperienza a esperienza entro campi di attività e mission diverse. Infine è in atto una selezione di smart volunteer, cioè di quelle persone che possono permettersi di fare volontariato, avendone le capacità, i tempi e i capitali necessari. Mi pare di poter concludere questo paragrafo con alcune riflessioni abbastanza chiare ed evidenti. Il nuovo volontariato fortemente caratterizzato dal punto di vista generazionale sta mutando di figura. Sembra essere soggetto ad almeno due tendenze, spesso in contraddizione reciproca: la spinta dall interno alla flessibilizzazione dei compiti e degli impegni e quella dall esterno verso la ri-collettivizzazione etica. In altri termini le forze della privatizzazione (e mercantilizzazione) e della pubblicizzazione (e ri-collettivizzazione), procedono insieme andando a generare un tipo di volontariato individualizzato istituzionalmente. Se questa torsione tardo moderna agevola e abilita un certo tipo di volontari (giovani, non ancora occupati, ideologicamente neutri, in cerca di esperienze formative, bisognosi di creare un capitale reputazionale, etc.), seleziona negativamente le forme più tradizionali e quelle che non riproducono i mainstream. Ma è un altro il risultato più emergenziale di questa nuova configurazione. Il processo ambiguo di individualizzazione sta, a mio parere, innescando potentissimi processi di dividuazione. Con dividuazione intendo un processo sociale che tende a dividere la personalità individuale, ritagliando per ogni ruolo sociale un suo aspetto (della personalità) e funzionalizzandolo al compito atteso socialmente. In altri termini la personalità viene scomposta in tante sottopersonalità che devono adeguarsi ai compiti istituzionalizzati nei ruoli. Potremmo anche parlare di Sé multipli, ma preferiamo il termine di disposizioni molteplici del sé introdotta dal sociologo francese Bernard Lahire (2013). In buona sostanza la società funzionalmente differenziata crea sottosistemi specifici dotati di loro propri auto-valori autonomi. Il

20 processo di individualizzazione procede al crescere della differenziazione sociale, proprio perché l individuo incluso de jure e spesso de facto in ciascun sottosistema, viene socializzato in modo complesso e plurale. Tale socializzazione non viene però più sintetizzata dallo sviluppo ordinato di una identità personale coesa (quello che alcuni autori chiamano il carattere ) capace di gerarchizzare e regolare l identità sociale pluralizzata. Al processo di individualizzazione che doveva in un certo senso compensare l acquisizione di disposizioni di ruolo pluralistiche generando un centro di controllo stabile e capace di identificazione e individuazione forte, come per esempio il freudismo aveva sperato viene a sostituirsi una identità personale intra-differenziata capace di adattarsi e reagire alle aspettative sociali e alle loro richieste di ruolo. L individuo si dividua, diviene un medium di possibilità variabili su cui la società può imprimere qualsiasi forma. È esattamente ciò che il filosofo francese Jean- Michel Besnier chiama l homme simplifié, un individuo che serve solo come indirizzo di processi anonimi di comunicazione e che perde l interiorità come capacità autonoma di riflessione, subissato di segnali da decifrare e rifrangere (2013). Ancora meglio questo dividuo è definito dalla psicanalista Catherine Ternynck (2012) come l homme de sable, l uomo fatto di sostanza sabbiosa su cui la società imprime ogni sua orma, il dividuo che non ha più alcuna vera sostanza da opporre alla colonizzazione del sociale. Questo dividuo è come l uomo senza qualità, colui che viene riempito dalle attese sociali, ma che non può più gerarchizzarle attraverso un orientamento personale, un ethos, perché manca di un centro identitario reso vano dall ironia che sprigiona l aumento esponenziale del possibile altrimenti. Così questo dividuo agirà ed esperirà in un certo modo a seconda dei ruoli che impersonerà e a seconda delle attese a lui rivolte. Non avrà il problema di integrare i diversi ruoli perché essi saranno mantenuti il più possibile non comunicanti, immuni gli uni dagli altri. Vite parallele, ma non di individui diversi ed auto-centrati, bensì all interno di ogni dividuo che moltiplica le proprie risposte alle aspettative sociali per agevolare i processi comunicativi. Non occorre essere degli apocalittici per notare, ad esempio, nell utilizzo dei social media questa deriva alla intradifferenziazione della personalità: la creazione di avatar e di identità fittizie e multiple è una risposta alla crescita della complessità sociale organizzata per differenziazione funzionale (Bodei 2002). Così una parte della psicologia contemporanea parla del Sé come collezione di sé molteplici e dipendenti dal contesto compartimentalizzati che servono a ridurre una complessità sociale non regolabile mediante un unico centro di controllo identitario (McConnell 2011). In termini simili argomenta il filosofo remo

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