I BISOGNI DELL UOMO DAVANTI ALLA SOFFERENZA:I MALATI ONCOLOGICI

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1 I BISOGNI DELL UOMO DAVANTI ALLA SOFFERENZA:I MALATI ONCOLOGICI Vittorina Zagonel Direttore Dipartimento di Oncologia Clinica e Sperimentale Direttore U.O.C. Oncologia Medica 1 Istituto Oncologico Veneto, IRCCS; Padova Premesse Come noto, i tumori maligni costituiscono la seconda causa di morte nella popolazione e sono in aumento. Ogni giorno vengono diagnosticati 1000 nuovi casi in Italia. L aumento dell età media della popolazione ed un più lungo tempo di controllo di altre malattie, un tempo causa di morte, fa si che oggi un numero crescente di pazienti con tumore, sia anziano. Il tumore non è una malattia fatale! Si stima che il 40% dei tumori potrebbe essere evitato, seguendo uno stile di vita ed alimentazione adeguata. E importante che ogni persona presti attenzione a questo aspetto e partecipi ai programmi di screening che permettono un riscontro precoce di eventuali tumori. Negli ultimi decenni, a fronte di un incremento di incidenza dei tumori, si è assistito ad un calo progressivo della mortalità, dovuta sia ad una più frequente diagnosi precoce (per la diffusione degli screening nella popolazione), sia al netto miglioramento dei risultati che oggi otteniamo con l integrazione delle terapie. (Esempio tumore della mammella, riduzione del 20% di mortalità negli ultimi 15anni). La maggior parte dei tumori infatti richiede un approccio integrato multidisciplinare; l impiego della chirurgia, chemioterapia e radioterapia permette oggi di guarire circa il 60% dei malati. Questo anche grazie alla disponibilità di nuovi farmaci biologici, capaci di bloccare in modo selettivo alcune funzioni delle cellule tumorali. Un passo in avanti importante è anche la possibilità di trattamenti antitumorali somministrati per bocca, che evita al malato di dover accedere all ospedale con troppa frequenza. Nonostante tutti questi miglioramenti, il 30-35% dei pazienti al momento della diagnosi di tumore si presenta già in fase avanzata (metastatica) di malattia, o ricade dopo un certo numero di anni; in questi malati la possibilità di vivere oltre i 2 anni è molto remota. In questi pazienti pertanto, l obiettivo della cura non è la guarigione, e non è solo l aumento della sopravvivenza, ma soprattutto la ricerca della migliore qualità di vita (attraverso il controllo dei sintomi, fisici, psicologici, spirituali e sociali) per il paziente e la sua famiglia. La qualità della vita è un concetto molto soggettivo che cambia da individuo ad individuo e che per essere garantita richiede una presa in carico globale della persona attraverso una relazione di cura sostenuta da un approccio multidimensionale che supporti il malato in tutte la fasi della malattia e in relazione a tutti i bisogni che manifesta. 1

2 Che cosa succede quando si scopre di avere un cancro. La diagnosi di tumore comporta in genere un cambiamento nella visione e nella organizzazione della vita della persona malata e dei suoi familiari. Il tumore infatti coinvolge non solo la sfera fisica, ma mette in discussione il ruolo sociale e famigliare della persona, e spesso, richiede al malato di rivedere le proprie scelte e le loro motivazioni. L esperienza di una malattia così importante pone l individuo in uno stato di fragilità e mette a nudo la sua condizione più umana di bisogno di aiuto. Il paziente ha bisogno di capire e comprendere la malattia e cosa questa comporta nel suo essere persona. La diagnosi di tumore, che viene ancora fatalmente associata alla morte, si può trasformare per il malato in un momento di presa coscienza di sé e della propria vita, il momento della riscoperta dei valori e dei rapporti umani più veri, essenziali, e può essere l occasione per riflettere del proprio vissuto, e positivamente valorizzare affetti e rapporti umani. Le testimonianze di malati e familiari ci riportano come questa malattia, può essere vissuta con sofferenza e angoscia, ma non sempre diventa un esperienza negativa. Da una ferita può aprirsi una feritoia di luce! Anche la perla nasce da una ferita inferta all ostrica. Molti elementi concorrono ad aiutare o meno il malato e la famiglia ad accettare e comprendere la nuova situazione fisica e psicologica in cui si viene a trovare, e a dare valore, o meno, alla situazione di fragilità che si trova a vivere: in questo contesto le persone che prendono in cura il malato possono costituire un elemento importante e facilitatore, o meno, di questa presa di coscienza della malattia e di sé. E chiaro che anche le potenzialità di guarigione o meno possono fare la differenza, ma la relazione che si instaura tra malato e curante diventa il primo atto terapeutico:la relazione di cura. Prendersi cura dei malati significa anche declinare l assistenza in base ai loro bisogni, bisogni che richiedono di essere ascoltati, capiti e supportati. La comunicazione diventa un momento fondamentale per il malato (che si fa protagonista di raccontare la sua storia, unica ed irripetibile) ed il medico, che incontra una persona che ha bisogno di aiuto, che va ascoltata e compresa. E le cui competenze cliniche e professionali dovranno essere declinate alla luce dei bisogni del paziente che ha di fronte. I pazienti la cui aspettativa di vita è limitata nel tempo richiedono di essere supportati non solo attraverso una corretta comunicazione riguardo la diagnosi e le terapie, ma anche affrontare il problema della prognosi, vale a dire, avere consapevolezza che si tratta di una malattia che si può curare ma non guarire. Questo è un aspetto molto importante della relazione di cura che presuppone una relazione chiara e trasparente, di piena fiducia tra paziente e medico, nella quale affrontare ogni aspetto della malattia e della sua possibile evoluzione (vedi più avanti). 2

3 Umanizzarsi per umanizzare Nell immagine super eroica con cui la medicina si presenta alla società, la promessa prodigiosa della cancellazione della morte e della sofferenza ha creato una società incapace di vivere con le variazioni del corpo, e di accettare la caducità e la morte come parte della vita. Questo comporta che spesso i malati di tumore si sentano esclusi da una società che valorizza solo efficienza, potere, bellezza, e non da spazio a persone fragili. La cura diventa così una sfida alla responsabilità cui ci sentiamo chiamasti come persona. Essa diventa uno spazio nel quale ospitare le domande e gli incontri attorno alla sofferenza e debolezza:operatori sanitari come riserva d amore (Benedetto XVI). Un ambiente di cura nel quale fare spazio e riunire famiglie e reti di prossimità, per aiutare il malato a ritrovare la sua dignità del vivere e del morire. Spesso la società non ascolta le persone che grazie al cancro, hanno conosciuto la resilienza, e riescono a far emergere il meglio di sé, ad essere persone VERE, autentiche nei valori e nei sentimenti, a sviluppare una sensibilità particolare che le fa godere di piccole cose, come quando eravamo bambini, e a cogliere l autenticità o meno della persona che hanno di fronte. Mettersi nelle condizioni di ascolto di queste persone, aiuta loro a dare valore alla loro umanità, a dare senso alla loro vita comunque. Il medico che incontra l'uomo nel momento della malattia tumorale, potrà riconoscere il suo simile che soffre solo se la sua esperienza di vita gli avrà permesso di raggiungere la consapevolezza necessaria a sapersi calare con tutto sè stesso, nella realtà dell'altro. Accogliere la fragilità dell altro è il primo passo per una relazione di cura autentica. Prendersi cura di una persona, non è pertanto solo prescrivere una terapia, ma condividere un pezzo della vita del malato. La situazione del malato di tumore è senz altro una delle condizioni di maggiore precarietà. Oncologia è infatti il mondo del limite per malati e per i medici, del limite del sapere e del saper fare, della speranza e dei risultati incredibili, ma anche della difficile esperienza del vivere nell incertezza e nella precarietà, nella vulnerabilità e nella fragilità. Oncologia è il mondo del senso del vivere e del morire. Cura per noi è, pertanto, insieme alla prescrizione di farmaci, il medico che si assume la responsabilità del malato, che lo prende in custodia e lo tutela, che cerca di rendere quanto meno doloroso e penoso il percorso della malattia, che lo aiuta a trovare sempre e comunque un senso alla propria vita, anche quando questa non può esprimersi al massimo delle sue potenzialità. 3

4 La relazione di cura si declina in alcune parole chiave: COMUNI-CARE primo atto terapeutico: flusso bidirezionale di emozioni ed esperienza, nel quale se il medico è e deve essere riconosciuto l esperto della malattia e delle proposte di cura, altrettanto importante è riconoscere il malato come l esperto del proprio corpo, della sua storia, del suo credo, dei suoi valori e desideri, delle speranze e della visione del mondo. La comunicazione medico-malato è un atto complesso e difficile, che necessita di essere compreso e appreso dagli operatori. La comunicazione non si serve soltanto di un codice linguistico verbale, ma anche di tracce più sottili i vuoti, i silenzi, le assenze, le pause, le lettere che non scriviamo, le parole che non diciamo, le scuse che non porgiamo, sono messaggi sufficienti ed efficaci, sono comunicazione anche queste. In ogni relazione, inoltre è noi stessi che comunichiamo: mentre informo, l'espressione del mio viso, l'atteggiamento del mio corpo, il tono della mia voce, il mio sguardo dicono interesse o disinteresse, amore o indifferenza accoglienza o rifiuto, fede o disperazione, e chi è in relazione con me, al di là delle mie parole coglie più o meno distintamente, più o meno consapevolmente la mia anima, il mio modo di intendere il mondo. La cosa splendida di parlare con gli occhi è che non ci sono errori grammaticali:gli sguardi sono frasi perfette. Comunicare significa soprattutto ASCOLTARE. I pazienti ci dicono: i medici sanno parlare ma non sanno ascoltare. Ascoltare per capire di che cosa ha bisogno il malato e capire come possiamo aiutarlo. In questo modo accanto agli aspetti tecnici gestionali, la relazione di cura diventa nel senso emotivo/relazionale, una relazione di accudimento e di affidamento. Dobbiamo educare il malato emancipandolo nella sofferenza, nella consapevolezza del limite non modificabile delle possibilità di guarigione, e aiutarlo a vivere anche quando le terapie antitumorali non sono più efficaci, educandolo ad integrare la malattia nel disegno di vita, a dare nuova dignità e senso alla propria vita. Ascoltare con il cuore, cercare di capire cosa il paziente ci vuole comunicare oltre le parole quindi CON-DIVIDERE l esperienza della malattia e la sofferenza che questa comporta. E necessario far posto dentro di sé per accogliere la sofferenza dell altro, per renderla più sopportabile. L apertura affettiva consegna al malato la percezione di essere accolto come persona unica ed individuale:l ascolto diventa così accoglienza. Non sfuggire alla sofferenza che l altro ti pone davanti. Questo è tempo opportuno perché sulla soglia della vulnerabilità, della cura, dell esposizione, della solitudine che la vita offre e apre continuamente, nell incertezza e nella fragilità incontrate in sé e in altri, le donne e gli uomini vengano spinte a legarsi tra loro. E proprio nella vulnerabilità che le persone possono trovare senso e giustizia nell incerto, possono scrivere storie e serbare dignità e consegna nel limite e nel finire. 4

5 E importante metterci in gioco nella relazione con la persona umana che incontriamo in un momento di bisogno e che ci chiede aiuto, per permettere al paziente di rimettersi in gioco. Per fare questo è necessario accettare i propri limiti personali e professionali, i limiti a volte del non saper fare. Dobbiamo saperci perdonare gli errori del passato, delle opportunità perse e mal gestite. Dobbiamo dedicarci tempo per capire la causa della nostra sofferenza e farci aiutare per imparare a conviverci, o a fare ciò che serve per alleviarla. Le domande che mi pongo: Chi sono io come medico? Chi è per me il malato? Chi sono io nella relazione con te, malato? Che cosa significa curare e prendersi cura? Che cosa è bene per te? Il dolore, il bisogno, la necessità di aiuto spesso mortificano la dignità perché mortificano l autonomia della persona. In molti casi, come dice Cavicchi la dignità del malato va pazientemente ricostruita, rintracciata, persino rieducata. Il ruolo del curante non è tanto quello di rispettare la dignità del malato, ma di chiedersi: Quale relazione serve per dare dignità al malato?. CON-SENSO condividere le scelte in modo ragionato e consapevole. Verificare cosa il paziente ha capito rispetto a quanto abbiamo comunicato. Casistiche internazionali ci dicono che solo il 30% dei malati oncologici in fase avanzata di malattia è informato riguardo la prognosi del suo tumore. Ciò spesso è causa di scelte sproporzionate di trattamento. Difficile parlare di prognosi (Annunciazione della nascita di Gesù, il primo consenso condiviso della Storia dell Umanità, si è parlato SOLO di diagnosi!). Parlare di prognosi è una sofferenza per il medico che viene posto di fronte alla realtà della morte. Il consenso per essere con-diviso dev essere con-sapevole. Aiutare il malato a capire, può significare aiutarlo a guardare in se stesso, e vedere ciò che realmente desidera. Tutto ciò si può realizzare solo se noi oncologi medici siamo in grado di stabilire una vera relazione di cura con il malato, che porti ad una progressiva e reciproca conoscenza e condivisione dello sviluppo della malattia e delle scelte conseguenti: capacità di affrontare gradualmente la prognosi della malattia e in questi colloqui, di raccogliere eventuali desideri del malato per la fine della sua vita (le decisioni di fine vita-dat). Cure Simultanee Nel concetto di prendersi cura del malato ( e non più di curare il cancro), negli ultimi anni sono stati attivati nuovi modelli di cure simultanee, attraverso i quali il malato oncologico ottiene non solo la cura antitumorale specifica, ma anche le terapie necessarie a controllare i sintomi (dolore, riabilitazione, supporto psicologico, sociale, nutrizionale etc). Si tratta quindi di prevenire i bisogni della 5

6 fase avanzata di malattia, attraverso la condivisione di un approccio in equipe con la presenza del medico oncologo, psicologo e palliativista in fase ancora di trattamento antitumorale attivo. Di recente è stato pubblicato un documento del comitato di Bioetica della Regione del Veneto sulla appropriatezza delle cure dei malati oncologici in fase avanzata di malattia che sostiene: l offerta clinico-assistenziale per i percorsi di fine vita, va riproposta con una logica di sistema che riconosce come punto di partenza la condivisione dei percorsi, già a partire dalla fase di cura attiva... Il sistema deve garantire il percorso di cure palliative che inizia all interno del percorso di trattamento oncologico e coesiste con esso, proiettandosi fisicamente al di fuori delle mura degli ospedali, verso la rete di cure palliative. CON (M)-PASSIONE Etica dell accompagnamento è la strada alternativa all eutanasia e all accanimento terapeutico. Compiti specifici dell accompagnamento sono alleviare il dolore, comprendere i bisogni del malato, proporzionare le cure e decodificare eventuali richieste di aiuto a morire (personalmente non ho mai ricevuto una richiesta di eutanasia). Dichiarazioni anticipate di Trattamento (DAT). Sono una realtà con la quale ci dovremo confrontare sempre più in un prossimo futuro. Il privilegio di essere oncologi ci offre spesso un periodo più o meno lungo di conoscenza del malato, con il quale condividere le scelte e modularle in base ai sui bisogni e desideri, ma anche rispetto alle conoscenze e opzioni di cura che noi medici possiamo offrire. In quest ottica le DAT possono acquisire nel setting oncologico, una valenza particolare in termini etici e pratici, in quanto contestualizzate in una realtà nota, seppure in evoluzione. Elementi di ulteriore garanzia per il malato sono pertanto in oncologia non qualcosa di astratto che potrebbe accadere, ma la contestualizzazione delle DAT in relazione alla evoluzione della malattia oncologica. Le DAT diventano così idealmente la prosecuzione di una alleanza terapeutica che più eticamente possiamo definire alleanza di cura, cioè che va oltre il solo trattamento specifico antitumorale. DAT quindi come estensione di un consenso condiviso rivolto non solo alle terapie antitumorali, ma a tutto ciò che nel percorso di cura viene definito/condiviso con il malato. DAT come condivisione partecipata delle scelte di fine vita, in particolare della desistenza terapeutica giusto confine tra accanimento/eutanasia, in cui la rinuncia ad ulteriori trattamenti non si estrinseca nell abbandono, ma nell accompagnamento - assistenza (ad sistere=stare al fianco), pur nella sospensione di eventuali trattamenti valutati sproporzionati o non idonei. 6

7 Considerazioni conclusive. Noi oncologi medici riteniamo indispensabile entrare in un rapporto vero e sincero con ogni singolo malato, per guardare oltre, per dare speranza, capaci di supportare realmente le persone nel dolore, di assumere il ruolo di guida all'interno di un mondo di incertezza dove tutto si muove e cambia di attimo in attimo. Perché questo è il mondo delle persone: dei malati e di noi, medici, infermieri e volontari. Con motivazione e desideri, con problemi e paure, con la consapevolezza della forza e momenti di debolezza, con capacità e limiti. Medici e malati come compagni di viaggio, per anni insieme, con zaini diversi, con un carico grave per entrambi, a volte sbilanciato per ciascuno. Perché il percorso professionale di un oncologo è anche percorso di vita ed impegno nella presenza e nella ricostruzione di un mondo personale ed umano, nello scenario di una medicina non sempre e non completamente vincente, nell incontro con una persona ferita. Questo ha portato gli oncologi a riconsiderare il concetto di responsabilità verso il malato, nella consapevolezza che prendersi cura sostiene una razionalità sociale che non si limita ai criteri di economicità ed efficienza, ma pretende qualità relazionali, fiducia reciproca, rispetto delle differenze e delle idee, promozione del rispetto di sé, indispensabile perché il malato di cancro, conservi la consapevolezza del proprio valore esperenziale ed esistenziale. Ha senso vivere per servire, e non servire per vivere (Papa Francesco). Da una lettera di un malato:.in questo lungo anno, mi creda, Lei e tutto il Suo Staff, ad ogni livello, mi avete insegnato tante cose: l umiltà nel rapporto, la pazienza per chi è in difficoltà, la schiettezza e la sincerità per chi fa fatica a capire. Forse ricorda la saggezza dei nostri veci che dicevano: la raza no la va su par al talpon. Che significa che l indole, la formazione e gli insegnamenti della famiglia, della scuola, del lavoro non possono far fare balzi illogici ma danno seguito e forza all etica di base acquisita. Qui qualcuno questa etica di base l ha data, la pretende e la supporta continuamente con il proprio vissuto Il lavoro ci impone la permanenza in ospedale per tante ore al giorno, e per noi l ospedale diventa a volte la prima casa. Per cui i rapporti con le persone che incontri in Ospedale, diventano relazioni umane, di amicizia e di condivisione. Per questo è importante cogliere l opportunità di relazioni umane così autentiche e viverle fino in fondo con i malati e la loro famiglia. Morire è tremendo, ma l dea di morire senza aver vissuto è insopportabile 7

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