Alcune considerazioni tecniche e organizzative sull oncocitoriduzione. chirurgica.

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1 CHIRURGIA ITALIANA VOL. 57 N. 3 PP Alcune considerazioni tecniche e organizzative sull oncocitoriduzione chirurgica PAOLO MARIA MARIANESCHI, LUIGI ESPERTI, PIERO COVARELLI, MICAELA GIOVANETTI, ANTONIO FRATTO, VITTORIO SCALERCIO, ROBERTO CRISTOFANI UO di Chirurgia Generale ed Endocrina Università degli Studi di Perugia Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni - Terni Riassunto Gli Autori sintetizzano la propria esperienza di 46 pazienti operati tra il gennaio 2001 e il maggio 2003 per riduzione di massa neoplastica da neoplasie in stadio avanzato. Sono state eseguite 23 peritonectomie pelviche, 16 peritonectomie multi-compartimentali secondo Sugarbaker, 8 isteroannessectomie, 4 resezioni ureterali con ricostruzione T-T, 4 linfectomie pelviche e 2 resezioni vescicali. La mortalità perioperatoria è stata nulla, complicanze maggiori sono state registrate in meno del 5% dei casi. Gli Autori sottolineano le difficoltà incontrate nell esecuzione di questa impegnativa chirurgia e ritengono che gran parte di queste potrebbero essere alleviate individuando centri chirurgici dedicati specificamente o prevalentemente all oncocitoriduzione chirurgica. Parole chiave: oncocitoriduzione chirurgica, peritonectomia, chemioterapia intraperitoneale Summary Technical and organisational considerations regarding surgical debulking. P.M. Marianeschi, L. Esperti, P. Covarelli, M. Giovanetti, A. Fratto, V. Scalercio, R. Cristofani The Authors report on their experience with debulking surgery, based on 46 patients affected by advanced cancers and treated between January 2001 and May 2003 to reduce the tumour mass. Thirty-eight out of 46 (82%) were women. The Authors performed 23 pelvic peritonectomies, 16 multicompartmental peritonectomies according to the Sugarbaker technique, 8 hysterectomies with bilateral ovarectomy, 4 ureteral resections with end-toend reconstruction, 4 pelvic lymphectomies and 2 resections of the bladder. No perioperative mortality is reported, and major morbidity amounted to less than 5%. The Authors stress the problems encountered while performing debulking surgery and are of the opinion that the majority of the problems could be overcome by precise organization in dedicated surgical centres specifically or mainly devoted to surgical debulking. Key words: surgical debulking, peritonectomy, intraperitoneal chemotherapy Chir Ital 2005; 57, 3: Corrispondenza a: Dott. Piero Covarelli - Via degli Olivi, Perugia.

2 332 ALCUNE CONSIDERAZIONI TECNICHE E ORGANIZZATIVE SULL ONCOCITORIDUZIONE CHIRURGICA Introduzione Le esperienze di chirurgia citoriduttiva, intesa come quella procedura che ha il fine di ottenere una riduzione della massa neoplastica per rendere più efficaci, in termini di sopravvivenza, altre terapie a base di farmaci, radiazioni ionizzanti o di altro tipo, si sono sviluppate principalmente nel corso degli ultimi 20 anni, ma non sono state ubiquitariamente recepite. Negli anni Ottanta infatti, dopo un periodo di iniziale entusiasmo, questa chirurgia fu relegata al trattamento primario del cancro dell ovaio avanzato e alla linfectomia retroperitoneale postchemioterapia nel cancro del testicolo 1, condividendo molti Autori l opinione che ben presto nuovi farmaci e nuove combinazioni chemio- e radioterapiche l avrebbero resa del tutto superflua. Nell ultimo decennio però qualcosa è cambiato, grazie soprattutto alla paziente e capace opera di alcuni chirurghi, che hanno approfondito le tematiche del debulking nel trattamento del carcinoma ovarico avanzato ma che ne hanno anche teorizzato e realizzato l impiego nella citoriduzione di alcuni cancri gastrointestinali con diffuso interessamento peritoneale, introducendo il concetto di inefficienza metastatica come prerogativa biologica dei tumori suscettibili di tale trattamento. Tali osservazioni unite all introduzione della chemioterapia intraperitoneale hanno dato nuovo respiro alla chirurgia oncocitoriduttiva allargandone diffusamente gli orizzonti di impiego. Pazienti e metodi A seguito di un progetto per l organizzazione di una chirurgia oncocitoriduttiva nell Azienda Ospedaliera di Terni, elaborato presso l Unità Organica di Chirurgia Generale ed Endocrina, è stata avviata un attività chirurgica che ha comportato, tra il gennaio 2001 e il maggio 2003, un intervento di oncocitoriduzione in 46 pazienti, in maggioranza donne (38, pari all 82%); l età media era 61 anni, in un range da 39 a 83. Di questi, 38 avevano un cancro avanzato dell ovaio (36 cancri epiteliali, 1 cancro endometrioide, 1 teratocarcinoma); 4 erano portatori di un cancro avanzato del colon-retto, 2 di mesotelioma peritoneale e 1 ciascuno di pseudomixoma peritoneale in fase ascitica e sarcomatosi peritoneale di grado I. Delle pazienti affette da cancro dell ovaio, 4 (stadio II e III) furono trattate con chirurgia primaria fino a ottenere un residuo minore di 1 cm; 3 furono citoridotte in modo subottimale (residuo maggiore di 1 cm) per una recidiva insorta dopo 6 mesi da un trattamento primario completo (chirurgia + chemioterapia con cisplatino e taxolo), 3 pazienti furono trattate con chirurgia d inter- vallo dopo un trattamento chirurgico primario solo esplorativo o insufficiente, mentre il rimanente delle pazienti affette da cancro dell ovaio è stato trattato con chirurgia di salvataggio o palliativa dopo 2 o 3 linee di chemioterapia. Dal punto di vista delle tecniche chirurgiche, sono state eseguite in combinazione tra loro 23 peritonectomie pelviche, 16 peritonectomie multicompartimentali secondo Sugarbaker, 8 isteroannessectomie, 4 resezioni ureterali con ricostruzione termino-terminale, 4 linfectomie pelviche e 2 resezioni vescicali. In 1 caso è stato necessario procedere a splenectomia, in 3 sono state eseguite resezioni ileocoliche ampie, 3 volte è stata eseguita una resezione anteriore del retto insieme a isterectomia nel tempo della peritonectomia pelvica. In tutti i pazienti è stata praticata una profilassi antibiotica preoperatoria e antitrombotica con eparina a basso peso molecolare. Non abbiamo registrato morbilità e mortalità perioperatoria. Cinque pazienti sono deceduti, 2 per patologie non direttamente connesse alla neoplasia trattata (1 ictus, 1 IMA), 3 per progressione di malattia entro 3 mesi dall intervento. I rimanenti pazienti, sono in follow-up al 31 dicembre 2004, 20 dei quali per una durata superiore ai 12 mesi. Discussione Le esperienze di chirurgia citoriduttiva non sono cominciate recentemente. La prima messa a punto dell argomento si può considerare quella di Silbermann 1, il quale già nel 1982 metteva in risalto la necessità di una precisa definizione di chirurgia citoriduttiva in senso stretto, ben consapevole che in senso lato ogni atto chirurgico oncologico potrebbe intendersi come citoriduttivo, in base all esistenza quasi ubiquitaria di micrometastasi linfatiche e di spillage intraoperatori che rendono aleatorio l intento curativo in molti interventi oncologici. Secondo Silbermann si deve considerare citoriduttiva solo quella chirurgia che non si prefigge la cura ma si propone di rendere più efficaci, in termini di sopravvivenza, altre terapie a base di farmaci, radiazioni ionizzanti o di altro tipo 1. Una chirurgia così definita non deve essere confusa con quella palliativa che si prefigge solo il miglioramento della qualità di vita, né con quella di staging, che mira a valutare l estensione della malattia. L analisi critica di Silbermann, se da una parte riconosce la validità teorica del principio di ridurre chirurgicamente il numero di cellule neoplastiche in fase statica al fine di rendere più efficace l azione dei chemioterapici (che agiscono sulle cellule soprattutto in fase di reduplicazione), dall altra sembra condividere le perplessità già espresse da altri Autori 2-4, di cui

3 CHIRURGIA ITALIANA VOL. 57 N. 3 PP la più importante asserisce che il limite della chirurgia citoriduttiva è di ordine biologico, ed è legato al fatto che il debulking di massa corrisponde solo in minima parte (2.5%) al reale controllo della crescita neoplastica 2. Nonostante Griffiths 5 sembrasse dimostrare nello stesso periodo che in alcuni tumori il chirurgo era in grado di raggiungere una reale citoriduzione di valenza biologica, con chiari riflessi sulla sopravvivenza, se riusciva a eseguire un intervento con residuo minimo di malattia di circa 1 cm, le perplessità di Silbermann fecero sì che la chirurgia citoriduttiva si avviasse ad assumere un ruolo del tutto secondario rispetto alla chemioterapia: essa infatti fu relegata al trattamento primario del cancro dell ovaio avanzato e alla linfectomia retroperitoneale postchemioterapia nel cancro del testicolo 1, in attesa che nuovi farmaci e nuove combinazioni chemio- e radioterapiche la rendessero del tutto superflua. Se la chirurgia oncocitoriduttiva non è tramontata del tutto ma al contrario ha preso un posto importante nelle strategie terapeutiche contro il cancro, lo si deve ad alcuni chirurghi che hanno operato in questo ultimo decennio; tra questi un posto preminente hanno Sugarbaker, Eisenkop e Scarabelli 6-8. Il primo si è dedicato in particolare alla citoriduzione di alcuni cancri gastrointestinali con diffuso interessamento peritoneale, come il cancro del colon e dell appendice, lo pseudomixoma peritonei, l adenocarcinoma del tenue e la sarcomatosi di grado I. Si deve anche a Sugarbaker la valorizzazione ai fini chirurgici del concetto di inefficienza metastatica messo in evidenza da Weiss 9. Su tale razionale di patologia oncologica egli ha trovato lo spunto per dedicarsi a una chirurgia citoriduttiva locoregionale spinta che si è avvalsa di 6 diverse tecniche di peritonectomia compartimentale dallo stesso messe a punto e impiegate su circa 200 pazienti Queste metodiche, unite all impiego della chemioterapia intraperitoneale (recentemente associata all ipertermia 11,12 e perfezionate dall uso dell argon beam coagulator 13 ) gli hanno consentito di ottenere, in pazienti con neoplasie gastrointestinali a bassomedio grado di malignità, sopravvivenze a 3 anni impensabili nel passato (70-90%) con una morbilità e mortalità perioperatorie accettabili (rispettivamente 26% e 2%) considerato lo stadio della malattia e le condizioni cliniche dei pazienti 10. Sugarbaker 6,10 ha avuto il merito di aver regolamentato una tecnica utile per qualsiasi chirurgia citoriduttiva e di aver spinto la comunità chirurgica ad applicare d emblée la peritonectomia ogni volta, durante la normale chirurgia colorettale, in cui si constati un avvenuto inquinamento peritoneale neoplastico. Eisenkop 7 e Scarabelli 8 si sono dedicati alla citoriduzione del cancro avanzato dell ovaio. Il loro impegno, supportato da capacità tecniche e cultura oncologica, ha fatto sì che alcune loro ricerche cliniche abbiano potuto porre dei punti fermi nel discusso campo della chirurgia citoriduttiva ginecologica. Questi punti possono essere così elencati: 1. un debulking ottimale (residuo minore di 1-2 cm) in pazienti con cancro avanzato dell ovaio comporta un miglioramento della sopravvivenza; 2. una citoriduzione il più possibile completa migliora la sopravvivenza e, in alcuni casi, ottiene la cura anche in pazienti con recidiva, soprattutto se questa cade oltre i 6 mesi da un completo trattamento primario (chirurgia + chemioterapia con cisplatino e taxolo); 3. i risultati della chirurgia secondaria sono migliori quando la chirurgia precede la chemioterapia. Questi risultati provenienti da ambienti chirurgici singolarmente efficienti e specializzati non sono stati accolti acriticamente dalla comunità scientifica. Il primo motivo di perplessità è legato al fatto che esperienze di punta nel campo della citoriduzione come quelle che abbiamo citato sembrano difficilmente riproducibili. Nella pratica clinica spesso accade che una citoriduzione non ottimale o subottimale, come dicono gli Autori anglosassoni, non sia dovuta a oggettive e insuperabili impossibilità tecniche, ma anche a insufficiente preparazione delle équipe che si fanno carico dei trattamenti. Questa inadeguatezza si può realizzare sia in ambienti di estrazione ginecologica, che in molti casi possono non avere la competenza necessaria per eseguire tutte le tecniche di chirurgia generale necessarie al debulking ottimale 14, sia in ambienti di estrazione chirurgica generale e oncologica che, essendo già molto impegnati nel vasto campo dell oncologia chirurgica, tendono a mettere in secondo piano i casi di cancro avanzato dell ovaio, comunemente visti come troppo costosi in termini di tempo, mezzi e impegno personale, come dimostrato da alcuni studi di patterns of care 15. Altre perplessità in merito al debulking vengono dagli oncologi medici che, mettendo in risalto l alta morbilità e mortalità di questo tipo di chirurgia, la ritengono non giustificata quando si dispone di chemioterapie efficaci che possono sostituirsi agli atti cruenti o semplificarli mediante una terapia neoadiuvante Si è così accesa negli ultimi dieci anni una vivace discussione fra sostenitori della chirurgia e fautori della chemioterapia per il trattamento del cancro dell ovaio, che è nel mondo occidentale la prima causa di morte per i tumori dell apparato genitale femminile e che ancora oggi ha una prognosi del tutto insoddisfacente (5-45% di sopravvivenza a 5 anni) 13. Nello stimolante dibattito sono fioriti numerosi

4 334 ALCUNE CONSIDERAZIONI TECNICHE E ORGANIZZATIVE SULL ONCOCITORIDUZIONE CHIRURGICA studi (molti retrospettivi, molti prospettici) 17-19, la cui valutazione ha recentemente portato la Society of Gynecologic Oncologist 20 a stilare alcune linee guida basate su dati che al momento appaiono sufficientemente dimostrati e, quindi, al di sopra di posizioni corporative. Riportiamo alcune raccomandazioni in riferimento al nostro tema: 1. nel trattamento del cancro dell ovaio è obbligatoria una chirurgia primaria adeguata e completa che deve consentire uno staging preciso, una diagnosi accurata e un ottima citoriduzione (residuo circa 1 cm); 2. se la citoriduzione primaria è stata adeguata, reinterventi non sono necessari. Le pazienti non adeguatamente citoridotte dovrebbero essere trattate con una chirurgia d intervallo (interval debulking surgery) fra un induzione chemioterapica (3 cicli) e un trattamento chemioterapico definitivo 21 ; 3. una citoriduzione chirurgica secondaria può essere utile (in termini di sopravvivenza) in alcune pazienti con recidiva, anche dopo una dimostrata chemioresistenza; 4. la chirurgia citoriduttiva può offrire un miglioramento della sopravvivenza anche in donne allo stadio IV di malattia; 5. la citoriduzione dovrebbe precedere la chemioterapia; 6. valutazioni di qualità dimostrano migliori risultati e procedure chirurgiche più complete quando la chirurgia è eseguita da un chirurgo oncologo ginecologo piuttosto che da specialisti settoriali della chirurgia generale. Alla luce di quanto esposto la chirurgia citoriduttiva, intesa come strumento adiuvante di altre terapie, ha ancora oggi un posto importante nelle strategie terapeutiche che consentono una migliore sopravvivenza e una migliore qualità di vita ad alcune popolazioni di pazienti oncologici. È necessaria, per il raggiungimento di tali obiettivi, una messa a punto delle tecniche di debulking e del razionale scientifico che le giustifica, e tale ottimizzazione può essere garantita da specialisti formati appositamente e dedicati a tempo pieno alla chirurgia citoriduttiva, come mostra l esperienza americana nel settore. Ci sembra perciò auspicabile la realizzazione di Unità Operative che si dedichino completamente all oncocitoriduzione e a cui afferiscano, in modo centralizzato, tutti i pazienti che necessitano di tale trattamento. Gli operatori in queste Unità dovrebbero essere, a nostro giudizio, prevalentemente chirurghi generali, in quanto le tecniche citoriduttive riguardano varie discipline della chirurgia generale, ma sarebbe auspicabile anche la presenza di oncologi, urologi e ginecologi, considerando il tipico interesse multidisciplinare della materia. Un organizzazione di tale natura potrebbe avere, da una parte, il vantaggio di scaricare i reparti di chirurgia da pazienti che pesano in termini di tempo e di energie e, dall altra, potrebbe consentire ai reparti ginecologici di ovviare all attuale mancanza, nell ordinamento universitario e sanitario italiano, della disciplina specialistica di chirurgia oncologica ginecologica. È anche auspicabile che un tale progetto possa avere potenziamento dall attivazione, a livello universitario, di una specifica scuola atta a formare operatori esperti in tutte quelle tecniche che un oncocitoriduzione ottimale richiede. Conclusioni I dati di questa esperienza preliminare sembrano positivi, non solo in riferimento ai risultati (che comunque devono essere confermati con valutazioni a distanza su un numero più elevato di pazienti), ma anche in relazione al modello operativo, a un tempo centralizzato e multidisciplinare, che abbiamo cercato di realizzare. La coordinazione dipartimentale e interdipartimentale messa in atto dall Unità di Chirurgia Generale ed Endocrina dell Ospedale di Terni ha fatto sì che le problematiche relative all oncocitoriduzione fossero affrontate insieme dai diversi specialisti interessati senza costringere i pazienti a inutili peregrinazioni fra i reparti. In particolare, positiva è stata la collaborazione con il reparto di Ginecologia che ha consentito di effettuare interventi con équipe chirurgiche miste. Tutto ciò ha avviato una tendenza culturale e operativa destinata a favorire un maggior reclutamento di pazienti di provenienza regionale ed extraregionale che consentirà inevitabilmente un miglioramento della qualità delle prestazioni. In conclusione, riteniamo che il progetto di istituire Unità di Oncocitoriduzione sia suffragato da sufficienti dati scientifici e persegua scopi validi dal punto di vista scientifico e anche amministrativo, come l alta specialità e la razionalizzazione delle prestazioni, senza comportare costi esorbitanti in termini di attrezzature e di personale.

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