Spunti su job insecurity e crisi della leadership di Riccardo Zuffo Introduzione

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1 Spunti su job insecurity e crisi della leadership di Riccardo Zuffo Introduzione Ripartiamo da Marienthal (Jahoda, Lazarsfeld, Ziesel, 1971): «a quel tempo Paul [Lazarsfeld] pensava che noi avremmo dovuto indagare come i lavoratori usavano il tempo libero da poco conquistato [il contesto è l Austria dell inizio degli anni trenta e l occasione dello studio dei ricercatori verificare sui lavoratori l impatto del tempo libero connesso alla approvazione di una legge che riduceva le dieci ore della allora giornata lavorativa] Quando Paul riferì il suo progetto a Bauer, il dotto e ascetico leader del partito socialdemocratico austriaco reagì con rabbia: che presa in giro studiare il tempo libero in un paese che soffre di disoccupazione cronica con tassi del 10%. Quello era il tempo libero da studiare: gli effetti sociali e psicologici della disoccupazione di lunga durata. E questo è ciò che facemmo a Marienthal» (Ziesel, 1979)1 La crisi degli anni trenta sconvolse per la prima volta profondamente gli assetti della nuova e crescente occupazione della industria di massa. Dimostrò come sia in Europa sia negli Stati Uniti l incertezza del lavoro e la sua perdita potessero durare anni e avere caratteristiche così strutturali e profonde (Crepet, 1990) da incidere sulla riconfigurazione della quotidianità e sulle rappresentazioni collettive dei decenni successivi. Oggi in qualche modo si ripete quella stessa ambivalenza schizofrenica sottolineata da Ziesel in quanto, accanto agli innegabili benefici, appare anche evidente il lato oscuro dell innovazione tecnologica e delle information and communication technologies. Il mercato del lavoro ne viene sconvolto nelle sue stabilità acquisite ed è crescente una dimensione di alienazione e di stress, in particolare proprio in quei contesti caratterizzati da una elevata tecnologia (Camussone, Biffi, 1998). Così, se gli ottimisti ci dicono che ci si potrebbe avviare verso un epoca felice (De Masi, 2003) della fine del lavoro, contestualmente cogliamo anche gli umori che hanno ispirato un certo catastrofismo e una sua sottesa apocalittica fine nell ambito di un futuro tecnologico salvifico (Rifkin, 2000) ma non esente da rischi per l umanità (Rifkin 1995, Gallino 1998). Più in generale, si assiste, oggi, alla fine del legame sociale imposto dal lavoro all inizio del Novecento. Come osserva ancora Gallino, (Gallino, 1998), la disoccupazione non è più vista come un fatto transitorio legato ad un rallentamento dell economia, ma come uno stato profondo di malessere

2 sociale, come lo fu nella lunga crisi conseguente alla caduta di Wall Street. Infatti, se il tasso di disoccupazione coinvolge i quattro quinti della popolazione, non può che comportare conseguenze drammatiche. La differenza strutturale tra la situazione odierna e quella degli anni 30 è sinteticamente riassumibile così: a quei tempi la disoccupazione colpiva quote elevate di popolazione, in particolare i cosiddetti lavoratori salariati, soprattutto dove gli insediamenti industriali e produttivi erano maggiormente sviluppati e la divisione del lavoro socialmente meglio definita. Oggi l elemento caratterizzante è, invece, la dimensione magmatica del lavoro, che può assumere maggiore o minore criticità ambientale, ma percorre trasversalmente le classiche aree funzionali delle aziende, le professioni, le aree di business, i prodotti, i mestieri, i settori, o perchè avanzati o perché arretrati; la magmaticità rappresenta quindi un elemento costante e crescente, una specie di rumore di fondo della quotidianità (Sennet, 1999). Ciò che ne consegue, con altrettanta chiarezza, è l incertezza del lavoro degli uomini, da cui deriva una generale insicurezza a livello psicologico. Le élite di potere o meglio i loro top manager, consiglieri di amministrazione, banche d affari, società di consulenza strategica, fondi finanziari e investitori istituzionali vanno sempre di più verso un nervosismo e una crescente instabilità. Questa situazione ha una ragione strutturale forte, indotta dall insieme e dalla complessità dei fattori messi in gioco per sopravvivere in sistemi finanziari e competitivi, che riconfigurano continuamente le diverse logiche di generazione del valore (Hammer, Champy, 1993). C è, però, una più profonda difficoltà che emerge e appare progressivamente più chiara nelle organizzazioni mature, quella relativa sia al governo delle organizzazioni che alle potenziali contraddizioni e conflitti di interessi, sempre più endemici, che le caratterizzano (Rossi, 2003). Questa difficoltà si riflette nelle incertezze decisionali e organizzative con effetti variegati su una flessibilità elevata a ideologia del presente, così come la razionalizzazione lo era del fordismo considerata come sintesi operativa talvolta irragionevole e non finalizzata né all etica degli affari né agli affari stessi. La suggestione che ne dimensiona alcuni contorni, non suffragata scientificamente ma incontrata spesso nella quotidianità della pratica, rimanda a quella che Di Chiara definisce sindrome psicosociale (Di Chiara; 1999) che, se da una parte richiama all oscurità dell inconscio, dall altra non solo suggerisce la fine della razionalità limitata delle organizzazioni, ma apre dubbi sulla perdita delle dimensioni valoriali fondanti la condizione stessa del profitto di un capitalismo, come dice Albert, lasciato solo a governare il mondo.

3 Nel quadro di uno scenario così complesso e originale, il nostro sforzo, pur non riducendo a semplice sfondo le organizzazioni, al cui interno il lavoro si materializza e si decompone, si focalizza soprattutto sul processo concreto che coinvolge sempre più rapidamente e trasversalmente sia i lavoratori (quelli di basso livello, gli atipici, il management, i professionals) sia le organizzazioni (i CEO, gli azionisti, i clienti, il sistema sociale ed economico di riferimento) e le loro missioni. Gli epici studi sulla disoccupazione condotti nel 1932 sulla comunità di disoccupati della cittadina di Marienthal acquistano analogicamente una loro attualità e ci consentono di comprendere, sul piano del merito, gli effetti dell insicurezza lavorativa nella loro complessità: dalla loro genesi, alle caratteristiche indotte dalla lunga durata, sino alla dimensione sistemica dell individuo con la famiglia e la comunità. Oggi è certamente più chiaro il nesso tra finanziarizzazione dell economia, globalizzazione, evoluzioni tecnologiche e lavoro (Sennet, 1999). Ci pare però di cogliere ancora poco, in gran parte della letteratura manageriale di carattere divulgativo, su quale e quanto sia il disagio sociologico e psicologico nel rapporto individuo-organizzazione. E così la fertile antinomia olismo-individualismo proposta da Serafino Balduzzi (Balduzzi, 2006, in press) in questo volume, pur se suggestiva nella sua rappresentazione, diventa quasi inafferrabile, ma anche fondante nella sua pregnanza quotidiana e nella contrastante attribuzione di valore e di significato. Ci sembra, pertanto, interessante cogliere alcune contraddizioni che animano le realtà organizzative. Esse sono ancora poco delineate nella loro configurazione e connessione sistemica, anche se si riflettono e minano, sottili ma inesorabili, la stessa identità aziendale e la grande funzione di stabilizzatori dei sistemi sociali che le organizzazioni hanno avuto. * La prima contraddizione è riconducibile alla necessità, nelle organizzazioni, di richiedere ai collaboratori un elevato livello di commitment e contestualmente, però, di proporre un elevata instabilità lavorativa. La job insecurity caratterizza, ormai, l intera popolazione aziendale e non soltanto i livelli organizzativi marginali, rapidamente sostituibili come gli uomini alla catena semovente, o, in opposizione, il top management, per definizione espressione e portatore del rischio professionale. Riguarda tutti, anche il middle management, che esprime il collante organizzativo, oppure i tecnici e i ricercatori, che riescono ad

4 ottenere e a stabilizzare i risultati tecnico-scientifico-applicativi che consentono la sopravvivenza organizzativa. La seconda contraddizione rimanda alla crescente criticità del ruolo del management di livello medio e medio-alto, ad esclusione della ristrettissima cerchia del top management, dove sono concentrate le vere decisioni strategiche. Il management intermedio è il reale gestore delle persone, delle loro motivazioni, il contenitore delle ansie primarie e delle attribuzioni di senso e, con la sua presenza fisica, la materializzazione dell identità aziendale e della complessità del rapporto fiduciario e del commitment. Contestualmente è anche il gestore dei processi di downsizing e di layoff e, spesso, il propositore e realizzatore delle economie aziendali e dei saving nei processi che rimodellizzano i sistemi organizzativi. Il manager è, però, anche colui che contemporaneamente non conosce più le vere decisioni strategiche e subisce le conseguenze delle azioni e dei progetti in essere. Queste conseguenze coinvolgono la complessità del suo ruolo, la sua stessa futura utilità e, in ultima istanza, la sua stabilità occupazionale: un management non più garante e non più garantito. Queste contraddizioni prese nel loro insieme segnalano una difficoltà e un nervosismo crescente del sistema delle imprese mature nel loro rapporto con le persone che vi lavorano. Da parte loro le persone segnalano un insieme di comportamenti e di stati psicologici potenzialmente nefasti per la funzionalità organizzativa. Job insecurity e commitment La prima contraddizione è relativa all impossibilità di assicurare ai collaboratori, da parte delle organizzazioni, una stabilità ed una sicurezza lavorativa, che viene progressivamente sostituita da una crescente incertezza job insecurity e, contestualmente, di richiedere un elevato e crescente livello di commitment. Questa necessità è indotta da dinamiche competitive sempre più esasperate che caratterizzano le attuali organizzazioni e la divisione del lavoro a livello internazionale. Nel corso degli ultimi due decenni la job insecurity è passata dall essere una specifica connotazione di una congiuntura economica sfavorevole, o una caratteristica delle organizzazioni in declino, all essere un elemento caratterizzante del lavoro e delle sue nuove articolazioni. Il panorama contemporaneo ha assunto come normale una situazione di incertezza progressivamente generalizzata e tale da coinvolgere gli ambiti tradizionali del lavoro e di alimentare a dismisura quelli definiti come atipici.

5 Il nostro focus è costituito dal cosiddetto lavoro tradizionale o, meglio, da quello ad alto valore aggiunto: quel lavoro che richiede elevati impegno e commitment. Quanto detto vale però anche per i lavoratori atipici, prevalentemente giovani e donne, per i quali gli effetti psicologici dell insicurezza sono più oggettivi e intrinseci nella natura stessa del loro contratto lavorativo. La sensazione prevalente, in questo caso, rimanda ai vissuti di disagio e ansia, connessi all impossibilità di formulare previsioni e progetti sia di breve che di lunga durata per il futuro e alla difficoltà reale di accumulare una significativa esperienza professionale (Gallino, 2001). Le prime esperienze lavorative costituiscono infatti un momento di sperimentazione del sé e delle identità professionali possibili, una sorta di esplorazione, di moratoria dell identità (Marcia, 1966), un tentativo di costruirsi un identità sociale e professionale sostenibile (Orsenigo, 2001; Sainsaulieu, 2002). I luoghi a cui era tradizionalmente affidato il sentimento di appartenenza lavoro, famiglia, vicinato o non sono ormai più disponibili o, quando lo sono, risultano inaffidabili e perciò incapaci di placare la sete di socialità e di calmare la paura della solitudine e dell abbandono. L uso/logorio delle relazioni umane che si consuma in questi contesti e quindi anche delle identità assomiglia sempre di più all uso/logorio delle automobili, a imitazione di quel ciclo che comincia con l acquisto e finisce con la discarica (Bauman, 2003). Relativamente al lavoro stabile e tradizionale il concetto di insicurezza lavorativa inizia a configurarsi nel contesto degli Stati Uniti della fine anni settanta, quando si verifica la più grande crisi americana dai tempi di Wall Street, che proseguirà fino all inizio degli anni ottanta. Leonard Greenhalgh è stato tra i primi, nel 1984, a definire un modello organico di job insecurity (Greenhalgh, Rosenblatt, 1984). Fino ad allora la letteratura scientifica, psicologica e manageriale era infatti incentrata sul generico concetto di sicurezza e sulla implicita rappresentazione di una organizzazione stabile nel tempo. Le prime concettualizzazioni della job insecurity ne analizzarono gli effetti sui lavoratori, proponendo un modello interpretativo della insicurezza lavorativa che includeva la natura, le cause e le conseguenze del fenomeno e coglieva l importanza delle differenze individuali. Su questa stessa linea, e sostanzialmente nello stesso periodo, si definisce anche il contributo di Joel Brockner (Brockner, 1988), docente della Columbia University, che pone al centro dell attenzione dei programmi di ricerca i survivor, cioè coloro che rimangono nell organizzazione una volta esaurita l azione specifica di riduzione di forza lavoro. I layoff i licenziamenti collettivi costituiscono l atto paradigmatico e tangibile della nuova

6 dinamica organizzativa. Il merito di queste prime analisi è stato quello di sviluppare conoscenze, riflessioni e considerazioni su aspetti specifici, nello sforzo di definire meglio anche i comportamenti manageriali e di gestione dell impresa relativamente alla nuova condizione di incertezza assunta ormai come strutturale. Il downsizing e il licenziamento diventano così eventi indesiderati, ma ineludibili, connessi alla usuale attività di manager o di lavoratore, catalogabili ormai come un rischio professionale intrinseco alla condizione lavorativa. È interessante evidenziare come la job insecurity si presenti, oltre che in situazioni di licenziamenti, anche in occasioni di fusioni. Marks e Mirvis (Marks, 1982; Marks, Mirvis 1985; 1986) parlano, a tale proposito, di sindrome da fusione che provoca nei lavoratori, a tutti i livelli organizzativi, sentimenti di incertezza e di insicurezza. Schweiger e coll. (Schweiger, 1987), associano le reazioni psicologiche dei manager della impresa acquisita alle reazioni degli individui che si trovano in situazioni di abbandono e di lutto con connotati di ansia e traumi, in buona analogia e sostanziale simmetria con quanto si osserva nei survivor (Schweiger, Ivancevich, Porter, 1987). Lo scenario creato dai layoff risulta essere interessante per indagare in particolare gli stati psicologici e i comportamenti organizzativi che ne derivano. Il licenziamento dei colleghi induce differenti stati psicologici nei survivor (Brockner e al, 1997) rimasti in seno all organizzazione, soprattutto in funzione di come il management gestisce il processo di downsizing. Questi differenti stati psicologici e comportamenti organizzativi dei soggetti possono essere spiegati alla luce delle differenze individuali. I sopravvissuti presentano stati psicologici come ansia, paura, rabbia, sollievo che, a loro volta, indurranno comportamenti organizzativi diversi. Tra questi comportamenti possiamo citare la propensione a lasciare. Questo comportamento avviene in maggior misura in aziende con culture organizzative più familistiche, che riscontrano maggiori difficoltà rispetto ad altre ritenute meno partecipative e caratterizzate da una minore disponibilità globale, come confermato da uno studio sul campo in Kodak (Brockner, 1992). Si nota, inoltre, come le dimissioni riguardino anche coloro che sono stati rassicurati perché ritenuti dotati di alto potenziale o collaboratori importanti per l azienda. Le uscite proseguono per un lungo periodo di tempo dopo la fine delle operazioni di downsizing, nonostante le rassicurazioni del management e le oggettive opportunità di carriera possibili per coloro che sono rimasti. L aumento del turnover viene ampiamente confermato anche da osservatori coinvolti direttamente nei

7 processi di merger & acquisition (Kay, Shelton, 2000) o da società di consulenza di management come Watson Wyatt, che evidenziano come uno degli elementi critici delle fusioni sia riconducibile alla fuga dei talenti e dei manager chiave (Walsh, 1988; Walsh, 1989; Cannella e Hambric, 1993; Krishnan, Miller, Judge, 1997). Accanto alla tendenza a lasciare si individua nei survivor anche una certa resistenza al cambiamento. Greenhalgh (Greenhalgh, 1983) sottolinea come coloro che si trovano in situazione di insicurezza lavorativa tendono a non accogliere positivamente cambiamenti aziendali, anche se questi potrebbero migliorare la loro situazione mentre, al contrario, tendono ad assumere comportamenti statici e conservativi. In tale senso l incertezza ha una funzione paralizzante, che si riflette negativamente sulla funzionalità organizzativa.i layoff hanno un forte impatto su coloro che restano nell organizzazione, la cui performance lavorativa viene pregiudicata da diversi fattori. L elemento principale su cui si basa l analisi di questi diversi fattori è la considerazione dell incertezza lavorativa come fattore stressogeno e maggiormente destabilizzante dell attività lavorativa (Hartley, Jacobson, Klandermans, Van Vuuren, 1991; Brockner, 1988; Buono, Bowditch, 1989; Schweiger, Weber, 1989). Brockner (Brockner, Wiesenfeld, 1996) analizza come l autostima possa influenzare la performance postlicenziamento. I survivor con bassa autostima incrementano il proprio impegno, quasi a voler realizzare un gap di performance con l espulso e dimostrare di meritare il lavoro che svolgono. Quelli con alta autostima, invece, ritengono di aver lavorato bene fin dall inizio e mantengono quindi inalterata la propria performance. Nei casi in cui, invece, l organizzazione proponga un premio extra per continuare il lavoro dopo la fase di layoff, l autostima incide sulla performance lavorativa in senso contrario: coloro i quali possiedono un elevata autostima incrementano la propria performance per conseguire il premio, mentre coloro i quali sono caratterizzati da una bassa autostima si sentono annichiliti in seguito al presunto ingiusto licenziamento del collega e non riescono a reagire generando una migliore performance. Accanto all autostima, anche il processo di identificazione dei sopravvissuti con i licenziati risulta essere una variabile significativa da prendere in considerazione. I sopravvissuti sono, infatti, portatori di un insieme di relazioni e di valori (Brockner, Grover, Reed, De Witt, O Malley, 1987; Brockner, 1990) importanti ai fini dell impatto sulle performance della situazione di layoff. In questo caso il comportamento manageriale diviene cruciale nel

8 condizionare le reazioni dei sopravvissuti, nel momento in cui questi riconoscano degli elementi di identificazione con un collega dimesso. I sopravvissuti focalizzeranno la propria attenzione sulla legittimità della soluzione proposta, sull informazione fornita in merito, sulla giustizia distributiva e procedurale e infine sulla ricompensa offerta ai licenziati. La severità di giudizio nei confronti del comportamento del management dipenderà dal grado di identificazione dei sopravvissuti con alcune caratteristiche salienti degli espulsi. Se essi si percepiranno come molto simili al collega licenziato, sentiranno la propria posizione lavorativa e la propria identità sociale messe maggiormente in discussione. Quanto più alta sarà l identificazione con il licenziato tanto più scarsa risulterà la performance e il comportamento del management verrà ritenuto ingiusto. Il giudizio dei survivor è più severo quando la condizione sembra annientare maggiormente la dignità dell altro. Il processo di identificazione influenza anche il commitment (Allen, Meyer,1990, ; Meyer, Allen, 1997) nei confronti dell organizzazione, intendendo con questo la fiducia e l impegno riposti in essa in virtù di un contratto psicologico tacito stipulato al momento dell assunzione.il commitment diminuisce quando il sopravvissuto percepisce come iniquo il trattamento di licenziamento riservato ad un collega con cui il sopravvissuto può potenzialmente identificarsi (Brockner, Grover, O'Malley, Reed, Glynn, 1993). L effetto della diminuzione della performance si acuisce ulteriormente, così come avviene per l identificazione, se il collega licenziato fa parte della sfera di vicinanza emotiva del sopravvissuto, se è cioè amico o conoscente di quest ultimo. Le reazioni dei sopravvissuti dipendono così in parte dal trattamento riservato ai licenziati. In questo senso, il management ha l opportunità di conservare un discreto commitment e una buona performance dei survivor a patto di utilizzare le regole basilari di equità distributiva e procedurale. L importanza della relazione tra sopravvissuti e management (Brockner, Grover, Reed, De Witt, 1990) è, naturalmente, ancora più critica quando la percezione di insicurezza lavorativa è connessa alla probabilità di ulteriori licenziamenti. Tale insicurezza è definita da alcuni fattori, quali l inusualità, l evitabilità, la mancanza di chiarezza su chi licenziare e chi tenere, l iniquità nel licenziamento di alcuni rispetto ad altri e l adeguatezza percepita delle azioni di presa in carico da parte dell azienda di coloro che verranno licenziati. La reazione dei lavoratori va spesso a manifestarsi a livello del commitment. La presenza o l assenza di una spiegazione adeguata del management circa le scelte fatte in tema di licenziamenti può giocare un

9 ruolo di primo piano nella percezione dell incertezza e quanto più è elevata l incertezza tanto più è bene permettere ai lavoratori di venire a conoscenza dei meccanismi e delle ragioni sottostanti al processo di licenziamento, in modo da facilitarne la loro comprensione (Slowinski, Rafil, Tao, Gollob, 2000; Schweiger, DeNisi, 1991; Marks, Mirvis, 1992; Tetenbaum, 1999). L importanza del commitment (Brockner, Tyler, Cooper-Schneider, 1992) precedente al licenziamento è un altro fattore cruciale che influisce sulla performance. Brockner e colleghi analizzano due importanti aspetti per la comprensione della dinamica organizzativa. Il primo è riferibile al modello dei valori di gruppo, inteso come il fatto che le persone danno valore non solo a ciò che il rapporto con l organizzazione può offrire in termini strumentali, ma anche alle informazioni che ricevono e che aiutano a definire se stessi e ad avere una visione positiva del sé. Il secondo aspetto è riferibile al rapporto tra il commitment e il contratto psicologico (Robinson, Rousseau, 1994). In base al commitment iniziale con l organizzazione le persone tendono a reagire in modi diversi di fronte ai licenziamenti. Un lavoratore che presenti un elevato livello di commitment precedente ai layoff tende a giustificare maggiormente l organizzazione se essa usa una politica equa, anche se il licenziamento va a toccare lui stesso o qualcuno inserito nella propria sfera di inclusione. Nel caso in cui l organizzazione dovesse invece trattare in maniera iniqua i colleghi, la delusione dei survivor sarà superiore rispetto a quella di una persona emotivamente distaccata dall organizzazione e di conseguenza il commitment ne risentirà maggiormente. L attenzione del lavoratore per un lavoro diverso o più interessante in una situazione di post layoff (Brockner, Konovsky, Cooper - Shneider, Folger, Martin, Bies, 1994) o di downsizing è un ulteriore fattore che può contribuire ad aumentare la sua motivazione. L appetibilità della nuova mansione dipende dalla capacità dell organizzazione e del management di mettere in risalto determinati aspetti del mutato contesto lavorativo. Uno degli elementi delle riorganizzazioni consta nella ri-suddivisione del lavoro secondo nuovi criteri funzionali. Per questo motivo, il lavoratore sopravvissuto può trovarsi a ricoprire un ruolo differente o anche solo ad occuparsi di nuovi aspetti. Questo potrebbe essere così appagante, per lui, da ridurre l ingiustizia percepita nei confronti dei licenziamenti, pur rimanendo viva la solidarietà nei confronti degli ex colleghi. Assunto che certe modalità di licenziamento compromettono fortemente il futuro clima dell organizzazione, Brockner sottolinea come esistano alcune dimensioni contraddittorie tra processi di identificazione e interessi più specificatamente personali. Benché, infatti, l interesse lavorativo possa

10 attenuare la percezione di iniquità nei confronti dell organizzazione, l inclusione del licenziato nella sfera delle proprie amicizie ha comunque un effetto potenziale negativo molto più elevato delle proprie nuove configurazioni professionali e di ruolo. Legata al commitment si individua la problematica della giustizia procedurale. Brockner e Wiesenfeld (1996) sottolineano come la giustizia procedurale, quando venga percepita come iniqua, ha delle ripercussioni sulle persone, che si affideranno allora alla percezione di equità distributiva; qualora però anche essa sia sentita iniqua, le loro reazioni saranno particolarmente negative nei confronti dell organizzazione. Si registrano reazioni negative da parte dei lavoratori anche quando essi percepiscono l esistenza di alternative altrettanto valide, ma per loro più favorevoli, rispetto alle scelte effettuate dall organizzazione; se considerano le procedure attuate come inique, di conseguenza anche le scelte organizzative vengono delegittimate. Molte reazioni negative registrate nei sopravvissuti sono da attribuire alle mancanze del management, che tende a sottovalutare i rischi dell iniquità esercitata all interno dell organizzazione. Questa superficialità del management può intaccare profondamente il rapporto di fiducia tra l organizzazione e il dipendente. La problematica della fiducia (Brockner, Siegel, Daly, Tyler, Martin, 1997) è messa in relazione con la giustizia procedurale e il commitment. Quando vi siano situazioni sfavorevoli per i lavoratori la fiducia di cui gode eventualmente il management consente di rendere più ponderate le reazioni.poiché il legame fiduciario può attenuare l eventuale insoddisfazione, sta all organizzazione creare un ambiente in cui l equità e la corretta giustizia procedurale siano pratiche abituali. Il risultato di un clima soddisfacente facilita l instaurarsi del commitment e la ripetuta esperienza della giustizia procedurale, anche quando non tutti i risultati sono favorevoli, rende più probabile la creazione di una base di fiducia nei confronti dell autorità ( Brockner, Siegel, Daly, Tyler, Martin, 1997). Tutto questo ci porta alla seconda contraddizione, precedentemente evidenziata. Crisi della leadership e gestione del downsizing La seconda contraddizione si basa sul fatto che il manager responsabile di una specifica unità organizzativa deve garantire al sistema, e chiedere ai propri collaboratori, un elevata performance, senza però essere in grado di garantire sicurezza, futuro e prospettive, in quanto il controllo della

11 situazione aziendale trascende spesso e in buona misura la sua visibilità aziendale. Nel recente passato l'identificazione con l azienda sia del management sia dei lavoratori di buona qualificazione era elevata e l'appartenenza ad una condizione rispettabile di "status" sociale, come la centralità dell'azienda, scontata; il rapporto individuo - organizzazione era caratterizzato da una bassa differenziazione e da una limitata distanza psicologica, in un rapporto di dipendenza quasi fusionale. Il lavoro qualificato del manager, connesso alla sicurezza economica e di status, presentava un rischio limitato e la sua competenza era rivendibile sul mercato con una relativa facilità. La perdita del lavoro in una azienda, per ragioni di crisi congiunturali o di declino, era temporanea e la qualificazione era di fatto recuperabile in altri contesti organizzativi (Zuffo, 1997). Oggi la situazione è notevolmente mutata sia per le logiche organizzative sia per la rappresentazione che l azienda propone di sé. Nelle grandi corporation, o più semplicemente nelle multinazionali dimensionalmente significative, le decisioni strategiche sono prese da gruppi di top manager molto ristretti che operano in chiave di allocazione e distribuzione planetaria delle risorse e delle localizzazioni: le decisioni sono, così, prese alla luce di molte variabili, spesso non controllate o sconosciute a livello locale. Anche i livelli manageriali medio alti non decidono e non possono spesso influenzare le decisioni prese, per esempio, per il singolo paese. A livello di rappresentazione l azienda forte, monolitica, vincente, maschile, garante della continuità lavorativa in cambio di dipendenza e fedeltà, non esiste più. A differenza del passato, l'organizzazione non svolge più la funzione di difesa contro le ansie primarie e i manager non possono più svolgere la funzione di leader e di espressione quasi indifferenziata dell azienda. Il leader del gruppo o il manager, anche di medio livello, perde le valenze dell'onnipotenza, della garanzia e della sicurezza. Di conseguenza, l'"assunto di base della dipendenza" (Bion, 1961) nei confronti di un leader capace di garantire sicurezza perde parte del suo significato originario (Zuffo, 1997). Il manager, in sostanza, si trova a gestire dei sottosistemi organizzativi dove spesso non sono neppure a lui stesso chiare le evoluzioni strategiche decise dall'impresa, le implicazioni delle grandi scelte imminenti e le conseguenze sulla propria area operativa. Il manager non è più espressione forte dell organizzazione: deve indubbiamente garantire efficienza, disponibilità, coesione, identificazione, ma non può più assicurare continuità e futuro (Kaneklin, Isolabella, 1997). Il leader deve attivare energie positive per poter motivare, far crescere, consentire che gli obiettivi assegnati siano

12 raggiunti, ma nello stesso tempo lui stesso ha un minore controllo e visibilità della situazione futura: quanto accadrà sarà spesso in buona misura indipendente dai risultati specifici della sua unità operativa. Inoltre, i risultati richiesti sono spesso di saving, di gestione di riduzioni di risorse, di progetti che implicano maggiori efficienze operative attraverso la riduzione della forza lavoro assegnata. I capi sono, in tal modo, imbrigliati in una condizione esistenziale ineludibile, si trovano ad essere esecutori di mandati aziendali e, insieme, spesso testimoni impotenti di una ristrutturazione che li trascende e che li coinvolge emotivamente facendone contemporaneamente degli esecutori-carnefici e delle vittime (Zuffo, 1997) Sono esposti all'angoscia del doppio legame asimmetrico che li lega, da una parte, al proprio gruppo di lavoro e alle singole persone secondo modalità sempre più profonde e, dall'altra, al commitment con i propri vertici organizzativi (Zuffo, Bernardoni, 1996). Questa contraddizione, insieme ad una strutturale crisi della leadership tradizionale (Kaneklin, Isolabella, 1997) a favore di modalità organizzative più fluide ed evolute, genera un tipico modello comunicativo distorto nella gestione del downsizing. Queste situazioni sono, così, spesso contrassegnate da sottocomunicazione, da indizi organizzativi non intenzionali, che sembrano anticipare ulteriori riduzioni di personale, e da rumors, che alimentano un senso di minaccia percepita nei sopravvissuti (Brockner, 1988). Se l'azienda si rappresenta e si propone come debole e non in grado di garantire più nessuno, il contratto psicologico originario, fatto di prestazioni elevate in cambio di fiducia e di attenzioni, tutela e garanzia delle proprie aspettative future, si modifica (Robinson, 1996; Morrison, Robinson, 1997; Rousseau, 2000; Robinson, Morrison, 2000). L azienda propone ora una maggiore differenziazione; l'enfasi aziendale viene posta sempre più sullo sviluppo delle competenze, sul perfezionamento continuo delle prestazioni individuali e su sistemi di valutazione apparentemente oggettivi e, soprattutto, baricentrati sulla durezza di un mercato che sarà giudice di ogni nuova decisione. Il manager si trova, così, in una situazione molto particolare: quella di garantire qualcosa e insieme di non assicurare nulla. Quanto più vi è incertezza, tanto più l azienda perde progressivamente i caratteri di garante della sicurezza e della continuità lavorativa (Morrison, 1994) e tanto più rilevante diviene la centralità del sistema microorganizzativo. Il capo, nella sua soggettività e nella sua situazionalità, diventa quindi il garante dell affidabilità lavorativa futura. Si configura una situazione contrassegnata dalla ecologia dei contratti psicologici (Rousseau, 1995), definizione usata per intendere la

13 provvisorietà e la complessità del rapporto sistemico che intercorre tra i soggetti dell organizzazione e la mutazione dei contesti culturali e socio - economici di riferimento. Appare, così, in tutta evidenza la centralità, ma anche i limiti, dell'azione manageriale. Il manager può farsi garante non solo e non tanto attraverso l'organizzazione, ma in qualche misura partendo e arrivando a sé. Si configura, dunque, una garanzia limitata che indubbiamente pone anche una complessità e una qualità della relazione più evoluta e sofisticata (Zuffo, 1997). Le risposte non possono più essere predefinite e confezionate solo da obsoleti interpreti dei vertici aziendali, ma richiedono un doppio movimento: da un lato un management che offre una prospettiva, un senso, una sfida aziendale, che vale la pena accettare e raccogliere, dall'altro un uomo che possiede la capacità di contenere le ansie e le preoccupazioni individuali così da stimolare delle elaborazioni mentali che diventino precondizione per avere sistemi efficienti e in grado di produrre innovazione. Nel passato l organizzazione si fondava sulla competenza della specializzazione funzionale e, a livello soggettivo, sulla scissione come necessaria all imitazione e al conformismo imposto da una elevata divisione del lavoro e dal rispetto delle procedure. Le organizzazioni di oggi richiedono sempre di più la ricomposizione della scissione tra sé e la pratica professionale, ma anche tra un sé adulto, che dia risposte evolute e non predeterminate dall organizzazione, e un soggetto differenziato, che abbia chiara la necessità di difendersi e di proteggersi sul piano psicologico e concreto (Zuffo, 1997) Nel momento in cui la soggettività e l'individuo assumono maggiore centralità, il gruppo ne diventa la condizione operativa e la possibilità concreta di una nuova comunicazione e di una buona efficienza; in pratica, il gruppo diviene l'unità di base dei sistemi organizzativi sia sul piano concreto sia su quello più profondo dell attribuzione di senso (Weick, 1995). Il middle management in quanto appartenente, nello stesso tempo, e strutturalmente, a gruppi differenti, si trova costretto ad operare come team leader, muovendosi tra i mandati di un top management lontano e la realtà spesso caotica di una prima linea operativa in trincea (Nonaka, 1995). Questa difficoltà richiede alle persone di essere sempre più autoefficaci e di essere baricentrate sul "sé", consapevoli di essere il reale fattore critico di successo delle performance organizzative e della continuità lavorativa del proprio gruppo di lavoro. I manager sono più credibili della azienda stessa e naturalmente imparano che il loro potenziale potere di riconoscibilità va speso con attenzione e tempismo, consapevoli che essi stessi domani

14 potrebbero rivelarsi inutili. Il sistema organizzativo, in questo modo, diminuisce le sue reali possibilità di controllo e insieme incrementa le capacità di apprendimento e di risposta personale e dei micro-gruppi di lavoro. La nuova gestione o, se si preferisce, la nuova leadership, consiste nel saper convivere con questa condizione di antinomia profonda tra esigenza di esercitare potere e controllo da un lato e necessità di "vincere" nel proprio sistema competitivo dall altro, tra la necessità di garantire appartenenza e protezione e, al contempo, di essere "soli" nella provvisorietà di un divenire imprevedibile (Zuffo, 1997) Come si è delineato fin ora la strada diventa stretta; i leader e i componenti dei gruppi dovranno essere forti e maturi, ma, naturalmente, cercheranno anche di allearsi o di combattersi con intensità maggiori che nel passato. Le persone possono crescere nella loro collusione con rapporti sempre più individualistici e superficiali caratterizzati da alleanze, cordate e accordi extraorganizzativi. In altri termini, nel corso della diverse pratiche professionali consulenza organizzativa, selezione, formazione - che consentono esplorazioni disorganiche ma anche estremamente ricche, si segnalano sempre più spesso forme di rinuncia e di ripiego psicologico, ma al contempo anche inquietanti strategie individualistiche, definibili come forme di neo-mercenarismo professionale. L organizzazione non rappresenta più, quindi, il riferimento etico fondamentale della propria professionalità e dell azione manageriale ma semplicemente un contesto dove proteggersi dalle minacce e perseguire risultati anche potenzialmente dissonanti con l interesse organizzativo (Pugh, Sarlicki, Passell, 2003) Accanto a fenomeni di grande fatica psicologica, di cinismo, di ripiego, di conformismo e di perdita di fiducia emergono così comportamenti opportunistici di neo-mercenarismo professionale, ritenuti in qualche misura di legittima difesa, ma indicatori della possibile deriva del rapporto individuo-organizzazione. Riteniamo che questi elementi possano essere spunto per una futura fase di studio.

15 Bibliografia Allen N.J., Meyer J.P. (1990). The measurement and antecedent of affective, continuance, and normative commitment to the organization. Journal of Occupational Psychology, 63. Allen N.J., Meyer J.P. (1993) Organizational commitment: evidence of career stage effects? Journal of business research, 26, Allen N.J., Meyer J.P. (1996) Affective, continuance, and normative commitment to the organization: An examination of the construct validity. Journal of vocational behaviour, 49, Balduzzi S.(2006), in press. Bauman Z. (2003) L intervista sull identità, Laterza, Bari. Bion W., (1961), Esperienze nei gruppi, Armando editore, Milano. Brockner J., (1988), The effect of work layoffs on survivors research, theory and practice, Research in Organizational Behaviour, 10, pp Brockner J., Wiesenfeld B.M. (1996) An integrative framework for explaining reactions to decisions: the interactive effects of outcomes and procedures, Psychological Bulletin, 120, pp Brockner J., Grover S., Reed T., De Witt R. (1992) Layoff, job insecurity and survivors work effort: evidence of an inverted U relationship, Academy of management Journal, 35, p Brockner J., Grover S., Reed T., DeWitt R., O Malley M. (1987) Survivors reactions to layoffs: we get by with a little help for our friends, Administrative Science Quarterly, (32), pp Brockner J., Konosky M., Cooper-Schneider R., Folger R.,Martin C.L., Bies R.J. (1994), The interactive effects of procedural justice and outcome negativity on the victims and survivors of job loss, Academy of Management Journal, 37, pp Brockner J., Grover S., O'Malley M., Reed T., Glynn M.A. (1993) Threat of future layoffs, self esteem and survivor reactions: evidence from the laboratory field, Human Research Management, pp Brockner J., Grover S., Reed T., DeWitt R. (1990), When it is especially important to explain why factors affecting the relationship between managers explanations of a layoff and survivors reactions to the layoff, Journal of Experimental Social Psycology, n.26, pp Brockner J., Siegel P.A., Daly J.P., Tyler T., Martin C. (1997) When trust matters: the moderating effect of outcome favorability, Administrative Science Quarterly, (42), pp Brockner J., Tyler T., Cooper-Schneider R. (1992), The influence of Prior Committment to an institution on reactions to perceived unfairness. The higher they are, the harder they fall, Administrative Science Quarterly, n. 37, pp Brockner J., Wiesenfield B.M. (1996), An integrative framework for explaning reactions to decisions: the interactive effects of outcomes and procedures, Psychological Bulletin, 120, pp Buono A.F., Bowditch J.L. (1989) The human side of mergers and acquisitions: Managing collisions between people, cultures, and organizations, San Francisco, Jossey-Bass.

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