Corso FOR.AGRI - Mully : Azioni Integrate di Sviluppo

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1 Corso FOR.AGRI - Mully : Azioni Integrate di Sviluppo

2 Cosa si mangiava nell'antica Etruria? Oltre alla frutta e verdura quali erano le pietanze? Nei tempi più antichi erano frequenti le minestre di cereali e legumi, come le gustose zuppe di verdura: ne è un ricordo eccezionale l'acquacotta, uno dei piatti della tradizione culinaria maremmana. Le sfarinate di cereali erano utilizzate per fare frittelle e focacce. La carne era bollita ed arrostita: sono frequenti nei corredi delle tombe gli alari, gli spiedi e le pinze per maneggiare i tizzoni di brace. Condimento ideale per ogni cibo era l'olio d'oliva, di qualità eccellente, esportato in tutto il Mediterraneo come testimonia il rinvenimento di anfore etrusche: anche oggi la qualità dell olio lo denota come prodotto tipico, così come il vino. La mancanza di una letteratura specifica non ci aiuta nella conoscenza di ricette e preparazioni tipiche, lontane dalla raffinata e forse confusionaria cucina d età romana: ma non è difficile immaginare che i piatti più tipici della tradizione gastronomica toscana, così legati alla sana e semplice cultura contadina, siano il perpetuarsi della cucina etrusca. Anche i piatti che noi gustiamo oggi derivano da cucine diverse, soprattutto di tradizione medioevale; l usanza delle zuppe, come l acquacotta, composte principalmente da cipolle, uova o funghi e verdure, oppure la zuppa di pesce, da mangiare tutte con la fettunta, e dei piatti poveri come i malfatti con ricotta e spinaci, e i dolci di frutta secca, miele e uova, alimenti sempre reperibili, derivano dalla tradizione contadina, mentre quelli più ricchi di carne, come il cinghiale e soprattutto il bovino, sono stati realizzati per le tavole dei ricchi feudatari. La cucina di questo periodo non è caratterizzata, come spesso si crede, da carni poco cotte ed eccessivamente speziate, o carbonizzate per coprire la cattiva conservazione degli alimenti, ma soprattutto nel tardo Medioevo, la cucina ricercava sapori nuovi, tramite la sovrapposizione dei sapori, salse agrodolci, formaggio e zucchero.il sale invece era poco utilizzato, perché troppo costoso. Era molto curata anche la presentazione dei cibi, tanto che venivano preferiti soprattutto volatili per le piu che rendevano più scenografico l ingresso del piatto.

3 Questo aspetto fu maggiormente accentuato nel Rinascimento, quando i sovrani cominciarono a non badare a spese per mostrare la loro magnificenza; tornò in voga anche il banchetto a tema che tanto era di moda tra i greci e i romani. In questo periodo, nonostante fosse già molto conosciuta, la cucina italiana divenne famosa in tutta Europa. La sontuosità dei piatti si trasformò in ricerca della particolarità nel Barocco; la costruzione, in questo caso, si aveva proprio nelle ricette. In questo periodo prevalgono le preparazioni simil-arabe, come i pasticci e, nonostante i prodotti provenienti dalle Americhe, come il mais, abbiano larga diffusione nelle cucine italiane, prevalgono la cioccolata e il caffè, sempre di origine araba. Nascono in questo periodo il sorbetto e le bevande rinfrescanti come la granita. Solo nell Ottocento si riscopre la vera cucina Maremmana, quella semplice, legata ai prodotti stagionali, che costituisce la base della cucina mediterranea. Ogni ricetta è composta da pochi ingredienti, carne o verdure, arricchite con spezie e odori come pepe, rosmarino, salvia, timo, basilico e alloro, ma anche peperoncino e noce moscata. Il pane è un punto di eccellenza della cucina locale presente nell alimentazione fin dall epoca etrusca. Il pane usato per le bruschette è quello tipico toscano che ha come particolarità quella di essere senza sale. E' considerato nel nostro paese un alimento primario. Soprattutto nel nostro territorio è alla base di molti piatti della cucina tradizionale maremmana quali la panzanella, l'acquacotta, la pappa con il pomodoro, la scottiglia e le zuppe di legumi ed ortaggi in genere. La tipicità del pane toscano senza sale risale al XII secolo, periodo in cui, durante le guerre tra Firenze e la repubblica marinara di Pisa, quest'ultima interruppe il commercio di sale con l'entroterra. Il sale divenne pertanto un prodotto costoso che i

4 Corso FSE Provincia di Grosseto MAGRANGE - CIPA-AT GROSSETO (33999) contadini e le famiglie dell'epoca non potevano permettersi, così furono costretti a produrre il pane senza sale. Il pane toscano ha mantenuto la caratteristica di essere "sciocco", di conseguenza si è sviluppata una cucina basata su ricette particolarmente saporite. I nostri piatti tipici a base di pane, precedentemente menzionati, sono oggi piatti ricercati, mentre un tempo rappresentavano piatti comuni quanto la tradizione religiosa imponeva una sorta di benedizione e quindi considerava un peccato gettarlo via. La tradizione vuole che il pane toscano, fatto con farina di grano tenero e lievito naturale, sia in più cotto nel forno a legna. Tutte queste componenti fanno si che il pane così prodotto esalti in particolare, oltre ai vari piatti, le qualità organolettiche dell'olio prodotto nel nostro territorio. Già nel VII secolo a.c. la vite e l'olivo erano coltivati intensivamente in Etruria ma, per quest'ultimo, la produzione non fu mai considerata importante dagli autori antichi; del vino etrusco, invece (anche se in senso talvolta negativo), scrivono sia Orazio che Marziale. Il vino bevuto nell'antichità era molto diverso da quello d'oggi: denso, fortemente aromatico, ad elevata gradazione alcolica. Il primo mosto ottenuto dalla vendemmia veniva in genere consumato subito, mentre il restante veniva versato in contenitori di terracotta con le pareti interne coperte di pece o di resina. Il liquido veniva lasciato riposare, schiumato per circa sei mesi e a primavera, infine, poteva essere filtrato e versato nelle anfore da trasporto. Il liquido così ottenuto non veniva bevuto schietto ma mescolato, all'interno di crateri, con acqua e miele, e travasato nelle coppe dei commensali, servendosi di attingitoi e sìmpula. Sulla mensa, il vino era contenuto in brocche e vasi a doppia ansa (stàmnoi), mentre per l'acqua si utilizzavano spesso piccoli secchi, denominati sìtule. Come già detto, la vite come l olivo sono piante sempre presenti nel nostro territorio fin dal tempo degli Etruschi. Il clima favorevole a queste coltivazioni ha reso

5 Corso FSE Provincia di Grosseto MAGRANGE - CIPA-AT GROSSETO (33999) possibile nel tempo ottenere degli ottimi prodotti quali vino e olio che per le loro qualità sono oggi apprezzati da molti consumatori in Italia e non solo. Un esempio è proprio il vino Morellino di Scansano. Questo prodotto è sempre stato presente in molte famiglie della Maremma soprattutto quelle contadine, ma il culmine e l alta qualità la stiamo raggiungendo in questo periodo con il Morellino. Questo deve il suo nome al cavallo Morello. Istituito con decreto del: 6 Gennaio 1978 Gazzetta Ufficiale del: 4 Aprile 1978, n.92 Vitigni con cui è prodotto: Sangiovese min. 85% La zona di produzione delle uve è collocata all interno della provincia di Grosseto, nella zona comprendente la fascia collinare della provincia di Grosseto tra i fiumi Ombrone e Albegna, che include l intero territorio amministrativo del Comune di Scansano e parte dei territori comunali di Manciano, Magliano in Toscana, Grosseto, Campagnatico, Semproniano e Roccalbegna. Il vino Morellino di Scansano deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti dal Vitigno Sangiovese. Possono concorrere alla produzione anche le uve provenienti da vitigni a frutto nero raccomandati e/o autorizzati per la provincia di Grosseto e presenti nei vigneti fino ad un massimo complessivo del 15%. Il vino Morellino di Scansano prodotto con uve aventi una gradazione alcolica complessiva minima naturale di 11,5 se sottoposto a un periodo di invecchiamento inferiore ad anni 2, di cui almeno uno in botti preferibilmente di rovere, e in messo al consumo con una gradazione alcolica complessiva minima di 12 può portare in etichetta la menzione RISERVA. Il periodo di invecchiamento ricorre dal 1 gennaio successivo all annata di produzione delle uve. Sulle bottiglie e gli altri recipienti contenenti il vino Morellino di Scansano può figurare l annata di produzione delle uve, tale indicazione è sempre obbligatoria per il tipo RISERVA

6 Corso FSE Provincia di Grosseto MAGRANGE - CIPA-AT GROSSETO (33999) IN DATA 29 novembre 2006 è STATO PUBBLICATO IL DECRETO DI RICONOSCIMENTO DELLA D.O.C.G. MORELLINO DI SCANSANO. Colore: rosso rubino tendente al granato con l invecchiamento Odore: intenso,fine, fresco, fruttato con sentori di frutta a bacca rossa. Sapore: asciutto, austero, caldo, leggermente tannico, morbido. ABBINAMENTI CONSIGLIATI Viene degustato a 18 C, stappando la bottiglia un ora prima. Bicchiere consigliato: ampio e capiente. Abbinamento: arrosti di carni rosse,cacciagione e selvaggina. Il Morellino di Scansano può essere considerato vino da tutto pasto, specialmente se abbinato con la cucina tipica della sua zona d origine. Adatto a piatti di media struttura come crostini toscani, tortelli, primi piatti al ragù di carne, spezzatini e carne alla brace. La tipologia riserva adatta a pietanze ben strutturate: pappardelle al ragù, cacciagione in generale, fegatelli, stracotto al Morellino, ed è perfetta con pasta all uovo fatta in casa col ragù a base si lepre. Il territorio è particolarmente vocato anche per la produzione di olive da olio. Le varietà più note sul territorio in ordine decrescente sono: 1. moraiolo oliva a bacca rotonda a maturazione ed invaiatura tardiva. L olio ottenuto dall oliva moraiola ha un fruttato intenso, un amaro intenso ed un piccante medio. Consigliato per zuppe e carne alla brace, bruschetta. 2. frantoiano oliva a bacca allungata colore verde maturazione medio-tardiva. L olio ottenuto ha i tre parametri (fruttato, amaro e piccante) di un valore medio, qualità che si sposano bene con verdure grigliate, insalate, patate lesse, bruschetta.

7 3. leccino oliva a bacca rotondo-allungata, invaiature e maturazione precoce. L olio ottenuto ha un fruttato medio-leggero ed il piccante e l amaro sono leggeri, pertanto si abbina in maniera ottimale con pesce e piatti delicati. 4. Olivastra autoctona ha una bacca allungata di colore verde3-violaceo all invaiatura; nell antichità veniva usata come oliva da tavola ed essiccata. L olio ottenuto è molto dolce, fruttato leggero, amaro e piccante quasi assenti. 5. Pendolino verietà usata per l impollinazione presente in quantità massima del 5% negli oliveti; ad oggi integrato anche da un altra varietà: il maurino. Prodotto commercializzato fin dai tempi dell antica Etruria, lo testimoniano alcuni contenitori rinvenuti nel sito etrusco di Ghiaccioforte. Col passare degli anni, la cultura su questo nobile prodotto e cresciuta e anche il suo utilizzo e cambiato e si sono formate le varie categorie :extravergine con acidita inferiore a 0,80, olio vergine acidita 0,81 1,50, oltre olio lampante, detto termine deriva dall utilizzo per le lampade da illuminazione. Per la tutela del prodotto e la valorizzazione del territorio è nato un consorzio (Consorzio dell Olio extravergine di oliva di Scansano ) che comprende il territorio del Morellino di Scansano. A dimostrazione dell alta qualita,per poter fregiare le confezioni di tale marchio, occorre che l olio abbia una certificazione di IGP Toscano. Da un analisi approfondita presso l Università di Pisa sono state riscontrate delle caratteristiche esaltanti il potere curativo dell olio cioè un contenuto importante di polifenoli superiore a 150 mg/kg ( un olio IGP Toscano non deve avere un contenuto di polifenoli inferiore a 60 mg/kg); ed in particolare una notevole presenza di tocoferolo conosciuto per le notevoli proprietà antiossidanti. Al fine di percepire in modo corretto le caratteristiche gustative del nostro olio si consiglia la degustazione su zuppe, legumi lessi e bruschette rigorosamente preparate con pane Toscano arrostito al momento in modo che il calore ne esalti il profumo e le qualità organolettiche. Dalla sua prima comparsa nel cuore dell Africa l uomo si è espanso fino in Europa compresa quella che oggi è l Italia così come nei secoli si è evoluto e trasformato

8 3nelle forme e nel comportamento. Da uomo che era pressoché nomade portato per la sua sopravvivenza e istinto cacciatore ad inseguire le proprie prede, diventa poi col passare del tempo un essere più stanziale (una volta trovato il territorio a lui adeguato) e si dedica non solo alla caccia ma anche all allevamento di animali e coltivazioni di piante che lo possono nutrire. La prima civiltà importante che si viene a costituire nella nostra zona (la maremma) è rappresentata dal popolo degli Etruschi. Essi si dedicano all attività cerealicola quali grano e farro, coltivazioni di vite ed olivo, allevamento di ovini e bovini i quali venivano non solo usati per la loro carne ma anche per lavorare il terreno. Non ci sono scritti degli Etruschi che ne testimoniano le loro usanze ma soltanto alcuni affreschi nelle tombe e nel vasellame in esse ritrovato oppure, si deve far riscontro agli scritti lasciati dai Latini e Romani. Quanto affermato possiamo ritrovarlo in scritti di famosi storici del passato: Da un famoso brano dello storico Tito Livio (Historiae XXXVIII, sappiamo che in Etruria si coltivavano copiosissime messi (in particolare grano e farro); esse dovevano costituire l'alimento-base sulla mensa di tutti i giorni, sia sotto forma di pani e focacce, che di minestre e zuppe. Dalla citata notizia di Livio, inoltre, possiamo indurre che i bovini fossero allevati non solo per la carne, ma anche perche necessari per il lavoro dei campi, soprattutto per l'aratura. Gli avanzi di pasto rinvenuti durante gli scavi ci testimoniano, d'altra parte, la presenza sulla tavola etrusca di altri animali domestici quali ovini, caprini e suini, in proporzioni diverse a seconda del tempo o luogo in cui ci si trovasse; altra fonte di alimentazione, inoltre, era la selvaggina, come ci testimoniano gli autori antichi e alcuni famosi affreschi (la citata "Tomba Golini I" di Orvieto o la "Tomba della Caccia e della Pesca" di Tarquinia). Per quanto riguarda l'alimentazione ittica, ancora più rari risultano (dalla ricerca archeologica) gli avanzi di pasto, a causa della deperibilità degli scheletri dei pesci e del guscio dei molluschi; rimangono, comunque, come testimonianza archeologica, ami da pesca, aghi e pesi da rete. Gli Etruschi dovevano conoscere diverse varietà ittiche diffuse nel Mediterraneo, come mostrano i cosiddetti "piatti da pesce" in cui appaiono raffigurate, sulla superficie esterna, numerose specie manne. L alimentazione del mondo mediterraneo antico è condizionata, ovviamente, dai prodotti che la natura offre e le condizioni climatiche simili nel mondo greco, latino ed etrusco, hanno generato una dieta ed una cucina per molti versi assai simili tra loro.

9 In scavi recenti sono stati portati alla luce rilevante quantità di noccioli di frutta selvatica tra cui corniolo (Cornus mas), prugna selvatica (Prunus spinosa) e prugna damascena (Prunus insititia), nocciolo (Corylus avellana) e ghiande (Quercus sp.), ed anche vite (Vitis vinifera) che presto, grazie alle conoscenze trasmesse dai navigatori provenienti dall Egeo, sarebbe stata trasformata in vino e non consumata solo come frutta. Tra i cereali sono presenti cariossidi di farro (Triticum dicoccum), tra i legumi resti di fave (Vicia faba). I cereali ed i legumi potevano essere consumati abbrustoliti o macinati per farne frittelle e minestre; la frutta poteva essere consumata fresca o fermentata in bevande a scarso tenore alcolico. Tra i resti faunistici (scavi 1980) ricordiamo la presenza di numerose specie domestiche (68 % del totale dei resti ossei rinvenuti) e selvatiche (32 %). Sono stati segnalati resti di caprovini, suini, bovini, equini, cani; tra i selvatici cervo, cinghiale, capriolo ed orso bruno. Lo scavo di un insediamento agricolo etrusco del IV - III secolo a.c. condotto dalla Soprintendenza Archeologica per l Etruria Meridionale a Blera in località Le Pozze (scavi ), ha permesso il rinvenimento di 570 semi e noccioli di frutta, tra cui segnaliamo corniolo, nocciolo, ghiande di quercia, olivo (Olea europaea), vite, fico (Ficus carica), pero (Pyrus sp.) ed orzo (Hordeum sp.). Tra i resti di animali, presenti i suini, la capra, i bovini, le galline. Indagini paleonutrizionali, cioè sulle modalità alimentari del passato, condotte sulla popolazione etrusca, hanno rivelato che dal VII secolo a.c. all età romana l economia alimentare sia rimasta a base agricola; un consumo maggiore di carne e latticini, rilevabile dall aumento di Zinco nelle ossa, si ha nell età arcaica (VI secolo a.c.-inizio V secolo a.c.): con il passaggio all età classica ed all ellenistica si nota una graduale diminuizione del consumo di prodotti di origine animale, forse conseguenza di quella forte crisi economica che avrà il suo inizio nel V secolo a.c. e che si protrarrà con la conquista romana. Ma cosa si mangiava nell'antica Etruria? Oltre alla frutta e verdura di cui abbiamo fatto cenno, quali erano le pietanze, i cibi preparati? Nei tempi più antichi erano frequenti le minestre di cereali e legumi, come le gustose zuppe di verdura: ne è un ricordo eccezionale l'acquacotta, uno dei piatti della tradizione culinaria viterbese. Le sfarinate di cereali erano utilizzate per fare frittelle e focacce. La carne era bollita ed arrostita: sono frequenti nei corredi delle tombe gli alari, gli spiedi e le pinze per maneggiare i tizzoni di brace. Condimento ideale per ogni cibo era l'olio d'oliva, di qualità eccellente, esportato in tutto il Mediterraneo come testimonia il rinvenimento di anfore etrusche: anche oggi la qualità dell olio viterbese lo denota come prodotto tipico, così come il vino.

10 La mancanza di una letteratura specifica non ci aiuta nella conoscenza di ricette e preparazioni tipiche, lontane dalla raffinata e forse confusionaria cucina d età romana: ma non è difficile immaginare che i piatti più tipici della tradizione gastronomica toscana e viterbese, così legati alla sana e semplice cultura contadina, siano il perpetuarsi della cucina etrusca. Già nel VII secolo a.c. la vite e l'olivo erano coltivati intensivamente in Etruria ma, per quest'ultimo, la produzione non fu mai considerata importante dagli autori antichi; del vino etrusco, invece (anche se in senso talvolta negativo), scrivono sia Orazio che Marziale. Il vino bevuto nell'antichità era molto diverso da quello d'oggi: denso, fortemente aromatico, ad elevata gradazione alcolica. Il primo mosto ottenuto dalla vendemmia veniva in genere consumato subito, mentre il restante veniva versato in contenitori di terracotta con le pareti interne coperte di pece o di resina. Il liquido veniva lasciato riposare, schiumato per circa sei mesi e a primavera, infine, poteva essere filtrato e versato nelle anfore da trasporto. Il liquido così ottenuto non veniva bevuto schietto ma mescolato, all'interno di crateri, con acqua e miele, e travasato nelle coppe dei cornrnensali, servendosi di attingitoi e sìmpula. Sulla mensa, il vino era contenuto in brocche e vasi a doppia ansa (stàmnoi), mentre per l'acqua si utilizzavano spesso piccoli secchi, denominati situle. La coltivazione dei cereali viene tramandata e valorizzata negli anni come forma di alimentazione umana e animale per toccare il culmine negli anni 60 da rappresentare in quel periodo una vera e propria festa il giorno della:

11 La trebbiatura del grano, oltre a rappresentare una molteplicità di aspetti legati alla tradizione, costituiva uno dei momenti più importanti dell'annata agraria, quello con il quale si conclude un intero processo produttivo. Il grano costituiva, per la maggior parte dei poderi, il principale prodotto. Questo è certamente il motivo per cui si individuano nella fase di trebbiatura del grano una molteplicità di significati, soprattutto di carattere simbolico. Per lo svolgimento di quest'attività vigeva una regola di reciproco scambio di lavoro: i membri di diverse famiglie si aggregavano, prima in un podere, poi nell'altro. Da un punto di vista tecnologico la trebbiatura costituisce il momento finale del lavoro di un intero anno, del quale qui sarà sufficiente tracciarne brevi linee. L'anno agrario ha inizio in autunno, con i lavori di aratura. A seconda della zona territoriale, dell'apparato tecnico a disposizione, della disponibilità di "braccia", ma anche di coppie di buoi, questa operazione poteva svolgersi in maniere differenti. Nelle aree pianeggianti, dove i campi sono molto ampi la trebbiatura poteva essere svolta, per poter raggiungere una maggiore profondità della terra, attraverso un traino costituito da più coppie di buoi, fino ad arrivare alle tecniche, all'inizio del secolo estremamente innovative, dell' aratura elettrica, nella quale la forza trainante era ricavata da potenti motori elettrici che attraverso dei cavi muovevano l'enorme aratro verso gli opposti bordi del campo. Seguivano le altre operazioni come la semina, lo spargimento del concime e l'interramento del seme. Tutte queste attività, che nel passato venivano svolte prevalentemente facendo uso della forza delle braccia, richiedevano una notevole quantità di tempo. In seguito al processo di meccanizzazione dell'agricoltura, con l'introduzione delle moderne macchine, le stesse operazioni hanno richiesto un impegno minore, sia dal punto di vista fisico, sia da quello relativo ai tempi delle singole lavorazioni. All'inizio dell'estate si iniziavano i lavori di mietitura. Questa tecnica si è andata modificando profondamente nel tempo: dalla "segatura del grano" con la falce messoria, si è passati all'uso di macchine che, trainate dai buoi, tagliavano gli steli, lasciandoli giacere sul terreno. Questi dovevano poi essere raccolti a mano in "balzi". Ad una successiva fase di sviluppo evolutivo dell'apparato tecnico, si è passati all'uso di una macchina simile che oltre a "segare" il grano, lo raccoglieva automaticamente in "balzi".

12 Terminata l operazione, il grano veniva trasportato nell'aia e lì raccolto per essere prelevato agevolmente al momento della trebbiatura. Era necessario porlo in maniera tale, con le spighe rivolte verso l'interno del mucchio, di modo che, in caso di pioggia, i chicchi rimanessero all'asciutto. Anche l'ulteriore fase di lavorazione, la separazione dei chicchi dalla spiga, ha subito nel tempo un processo di modificazione, dovuto all'introduzione, anche in questo caso, di un apparato tecnico via sempre più evoluto. Sinonimo di "trebbiare" è "battere" il grano. Questo deriva dal fatto che le primitive operazioni di separazione dei chicchi avvenivano per mezzo di una vera e propria battitura degli stessi con dei bastoni. Si tratta del "correggiato", uno strumento composto da due parti in legno, collegate da una funicella, delle quali l'una, più lunga e sottile, costituisce l'impugnatura, mentre l'altra, più massiccia, è la parte utensile, quella cioè che con un movimento di rotazione si va ad abbattere sulle spighe, frantumandole, e facendone fuoriuscire i semi. Durante la trebbiatura,nei poderi della pianura, era necessario l'intervento di una notevole quantità di persone. Per questo costituiva pratica corrente lo scambio reciproco di lavoro fra le famiglie di poderi limitrofi, le quali spesso erano legate da rapporti di parentela. Oltre a queste, di solito era presente un operaio specializzato meccanico che presiedeva all'avviamento del motore, agli spostamenti ed al posizionamento della macchina. Addetti alla trebbiatura erano prevalentemente maschi, ma insieme alla macchina trebbiatrice si spostavano anche le donne della famiglia, che aiutavano nella preparazione dei cibi e nello svolgimento delle faccende domestiche in generale. Durante le operazioni era presente un emissario del padrone del podere per controllare che non avvenissero sottrazioni di prodotto da parte del contadino. Si introducono in questo modo due ulteriori sistemi di relazione: uno di tipo orizzontale (i rapporti fra le famiglie di contadini di poderi vicini e/o imparentati fra loro), e l'altro di tipo verticale (i contadini mezzadri che lavoravano la terra ed i proprietari che ne raccoglievano i frutti). Si ricorda infatti che fino agli inizi degli anno sessanta era ancora diffuso il rapporto mezzadrile, che qui si riassume per sommi capi: il contadino conduttore si assumeva l'obbligo di risiedere presso il podere con la propria famiglia, e di renderlo produttivo lavorandone la terra; per contro il proprietario aveva il diritto di ricevere il cinquanta per cento dei prodotti, oltre ad una serie di altri servizi che variavano da zona a zona, ma che spesso si concretavano in regalie e prestazioni di lavoro presso la fattoria, ed in opere di miglioramento del podere.

13 nelle nostre campagne, non è raro trovare le tracce del passaggio del cinghiale,tipica è la zampatura effettuata con il lungo muso a grifo alla ricerca di larve e radici. Questo animale predilige trovare piccole piscine per farne degli insogli (bagni di fango). Animale ricoperto di setole grigie può raggiungere i due quintali di peso,preferisce muoversi dopo il crepuscolo alla ricerca di tuberi,radici, ghiande,uve e cereali. È il capostipite di tutte le razze domestiche di suini. È lui la preda preferita dei cacciatori maremmani: la caccia al cinghiale viene svolta da un gruppo di cacciatori che formano una squadra,suddivisi in battitori o canai e poste di cacciatori. Dopo essersi accertati che nel bosco c è la presenza di cinghiali, decidono di iniziare la cacciata. Il capocaccia dice dove mettere le poste, intanto anche i battitori arrivano nei punti prescelti. A questo punto il capocaccia con il primo canaio danno inizio,con il suono di uno strumento che si chiama corno,alla battuta. I canai sciolgono i cani, che hanno fiutato la preda mandandola verso le poste,dove i cacciatori sono pronti a far fuoco con i loro fucili. Alla fine della cacciata,di solito verso sera, i vari cacciatori si ritrovano in un posto dove,se la preda è stata abbattuta verrà suddivisa in parti uguali, mentre si ripercorre tutta la giornata attraverso aneddoti e battute divertenti con un bicchiere di vino e partite del gioco della morra. Anche i piatti che noi gustiamo oggi derivano da cucine diverse, soprattutto di tradizione medioevale; l usanza delle zuppe, come l acquacotta, composte principalmente da cipolle, uova o funghi e verdure, oppure la zuppa di pesce, da mangiare tutte con la fett unta, e dei piatti poveri come i malfatti con ricotta e spinaci, e i dolci di frutta secca, miele e uova, alimenti sempre reperibili, derivano dalla tradizione contadina, mentre quelli più ricchi di carne, come il cinghiale e soprattutto il bovino, sono stati realizzati per le tavole dei ricchi feudatari.

14 La cucina di questo periodo non è caratterizzata, come spesso si crede, da carni poco cotte ed eccessivamente speziate, o carbonizzate per coprire la cattiva conservazione degli alimenti, ma soprattutto nel tardo Medioevo, la cucina ricercava sapori nuovi, tramite la sovrapposizione dei sapori, salse agrodolci, formaggio e zucchero.il sale invece era poco utilizzato, perché troppo costoso. Era molto curata anche la presentazione dei cibi, tanto che venivano preferiti soprattutto volatili per le piume che rendevano più scenografico l ingresso del piatto. Come già ricordato il suo punto forte della cucina maremmana è sempre stato il pane, base dell alimentazione fin dall epoca etrusca. Il pane toscano è ispido, cioè senza sale, quindi riesce ad associarsi bene praticamente ad ogni piatto, e in alcuni casi sostituiva anche la pasta, piatto non proprio abituale in Maremma; ma ne esistono anche tipi particolari, come il pane di ramerino e la schiacciata con l uva. Inoltre non bisogna dimenticare la bruschetta, o fettunta, accompagna tutte le zuppe maremmane, e i crostini, tipicamente con patè di fegato se ci si trova nelle zone interne, o con la bottarga, le uova di cefalo o tonno essiccate, se siamo vicini alla costa.ma anche la panzanella, preparata per utilizzare il pane vecchio, ammolandolo nell acqua e mescolandolo con verdure fresche di stagione, un filo d olio e basilico, la pappa col pomodoro e molte altre ricette. L olio è da sempre eccezionale e accompagna praticamente tutte le ricette della zona, sia a crudo che in cottura. Sono presenti moltissime varietà di vino, quasi una per ogni località, prevalentemente bianchi sulla costa, e rossi nell entroterra. Nonostante la semplicità, le ricette variano di paese in paese; ogni piccolo centro maremmano riesce a personalizzare piatti diffusi in tutta la Toscana, creando una grande varietà di pietanze. I prodotti che caratterizzano la cucina maremmana, sono tutti molto genuini e derivanti direttamente dalla terra del territorio. Fin dalle origini, la tavola locale si arricchisce di pietanze semplici e tradizionali, come quelle a base di funghi e cacciagione. Tra i prodotti tipici si evidenziano il vino, l olio, il tartufo, i salumi e i formaggi.oggi Gli Agriturismi sono i più adatti per degustare la cuina tipica maremmana, dove vengono rigorosamente selezionate le materie prime che vengono direttamente dalle proprie aziende agricole o dalle zone circostanti.

15 I protagonisti dei crostini, una costante nella gastronomia della Toscana, sono i fegatini di pollo, da soli o in compagnia di "nobili" interiora di anatra, fagiano o faraona. La classica bruschetta con olio d oliva, durante il periodo della frangitura delle olive, nei piccoli centri del Grossetano è sempre stato usanza, per coloro che non avevano l olio, di andare a fare la bruschetta al frantoio.bastava che portassero il pane, poiché i frantoiani passavano l olio gratis; quell olio nuovo, odoroso di olive, che dà alla bruschetta il genuino gusto delle cose semplici. Molti attribuiscono la nascita della panzanella all usanza diffusa tra i contadini di bagnare il pane vecchio e secco(una volta il pane veniva fatto una volta alla settimana) e di mescolare con le verdure di stagione che erano faciolmente disponibili nell orto.un altra scuola di pensiero sostiene invece che sia un piatto marinaro,nato a bordo dei pescherecci.i pescatori si portavano il pane duro e qualche pomodoro e poi bagnavano tutto con acqua marina. Ha sfamato generazioni di Maremmani: sia che facessero i mandriani, i pastori o i carbonai. Tutti conoscevano i segreti della sua preparazione, che poteva variare per alcuni ingredienti. Era, infatti, una ricetta legata alle stagioni, dato che tra gli ingredienti venivano usate erbe spontanee raccolte nei campi o nei pascoli e ai mestieri: per esempio l'acquacotta dei pastori era diversa dalle altre poiché arricchita con il formaggio prodotto dal loro gregge. I tortelli, già conosciuti nel 1300, sono fatti con le più diverse combinazioni di ripieni, che variano con i prodotti tipici di ciascun territorio; sulla Montagna Pistoiese si usano le castagne, nel Mugello le patate, in Maremma ricotta e spinaci o, per nobilitare il piatto, si usa la selvaggina (fagiano, pernici, storni, ecc.).

16 Antico piatto maremmano(qui il cinghiale viene chiamato cignale)la cui origine e da far risalire al Risorgimento. Il cinghiale è forse la selvaggina più tipica della Maremma e le massaie maremmane hanno mille ricette che si diversificano fra loro solo in qualche dettaglio. La scottiglia è un piatto a base di pane raffermo condito con sugo di carni di vitello, maiale, pollo, tacchino, coniglio e ma solo facoltativamente agnello. La forma è quella tipica di una zuppa di carni miste, di color rosso scuro, dal sapore forte e strutturato e dal gradevole profumo. Si tratta di un tipico piatto contadino della Pescina (frazione di Seggiano), che veniva preparato soprattutto in occasione di visite di fattori, quando si era soliti tirare il collo al gallo e cuocere un gustoso sugo da versare su fette di pane raffermo. I vecchi boscaioli raccontano che era abitudine portare con sé nel bosco il caldaino con la zuppa di carne dentro, che all ora del pranzo veniva scaldata e versata sul pane. Si ritiene che l termine scottiglia derivi da carni scotte o ricotte, a testimonianza del riciclaggio che le contadine facevano degli avanzi di frattaglie. Gli Sfratti sono una specialità di Pitigliano e di Sorano, in provinia di Grosseto. Interessante è l origine del nome di questo antico dolce ebraico della metà del 700:un tempo in uso intimare lo sfratto alle persone battendo con un bastone sulla porta di casa.per ricordare quel triste strumento, gli ebrei di Pitigliano crearono questo dolce dalla tipica forma di bastone. I Corolli sono semplici dolci preparati nelle campegne Grossetane, Senesi e Aretine. Nella loro espressione più povera sono degli avanzi di pasta lievitata di pane, leggermente arricchiti con un po di zucchero, scorza di limone grattata e anici pestati. Viene data loro una forma a divengono ben dorati. ciamba e poi cotti sulla pastra del forno, finchè

17 La coltura del castagno da frutto ha da sempre avuto diffusione nell'area amiatina grazie alle condizioni pedologiche e climatiche particolarmente favorevoli. Fin dal XIV secolo gli Statuti della comunità dell'amiata prevedevano rigide norme per la salvaguardia e lo sfruttamento della risorsa castagno, sia per la raccolta dei frutti che per la produzione di legname. Gli statuti proibivano il danneggiamento ed il taglio delle piante verdi e delle piante secche in piedi imponendo ai trasgressori sanzioni pecuniarie molto onerose; la raccolta delle castagne doveva rispettare un preciso calendario che prevedeva un periodo di stretta competenza del proprietario del castagneto ed uno successivo, dove la raccolta era libera, quest'ultimo si protraeva anche fino a carnevale per permettere a tutti, anche i più poveri, di poter trovare un minimo di sostentamento. La coltivazione del castagno nella zona del Monte Amiata avviene a quote comprese fra i 350 e 1000 m s.l.m., su terreni derivati dal disfacimento di rocce vulcaniche acide: queste condizioni ambientali ottimali conferiscono al prodotto particolari caratteristiche organolettiche. - Il fagiolo bianco di Sorano si distingue per la buccia sottile, quasi inconsistente, che non si stacca durante la cottura; le dimensioni sono ridotte rispetto al normale cannellino, la forma è schiacciata, tanto da essere chiamato localmente "piattellino". Ha colore bianco perlaceo con striature e riflessi rosati; una volta cucinati i fagioli diventano un purè, gustosissimo al palato e di facile digeribilità. La particolare consistenza del tegumento è dovuta per lo più alle peculiarità pedo-climatiche dell'area di coltivazione. I fagioli di Sorano sono ottimi lessati e conditi con un buon olio extravergine d'oliva, poco sale e pepe. Hanno bisogno di essere messi a bagno per alcune ore in acqua di fonte, quindi fatti cuocere lentamente con poche foglie di salvia, uno spicchio d'aglio e un pò d'olio ectravergine d'oliva. - L'olivo è uno degli elementi tipici del paesaggio agricolo collinare in grado di valorizzare inoltre, insieme alla vite, aree a produttività marginale.

18 L'olio extravergine di oliva Toscano ad indicazione geografica protetta deve possedere le caratteristiche prescritte nel disciplinare di produzione che prevede, oltre ai requisiti di qualità e tipicità, che tutte le fasi di produzione delle olive, estrazione dell'olio e confezionamento siano obbligatoriamente effettuate all'interno del territorio toscano. L'olio extravergine di oliva Toscano è prodotto con olive provenienti dalle varietà del germoplasma olivicolo autoctono regionale. Altre varietà possono concorrere fino ad un massimo del 5%. Quest'olio ha un colore dal verde al giallo con variazione cromatica nel tempo, un odore di fruttato accompagnato da un sentore di mandorla, carciofo,frutta matura e un sapore fruttato marcato. L'acidità massima consentita è pari allo 0,6%. L'olio Toscano igp è ideale per condire verdure crude e cotte, soprattutto lessate, ma anche per minestre, zuppe di legumi, pesce e carne alla griglia. Il pecorino Toscano DOP viene prodotto con latte intero di pecora, con aggiunta di caglio di vitello; la pasta viene sottoposta a cottura e a rottura fino a determinare granuli di cagliata di grandezza variabile da quella di un chicco di granturco per il tipo a pasta "semi-dura" a quella di una nocciola per il tipo "tenero". Succesivamente si effettua la pressatura e la salatura, cui segue un periodo di stagionatura di durata variabile a seconda della collocazione gastronomica del formaggio. Il Pecorino Toscano può essere consumato come formaggio da tavola o da grattugia secondo il grado di stagionatura. Grattugiato viene usato come condimento per la ribollita, per paste asciutte e per insaporire secondi piatti a base di carne. A fette, invece, sia stagionato che fresco, si accompagna bene con miele, marmellata, frutta e verdure fresche di stagione. Con il Pecorino Toscano a pasta tenera si abbinano bene vini bianchi quali il "Bianco di Pitigliano" o il "Monteregio Bianco", mentre con quello stagionato vini rossi quali il "Morellino di Scansano", il "Chianti Classico", il "Montecucco Rosso" o, per stagionature superiori agli otto mesi, il "Brunello di Montalcino". La terminologia "toro bianco dell'italia centrale" compare per la prima volta in Giunio Moderato Columella nell'opera De re rustica del I secolo d.c., con sicuro riferimento ai maestosi candidi esemplari dell'etrusca Chianina. Questo nome può essere considerato la prima traccia, da cui si è originata nei secoli la terminologia attuale, estesa a comprendere anche altre due razze bovine autoctone: la Marchigiana e la Romagnola. E' infatti ampiamente riscontrabile in bibliografia l'uso del termine "Razze Bianche dell'italia Centrale" o "dell'appennino" con riferimento a soggetti di razza Chianina, Marchigiana e Romagnola.

19 L'affermarsi di una terminologia comune è giustificata dalle profonde affinità e similitudini di queste razze, dipendenti dall'origine filogenetica comune e dalla sostanziale omogeneità dell'areale tipico di allevamento. Le tre razze presentano significative caratteristiche morfologiche comuni come la pigmentazione apicale nera ed il mantello bianco che si presenta fromentino alla nascita e nei primi tre mesi di vita e si assomigliano anche nelle prestazioni produttive, in particolare nella precocità, nelle caratteristiche di accrescimento, nella resa al macello e nella eccellente qualità delle carni (magre, sapide e a basso contenuto di colesterolo). Chianina, Marchigiana e Romagnola hanno inoltre una storia "agricola" comune avendo conosciuto l'apice del loro sviluppo durante l'epoca della mezzadria; si sono quindi formate nella tipica azienda mezzadrile collinare dell'italia centrale, dove sono state prima utilizzate per il lavoro dei campi e poi, a partire dalla metà del 1800, avviate alla selezione come razze specializzate da carne. Con fondate ragioni quindi, si è giunti nei secoli a considerare queste tre razze quasi come un unico "tipo" animale, fino a coniare col termine di Vitellone Bianco dell'appennino Centrale un nome collettivo entrato nella tradizione e nell'uso comune. Il pregio e la tipicità della carne di Vitellone Bianco dell'appennino Centrale è dovuto alla combinazione tra il patrimonio genetico delle razze ed il sistema di allevamento e di alimentazione utilizzato. I sistemi di allevamento sono preminentemente riconducibili a quelli tradizionali della posta fissa o semilibera dei soggetti all'ingrasso e gli alimenti utilizzati nella fase di accrescimento e di ingrasso sono prevalentemente di produzione aziendale. Le piccolissime dimensioni aziendali non hanno recepito le recenti tecnologie di alimentazione né nuovi tipi di foraggi utilizzati al solo scopo di abbassare i costi ed il bovino ha conservato il ruolo di utilizzatore e trasformatore delle risorse aziendali. La carne del Vitellone dell'appennino centrale è ottima alla griglia, con l'aggiunta di un filo d'olio extravergine d'oliva a cottura ultimata. Il miele è un prodotto naturale che le api elaborano esclusivamente a partire dal nettare delle piante o dalla melata che raccolgono sulla vegetazione, l'uomo si limita a prelevarlo dai nidi. Il "Miele Toscano" si caratterizza per la sua specificità derivata dal territorio, inteso come sommatoria di fattori naturali e umani ovvero dalla continuità colturale-culturale legata all'ambiente geografico e alla presenza dell'uomo.

20 L'apicoltura in Toscana, è pertanto una tradizione che continua da almeno anni e possiamo affermare che gli attuali confini amministrativi della Toscana identificabili col "paesaggio toscano" derivano da un processo di continuità storica e culturale, non sono la semplice risultante di fattori omogenei ed esclusivi (altimetria, clima, vegetazione), ma sono "costruiti dalla storia, ove le componenti antropiche hanno probabilmente creato quell'unità regionale che non risulta dalle componenti naturali." Il miele è frutto della sintesi fra tutte le forme di vita, animale e vegetale, l'ambiente fisico e il clima, quindi poiché il miele non è altro che la "fotografia" dell'ambiente da cui proviene ne consegue che il miele toscano è il prodotto del paesaggio toscano. Le favorevoli condizioni ambientali hanno consentito uno sviluppo dell'apicoltura fin dai tempi degli etruschi e dei romani, sulle cui tavole il miele accompagnava il vino, condimenti e pietanze. Si stima attualmente in un 10% il valore medio dell'incidenza dell'apicoltura toscana sul dato nazionale e in un paese sempre più urbanizzato e con un'agricoltura sempre più industrializzata la continuità della presenza dell'apicoltura sta anche ad indicare la costante disponibilità di pascoli favorevoli alle api, quindi un corretto uso del suolo, e - cosa importante - particolarmente idoneo alla produzione del miele di qualità. Innumerevoli sono in Toscana i dolci nella cui preparazione compare il miele anche se in taluni oggi lo zucchero lo ha sostituito e molti sono pressoché dimenticati. Al momento attuale fra i prodotti tutelati dalla Regione Toscana come "tradizionali" compaiono fra le "Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria" solo alcuni dei nostri prodotti tipici: Brutto buono ai pinoli, Cavallucci di Siena e di Massa Marittima, Croccolato di Siena, Mandorlata di Montalcino, Panforte di Siena e di Massa Marittima, Ricciarelli di Siena e di Massa Marittima, Rustici di Montalcino, Sfratto (Pitigliano e Sorano - Grosseto), Taglioli di Castell'Azzara (Castell'Azzara, Pitigliano e Sovana - Grosseto), Topi di Castell'Azzara (Castell'Azzara e Orbetello Grosseto). - Il grano è sempre stato presente nella mensa Toscana come elemento base dell'alimentazione di tutti i ceti sociali, tanto che gli stessi statuti comunali contengono notizie interessanti circa la produzione, la macinazione e la distribuzione della farina e del pane, che si tramandano dall' XI fino al XVII secolo. La panificazione assumeva un aspetto rilevante, tanto che per essa erano previste norme ben precise da seguire, che si ripercuotevano nell'organizzazione sociale e nella vita quotidiana della gente. L'importanza del pane nella cultura Toscana è testimoniata dai tanti segni lasciati nei secoli: in tutte le case coloniche, anche le più povere, non potevano mancare il forno a legna per la cottura del pane e la madia o "cassa del pane", come la chiama Leon Battista

21 Alberti nel "De re aedeficatoria". La stessa produzione del pane assumeva caratteri quasi rituali, in parte ancora mantenuti, come le forme piuttosto voluminose, rettangolari-ovoidali, oppure tonde, dalla crosta chiaroscura contenente una mollica compatta, friabile e porosa, e dal sapore che gli stessi toscani definiscono sciocco. La profonda religiosità del contadino toscano era permeata di simboli che si rifanno al grano ed al pane: prima della cottura veniva impresso il segno della croce, spesso all'interno di un cerchio, ed in molte cerimonie religiose pasquali toscane era presente, fin dal XV secolo, la benedizione del pane (sembra introdotta da S. Benedetto) e la distribuzione pubblica di "focacce benedette" o "fiorette benedette"(pistoia). Così, se "posare il pane in modo opposto alla cottura" era considerato mancanza di rispetto verso un alimento basilare, era grave peccato, ancora oggi sentito, gettar via il pane avanzato. Di qui, probabilmente, la ricchezza di ricette popolari legate all'utilizzo del pane raffermo: la panzanella, conosciuta già nel '500, la panata, minestra nota fin dal XIV secolo, la ribollita, l'acqua cotta, la pappa col pomodoro, la bruschetta o fettunta, la minestra di cavolo nero ed altri. Il "Pane Toscano" è un pane bianco, poiché ottenuto utilizzando come materia prima la farina di grano tenero oltre che l'acqua e il lievito madre (lievito naturale). E' contraddistinto da caratteristiche specifiche, in particolare la conservabilità, l'alveatura fine della mollica di colore bianco-avorio, l'elevata digeribilità, il sapore caratteristico ed il profumo tipico di nocciola tostata, la crosta friabile e croccante ma con un certo grado di elasticità, il colore dorato, nocciola chiaro, opaco. Il "Pane Toscano" è sciocco, cioè prodotto senza aggiunta di sale e, proprio questa caratteristica, lo accompagna ottimamente con i cibi saporiti, come gli insaccati, che, nella tradizione toscana, sono particolarmente sapidi (come il prosciutto od il salame toscano) e lo inserisce come elemento dieteticamente equilibrante nella cucina toscana, sia tradizionale che contemporanea, la quale, anche nelle numerose varianti e creazioni più innovative, mantiene la centralità del pane toscano, quale elemento di originalità e peculiarità. Suino Cinto Toscano DOP - Il Suino Cinto Toscano rappresenta la denominazione della carne ottenuta dall'allevamento brado/semi brado di suini del tipo genetico Cinta Senese. Questa razza si caratterizza per avere taglia media, con cute nera, setole nere poco folte, ed una caratteristica fascia bianco rosata (una sorta di cintura, per l'appunto) che cinge torace, spalle, garrese e arti anteriori. Il grifo si presenta più allungato e stretto rispetto alle altre razze di maiali, un adattamento ad uno stile di vita più rustico; la coda con pennacchio di setole in fondo è quasi sempre portata senza ricciolatura. Le orecchie sono di piccola dimensione, dirette in avanti e un po' in basso, a coprire gli occhi dai rovi e dalle sterpaglie. La

22 presenza della razza in toscana ha origini antichissime e le sue rappresentazioni sono state trovate un po' dappertutto. La più famosa è senza dubbio quella degli "Effetti del Buongoverno" ( ) di Ambrogio Lorenzetti, sito nel Palazzo Comunale di Siena. Anche il ciclo di affreschi della "Cappella di Casanuova di Ama" (1596) a Gaiole in Chianti, la cui riscoperta fece molto scalpore qualche tempo fa, ne presenta un esemplare affrescato ai piedi di S.Antonio Abate. Possiamo affermare, senza timori di smentita, che le carni, i salumi ed il grasso di questo animale hanno dato un contributo notevole al miglioramento delle condizioni di vita in questa zona di Italia; infatti ritroviamo esemplari di Cinta Senese dipinti in un manuale di medicina risalente al XIV secolo: probabilmente i depositi adiposi erano preziosi oltre che per l'alimentazione, anche per la preparazione di unguenti e pomate. L'allevamento di questa razza suina ha superato, quasi indenne, molteplici vicende storico-culturali, dall'inizio dell'evo Moderno, fino alla fine della mezzadria e anche nell'immediato secondo dopoguerra, le Cinte Senesi erano allevate regolarmente. A memoria d'uomo si ricorda sempre il leggendario "Verro Cinto" di proprietà dei Ricasoli di Brolio come il più ambito esemplare per le riproduzioni. Fino agli anni '50, quasi tutte le famiglie contadine allevavano qualche Cinta per poi lavorarne le carni e fare scorta di salumi. Negli anni '50, iniziò l'introduzione delle razze suine "Bianche"; L'interesse per il ripristino in purezza della Cinta Senese è della fine degli anni '70. La Regione Toscana, La Provincia di Siena, L'Associazione degli Allevatori Senesi ed altri Enti preposti hanno fatto un notevole sforzo, incentivando anche con contributi l'acquisto ed il mantenimento dei riproduttori, al fine di raggiungere un numero sufficiente di animali atto a togliere la Cinta Senese dalla lista delle specie in estinzione. Gli allevatori hanno reintrodotto questa razza autoctona, e quasi estinta, diffondendola nuovamente in tutta la Toscana e conservando le modalità tradizionali di allevamento riescono ad ottenere carni la cui fama è nota nel mondo. In pratica l'allevamento consiste nel "pascolamento" degli animali, che si cibano da quanto fornito dal pascolo in bosco e/o in terreni nudi seminati con essenze foraggere e cerealicole; è quindi costituita prevalentemente di tuberi, radici e materiale organico del tappeto erboso: per trovare questi alimenti è dotato di un olfatto molto sviluppato e nello stesso tempo adatto anche alla ricerca in zone melmose ed al rimescolamento della terra. Di notte viene ricoverato. Tale forma di allevamento consente un notevole contenimento di problemi sanitari, nonché assenza di stress, tutti fattori che si manifestano favorevolmente sulla qualità delle carni della DOP "Suino Cinto Toscano".

23 L'intervento dell'uomo, quindi nei secoli, ha selezionato suini in grado di adattarsi bene all'ambiente toscano ed al tipo di allevamento naturale, condizioni che hanno facilitato il mantenimento di una inalterata tipologia di allevamento, con conseguenza diretta sulle tradizionali caratteristiche compositive, bromatologiche e qualitative delle carni che risultano caratterizzate da un maggiore contenuto di grasso intramuscolare, tipico della razza ma esaltato dal tipo di allevamento; inoltre il pascolamento influisce sulla composizione genetica rendendo la carne maggiormente idonea per il consumo fresco e soprattutto per i prodotti trasformati, in quanto tale fattore si traduce in una maggior capacità di ritenzione idrica e quindi minori cali di cottura dovuta alla perdita di acqua e minori perdite di salagione nella prima fase di stagionatura dei prodotti trasformati. Nella carne "Suino Cinto Toscano" risulta interessante anche la composizione degli acidi grassi insaturi, influenzata dall'alimentazione costituita dall'essenze tipiche dei boschi e dei pascoli toscani, in cui risulta una maggior quantità di acido oleico, precursore di aromi favorevoli alle caratteristiche organolettiche della carne, ed una minor percentuale di acido linoleico, che in quantità eccessive portano a scadimento della qualità del prodotto. - L'allevamento ovino, presente nell'italia Centrale da tempi remoti, ha sempre avuto grande importanza per la popolazione locale attraverso i prodotti alimentari (carne e latte) e le materie prime (lana e pelli). Due grandi e forti riferimenti storici, infatti, quali l'impero Romano e la successiva presenza dello Stato Pontificio, hanno segnato profondamente nel tempo l'attività produttiva ed economica della pastorizia. Per tale motivo, durante l'impero Romano, la pecora fu considerata ottima merce di scambio per le genti latine. La caduta dell'impero Romano, le guerre e le pestilenze, determinarono il declino dell'allevamento ovino e l'interruzione della transumanza. In seguito ritornò la pace e con essa l'allevamento ovino si risollevò, tanto che Bonifacio IX, nel 1402, fece costruire la Dogana Pecudium per permettere il libero passaggio delle greggi in tutto il territorio dello Stato Pontificio facendo pagare, però, una tassa di salvacondotto che divenne una preziosa fonte di guadagno per la Camera Apostolica. I frequenti spostamenti delle greggi portarono alla rinascita della transumanza, alla quale è legata la produzione dell'agnello leggero: questi spostamenti, infatti, limitavano la crescita degli agnelli fino a 3 mesi. Nella pratica dell'allevamento stanziale, invece, o nelle numerose piccole greggi presenti nelle mezzadrie, l'allevamento dell'agnello da destinarsi alla macellazione si orientò verso la produzione di quello pesante. Successivamente la diversificazione delle razze si ebbe grazie ai diversi adattamenti nelle varie zone geografiche e in base alle differenti condizioni climatico-ambientali. Nacquero così le razze autoctone e quelle incrociate. La base alimentare deve essere rappresentata da fieni provenienti da

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