IPSAA de Franceschi Pistoia Opzione Gestione delle Risorse Forestali e Montane. Gestione di Parchi, Aree protette ed Assestamento Forestale.

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1 IPSAA de Franceschi Pistoia Opzione Gestione delle Risorse Forestali e Montane Gestione di Parchi, Aree protette ed Assestamento Forestale Classe IV Francesco Pettinà La Quercia delle Streghe. Gragnano (Lu) Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà Bernardo di Chiaravalle Ultimo aggiornamento: marzo 2016

2 INDICE PARTE PRIMA: DENDROMETRIA... pag 4 1. Introduzione Richiami di Matematica 5 3. Principali misure dendrometriche 6 e strumenti utilizzati 3.1 Il diametro e la sua misura L altezza e la sua misura Casi particolari Tipologie di ipsometri L ipsometro SUUNTO L età e la sua misura La stima del volume di singoli alberi La forma degli alberi Determinazione del volume 15 di una pianta atterrata Formula della sezione 15 mediana Formula di Heyer Il coefficiente di riduzione Determinazione del volume di 18 un albero in piedi 5. La stima del volume di un bosco Il rilievo dei diametri Elaborazione dei dati 22 del cavallettamento 5.2 Il relascopio di Bitterlich Il rilievo delle altezze La curva ipsometrica L altezza media L altezza dominante La stima del volume del bosco Metodo dell albero di 31 dimensioni medie Metodo di cubatura 32 per classi diametriche Metodo delle tavole di 33 cubatura 5.5 Le ultime frontiere dei rilievi 38 dendrometrici: LiDAR e Apps LiDAR Applicazioni per tablets 39 e smartphones 6. La legna da ardere e le stime relative La legna da ardere La densità del legno Determinazione della densità 44 di una partita di legna 6.3 Altre stime relative alla legna 44 da ardere 2

3 PARTE SECONDA: AREE NATURALI pag 47 PROTETTE 1. Introduzione Caratteristiche comuni delle Aree 48 Protette 3. Riferimenti normativi Classificazione delle Aree Protette Dati statistici Le Aree Protette nel dettaglio Parchi Nazionali La gestione delle risorse 53 agrosilvopastorali 6.2 Parchi Naturali Regionali Riserve Naturali Statali e 54 Regionali 6.4 Altre tipologie di Aree Protette 55 della regione Toscana PARTE TERZA: ELEMENTI di 56 CARTOGRAFIA 1. Caratteristiche generali delle 56 rappresentazioni cartografiche 2. I sistemi cartografici: UTM e Gauss-Boaga Il Sistema UTM Il Sistema Gauss-Boaga Principali elementi di una carta topografica Semplici operazioni con le carte La cartografia italiana Le carte topografiche IGM Le carte topografiche della 67 regione Toscana 6. La cartografia digitale 69 3

4 PARTE PRIMA DENDROMETRIA 1. INTRODUZIONE La DENDROMETRIA (il termine deriva dal greco dendron, che significa albero o fusto, e métron, che vuol dire misura) è la disciplina delle Scienze Forestali che si occupa della misurazione degli alberi. Le misurazioni possono interessare: Singoli alberi, atterrati oppure in piedi Boschi Legname accatastato Prodotti di prima lavorazione derivanti dal legno (travi, tavole, pali) Le misure possono essere suddivise in misure dirette, che sono rilevate per mezzo di un qualche strumento, ed in misure indirette, che derivano da calcoli eseguiti sulle misure dirette. Le principali misure dirette riguardano: Diametro Altezza Età Crescita annua Estensione della chioma Peso Le principali misure indirette riguardano: Area basimetrica Coefficiente di riduzione Volume Coefficiente di accatastamento La misurazione degli alberi ha numerosi campi pratici di applicazione. Nelle sue varie componenti é utilizzata: Per la compravendita di boschi, di tagli boschivi, di legna accatastata, di legname segato. Per le stime dei danni ai soprassuoli boschivi. Per valutare la stabilità degli alberi in ambito urbano ed extraurbano. Per eseguire inventari di superfici boschive, sia a scopo conoscitivo (inventari regionali e nazionali), che come strumento fondamentale per la gestione dei boschi (inventari dei Piani di Assestamento). Come dato descrittivo di piante di particolare pregio (alberi monumentali). Per indagini scientifiche. 4

5 2. RICHIAMI di MATEMATICA Superficie di un cerchio La superficie di un cerchio di raggio r si calcola con la formula: S = π r² In Dendrometria si lavora spesso con i diametri; la formula per calcolare la superficie di un cerchio in funzione del suo diametro d è: 2 S d 4 E importante conoscere anche la formula inversa, per ricavare il diametro a partire dalla superficie S: d 2 Volume di un cilindro Il volume di un cilindro con base di raggio r, ed altezza H, si calcola con la formula: V = π r² H Volume di un cono Il volume di un cono con base di raggio r, ed altezza H, si calcola con la formula: Alcune equivalenze importanti 1 m² = cm² 1 ettaro (ha) = m² 1 km² = 100 ha 1 m³ = litri = dm³ 1 quintale = 100 kg 1 tonnellata = 10 quintali = kg V = π r² S H 3 5

6 3. PRINCIPALI MISURE DENDROMETRICHE e STRUMENTI UTILIZZATI 3.1 IL DIAMETRO di un albero e la sua misura Il diametro di una pianta si misura con il cavalletto dendrometrico, il quale è una specie di grosso calibro formato da un asta graduata in cm da entrambi i lati (ne esistono in commercio di varie misure, da 30 cm a 100 cm) e da due bracci, perpendicolari all asta e paralleli tra loro, di cui uno è fisso, mentre l altro è scorrevole sull asta graduata. Sono costruiti con materiali in lega leggera, inossidabili e indeformabili. Cavalletto dendrometrico Il diametro di una pianta in piedi, per convenzione internazionale, si misura a 130 cm da terra (diametro a petto d uomo, indicato con DAP). La sezione corrispondente costituisce, nelle elaborazioni di calcolo, la base della pianta. Nel caso che ad 1,30 m il fusto presenti evidenti anomalie, quali ad esempio rigonfiamenti, la misura si prende immediatamente sopra o sotto. Nel caso infine che la pianta ad 1,3 m sia già divisa in più fusti, si misurano tutti. Nei terreni in pendenza, la misura del diametro va sempre presa a monte della pianta. Il cavalletto dendrometrico va inserito a fondo, fino a toccare il fusto con l asta graduata, e perpendicolarmente all asse della pianta, per non avere errori nella misura. Quando si misurano piante atterrate, risulta spesso impossibile inserire a fondo il cavalletto, e bisogna quindi accertarsi che i bracci siano il più possibile paralleli tra loro (l errore che si può commettere è dell ordine dei 2-3 cm). In caso di piante più grosse della portata del cavalletto, o nel caso di piante monumentali, invece del diametro, si misura la circonferenza con una rotella metrica. Dalla circonferenza, il diametro si può ricavare dalla formula d = cir/π. Esistono anche dei cavalletti registratori (che registrano elettronicamente o meccanicamente i diametri delle piante misurate), e dei cavalletti speciali per la misurazione dei cedui (chiamati ceduometri), ma nella pratica non sono molto utilizzati. Dopo l uso, il cavalletto va pulito con un panno morbido. In caso di incrostazioni di resina (molto probabili quando si misurano conifere), queste si possono asportare con l acquaragia. Ogni tanto è bene oliare il braccio scorrevole. 6

7 3.2 L ALTEZZA di un albero e la sua misura Per misurare l altezza di alberi atterrati, si utilizza una rotella metrica. E una operazione semplice e veloce. Per misurare l altezza di un albero in piedi, si adopera uno strumento che si chiama ipsometro, di cui ne esistono diversi modelli. Qualunque tipo di ipsometro venga utilizzato, il suo funzionamento si basa sulla misura di angoli e distanze e sull applicazione di formule trigonometriche. Figura 1. Misura dell altezza di un albero in piedi Per misurare l altezza di un albero in piedi utilizzando un ipsometro si opera come segue (fare riferimento alla Figura 1): Si misura con una rotella metrica la distanza d tra la pianta e l operatore O. Si punta l ipsometro verso la cima dell albero, e si misura l angolo AÔB. Si punta l ipsometro verso la base dell albero, e si misura l angolo CÔB Si ricava l altezza h1 con la formula trigonometrica: h1 = distanza x Tangente angolo AÔB (h1 = d tg AÔB) Si ricava l altezza h2 con la formula trigonometrica: h2 = distanza x Tangente angolo CÔB (h2 = d tg CÔB) Si sommano i valori h1 ed h2, e si ottiene l altezza totale. Altezza totale = h1 + h2 Esercizio 1 In pratica: h = d (tg AÔB + tg CÔB) (1) Si determini l altezza di un albero, conoscendo la distanza tra la pianta ed il rilevatore (15 m), l angolo formato dalla visuale del rilevatore e la cima dell albero (55 ), e l angolo formato dalla visuale del rilevatore e la base dell albero (8 ). Altezza = 15m (tg 55 + tg 8 ) = = 15m (1, ,1405) = 23,5 metri 7

8 Quando si misura un altezza su terreno perfettamente pianeggiante si potrebbe anche misurare solo h1, ed aggiungervi l altezza degli occhi dell operatore. In pratica tutti gli ipsometri, per certi prefissati valori di distanza (da 2 a 4 a seconda del modello, con distanze prefissate di 15 metri, 20 metri, 25 metri, 30 metri) permettono di leggere direttamente l altezza della pianta (sia h1 che h2). Alcuni strumenti hanno anche un distanziometro ottico, che consente di porsi alla distanza voluta senza stendere la rotella. Gli strumenti più moderni impiegano una tecnologia a raggi laser, e calcolano direttamente l altezza senza bisogno di eseguire calcoli, a qualsiasi distanza ci si ponga dalla pianta Casi particolari di misura dell altezza La formula (1) si può applicare solo quando si opera su un terreno perfettamente pianeggiante. Se invece il terreno è inclinato rispetto all orizzontale di x, si hanno due casi, a seconda che l operatore si disponga a monte od a valle della pianta da misurare 1. Misura dell altezza di un albero su terreno in pendenza, con operatore disposto a monte della pianta Figura 2. Misura dell altezza di un albero su terreno inclinato. Operatore disposto a monte In questo caso (vedi Figura 2), è necessario correggere la distanza reale misurata sul terreno (d), tenendo conto dell inclinazione 1, al fine di ottenere la distanza orizzontale (dc), da applicare nella formula (1) Distanza orizzontale = d cos BÔC, dove BÔC è l inclinazione del terreno La formula (1) diventa quindi: h = d cos BÔC (tan AÔB + tan BÔD) (2) 1 Si ricorda che l inclinazione del terreno si misura in gradi, mentre la sua pendenza si misura in percentuale. 8

9 Esercizio 2 Si determini l altezza di un albero su di un terreno in pendenza, e con l operatore posto a monte della pianta. La distanza misurata tra la pianta ed il rilevatore è 10,5 m, l angolo formato dalla visuale del rilevatore e la cima dell albero è 65, l angolo formato dalla visuale del rilevatore e la base dell albero è 20, e l inclinazione del terreno è di 22 distanza orizzontale (dc) = 10,5 cos 22 = = 10,5 x 0,93 = 9,77 m altezza = 9,77 m (tg 65 + tg 20 ) = = 9,77 m (2, ,364) = 24,5 m 2. Misura dell altezza di un albero su terreno in pendenza, con operatore disposto a valle della pianta Figura 3. Misura dell altezza di un albero su terreno inclinato. Operatore disposto a valle In questo secondo caso, oltre a correggere la distanza reale, come nel caso precedente, per ottenere l altezza della pianta, bisogna sottrarre h2 da h1. La formula (2) diventa quindi (vedi figura 3): Esercizio 3 h = d cos BÔD (tan AÔB - tan BÔD) (3) Si determini l altezza di un albero su di un terreno in pendenza, e con l operatore posto a valle della pianta. La distanza tra la pianta ed il rilevatore è 13 m, l angolo formato dalla visuale del rilevatore e la cima dell albero è 75, l angolo formato dalla visuale del rilevatore e la base dell albero è 25, e l inclinazione del terreno è di 28. distanza orizzontale (dc) = 13 cos 28 = = 13 x 0,88 = 11,44 m altezza = 11,44 m (tg 75 - tg 25 ) = = 11,44 m (3,732 0,466) = 37,4 m 9

10 Per evitare queste complicazioni di calcolo nei terreni in pendenza è bene, per quanto possibile, che il rilevatore si ponga sulla stessa curva di livello dell albero, situazione in cui distanza reale e distanza orizzontale coincidono. Condizione necessaria per misurare l altezza di un albero in bosco è che la sua cima sia visibile all operatore. Nel caso si voglia misurare ad ogni costo un albero dalla punta nascosta da altre piante non resta che arrampicarsi fino in vetta e calare una rotella metrica a terra. Che è anche il sistema più preciso di misura, sicuramente non il più semplice e sicuro! Con questo metodo sono rilevate ad esempio le altezze degli alberi più alti della terra, le Sequoie della California (Sequoia sempervirens) Tipologie di ipsometri Al fine di permettere di mirare agevolmente la cima e la base dell albero, gli ipsometri dono dotati di un cannocchiale, costituito da un oculare e da un obiettivo, o di altri semplici dispositivi (mirino, ecc.). Quello che in sostanza fanno gli ipsometri, è misurare degli angoli. Alcuni di essi permettono anche di porsi ad una distanza prefissata dall albero, altri ancora (strumenti laser) misurano anche le distanze. In commercio si trovano diverse tipologie di strumenti: Ipsometri a raggi laser od infrarossi Per misurare le distanze utilizzano raggi laser od infrarossi e calcolano la distanza in funzione del tempo che impiega il raggio a raggiungere l obiettivo, mentre gli angoli sono misurati meccanicamente. Molto costosi (si parte dai euro, fino a ), sono quelli usati dai professionisti. Permettono di battere un gran numero di altezze in poco tempo, senza necessità di fare calcoli, neanche sui terreni in pendenza, perché li fa lo strumento stesso. Ipsometri classici Ce ne sono di vari tipi (Haga, Blume-Leiss, Suunto). Possono essere dotati di distanziometro ottico, che permette all operatore di posizionarsi a distanze prefissate (15, 20, 25, 30 metri). Per le distanze prefissate, non sono necessari calcoli (a parte il caso che si sia su un terreno in pendenza, vedi 3.2.1); il risultato appare o nel mirino, o su di una finestra esterna. Relascopio di Bitterlich Strumento forestale polivalente (ne vedremo in seguito la grande utilità) funziona anche come ipsometro. Per distanze prefissate corregge automaticamente l altezza in relazione all inclinazione del terreno L ipsometro a lenti SUUNTO Figura 4. Ipsometro a lenti della SUUNTO 10

11 E questo l ipsometro che abbiamo a scuola per le esercitazioni. E costruito in lega di alluminio anticorrosione; su di un lato c è una finestra circolare, con una scala graduata da 90 a +90 (essa permette, appoggiato lo strumento su di una superficie, di determinarne l inclinazione). Una volta misurata la distanza albero-operatore, si impugna l ipsometro con la mano destra, in modo che la finestra circolare resti sulla nostra sinistra (curando di non tapparla, perché da essa entra la luce che illumina la scala interna) e, tenendo ambedue gli occhi aperti (da inizio è un po faticoso, poi ci si abitua, con qualche lacrima), si avvicina l occhio destro all oculare (il quale è dotato di una ghiera, ruotando la quale si mettono a fuoco le scale interne, per adattarsi alla vista dell operatore), e si fa quindi collimare la linea orizzontale che si vede all interno prima con la cima dell albero, o con un altro punto di cui si vuole determinare l altezza, e poi con la base (la linea orizzontale si sovrappone al punto preso di mira per illusione ottica, ed è per questo che bisogna tenere aperti i due occhi). All interno si vedono tre scale, che si muovono inclinando lo strumento: quella di sinistra consente direttamente la lettura dell altezza da una distanza di 20 metri, e quella centrale da una distanza di 15 metri (se ci mettiamo ad una distanza doppia, ovvero 40 m o 30 m, per ottenere l altezza basta raddoppiare i valori letti sulla scala 20 o 15). La scala di destra riporta il valore della pendenza (la scala ha ampiezza da 15 a 15): per ottenere la pendenza espressa in percentuale i valori letti vanno quindi moltiplicati per 10. Questa ultima scala permette di misurare l altezza a qualunque distanza ci si ponga dall albero; ricordando che la tangente di un angolo è uguale alla pendenza relativa a quell angolo diviso per 100, si ha: h = d (pendenza visuale cima/100 + pendenza visuale base/100), dove d rappresenta sempre la distanza orizzontale. Esercizio 4 Si determini l altezza di un albero, conoscendo la distanza tra la pianta ed il rilevatore (18 m), la pendenza relativa all angolo formato dalla visuale del rilevatore e la cima dell albero (120%), e la pendenza relativa all angolo formato dalla visuale del rilevatore e la base dell albero (8 %). Altezza = 18m (120/ /100) = = 18m (1,2 + 0,08) = 23 metri 3.3 L ETA di un albero e la sua misura Conoscere l età di un albero come punto di partenza per determinare l età di un bosco è molto importante per le seguenti ragioni: Ci dice se il bosco ha raggiunto l età minima per potere essere utilizzato, ovvero tagliato. Si ricorda che esiste un Regolamento Forestale Regionale, che stabilisce le età minime di taglio, distinte per forma di governo (ceduo o fustaia) e per specie. E un dato fondamentale in Assestamento Forestale per l elaborazione dei Piani di assestamento. Per misurare l età di un albero si può: Ricorrere al conteggio dei palchi di rami, possibile per alcune conifere (in particolare i pini), e per alcune latifoglie (castagno, dove in realtà si contano le biforcazioni, non formando il castagno palchi), fino ad una certa età (8/10 anni per il castagno; 30 circa per le conifere). Abbattere una pianta campione e contare sulla sezione alla base gli anelli di accrescimento annuale. Ogni anno un albero forma due anelli legnosi di diverso colore: un anello chiaro, prodotto nel periodo 11

12 primaverile/estivo (legno primaticcio), caratterizzato da vasi conduttori più ampi e da densità minore, ed un anello più scuro, prodotto a fine stagione vegetativa (legno di chiusura), a densità maggiore. Si contano gli anelli scuri, più visibili. (Attenzione, prima di tagliare, perché gli anelli non sono ben visibili in tutte le specie). Basarsi sui dati riportati nei Piani di Assestamento Forestale, sempre che ci siano, aggiornando l età. Utilizzare documenti storici, laddove presenti (utilizzabile per stimare l età di alberi molto vecchi). Sempre per alberi vetusti, di particolare importanza monumentale, si può ricorrere al metodo del carbonio radioattivo (costoso e complicato, e spesso non applicabile perché molte specie tendono con l età a svuotare la parte interna del fusto, che è la più vecchia) Utilizzare il Succhiello di Pressler. Questo è una specie di trivella che si avvita nel fusto, in direzione del centro della pianta, fino a quando si presume di aver raggiunto il centro stesso; si inserisce poi un estrattore che permette di estrarre una piccola carota cilindrica su cui si contano poi gli anelli. Non è ovviamente applicabile ad alberi il cui diametro non consenta al succhiello di raggiungere il centro del fusto. Alcune specie (ad esempio le Querce), hanno un legno talmente duro che si smoccola per avvitarlo e spesso si desiste. Altre specie (castagno) macchiano la carota e non si legge un tubo. Idem per i pini, che impastano con la resina carota ed estrattore, e se non si pulisce spesso con acquaragia non si riesce più ad inserire ed estrarre. E importante all inizio della trapanazione spingere moderatamente senza forzare per evitare di spaccare la punta dello strumento. L estrattore va inserito con molta cautela spingendo con una mano, e sorreggendolo da sotto con l altra, per evitare di piegarlo, nel qual caso diviene inutilizzabile. Una volta inserito fino in fondo si ruota il succhiello in senso antiorario per un quarto di giro, tenendo ben fermo l estrattore sul manico, per facilitare il distacco della carota. Estratta la carota, il succhiello va svitato immediatamente (e con delicatezza!), perché aspettando troppo l operazione potrebbe risultare molto difficoltosa. Per facilitare la trapanazione, è molto utile passare sulla parte filettata della cera di api, che funge da lubrificante. Terminato l uso il succhiello andrebbe pulito ed oliato, anche all interno. Non è generalmente necessario affilarlo perché mantiene il filo per molti anni. L albero trapanato non subisce in genere danni poiché inizia subito i processi di riparazione. Il foro può comunque per scrupolo essere tappato con del sughero, o con un pezzo del campione prelevato. Figura 5. Succhiello di Pressler 12

13 4. LA STIMA del VOLUME di SINGOLI ALBERI Figura 6. Fusti di Abete rosso (sinistra) e di Faggio (destra) Le misure del diametro e dell altezza di un albero finora viste sono dati che servono per calcolarne il volume. Il volume (di un albero, ma soprattutto di un intero bosco), è il dato più importante studiato dalla Dendrometria. L unità di misura del volume, utilizzata sia per alberi e boschi, che per il legname da opera (tavole, travi ecc.), è il metro cubo (mc o m³); per la legna da ardere e per il cippato si utilizza il metro stero (mst), di cui si parlerà in seguito, od il peso espresso in quintali. I forestali utilizzano anche il termine massa come sinonimo di volume, nonostante non sia molto corretto. Così pure, per dire misurare il volume, viene spesso utilizzato il termine cubare. La dendrometria prende in esame per uno stesso albero differenti tipi di volume. Una prima distinzione si ha tra volume sopra corteccia (viene considerata nel volume anche la corteccia), e volume sotto corteccia (ovvero dell albero spogliato dalla sua corteccia). Indipendentemente dalla presenza di corteccia o meno, le principali categorie di volume sono: Volume dendrometrico E il volume dell intera pianta. Nel caso delle conifere corrisponde in pratica al volume del fusto, cimale compreso, in quanto i rami non vengono considerati; nel caso delle latifoglie comprende anche il volume di branche e rami. Volume cormometrico E il volume del solo tronco da lavoro, ovvero il volume del fusto svettato in corrispondenza del diametro minimo compatibile con le destinazioni che avrà quel legname. Volume blastometrico E il volume della sola legna e fascina. Poco utilizzato. N. B. Da un punto di vista della stima del volume non cambia nulla, basta sapere cosa si cerca ed adeguare di conseguenza rilievi e calcoli. Anche le Tavole di cubatura (vedi avanti) sono già suddivise, specificando se si tratta di una tavola dendrometrica o cormometrica, o quant altro. 13

14 4.1 La forma degli alberi Prima di analizzare il problema della stima del volume è opportuno ricordare alcuni elementi caratteristici relativi alla forma degli alberi: Nei calcoli eseguiti per la stime del volume, la sezione trasversale di un albero viene considerata un cerchio perfetto. Ciò non è assolutamente vero poiché la sezione di un fusto ha sempre forma più o meno irregolare. Alberi cresciuti in pendenza hanno sezione ovale. Ci sono poi da considerare le screpolature della corteccia. I punti di inserzione dei rami generano rigonfiamenti. Eventi accidentali, quali fulmini e rotture, provocano deformazioni. Alberi molto vecchi, infine, assumono forme spesso stravaganti e che comunque niente hanno a che vedere con quella circolare. In altezza gli alberi riducono progressivamente il loro diametro. La forma che assume un albero in senso verticale non è comunque assimilabile ad alcun solido geometrico, ma risulta piuttosto dalla combinazione di diversi solidi: La base del fusto (chiamata calcio o pedale) ha una forma svasata, molto ampia ed irregolare al colletto, perché risente dell inserzione delle radici; questa è la ragione per cui il diametro si misura ad una certa altezza da terra. Parte basale del fusto. Abete bianco (Abies alba) La parte intermedia è una via di mezzo tra un cilindro ed un solido di rotazione generato da una parabola. Parte intermedia del fusto. Abete bianco La parte superiore, chiamata cimale, ha approssimativamente forma conica. 14

15 Cimali di Abies magnifica Quanto sopra porta una immediata conseguenza pratica: non si può calcolare il valore esatto del volume del fusto di un albero. Si può invece stimare questo volume, ovvero fornire un valore più o meno approssimato dello stesso. La forma dei fusti di conifere è generalmente piuttosto regolare ed il diametro diminuisce lentamente e progressivamente dalla base verso la punta; i rami hanno diametri talmente bassi che non vengono quasi mai considerati nel calcolo del volume. Il fusto delle latifoglie viene invece reso irregolare dalla presenza di grosse branche secondarie, che talora sostituiscono il fusto principale. La caratteristica di un albero di ridurre progressivamente il diametro del fusto viene chiamata in gergo forestale rastremazione. Un fusto poco rastremato ha forma tendente alla cilindrica; un fusto molto rastremato tende alla forma conica. La rastremazione dipende dalla specie, dall età, dalle caratteristiche del luogo dove è cresciuta la pianta e dalla densità di crescita (piante isolate hanno fusto più rastremato e ramoso rispetto a quelle cresciute in bosco). Uno degli scopi della selvicoltura produttiva è proprio quello di regolare adeguatamente la densità degli alberi di un bosco in modo che il loro fusto sia poco rastremato, e che assumano quindi una forma il più possibile cilindrica. Si avranno così minori perdite di lavorazione all atto della segagione. Se il nostro bosco deve produrre legna da ardere la forma dei fusti diviene un elemento secondario. 4.2 Determinazione del volume di una pianta atterrata La misurazione del volume può riguardare l intero fusto (dalla base alla gemma apicale), od una porzione di qualsiasi lunghezza ottenuta dal taglio del fusto, porzione che prende il nome di tronco. I metodi sono pressoché identici. Il problema si risolve con l applicazione di alcune semplici formule. Tra le tanteproposte dalla Dendrometria, si presenteranno di seguito solo le due più importanti: Formula della sezione mediana (o di Huber) Per determinare il volume del fusto di una pianta atterrata: - Si misura l altezza del fusto atterrato (H); - Si misura il diametro del fusto a metà altezza (D ½ H ). Il volume del fusto si ottiene quindi dalla formula: V= 4 D ² 1/2h H (4) 15

16 Esercizio 5 Applicando la formula della sezione mediana, si determini il volume del fusto di un albero atterrato lungo 31,30 metri, con DAP di 41,5 cm e con diametro a 15,65 metri dalla base(metà lunghezza) di 29 cm. Volume = 4 D ² 1/2h H = = 4 x 0,29 ² x 31,3 = = 0,785 x 0,0841 x 31,3 = = 2,066 m³ Si determini quindi il volume di un tronco tagliato dallo stesso fusto, lungo 12 m e con diametro a 6 metri dalla base di 29,5 cm. Volume = 4 D ² 1/2h H = = 4 x 0,295 ² x 12 = = 0,785 x 0,0870 x 12 = 0,820 m³ Attenzione: per ottenere il risultato in m³ occorre, prima di eseguire i calcoli, trasformare in metri il valore del diametro, semplicemente dividendolo per 100. Per la sua semplicità ed attendibilità la formula della sezione mediana è probabilmente il metodo più usato per la cubatura degli alberi atterrati, tanto da essere conosciuto come metodo commerciale. Gli errori rispetto a sistemi di cubatura più precisi sono trascurabili nel calcolo del volume di tronchi; diventano invece maggiori nella cubatura di fusti interi Formula di Heyer (o della cubatura per sezioni) Per determinare il volume del fusto di una pianta atterrata: - Si suddivide idealmente il fusto in tronchetti di uguale lunghezza (in genere 1 metro) - Si misura il diametro a metà di ogni tronchetto. - Si ottiene il Volume dalla somma dei volumi dei singoli tronchetti, a cui si aggiunge il volume del cimale. Ovvero: V = K (S1 + S2 +. +Sn) + 1/3 Sc Hc (5) dove K è la lunghezza dei tronchetti; S le aree delle sezioni mediane dei singoli tronchetti; Sc è l area dell ultima sezione rilevata (la base del cimale); Hc è la lunghezza del cimale. Questo metodo è considerato il più preciso, ed il suo risultato viene usato come misura esatta del volume nelle più svariate indagini dendrometriche (vedi Esempio 6, a pagina seguente). 16

17 Esercizio 6 Si determini il volume del fusto dell Esercizio 5 utilizzando il metodo della cubatura per sezioni. Il fusto è stato svettato a 29 metri dalla base, in corrispondenza del diametro di 9 cm. I diametri delle sezioni mediane dei tronchetti, la cui lunghezza è uguale a 1 m, sono riportati nella seguente tabella, insieme ai calcoli svolti per ogni sezione: Tronchetto Distanza Diametro Area Volume calcio circolare numero m cm m² m³ 1 0,5 45,0 0, , ,5 41,0 0, , ,5 38,7 0, , ,5 37,7 0, , ,5 37,2 0, , ,5 36,5 0, , ,5 36,7 0, , ,5 35,5 0, , ,5 35,0 0, , ,5 34,2 0, , ,5 33,5 0, , ,5 32,5 0, , ,5 31,5 0, , ,5 31,0 0, , ,5 30,0 0, , ,5 29,0 0, , ,5 28,2 0, , ,5 27,0 0, , ,5 26,0 0, , ,5 24,0 0, , ,5 23,0 0, , ,5 22,0 0, , ,5 21,0 0, , ,5 20,0 0, , ,5 17,7 0, , ,5 16,0 0, , ,5 14,5 0, , ,5 12,5 0, , ,5 10,0 0, , Volume fusto svettato = m³ 2, Calcolo del volume del cimale 2,3 V cim = 0,09 2 = 0, m³ 4 3 Volume totale del fusto V tot = Vfusto svettato + Vcimale = = 2, m³ + 0, m³ = 2, m³ 17

18 4.2.3 Il coefficiente di riduzione Dato un determinato albero viene indicato come coefficiente di riduzione (f) dell albero il rapporto tra il volume reale, misurato con la formula dell Heyer, ed il volume di un cilindro (volume cilindrometrico) con altezza uguale a quella dell albero e con diametro della base uguale al DAP. Ovvero: f = Vreale/Vcilindrometrico (6) Per l albero utilizzato negli Esercizi 5 e 6, il coefficiente di riduzione risulta come segue: f = 2, , ,3 4 = 2, : 4,2338 = 0,4813 L importanza di f sta nel fatto che una volta determinato il suo valore su alcuni alberi modello all uopo atterrati, può essere applicato per stimare il volume di un albero in piedi della stessa specie e di simile diametro ed altezza. Il coefficiente f è sempre minore di 1 per tutte le conifere, mentre può essere anche uguale o superiore ad 1 per le latifoglie cresciute isolate a causa delle numerose grosse branche e rami che ne accrescono notevolmente il volume. F diminuisce anche all aumentare della rastremazione del fusto. 4.3 Determinazione del volume di una pianta in piedi La stima del volume di una pianta in piedi è per forza di cose meno accurata rispetto a quella di una pianta atterrata, e comporta comunque la conoscenza (o la stima) del coefficiente di riduzione f. I passi da seguire sono: 1. Si misurano l altezza h e DAP della pianta; 2. si calcola l area basimetrica g (area della sezione di base della pianta, ovvero ad 1,30 metri da terra): g = 4 DAP² ; 3. si ricava f da alberi modello della stessa specie e di simili dimensioni precedentemente abbattuti ; 4. si ottiene il volume dalla formula: Esercizio 7 V = g h f (7) Stimare il volume di un albero di abete bianco con DAP di 45 cm ed altezza di 30,8 metri. Come coefficiente di riduzione, si utilizzi il valore calcolato al paragrafo (0,4813). g = 4 x 0,45² = 0,159 m² Volume = 0,159 x 30,8 x 0,4813 = 2,357 m³ Una formula che non va tanto per il sottile, conosciuta come formula del maresciallo, considera f uguale a 0,5 per qualunque albero, da cui: Meglio lasciarla perdere! V = g x h x 0,5 18

19 5. LA STIMA del VOLUME di un BOSCO Per stimare il volume di una qualsiasi superficie di bosco, qualunque metodo si adotti, occorre anzitutto procedere ad una serie di rilievi dendrometrici da eseguire nel bosco in oggetto, e che riguardano diametri, aree basimetriche ed altezze. 5.1 Il rilievo dei diametri L operazione di misura del DAP delle piante di un bosco si chiama cavallettamento. Su una superficie di bosco si possono misurare tutte le piante (cavallettamento totale, oramai poco utilizzato per i costi proibitivi, fermo restando che risulta il metodo più preciso ai fini delle elaborazioni successive) o di alcuni gruppi di piante (cavallettamento parziale, concentrato sulle piante che ricadono all interno di aree di saggio appositamente delimitate). Alle aree di saggio si da, salvo rare eccezioni, forma circolare con raggio di 5 metri o 10 metri per i boschi cedui, 10 metri, 15 metri e 20 metri (per le fustaie). I dati rilevati possono facilmente essere riportati all ettaro considerando quante volte la superficie dell area di saggio entra in m² (vedi seguente tabella). Superficie delle aree di saggio e fattore moltiplicativo in relazione al raggio Raggio AdS m Superficie AdS m² 78,54 314, , ,54 Fattore moltiplicativo per riportare i dati ad ettaro 127,3 31,8 14,1 7,9 Le AdS possono servire solo per il rilievo in corso (ed in tal caso il loro perimetro è marcato con dei segni di gesso sugli alberi esterni) od avere carattere permanente (in genere per scopi di ricerca), nel qual caso gli alberi si marcano con vernici resistenti. Il numero di AdS da rilevare per una data superficie, e la loro disposizione sul terreno, verranno trattate nel corso di Assestamento Forestale. 19

20 La squadra di cavallettamento è composta da un capotessera (colui che annota i DAP e che controlla che tutte le piante all interno dell AdS vengono misurate) e da uno o due cavallettatori. Nell esecuzione del rilievo si misurano quindi i DAP di tutte le piante presenti all interno dell AdS. Nel caso di boschi cedui è opportuno rilevare anche il numero delle ceppaie. In genere si fissa una soglia di cavallettamento, ovvero un DAP minimo di rilievo (5 o 10 o 15 cm): le piante di DAP inferiore non si misurano. Attenzione: è da porre la massima cura per le eventuali piante poste lungo il perimetro dell AdS, ovvero è necessario valutare con certezza se ricadono dentro o fuori l AdS, o se magari qualcuna di esse vi è compresa per metà. Un errore di una pianta (e, distrazioni a parte, sono le piante sul perimetro che si sbagliano), una volta riportato ad ettaro diviene un errore molto più grande. (E quando si faranno dal vero in bosco, evitare di cavallettare pali della luce o del telefono, e di chiamare piante inesistenti, simpaticoni! Grazie.) I DAP vengono annotati su di un foglio chiamato Piedilista di cavallettamento (vedi figura 7 a pagina seguente) in cui i DAP vengono annotati separatamente per specie. Sul piedilista di cavallettamento si segnano anche le altezze (rilevate una volta terminato il cavallettamento), le eventuali piante da abbattere con il diradamento, ed eventuali altri dati rilevati. I forestali usano un curioso modo di segnare le piante cavallettate sul piedilista. Strano o meno, è il seguente: Prima pianta Sesta pianta Seconda pianta Settima pianta Terza pianta Ottava pianta Quarta pianta Nona pianta Quinta pianta Decima pianta Simboli utilizzati per segnare le piante sul Piedilista di Cavallettamento 20

21 DAP Specie 1 tot dirad Altezze Specie 2 tot dirad Altezze cm N m N m Figura 7. Piedilista di cavallettamento per fustaie 21

22 5.1.1 Elaborazione dei dati del cavallettamento Una volta terminato il rilevamento dei diametri in bosco si procede alla loro elaborazione. I parametri che si ottengono dall elaborazione oltre a servire per il calcolo del volume forniscono informazioni utili su alcune delle caratteristiche del bosco. Oggi tutti i calcoli possono essere automatizzati con l uso dei fogli di calcolo (tipo Excel). I più importanti dati che si ricavano dall elaborazione del piedilista di cavallettamento sono: 1. Area basimetrica ad ettaro (G) Corrisponde alla somma delle aree basimetriche (area della sezione ad 1,3 metri) di tutte le piante cavallettate (siano esse quelle dell intera superficie, che quelle misurate nelle aree di saggio), riportate all ettaro. Si fa così: - Si suddividono i diametri delle piante in classi di diametro di 5 centimetri ciascuna (da 8 a 12 cm, classe 10; da 13 a 17 cm, classe 15; da 18 a 22 cm, classe 20; da 23 a 27 cm, classe 25, ecc.). Questo si fa sia per accelerare i calcoli, che per compensare eventuali errori: il risultato, rispetto all uso di DAP suddivisi per cm non cambia di molto. - Si calcola l area basimetrica per classe di diametro: G classe x = Numero piante della classe dove d x è il diametro centrale della classe. - Si sommano le aree basimetriche delle singole classi. - Si riportano i dati ad ettaro: d ² x (8) 4 Nel caso di cavallettamento totale si divide G per la superficie cavallettata, espressa in ettari. Nel caso di AdS, si moltiplica G per il fattore di moltiplicazione di cui alla Tabella 1, oppure si imposta una proporzione. Esercizio 8 Dato il seguente piedilista di cavallettamento, relativo ad un Area di saggio in un bosco di abete bianco, con raggio uguale a 10 metri, si determini l area basimetrica ad ettaro di quel bosco. DAP (cm) Piante (n) Calcolo l area basimetrica per classe di diametro: G 20 = Π/4 x 0,20² x 5 = 0,15708 m² G 25 = Π/4 x 0,25² x 3 = 0, m² G 30 = Π/4 x 0,30² x 5 = 0,353429m² G 35 = Π/4 x 0,35² x 5 = 0, m² G 40 = Π/4 x 0,40² x 1 = 0, m² Sommo i valori ottenuti ed ottengo l area basimetrica totale dell area di saggio: G = G 20 + G 25 + G 30 + G 35 + G 40 = 0, m² Calcolo la superficie dell AdS: S = π /4 x 10² = 314,16 m² Calcolo l area basimetrica ad ettaro mediante una proporzione: 0,976 : 314,16 = G ha : G ha = 0,976 x / 314,16 = 31,07 m² 22

23 2. Numero di piante ad ettaro (N) Semplicemente si contano le piante cavallettate, e si riportano ad ettaro utilizzando una proporzione, come visto nell Esercizio 8 a proposito dell area basimetrica. 3. Area basimetrica media (g m ) Serve per determinare il diametro medio del popolamento, e si ottiene dividendo l area basimetrica ad ettaro per il numero di piante ad ettaro: g m = G / N 4. Diametro medio (d m ) Corrisponde al diametro dell albero di area basimetrica media. (Non alla media dei singoli diametri rilevati, attenzione!). Si ricava dalla formula: diametro medio = 2 g (9) Esercizio 9 Utilizzando i dati del piedilista di cavallettamento dell Esempio 8, si calcoli il numero di piante ad ettaro ed il diametro medio del bosco. Calcolo del numero di piante ad ha: Sommo il numero di piante rilevate nell AdS, che risultano 16 Imposto una proporzione: 16 : 314,16 = X : X = 16 x / 314,16 = 509 piante ad ettaro Calcolo dell area basimetrica media: g m = 31,07 / 509 = 0,06104 m² Calcolo del diametro medio: d m = 2 0,06104 = 0,279 m = 27,9 cm 5. Struttura del popolamento Riportando su di un grafico le classi diametriche in ascissa, ed il corrispondente numero di piante in ordinata, si ottiene una immagine che illustra la struttura del popolamento, ovvero che ci indica con immediatezza se esso è coetaneo, disetaneo od irregolare. Il grafico ci dice anche su quali classi diametriche intervenire con i diradamenti per riportare il bosco alla regolarità. 23

24 Nel caso siano previsti diradamenti, si calcoleranno a parte tre serie di dati: Dati relativi all intero popolamento Dati relativi alle piante da diradare Dati del popolamento residuo dopo il diradamento Le elaborazioni dei diametri forniscono importanti informazioni sulle condizioni del bosco, in particolare sulla sua densità. La densità di un soprassuolo è un parametro selvicolturale di estrema importanza, in particolare per le fustaie. La densità di crescita influenza la quantità e la qualità del legname che il bosco produce con conseguenze immediate sul suo valore commerciale. La densità degli alberi determina la presenza e la diffusione delle specie del sottobosco, con conseguenze immediate sulla vita degli animali e sulle possibilità di rinnovazione naturale del bosco. La densità, infine, determina l intensità dei diradamenti richiesti. La densità di un soprassuolo può essere quantificata in termini di area basimetrica ad ettaro, o di numero di piante ad ettaro, oppure come percentuale di copertura del suolo prodotta dalle chiome degli alberi. 5.2 Il relascopio a specchi di Bitterlich Il relascopio è uno piccolo strumento molto utilizzato dai forestali. Ha diverse funzioni tra cui quella di ipsometro, laddove utilizza 4 distanze prefissate e scale autolivellanti, per cui non è necessario fare correzioni quando si misura su terreni in pendenza. Con il relascopio si possono misurare le aree basimetriche ad ettaro in modo molto semplice e veloce: Si fa centro in un punto qualunque del bosco, e si mette l occhio all oculare. L obiettivo dello strumento mostra un semicerchio inferiore con una serie di strisce verticali, ed un semicerchio superiore trasparente, che permette di vedere il bosco. (vedi pagina seguente) Appoggiando l occhio all oculare dello strumento, senza muoversi dal punto, si preme il pulsante che sblocca il meccanismo, e si fa un giro d orizzonte a 360, cercando di puntare lo strumento verso i fusti ad 1,30 metri da terra. (si può anche avvitare lo strumento ad un treppiede, ma risulta poco pratico). Si contano le piante che sono più grosse della banda utilizzata, che può essere 1, 2, oppure 4. I fusti che coincidono perfettamente con i limiti della banda, vengono conteggiati per metà. L area basimetrica ad ettaro, espressa in m², si ottiene semplicemente moltiplicando le piante contate per la banda utilizzata (ovvero 1, 2 o 4) 24

25 Relascopio di Bitterlich Relascopio in bosco Schermata inferiore del relascopio Le aree di saggio rilevate con il relascopio prendono il nome di aree relascopiche. Possono servire per rilievi speditivi, per rimpolpare i dati ottenuti con le AdS convenzionali, o per stabilire il numero di AdS da rilevare su una determinata superficie. Se si misura il DAP di ogni albero che ricade all interno dell area di saggio relascopica è possibile ricostruire facilmente quello che si chiama popolamento virtuale, che ci da il numero di piante ad ettaro per classe diametrica, e permette quindi le relative elaborazioni proprie delle aree di saggio convenzionali. 25

26 5.3 Il rilievo delle altezze Rilevati i diametri si procede al rilievo delle altezze degli alberi all interno delle AdS, od anche immediatamente all esterno, se si vedono meglio le punte da misurare. Per limitare tempi e costi non vengono misurate le altezze di tutte le piante dell area, ma solo di una parte di esse, in numero variabile a seconda del numero totale di AdS da rilevare, della precisione richiesta, del tipo di ipsometro a disposizione. E comunque necessario: Annotare sempre il DAP della pianta di cui si misura l altezza. Misurare le altezze distribuendole tra tutte le classi diametriche, con l accortezza di prenderne progressivamente di più con il crescere del diametro della classe in quanto più grosse sono le piante e più contribuiscono al volume totale La curva ipsometrica Per utilizzare le altezze ai fini della cubatura, è necessaria una ulteriore elaborazione che compensi e corregga in qualche modo le altezze rilevate, riportandole in un corretto ambito statistico. Ciò si fa con la costruzione della curva ipsometrica che mette in relazione classi diametriche e relative altezze, compensando i dati grezzi rilevati. Per realizzare una buona curva ipsometrica occorrono da 50 a 200 altezze (con un minimo di 30). Un tempo veniva costruita o graficamente, a mano, o con una interminabile serie di calcoli matematici. Oggi (ma sarete fortunati, e non ve ne accorgete neanche!) si può costruire con un programma per il disegno di grafici (il solito Excel) Procedimento per la costruzione di una curva ipsometrica con Excel Di seguito riporto il procedimento per la costruzione di una buona curva ipsometrica con Microsoft Excel. L esempio è tratto da una versione piuttosto vecchiotta del programma (quello che passa il convento!), ma il procedimento non è molto diverso con le versioni più recenti, o con altri programmi di spreadsheet. 1. Si riportano su di un Foglio di lavoro Excel i diametri rilevati in ordine crescente su una colonna, e le altezze corrispondenti nella colonna adiacente. (Nell esempio seguente la serie completa dei dati è tagliata, per ragioni di spazio). 26

27 2. Nella barra del menù principale si clicca su Inserisci, e quindi nel menù a tendina che appare si clicca su Grafico. Si apre una finestra per la crezione guidata del grafico. 3. Nel tipo di grafico si sceglie Dispersione (XY), si seleziona il primo quadro in alto (sfondo nero) e si clicca su Avanti. Nella schermata successiva si inserisce l intervallo dati, semplicemente selezionando con il mouse i dati della tabella iniziale. 27

28 4. Si clicca su Avanti e nelle 2 schermate successive si completa il Grafico con Titolo, nomi degli assi ecc. Sul Grafico ottenuto si clicca con il pulsante destro su uno dei piccoli rombi azzurri e nella tendina che appare si sceglie Aggiungi linea di tendenza 5. Nella schermata successiva, si sceglie nel Tipo, Polinomiale Ordine 2; nelle Opzioni, Visualizza equazione sul grafico. 28

29 6. Cliccando su OK, si ottiene infine la curva ipsometrica e l equazione che la rappresenta: Curva ipsometrica. In ascissa i diametri (cm), in ordinata le altezze (m). I rombettini azzurri rappresentano i dati grezzi. La curva che si ottiene è assimilabile ad una parabola. Da notare che la curva è concava verso il basso e che tende ad appiattirsi in corrispondenza dei diametri maggiori. Con l equazione ottenuta sostituendo alla x i valori centrali delle classi diametriche, si calcolano infine le altezze compensate. 29

30 Esercizio 10 Utilizzando l equazione ipsometrica y = -0,0095x² + 1,0011x + 3,281 sopra calcolata, si determinino le altezze compensate per classe diametrica del popolamento di cui all Esercizio 8. DAP Equazione ipsometrica Altezza cm m 20 h = -0, ² + 1, ,281 19,5 25 h = -0, ² + 1, ,282 22,4 30 h = -0, ² + 1, ,283 24,8 35 h = -0, ² + 1, ,284 26,7 40 h = -0, ² + 1, ,285 28, L altezza media (h m ) L altezza media di un qualsiasi popolamento forestale corrisponde all altezza ricavata dalla curva ipsometrica dell albero di diametro medio. Esercizio 11 Utilizzando l equazione ipsometrica y = -0,0095x² + 1,0011x + 3,281, si determini l altezza media del popolamento di cui all Esercizio 8. Sostituisco alle x dell equazione il valore del diametro medio 27,9 cm h = - 0,0095 x 27,9² + 1,0011 x 27,9 + 3,281 = 23,8 m altezza media L altezza dominante L altezza dominante di un popolamento forestale è la media delle altezze delle 100 piante di maggior diametro presenti su di un ettaro di superficie (in realtà sarebbero le 100 piante più alte, ma si utilizzano le più grosse per ragioni di facilità di identificazione). L altezza dominante è un parametro molto importante in Selvicoltura, in quanto indice della fertilità del suolo (più sono alte le piante, e maggiore è la fertilità del terreno). 30

31 5.4 La stima del volume di un bosco Fustaia coetanea di Abete rosso (Picea abies) Raccolti ed elaborati i dati dendrometrici si passa al calcolo del volume del nostro bosco. Per risolvere il problema si possono applicare diversi metodi, tra cui si analizzano i seguenti: Metodo dell albero di dimensioni medie Conosciuto anche come metodo dell albero modello unico o metodo di Huber, si basa sulla considerazione che l albero che ha diametro altezza e coefficiente di riduzione medi sia anche l albero di volume medio. Calcolato il volume dell albero medio basta moltiplicarlo quindi per il numero di piante ad ettaro e si ottiene il volume ad ettaro del nostro soprassuolo. Moltiplicando poi il volume ad ettaro per la superficie del bosco si ricava il volume totale. V N g h f (10), ha ha m m m che si trasforma nella più semplice V Gh f, ha m m dove G è l area basimetrica ad ettaro, h m l altezza media presa sulla curva ipsometrica in corrispondenza del diametro medio, ed f m il coefficiente di riduzione medio, sempre dell albero di diametro medio. Il volume totale relativo all intera superficie del bosco è dato da: V totale V ha Superficie A questo punto, manca solo da definire il valore di f m da utilizzare. Per calcolare il coefficiente di riduzione dell albero di dimensioni medie bisogna: - Abbattere uno o più alberi (in genere da 3 a 5), che abbiano dimensioni uguali o molto vicine a quelle medie (alberi modello del coefficiente di riduzione). - Calcolare il volume di ogni albero modello con la formula delle sezioni. - Fare la media dei volumi ottenuti. - Ottenere f m dal rapporto: Media volumi reali alberi modello Media volumi cilindrometrici alberi modello 31

32 Il metodo dell albero di dimensioni medie è un metodo semplice che da risultati abbastanza attendibili, e per questo è molto utilizzato. L errore che ci si può attendere con l impiego di questo metodo si attesta intorno al +/- 10% rispetto al valore reale del volume del bosco. Esercizio 12 Si stimi il volume di 1,6 ha di abetina, utilizzando i dati dell area di saggio di cui all Esercizio 8 e successive elaborazioni. Il coefficiente di riduzione medio calcolato mediante abbattimento e cubatura di tre alberi modello è risultato uguale a 0,5088. V ha = G ha h m f m = 31,07 m² x 23,8 m x 0,5088 = 376,2 m³ = volume/ha Volume totale = 376,2 m³/ha x 1,6 ha = 601,9 m³ Metodo di cubatura per classi diametriche Il metodo prevede la cubatura separata per ogni classe diametrica; il volume ad ettaro risulterà quindi dalla somma dei volumi delle singole classi: V ha = G 1 h 1 f 1 + G 2 h 2 f G n h n f n, dove G1, G2 Gn sono le aree basimetriche delle classi diametriche 1, 2,, n; h1, h2, hn le altezze prese sulla curva ipsometrica, in corrispondenza del diametro centrale delle classi 1, 2,. n, ed f1, f2, fn i coefficienti di riduzione delle varie classi calcolati mediante abbattimento e cubatura di un ugual numero di alberi modello per classe diametrica. E un metodo più preciso del precedente, con errori che oscillano intorno al +/- 3%. Ha molte varianti che conducono però ad errori della stessa entità. Esercizio 13 Utilizzando i dati del piedilista dell Esercizio 8 e la curva ipsometrica dell Esercizio 10, si stimi il volume di 1 ha di abetina con il metodo per classi diametriche. I coefficienti di riduzione delle singoli classi sono stati ricavati dall abbattimento di 1 albero modello per classe, e sono indicati nella tabella seguente. DAP N. Piante G / AdS Formula calcolo G/ha G/ha Altezza F Volume / ha cm AdS m² m² m m³ , = 0,15708 x / 314,16 5,00 19,5 0, , , = 0,14726 x / 314,16 4,69 22,4 0, , , = 0,35343 x / 314,16 11,25 24,8 0, , , = 0,19242 x / 314,16 6,12 26,7 0, , , = 0,12566 x / 314,16 4,00 28,1 0, ,34 Volume totale/ha 384,56 La prima cosa da fare è trovare l area basimetrica ad ha per ogni classe diametrica, utilizzando la solita proporzione: G classe x /ha = G classe x /AdS x / sup AdS Per ottenere il Volume totale per ha si sommano quindi i valori di volume/ha di ogni classe diametrica. 32

33 5.4.3 Metodo delle Tavole di cubatura Le tavole di cubatura ci danno in corrispondenza di un determinato valore del diametro di un albero, oppure del diametro e dell altezza, il valore del volume medio di quell albero. Ogni tavola di cubatura è specifica, ovvero riguarda una sola specie, e può avere valore locale, ovvero è valida solo nella zona per cui è stata elaborata, o generale, quando è applicabile ai boschi di vaste regioni. In ogni tavola è sempre specificato il tipo di volume a cui si fa riferimento (vedi pag. 13). Costruite mediante l abbattimento e la cubatura di un gran numero di alberi modello a cui seguono complesse operazioni di correzione simili a quelli della curva ipsometrica, laddove disponibili risultano il metodo di più facile applicazione e che genera gli errori minori. Ne esistono di due tipi: 1. Tavole ad una entrata Sono costituite da due colonne: nella prima è riportato il valore del DAP (in cm o per classe diametrica), nella seconda il corrispondente volume medio. Ci può essere una terza colonna (non essenziale) con i valori indicativi delle altezze e talvola altre colonne che indicano, al variare del diametro, la percentuale di corteccia, il coefficiente di riduzione ecc. Una volta calcolato il numero delle piante ad ettaro per classe diametrica, si moltiplica detto numero per il volume riportato dalla tavola. Sommando i valori delle singole classi si ottiene il volume totale ad ettaro. Le tavole ad una entrata hanno in genere validità locale, e sono costruite con un numero di alberi modello variabile da 80 a 500. Danno errori di cubatura spesso inferiori al +/- 3%. DAP Altezza dendrometrica Volume cm m m³ 10 9,10 0, ,10 0, ,70 0, ,00 0, ,80 0, ,10 1, ,00 1, ,60 2, ,90 2, ,80 3, ,50 3, ,00 4, ,25 5, ,50 6, ,60 7,12 Tavola cormometrica ad una entrata dell abete bianco dell Abetone cresciuto in fustaia coetanea Cantiani & Bernetti. Piano di Assestamento della Foresta di Abetone Quando siano disponibili dati di riferimento riguardo all altezza, come nel caso della Tavola sopra, e le altezze rilevate in bosco differiscano significativamente da quelle indicate, si può procedere alla correzione dei volumi medi nel seguente modo: Volume corretto classe n = Volume tavola classe n x Altezza rilevata / Altezza tavola 33

34 Esercizio 14 Ancora partendo dai dati del piedilista dell Esercizio 8 si determini il volume di 1 ha di abetina utilizzando la tavola di cubatura ad una entrata riportata alla pagina anteriore. Si calcola il numero di piante ad ha di ogni classe diametrica, e si moltiplica per il valore del volume medio della classe diametrica riportato nella tavola. Quindi si sommano i volumi delle singole classi diametriche. DAP N. Piante Formula calcolo N/ha N/ha Volume tavola Volume /ha cm AdS m³ m³ 20 5 = 5 x / 314, ,31 49, = 3 x / 314, ,53 50, = 5 x / 314, ,82 130, = 2 x / 314, ,17 74, = 1 x / 314, ,58 50,29 Volume / ha 355,23 2. Tavole a doppia entrata Le Tavole a doppia entrata danno il volume medio di una pianta in relazione al diametro ed all altezza della pianta. La tavola è costituita da una tabella dove nella riga iniziale sono indicati i diametri (per classe diametrica o per centimetro), mentre nella prima colonna si hanno le altezze (ancora per classe o per unità). Il volume medio si ricava quindi incrociando i due dati di diametro e di altezza, letta come sempre sulla curva ipsometrica. Una volta trovato il volume medio per classe di diametro ed altezza si perviene al volume ad ettaro nello stesso modo visto per le tavole ad una entrata. L errore che si fa cubando con le tavole a doppia entrata raramente supera il +/- 1%. Le Tavole a doppia entrata possono avere carattere locale (in tal caso costruite con circa alberi modello) o generale (necessitano alcune migliaia di alberi modello). Tra le Tavole a doppia entrata valide su tutto il territorio nazionale si ricordano quelle elaborate per il Secondo Inventario Forestale del 2005 (INFC 2005) da Tabacchi ed altri 2. Queste riguardano 26 specie (13 conifere e 13 latifoglie): per ogni specie, in corrispondenza di diametro ed altezza, sono riportati: Il Volume in dm³ del fusto e dei rami grossi La Fitomassa secca in kg del fusto e dei rami grossi La Fitomassa della ramaglia La Fitomassa delle ceppaie La Fitomassa epigea totale I dati di fitomassa sono particolarmente importanti ai fini dell utilizzo del materiale legnoso come biomassa per l alimentazione di caldaie varie. Per le latifoglie le tavole sono valide sia per alberi cresciuti in fustaia che per i polloni dei cedui. Nelle due pagine seguenti si allega la Tavola di cubatura del Castagno, limitatamente alla parte che riguarda il volume del fusto e dei rami grossi. 2 Tabacchi G., Di Cosmo L., Gasparini P., Morelli S. (2011) Stima del volume e della fitomassa delle principali specie forestali italiane. Equazioni di previsione, tavole del volume e tavole della firomassa arbore epigea. Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Unità di Ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale. Trento, 412 pp. (download gratuito all indirizzo: ) 34

35 Castagno. Tavola a doppia entrata del Volume in dm³ del fusto e dei rami grossi h (m) d (cm) h (m) d (cm) d (cm) d (cm) h (m) h (m) 35

36 h (m) d (cm) h (m) d (cm) d (cm) d (cm) h (m) h (m) 36

37 Esistono infine altri tipi di Tavole: Tavole di popolamento. Elaborate in alcune regioni (ad esempio Emilia Romagna), permettono di ricavare per le singole specie il volume medio ad ettaro incrociando i dati di area basimetrica ad ettaro e di altezza dominante. Consentono una rapida esecuzione dei rilievi dal momento che l area basimetrica può essere determinata con veloci prove relascopiche. Tavole alsometriche. Forniscono il volume ad ettaro (oltre all area basimetrica, diametro medio, altezza media, incrementi vari ed altri valori ancora) per boschi puri, coetanei e a densità normale. Una tavola alsometrica è formata da diverse tabelle (3, 5 o 7), che rappresentano diverse classi di fertilità. Per scegliere la tabella da utilizzare occorre conoscere l età e l altezza dominante del bosco. Si sceglierà la classe di fertilità in cui per l età rilevata l altezza dominante della tabella si avvicina di più all altezza dominante rilevata in bosco. (Nella tabella seguente, l altezza dominante è nella seconda colonna da sinistra). Danno buoni risultati solo per i boschi giovani; per i boschi adulti necessitano di tutta una serie di correzioni. Sono comunque utili come modelli di riferimento. Tavola alsometrica della Douglasia della Toscana. 1 a classe di fertilità (Bernetti) Se nel bosco oggetto di rilievo ci sono più specie consociate tra loro, è necessario rilevare ed elaborare i dati separatamente per singola specie. Si dovranno così costruire tante curve ipsometriche quante sono le specie, e lo stesso per i coefficienti di riduzione, con le modalità già viste. Nella presentazione dei dati diviene importante indicare la percentuale delle singole specie all interno del popolamento, generalemente riferito al volume della specie rispetto al volume totale. 37

38 5.5 Le ultime frontiere dei rilievi dendrometrici: LiDAR e Apps Negli ultimi anni si stanno sviluppando nuove interessanti tecniche per l esecuzione dei rilievi dendrometrici. Di seguito ne analizzeremo due che come vedremo stanno letteralmente agli antipodi LiDAR Il LiDAR, acronimo che sta per le parole inglesi Light Detection and Ranging (di difficile traduzione in italiano, non mi ci provo!), è un sistema di telerilevamento della superficie terrestre che utilizza la tecnologia laser. Il rilievo avviene attraverso uno strumento installato su un mezzo aereo in volo. Lo strumento è composto da un generatore di raggi laser, da un sensore che riceve i raggi riflessi dalla superficie terrestre e da un sistema di acquisizione dati. Ogni secondo vengono generati migliaia di impulsi laser che raggiungono la terra ognuno in un determinato punto, vengono riflessi e sono riacquisiti dal sensore. Di ogni punto il LiDAR determina le coordinate geografiche x ed y (basandosi sui dati GPS e di navigazione dell aereo e su una serie di stazioni GPS a terra) e la quota z sul livello del suolo (calcolata sulla base dell intervallo di tempo che trascorre tra l emissione del segnale e la sua riflessione). Dalla post elaborazione dei punti rilevati si ottiene una ricostruzione digitale tridimensionale della superficie terrestre ovvero delle forme e delle misure degli oggetti del rilievo, siano essi edifici o alberi o quant altro. L analisi dell intensità e della frequenza dei raggi di ritorno permette di discernere il tipo di oggetto colpito dal raggio, ad esempio se si tratta di vegetazione, di aree nude oppure urbane, o rivelare addirittura la presenza di determinate sostanze chimiche nell atmosfera. La particolarità e l utilità di questo sistema è l altissima velocità di acquisizione dei dati abbinata alla elevata risoluzione (si tratta anche di oltre 10 punti rilevati per m²), che consente un rilievo geometrico caratterizzato da un notevole livello di dettaglio e completezza. Il LiDAR sta conoscendo negli anni numerose applicazioni: in cartografia e topografia, nel rilevamento delle faglie e dei movimenti geologici, nel monitoraggio dei ghiacciai e delle loro variazioni di superficie, oppure per misurare la densità degli aerosol e di alcuni componenti chimici dell atmosfera. Tra le applicazioni più recenti ci sono anche quelle in ambito forestale, finalizzate alla determinazione del volume dei soprassuoli che coprono una data area geografica. Un esempio di impiego a fini dendrometrici del LiDAR è fornito dal Progetto Lidar.For.Man 3 che ha interessato ha di foreste del Pratomagno casentinese (Ar) ed ha tra l altro prodotto la Carta dei volumi legnosi per ettaro qui sotto riportata (e poco leggibile poiché fortemente ridotta) Carta della distribuzione dei volumi legnosi del Pratomagno casentinese realizzata dal Progetto LidarFor.Man (tratta da Sherwood n. 207, Dicembre 2014) 3 Applicazioni LiDAR nella pianificazione e gestione forestale del Casentino Lidar.For.Man costituisce una delle prime esperienze operative di mappatura dei volumi legnosi in ambiente appenninico su boschi sia di conifere che di latifoglie per scopi di pianificazione e gestione forestale. 38

39 Il Progetto si è articolato in diverse fasi: - Rilievo di un certo numero di AdS a terra per calibrare e validare i successivi dati LiDAR. - Acquisizione ed elaborazione dei dati LiDAR. - Creazione di un modello statistico di stima dei volumi legnosi. - Applicazione del modello per la mappatura del volume legnoso su tutto il territorio di interesse. E prevedibile che con l affinamento delle tecniche il LiDAR troverà un impiego sempre crescente nel rilievo delle variabili dendrometriche ed anche qualitative dei soprassuoli forestali. All indirizzo si può visionare un interessante video riassuntivo del Progetto Applicazioni per tablets e smartphones Sebbene non siano tutti disponibili su ogni modello e con una precisione tutta da verificare, smartphones e tablets sono dotati di un ampia serie di sensori (di posizione, di inclinazione del device rispetto agli assi x, y, z, di pressione, magnetici, ecc.) sfruttabili per la creazione di applicazioni per la progettazione e l esecuzione di rilievi dendrometrici e di inventari forestali. Sulle piattaforme dedicate sono già disponibili diverse applicazioni che svolgono il lavoro di strumenti semplici utilizzati per i rilievi forestali quali GPS, fotocamere, altimetri, bussole, clinometri, ipsometri, e che girano sui principali sistemi operativi Android e ios. Negli ultimissimi anni stanno apparendo anche alcune Apps più complesse, che consentono di svolgere rilievi dendrometrici completi, integrando al loro interno l operato di diversi strumenti di misura e di posizione. Quello delle Apps dendrometriche è un settore che promette interessanti sviluppi: forse non è lontano il giorno in cui si potrà allegramente entrare in bosco con un minuscolo tablet invece che con una scomoda valigia di delicati e costosi strumenti. Tutto dipenderà dall affidabilità delle Apps e dei sensori che utilizzano. Tra le Apps disponibili se ne ricordano due, entrambe gratuite: MOTI Elaborata 4 da un team svizzero di esperti in inventari forestali, auxologia ed informatica, è destinata ai professionisti forestali; la versione per Android, disponibile anche in lingua italiana, è scaricabile all indirizzo: MOTI presenta diverse funzionalità: Screenshots di MOTI. A destra la funzione relascopica. - Rilievo di singole grandezze dendrometriche quali area basimetrica e numero di alberi per ettaro, altezza dendrometrica e volume ad ettaro, con l ausilio di una semplice palina topografica. - Rilievo, elaborazione e salvataggio dei dati dendrometrici di aree di saggio corredate di coordinate GPS del luogo del rilievo. 4 Il Progetto è stato finanziato tra l altro dall Università di Zollikofen e dal Fondo svizzero per la Ricerca Forestale e del Legno, istituzioni che conferiscono autorevolezza alla App. 39

40 - Inventario di un popolamento per mezzo di più aree di saggio distribuite casualmente sulla superficie, con stima automatica dell errore. - Inventario di un popolamento con rilievo di aree di saggio dalle coordinate prestabilite (permette di ritrovare sul terreno punti di coordinate anteriormente stabilite) e stima automatica dell errore. Per l esecuzione di tutti i rilievi occore solamente l ausilio di una semplice palina topografica. Prima di utilizzarla, la App necessita di una serie di operazioni preliminari, da farsi una tantum, per calibrare alcuni sensori del device. Plot Hound Plot Hound 5 (traduzione: il segugio delle aree di saggio) è una App in lingua inglese sviluppata negli Stati Uniti da Silvia Terra, un impresa privata di esperti forestali ed informatici. Non è utilizzabile nei nostri boschi in quanto progettata per il rilievo delle specie arboree nordamericane: nonostante ciò è un esempio piuttosto interessante e differente dal precedente. La App lavora in combinazione con un server ospitato dal sito dei progettisti ( su cui è necessario registrarsi per poterla utilizzare, e consente con l ausilio di un cavalletto, di un ipsometro e di una rotella metrica di eseguire un rilievo dendrometrico completo, dalla definizione del numero di aree di saggio e della loro disposizione georeferenziata sul terreno, alla elaborazione e presentazione dei dati. Si inizia sul server delimitando il popolamento da rilevare su Google Maps (si possono caricare anche file di cartografia digitale in vari formati) ed impostando le variabili statistiche del rilievo (limiti di confidenza statistica, errore massimo). Il server calcola il numero di AdS necessarie in base alle variabili impostate e le distribuisce uniformemente nel popolamento, fornendo le coordinate GPS atte a localizzarle precisamente sul terreno. La mappa con la posizione delle AdS viene quindi sincronizzata con la App e si possono iniziare i rilievi in bosco. La App tramite il GPS del device guida il rilevatore ai punti centrali delle AdS e permette di registrare diametri e altezze distinti per specie. A fine rilievo i dati rilevati vengono trasmessi al server, che procede alla loro elaborazione, determinando i volumi ed altri parametri dendrometrici, e generando reports sotto forma di tabelle e grafici. Le elaborazioni e presentazioni più sofisticate sono limitate alla versione a pagamento. A differenza di MODI è necessario rilevare l AdS con i metodi tradizionali: l utilità della App risiede nella possibilità di progettare il rilievo, di registrare e di elaborare i dati. Screenshot di Plot Hound. Area da rilevare e localizzazione delle AdS MODI e Plot Hound sono disponibili sia per Android che per ios. 5 Per chi fosse interessato la versione di Plot Hound per Android è scaricabile al seguente indirizzo: 40

41 6. La LEGNA da ARDERE e le STIME RELATIVE Legna da ardere accatastata 6.1 La Legna da ardere La legna da ardere è uno degli assortimenti 6 ottenibili dal bosco, destinato ad alimentare caldaie, stufe, camini e forni, e caratterizzato dalle ridotte dimensioni diametriche (anche legname di dimensioni maggiori può essere utilizzato previa spaccatura in mezzi o quarti). La legna da ardere si ottiene prevalentemente dalle utilizzazioni dei boschi cedui ma anche come prodotto secondario dai diradamenti e dai tagli delle fustaie. Nonostante si possa utilizzare come combustibile il legno di tutte le specie arboree, alcune essenze sono maggiormente indicate in quanto a parità di volume ed umidità hanno un maggiore potere calorifero (capacità di fornire energia). Ciò che influenza la qualità del legno come combustibile è la sua densità, che a sua volta dipende sia dalla specie che dal contenuto di umidità. A parità di umidità il potere calorifero è maggiore nelle specie con densità maggiore; per la stessa pianta diminuisce all aumentare della quantità di acqua contenuta nel legno. Una classificazione in base alla capacità di fornire calore distinguele specie in: - Ottime: leccio, sughera, olivo. - Buone (dette anche specie forti, od a legno forte): cerro, roverella, carpino, faggio, orniello, erica, corbezzolo, (robinia). - Mediocri (dette anche specie dolci, od a legno dolce): conifere, pioppi, salici, ontani, platano (castagno). Il legname destinato a legna da ardere viene depezzato in tronchetti con lunghezza di circa 1 metro (attenzione, non si misura pezzo pezzo, ma si utilizza l occhiometro) direttamente sul letto di caduta oppure, una volta esboscato, all imposto 7. All imposto la legna da ardere viene accatastata, ovvero disposta in catasta. La catasta, utilizzata anche per altri assortimenti quali legna da cellulosa o da cippatura, si costruisce manualmente disponendo a strati i tronchetti e stabilizzando le estremità con pali piantati a terra. Ha forma di parallelepipedo ed il suo massimo sviluppo è nel senso della lunghezza 6 Gli assortimenti sono categorie commerciali in cui vengono distinti i prodotti legnosi, a seconda delle dimensioni, del grado di lavorazione e della destinazione. 7 L imposto è il luogo, generalmente al bordo di una strada camionabile, dove si concentra il legname di qualunque tipo. 41

42 (anche alcune decine di metri); la larghezza è data dalla lunghezza dei tronchetti (ovvero, come detto, circa 1 metro), e l altezza non si spinge mai oltre 1,80 2 metri, per una agevole realizzazione. La legna appena tagliata contiene circa un terzo del suo peso in acqua e per bruciare efficientemente dovrà perdere buona parte di quest acqua. Si rende cioè necessaria la sua stagionatura, che avviene presso i grossisti ed i rivenditori in magazzini riparati dalle piogge e con le dovute aperture nei muri perimetrali per facilitare la circolazione dell aria. E in genere sufficiente il passare di un estate per utilizzare la legna da ardere, anche se il rendimento migliore si avrebbe con legna stagionata per due estati. La legna da ardere viene misurata e commercializzata a peso, espresso in quintali. Solamente quando si trova accatastata all imposto può essere misurata e compravenduta in metri steri. Il metro stero corrisponde al volume vuoto per pieno di una catasta lunga 1 metro, larga 1 metro, ed alta 1 metro, ovvero comprende sia il volume occupato dalla legna che quello occupato dagli spazi vuoti tra un tronchetto e l altro. 6.2 La densità del legno La densità di una qualsiasi sostanza è una grandezza fisica che indica il rapporto tra la sua massa ed il suo volume. Le unità di misura che si utilizzano sono sia il grammo/cm³ che il kg/m³: quest ultima, insieme al quintale/m³, è la più utilizzata nel caso del legname. La densità viene chiamata anche massa volumica, termine spesso utilizzato dai forestali. Da non confondersi con il peso specifico, che rappresenta invece il rapporto tra il peso (che è una forza) di una data sostanza ed il suo volume. Mentre per molti materiali a temperatura costante la densità rimane costante, nel legno varia nel tempo in relazione alla quantità di acqua contenuta nei pori, la quale diminuisce progressivamente dal momento del taglio e lungo il processo della stagionatura. Il legno è comunque anche in grado di riassumere acqua se messo a contatto con un ambiente umido. Per la stessa specie si hanno diversi tipi di densità che fanno riferimento a diversi gradi standard di umidità. 8 Esse sono: - Densità allo stato fresco, ovvero del legname appena abbattuto (umidità compresa tra il 60% e l 80%). - Densità commerciale, corrispondente a legname stagionato all aperto, con umidità intorno al 15%. E la densità che più interessa il commercio. - Densità normale, corrispondente a legname stagionato al coperto, con umidità del 12%. - Densità assoluta. E quella del legno essiccato in stufa, con 0% di umidità. Interessa solo la tecnologia del legno e gli studi sulle biomasse. La densità di un legname è determinata dal rapporto tra le parti solide e quelle vuote. Così il legno delle specie che crescono in ambienti ricchi di acqua (pioppi, ontani, salici) ha grossi vasi conduttori, è molto poroso, ed ha densità minore; le specie di ambienti intermedi (abeti, faggio, aceri, tiglio, castagno) hanno legnami semipesanti, e quelle di ambiente arido (querce sempreverdi, erica, corbezzolo, olivo), avendo vasi molto piccoli per favorire la capillarità, sono a legname pesante. Le conifere, a parte Tasso e Cipresso, hanno densità minori rispetto alle latifoglie. Il legno più pesante al mondo è quello di Guaiaco (Guaiacum officinale), con densità di 1250 kg/m³, quello più leggero è la Balsa (Ochroma pyramidale), che ha densità di 150 kg/m³. In Italia i legnami più pesanti sono quelli di Bosso, Olivo e Leccio, i più leggeri quelli delle varie specie di Pioppi e di Salici. Nella Tabella 1, tratta da Giordano, sono indicati per le principali specie italiane, i valori minimi, medi (in grassetto) e massimi della densità allo stato fresco e con umidità normale, oltre alla densità media ad umidità commerciale. I valori di maggiore importanza pratica sono la densità media allo stato fresco, e la densità ad umidità commerciale. 8 L umidità di un legname rappresenta la percentuale di acqua presente rispetto alla quantità massima che vi può essere contenuta. Umidità del 15% significa quindi che in quel legno è presente il 15% dell acqua che si avrebbe se tutti i pori fossero pieni di acqua. 42

43 Specie Tabella 1. Densità di alcuni dei principali legnami italiani (Giordano) Densità allo stato fresco 43 Densità ad umidità normale ( 12%) Densità ad umidità commerciale (tra il 12 ed il 15%) (Kg/m³) (Kg/m³) (Kg/m³) CONIFERE min media max min media max Abete bianco Abete rosso Cipresso Cirmolo Douglasia Ginepro comune Larice Pino d Aleppo Pino domestico Pino insigne Pino marittimo Pino nero Pino laricio Pino silvestre Pino strobo Tasso LATIFOGLIE Acero montano Acero campestre Ailanto Alaterno Bagolaro Betulla Bosso Carpino bianco Carpino nero Castagno Cerro Ciliegio Corbezzolo Erica Faggio Farnia Frassino Gattice Ippocastano Lauro Leccio/sughera Maggiociondolo Mirto Melo Nocciolo Noce Olivo Olmo Ontano bianco Ontano nero Orniello Pioppi ibridi Pioppo nero Platano

44 Specie Densità allo stato fresco (Kg/m³) Densità ad umidità normale ( 12%) (Kg/m³) Densità ad umidità commerciale (tra il 12 ed il 15%) (Kg/m³) Robinia Rovere Salici Sorbi Tiglio Determinazione della densità di una partita di legna Se si volesse determinare con precisione la densità di una partita di legna occorre: - prelevare un piccolo campione della partita; - pesare il campione; - determinare il volume del campione, mediante l uso di uno xilometro. (Lo xilometro è un semplice bidone parzialmente riempito d acqua, graduato in litri e frazioni di litro. Vi si immerge un tronchetto di legno ed il suo volume si legge dall asta graduata, corrispondendo alla quantità di acqua spostata); - si determina la densità dalla relazione: Densità = Peso / Volume La densità del campione così ottenuta si assume come densità della partita. Esercizio 15 Determinare la densità di una partita di legna da ardere di faggio appena tagliata, da cui è stato prelevato un campione di 345 litri di volume, il cui peso è risultato essere 386 kg. Si trasformano i litri in m³: 345 litri = 0,345 m³ Si determina la densità: D = 386 kg : 0,345 m³ = 1118,8 kg/m³ 6.3 Altre stime relative alla legna da ardere La misurazione e la stima quantitativa di una determinata partita di legna può avvenire in due differenti momenti: 1. In bosco, su legname ancora in piedi; 2. all imposto, su legname depezzato a misura ed accatastato. (Ovviamente, dal momento che la legna verrà caricata su un camion, e nei successivi passaggi, la determinazione del suo peso avverrà semplicemente mediante pesatura) Nel 1 caso (stima in bosco), per ottenere il peso della legna da ardere ricavabile da una determinata superficie di bosco, si dovrà: - Stimare il volume totale di legna da ardere presente sulla superficie, mediante il rilievo di una o più aree di saggio; - moltiplicare il volume ottenuto per la densità del legname della specie, o delle specie, presenti. 44

45 Peso (in kg) = Volume (in m³) x Densità (in kg/m³) Nel 2 caso (legname accatastato), si hanno due possibili stime: 1. Stima del volume sterico (Vst) di una catasta. Il volume in metri steri si ottiene misurando la lunghezza della catasta con una rotella metrica, prendendo un altezza della catasta ogni metro e facendone la media, misurando la lunghezza di un certo numero di tronchetti, e facendone la media. Il volume, in metri steri, sarà: Vst = Lunghezza catasta x H media x Lunghezza media tronchetti 2. Stima del peso di una catasta. Per determinare il peso di una catasta, occorre innanzitutto determinare il volume reale del legname che si trova nella catasta. Il volume sterico della catasta comprende infatti sia il volume della legna che quello degli spazi vuoti. Per determinare il volume reale, occorre conoscere il coefficiente di volume della catasta (CVC), che è dato dal rapporto: CVC = Volume reale della legna / Volume sterico della legna Il coefficiente di volume varia praticamente per ogni catasta: è comunque sempre inferiore ad uno, talvolta anche sensibilmente. Esso dipende innanzitutto dalle dimensioni diametriche dei tronchetti (diminuisce con il diminuire dei loro diametri), poi dalla specie, dalla forma dei tronchetti (se sono diritti è più alto, se sono storti e nodosi più basso), dall abilità dell operaio che allestisce la catasta. (Il termine utilizzato dai pratici per indicare una catasta allestita con molti spazi vuoti abilmente mascherati è fognatura della catasta ). Il legname scortecciato (quello destinato alle cartiere, o per produrre pannelli) ha CVC più alti rispetto a quello con corteccia. Il CVC si può ricavare in diversi modi: Utilizzando tabelle che riportano dati medi per diverse tipologie di legna. Un esempio è la Tabella 2 a pagina seguente, tratta da Giordano. Con un campionamento empirico (metodo russo). Si prende una rotella metrica da 10 metri e si stende trasversalmente lungo una facciata della catasta. Ogni 10 cm si conficca un chiodo: se tocca legno viene contato come uno, se tocca il vuoto non viene contato. Alla fine, il numero di punti contati, diviso per cento, mi da il CVC. Il metodo porta a sovrastimare il CVC, ma è rapido e discretamente oggettivo. Attraverso la determinazione del volume reale di un volume campione di catasta. E il metodo più preciso, applicato quando si ha a che fare con ingenti quantitativi di legna accatastata. Si prende un certo volume noto di catasta (ad esempio 1 metro stero) come campione; si disfa la catasta e si misura con lo xilometro il volume reale (per tronchetti in tondello, abbastanza regolari, si può utilizzare anche la formula della sezione mediana). Il CVC sarà uguale al Volume reale diviso il volume sterico del campione. Una volta determinato il CVC, il volume reale della catasta è dato dalla relazione: Vr = Vst x CFC Noto il volume reale, il peso della catasta sarà dato da: Peso = Vr x Densità La densità potrà essere ricavata dalla Tabella 1, o calcolata più precisamente per campionamento come descritto al punto

46 Tabella 2. Coefficienti di volume per diverse tipologie di legname accatastato (Giordano) Lisci e diritti Storti e nodosi Squarti sopra 10 cm di lato Resinose 0,75 0,70 Latifoglie 0,73 0,65 Squarti sotto i 10 cm di lato Resinose ,68 Latifoglie ,65 Tondelli cm diametro Resinose ,67 Latifoglie 0,66 0,60 Tondelli cm diametro Resinose ,62 Latifoglie 0,59 0,53 Tondelli sotto 10 cm diametro Resinose 0,58 0,50 Latifoglie 0,48 0,40 Ramaglia sotto 8 cm diametro Resinose ,40 Latifoglie 0,40 0,30 Forteto di Maremma 0,25 Esercizio 16 Determinare il peso di una catasta di legna di faggio lunga 28,5 metri, con altezza media di 1,45 m, e con lunghezza media dei tronchetti di 1,2 m. La catasta è formata da tondelli diritti, di diametro prevalente tra i 10 ed i 15 cm. (utilizzare la densità calcolata nell Esercizio 15). Si calcola il volume sterico della catasta: Vst = 28,5 x 1,45 x 1,2 = 49,6 mst Si determina il volume reale, utilizzando il CVC di 0,59, tratto dalla Tabella 2: VR = 49,6 x 0,59 = 29,3 m³ Si calcola quindi il peso : P = 29,3 m³ x kg/m³ = kg = 327,9 qli 46

47 PARTE SECONDA AREE NATURALI PROTETTE Parco Naturale Paneveggio 1. Introduzione Un Area Naturale Protetta è una porzione di territorio sottoposta ad amministrazione speciale, finalizzata alla tutela ed alla conservazione di un bene ambientale di particolare importanza naturalistica in essa contenuto (paesaggio, ecosistema, specie animale o vegetale). La prima area protetta del mondo è stato il Parco Nazionale di Yellowstone, negli Stati Uniti, istituito nel In Italia i primi Parchi Nazionali furono quello d Abruzzo, istituito nel 1921 per proteggere l orso bruno marsicano, il lupo ed il camoscio d Abruzzo, ed il Parco Nazionale del Gran Paradiso, creato l anno successivo per la protezione dello stambecco. Il 1934 vide la nascita del Parco Nazionale del Circeo, situato lungo le coste laziali, per salvaguardare l ultimo lembo non bonificato di terre paludose dell Agro Pontino, ed infine, nel 1935, fu costituito il Parco Nazionale dello Stelvio, posto a tutela dell intero ambiente del gruppo montuoso Ortles Cevedale. In seguito, per circa quaranta anni, non saranno create nuove aree protette, fatta eccezione per alcune Riserve Naturali: la bassa percentuale di territorio protetto ha relegato a lungo l Italia agli ultimi posti della specifica graduatoria mondiale. Con l avvento delle amministrazioni regionali, ed in seguito con la promulgazione della Legge N. 394 del 6 dicembre 1991 Legge Quadro sulle Aree Protette la situazione migliora notevolmente, ed in breve tempo vengono costituiti numerosi parchi nazionali e regionali, riserve naturali e quant altro, tanto da portare nel 2010 la superficie terrestre sotto protezione a circa ha (oltre a ha di superficie protetta a mare), corrispondenti a circa il 10,5 % dell intera superficie nazionale. Il rapporto tra le istituende aree protette e le popolazioni che le abitano, è stato talora inizialmente di tipo conflittuale. Le necessarie limitazioni d uso imposte alle attività produttive, alle costruzioni, alla caccia ed alla pesca, la sensazione diffusa della creazione di un qualcosa imposto dall esterno ed estraneo alle necessità locali, hanno in alcuni casi portato a proteste e risentimenti popolari (tra le tante, il barbaro incendio doloso di Zi Peppe, un millenario esemplare di Pinus leucodermis, che fece seguito all istituzione del Parco Nazionale del Pollino). Nella realtà con il tempo la costituzione dei territori in aree protette, in particolare in parchi nazionali, si è rivelato come un potente motore di 47

48 sviluppo economico, soprattutto per il notevole incremento dei flussi turistici, ma anche per la valorizzazione delle produzioni artigianali ed agro-alimentari locali. 2. Caratteristiche comuni delle Aree Protette Nonostante si abbiano diverse tipologie di Aree Protette, come vedremo in seguito, esse presentano una serie di caratteristiche comuni: Contengono un ambiente naturale, oppure ecosistemi, o specie animali e vegetali che per la loro importanza e/o rarità sono messi sotto protezione al fine di garantirne la conservazione. Sono istituite mediante un atto giuridico formale (legge statale o regionale, decreto ministeriale, decreto prefettizio, ecc.). Il perimetro del loro territorio è segnalato integralmente per mezzo di una tabellazione (non di una recinzione!), ed i confini dell area sono documentati cartograficamente. Sono gestite da Enti e soggetti giuridici pubblici e privati già esistenti (ad esempio il Corpo Forestale dello Stato), od appositamente creati (l Ente Parco dei Parchi nazionali e regionali) Sono dotate di un bilancio, o di un provvedimento di finanziamento. Applicano le norme di salvaguardia generali previste nella legge 394/91 (ad esempio il divieto di attività venatoria nell area) 3. Riferimenti normativi I principali riferimenti normativi sulle Aree Protette, rispettivamente a livello comunitario, nazionale e regionale (Regione Toscana), sono: Unione Europea - Direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatica; - Direttiva 2009/147/CE del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Repubblica Italiana - Legge N. 394 del 6 dicembre 1991, Legge quadro sulle aree protette Regione Toscana - Legge regionale N. 49 dell 11 aprile Classificazione delle Aree Protette D accordo con l articolo 2 della Legge 394/91 il sistema nazionale delle Aree Protette è classificato come segue: 1. Parchi Nazionali, costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti, o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi, tali da richiedere l intervento dello stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future. 2. Parchi naturali regionali ed interregionali, costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico ed ambientale, che costituiscono, nell ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali. La Legge regionale 49/95 della Regione Toscana distingue i Parchi in regionali e provinciali in base alla rilevanza delle emergenze naturalistiche ed ambientali, alla loro estensione, alla complessità delle azioni di tutela da realizzare. 48

49 3. Riserve naturali, costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica e per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in essi rappresentati; 4. Zone umide di interesse internazionale, costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali ed artificiali d acqua, permanenti o transitorie comprese zone di acqua marina la cui profondità, quando c è bassa marea, non superi i sei metri che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di rilevanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar (trattato internazionale del 1971, che traccia il quadro di un azione comune per la conservazione e l uso razionale delle zone umide e delle loro risorse); 5. Altre aree naturali protette, sono aree (oasi delle associazioni ambientaliste, parchi suburbani, ecc.) che non rientrano nelle precedenti classi. Si dividono in aree di gestione pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione privata, istituite con provvedimenti formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti. Sono classificate secondo la loro importanza in nazionali e regionali. Nella citata Legge della Regione Toscana, rientrano in questo gruppo le Aree naturali protette di interesse locale. Dalle direttive europee sopra citate, derivano altre due categorie: 6. Zone di protezione speciale (Zps), designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE, sono costituite da territori idonei per estensione e/o localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli citate nell allegato I della direttiva, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. 7. Zone speciali di conservazione (Zsc), designate ai sensi della direttiva 92/43/CEE, sono costituite da aree naturali, geograficamente definite e con superficie delimitata, che: a) Contengono zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o seminaturali (habitat naturali) e che contribuiscono in modo significativo a conservare, o ripristinare, un tipo di habitat naturale o una specie della flora e della fauna selvatiche di cui all allegato I e II della direttiva, in uno stato soddisfacente a tutelare la diversità biologica mediante la protezione dell ambiente alpino, appenninico e mediterraneo. b) Sono designate dallo Stato mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale e nelle quali siano applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui l area naturale è designata. Zps e Zsc spesso condividono lo stesso territorio (ovvero la stessa area è designata con le due tipologie), così come sono frequentemente comprese, o coincidono, con aree protette già istituite, appartenenti alle categorie precedenti. Le Zsc derivano dai Siti di importanza comunitaria (Sic) riconosciuti dalla Commissione Europea, su istanza presentata dagli Stati membri, e vanno a costituire insieme alle Zps, Natura 2000, una rete ecologica europea diffusa su tutto il territorio dell Unione, con lo scopo di garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. Per completare il quadro, occorre citare infine altre due tipologie di aree protette di categoria internazionale, derivanti dalla qualifica assegnata da parte dell UNESCO, nell ambito di reti di conservazione del patrimonio ambientale mondiale (e non solo ambientale, ma anche storico, monumentale ecc.): Le Riserve della Biosfera, costituite all interno del Programma MAB (Man and Biosphere) dell UNESCO, per la conservazione e la protezione dell ambiente e della biodiversità. La rete mondiale consta di 621 Riserve della Biosfera distribuite in 117 paesi; in Italia le RdB sono 9, di cui 2 in Toscana (vedi paragrafo successivo). I Siti Patrimonio dell Umanità (World Heritage Sites), istituiti dall UNESCO in seguito alla Convenzione sul Patrimonio dell Umanità del 1972 per l'identificazione, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale e naturale considerato di importanza per tutta l'umanità. 49

50 L Italia, con 49 Siti, è il paese con il maggior numero di riconoscimenti: se la maggioranza di essi sono siti di importanza monumentale e storica, non mancano comunque siti di importanza naturalistica (ad esempio il sito delle Dolomiti). Anche queste due categorie si sovrappongono spesso ai territori di Parchi Nazionali e Regionali. 5. Dati statistici sulle Aree protette in Italia Presso il Ministero dell Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare è conservato, ed aggiornato periodicamente, l Elenco ufficiale delle aree naturali protette (EUAP), che riguarda tutte le aree protette ufficialmente riconosciute in Italia. Dall Elenco attualmente in vigore, risalente al 2010, si riportano i dati statistici relativi al numero ed alla superficie delle varie tipologie: 24 Parchi nazionali, per una superficie a terra di ha, ed a mare di ha. In Toscana si trovano 3 Parchi nazionali: 1. Parco nazionale Appennino Tosco Emiliano, compartito con la regione Emilia Romagna (sup. a terra ha) ; 2. Parco nazionale Arcipelago Toscano (sup. a terra ha, a mare ). Nel 2003 è stato riconosciuto dall UNESCO come Riserva della Biosfera ; 3. Parco nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, anch esso compartito con la Regione Emilia Romagna (sup ha). 27 Aree marine protette, per una superficie di ha 134 Parchi naturali regionali, per una superficie, esclusivamente a terra, di ha. In Toscana sono 3 i Parchi naturali regionali: 1. Alpi Apuane (sup ha, istituito tra il 1980 ed il 1985); 2. Maremma -Monti dell Uccellina (sup ha, istituito nel 1975); 3. Migliarino San Rossore Massaciuccoli (sup ha, istituito nel 1979). Nel 2004 il territorio del Parco, insieme ad i centri abitati di Marina di Pisa e di Tirrenia, è stato riconosciuto come Riserva della Biosfera, con il nome di Riserva della Biosfera Selva Pisana. Oltre a queste, la lista riporta per la Toscana altre due aree protette: 4. Parco interprovinciale di Montioni (province di Grosseto e Livorno) 5. Parco provinciale dei Monti Livornesi 147 Riserve naturali statali, per una superficie totale a Terra di ha. In Toscana si hanno 30 RNS, di cui 4 in provincia di Pistoia: 1. RNS Abetone (Riserva biogenetica; 584 ha) 2. RNS Acquerino (Riserva biogenetica; 243 ha) 3. RNS Pian degli Ontani (Riserva biogenetica; 590 ha) 4. RNS Campolino (Riserva naturale orientata e biogenetica; 98 ha) 365 Riserve naturali regionali, con una superficie a Terra di ha, ed a mare di ha. In Toscana si hanno 30 RNR, di cui 1 in provincia di Pistoia, ed 1 confinante: 1. RN Padule di Fucecchio (Riserva naturale provinciale; sup. 207 ha) 2. RN Acquerino Cantagallo (Riserva naturale provinciale in provincia di Prato; sup ha) 171 Altre aree naturali protette regionali, per una superficie a Terra di ha, ed a Mare di 18,4 ha. 20 di esse si trovano in Toscana. 50

51 6. Le Aree Naturali Protette nel dettaglio Pinus leucodermis nel Parco Nazionale del Pollino 6.1 Parchi Nazionali I Parchi nazionali sono le strutture protettive di maggiore importanza, superficie e complessità. Il territorio dei Parchi si estende generalmente su vaste superfici (anche alcune decine di migliaia di ettari), e si presenta articolato in aree naturali (boschi, praterie, laghi, corsi d acqua), in terreni destinati all agricoltura, in centri abitati, insediamenti abitativi e produttivi, ed è corredato da una serie di infrastrutture di vario tipo (strade e viabilità in genere, elettrodotti, bacini artificiali, impianti a fune, ecc.). Il tutto è completato dalle strutture originate in seguito alla costituzione del Parco stesso, quali i Centri visitatori, i punti informativi, la cartellonistica esplicativa, le aree sosta attrezzate, i percorsi naturalistici ed i sentieri segnalati, ed altro ancora. La comunità umana che vive nel Parco, con le sue attività produttive, ne rappresenta una parte integrante e fondamentale. L istituzione dei Parchi nazionali avviene individualmente per legge, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell Ambiente, e sentito il parere delle Regioni interessate. La gestione di ogni singolo Parco Nazionale è affidata all Ente Parco, un organismo con personalità di diritto pubblico istituito con apposito provvedimento legislativo, e sottoposto alla vigilanza del Ministro dell Ambiente. Organi dell Ente Parco sono: Il Presidente, nominato dal Ministro dell Ambiente, che ha la rappresentanza legale dell Ente e ne coordina le attività; il Consiglio direttivo, composto dal Presidente e da dodici membri. Il Consiglio delibera in merito a tutte le questioni generali, ed in particolare sui bilanci, sui regolamenti, sulla proposta di piano per il parco; esprime parere vincolante sul piano pluriennale economico e sociale, ed elabora lo statuto dell'ente parco; il Collegio dei revisori dei conti, composto da tre membri, esercita il riscontro contabile sugli atti dell'ente parco secondo le norme di contabilità dello Stato e sulla base dei regolamenti di contabilità dell'ente parco; il Direttore del Parco, responsabile della progettazione, esecuzione e supervisione degli interventi e delle azioni programmate. 51

52 Gli organi durano in carica per cinque anni ed il mandato può essere prorogato una sola volta. L Ente Parco ha sede amministrativa e legale nel territorio del Parco; per l espletamento delle sue funzioni può assumere personale tecnico, amministrativo, manodopera ed addetti alla sorveglianza (i guardia parco). All Ente Parco si affianca la Comunità del Parco, costituita dai presidenti delle regioni e delle province, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane nei cui territori sono ricomprese le aree del parco, che svolge funzioni consultive e propositive. Alla sorveglianza del territorio è preposto il Corpo Forestale dello Stato. I Parchi nazionali sono sottoposti ad un regime speciale di tutela e gestione, la cui finalità non si esaurisce con gli interventi di protezione, conservazione e miglioramento delle emergenze naturalistiche per cui è stato istituito, ma comprendono anche: L integrazione tra uomo ed ambiente naturale, mediante la gestione ecologicamente sostenibile dei processi di sviluppo economico e sociale delle popolazioni del parco, salvaguardando altresì i valori culturali e le tradizionali attività di tipo agro-silvo-pastorale. La promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica. Le attività di ricerca sono condotte in proprio, con l ausilio di consulenti esterni, od in collaborazione con Università ed Enti di Ricerca. L attività educativa si svolge attraverso gli spazi museali e documentali dei centri visitatori, le visite guidate all interno del Parco, l allestimento di percorsi didattici, le proprie pubblicazioni. La promozione di attività ricreative compatibili con la salvaguardia dell ambiente. La difesa e la ricostituzione degli assetti idro-geologici del territorio. Gli strumenti fondamentali per la realizzazione di queste finalità sono: Il Regolamento del Parco, che disciplina le attività consentite entro il territorio del Parco, per quanto riguarda le modalità di costruzione di opere e manufatti, lo svolgimento delle attività artigianali, commerciali, di servizio ed agro-silvo-pastorali, la circolazione dei mezzi di trasporto, l'accessibilità per disabili, portatori di handicap e anziani, i limiti delle emissioni sonore e luminose. Fatte salve eventuali deroghe motivate, sono tra le altre cose vietate la caccia e la pesca, la raccolta (eccetto nei territori dove sono consentite le attività agro-silvo-pastorali) ed il danneggiamento delle specie vegetali, l introduzione di specie vegetali ed animali estranee, l apertura e l esercizio di cave, miniere e discariche, l uso di fuochi all aperto. Il Piano per il Parco, che suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, in una zonizzazione che prevede: 1. Riserve integrali, nelle quali l ambiente naturale è conservato nella sua integrità, ovvero senza intervento alcuno da parte dell uomo; 2. Riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'ente Parco. 3. Aree di protezione, nelle quali possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. 4. Aree di sviluppo, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali, oltre al miglior godimento del parco da parte dei visitatori. Nel Piano sono anche indicati gli indirizzi ed i criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull ambiente naturale, oltre alle attrezzature ed ai servizi necessari per la gestione dei musei, centri visite, uffici informativi, aree di campeggio ed attività agri-turistiche. Il Piano viene aggiornato con cadenza decennale. 52

53 Il Piano pluriennale economico e sociale, elaborato dalla comunità del Parco, atto a promuovere lo sviluppo delle comunità residenti e limitrofe. Esso può prevedere in particolare: la concessione di sovvenzioni a privati ed enti locali; la predisposizione di attrezzature, impianti di depurazione e per il risparmio energetico, servizi ed impianti di carattere turistico-naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di atti di concessione alla stregua di specifiche convenzioni, l'agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, di attività tradizionali artigianali, agro silvo-pastorali, culturali, servizi sociali e biblioteche, restauro, anche di beni naturali, e ogni altra iniziativa atta a favorire, nel rispetto delle esigenze di conservazione del parco, lo sviluppo del turismo e delle attività locali connesse. Il finanziamento dei Parchi nazionali avviene principalmente attraverso l erogazione di contributi da parte dello Stato, delle regioni e di altri Enti. Il budget a disposizione di un Parco viene impiegato (dati medi) per il 50% nella tutela e riqualificazione ambientale, nell affitto di terreni, negli indennizzi per i danni provocati dagli animali protetti, nei ripopolamenti faunistici, nelle piantagioni forestali, ecc. Il 30% delle spese è assorbito dal personale, dal finanziamento dell Ente Parco, dalla manutenzione degli immobili. Il 10% va alla ricerca scientifica ed alle pubblicazioni; un altro 10%, infine, viene destinato alla organizzazione di visite guidate, alla propaganda turistica, al funzionamento dei centri di informazione La gestione delle risorse agro-silvo -pastorali Fermo restando che nelle aree designate come riserva integrale non è consentito intervento alcuno, vengono di seguito delineati i principali lineamenti guida per la gestione dei boschi e delle attività agrozootecniche all interno di un Parco. Boschi. La gestione del patrimonio forestale di un Parco dovrebbe essere accuratamente programmata attraverso il Piano di Assestamento Forestale, uno strumento che sulla base di un attento studio delle condizioni stazionali e vegetazionali, e delle funzioni specifiche dei vari tipi di bosco, prescrive gli interventi da eseguire annualmente su superfici omogenee. Per ragioni di organicità, il Piano dovrebbe interessare la totalità dei boschi, sia quelli di proprietà pubblica, che quelli dei privati. Nelle aree di riserva orientata, e nella aree di protezione, la gestione forestale segue criteri conservativi, orientati ad assecondare la naturale evoluzione del bosco, già in corso o che può essere prevista. Nelle aree di sviluppo, il criterio è produttivo, anche se l entità dei tagli è prudenzialmente mantenuta al di sotto delle potenzialità stazionali. Le eventuali piantagioni saranno ovviamente fatte con impiego di specie autoctone (e preferibilmente con materiale proveniente da seme locale), privilegiando l impianto di boschi plurispecifici. Un attenzione particolare va posta nella salvaguardia dei valori estetici del bosco. A tal fine si dovrebbero recintare (e segnalare!) eventuali alberi monumentali, o gruppi di alberi vetusti, risparmiare dal taglio gli esemplari più vecchi presenti nei boschi, e mantenere adeguate fasce alberate ai lati di strade e sentieri. Nei Parchi situati in zone caldo aride, occorre approntare una serie di misure preventive per la protezione dagli incendi, ed allestire un valido sistema di avvistamento e pronto intervento per il loro spegnimento. Tra le misure preventive, la chiusura al transito delle aree sensibili, il divieto di accensione di fuochi all aperto, l apertura di fasce parafuoco. (Nei Parchi degli Stati Uniti si ricorre a fuochi controllati che eliminando il sottobosco, diminuiscono il materiale infiammabile e quindi il pericolo di incendi). Attività agricole e zootecniche. In un ottica di razionale integrazione tra uomo ed ambiente, e dell auspicata eliminazione di contaminanti dell aria del suolo e delle acque, propria delle finalità di un Parco, il sistema agricolo dovrebbe puntare con decisione all adozione di metodi di produzione eco compatibili, quali il biologico ed il biodinamico, che consentono anche l ottenimento di prodotti di alta qualità. Sono ovviamente da favorire le produzioni tradizionali della zona, comprese, laddove consentito, la raccolta e la trasformazione dei prodotti spontanei del sottobosco. Le produzioni realizzate all interno del Parco si possono fregiare della sua denominazione e del suo logo, fatto che conferisce loro un maggiore valore aggiunto. 53

54 Yosemite National Park, USA 6.2 Parchi Naturali Regionali I Parchi Naturali Regionali possono anche essere compresi nel territorio di più regioni, nel qual caso assumono la denominazione di Parchi interregionali. I PNR mantengono lo stesso impianto dei Parchi Nazionali per quanto interessa le caratteristiche del territorio, l Ente Parco ed i suoi organi, la zonizzazione ed i divieti, i regolamenti ed i Piani di sviluppo. Le principali differenze riguardano: La minore importanza riconosciuta alle specie od agli ecosistemi messi sotto protezione (da intendersi in senso relativo, ovvero rispetto alle corrispondenti categorie dei Parchi nazionali). L atto istitutivo, che in questo caso consiste in una apposita Legge regionale (così come con Legge regionale vengono istituiti i relativi Enti Parco). L 0rgano istituzionale di riferimento per il controllo e la vigilanza sugli atti ed attività dell Ente Parco, che è la Giunta Regionale. 6.3 Riserve Naturali Statali e Regionali Le Riserve Naturali, siano esse di attribuzione statale o regionale, si caratterizzano rispetto ai Parchi per la limitata estensione (talora identificabile persino con un singolo biotopo, o con un particolare fenomeno od entità naturale) e per la omogeneità del territorio, dove di fatto sono spesso escluse la presenza e le attività umane, pur essendo possibile la presenza di manufatti vari. Le Riserve Naturali statali sono istituite con decreto del Ministro dell Ambiente. Il decreto, oltre a determinare i confini della riserva ed il relativo organismo di gestione, ne precisa le caratteristiche principali, le finalità istitutive ed i vincoli principali, stabilendo altresì indicazioni e criteri specifici cui devono conformarsi il Piano di Gestione della Riserva ed il Regolamento. Della gestione delle RNS in conformità con il relativo piano di gestione è incaricato nella maggioranza dei casi il Corpo Forestale dello Stato; un limitato numero di Riserve è affidata poi al WWF, ad Università od a Comuni o loro consorzi. Alcune RNS sono comprese all interno del territorio di Parchi nazionali. Esistono diverse tipologie di RNS, tra le quali si ricordano: Riserve Naturali Integrali, in cui è vietato l accesso ai visitatori, e dove l ecosistema è lasciato alla sua evoluzione naturale, anche con la finalità di rappresentare un modello per la gestione naturalistica delle aree circostanti. 54

55 Riserve Naturali Orientate, in cui sono ammessi interventi da parte dell uomo finalizzati ad orientare l ecosistema verso un determinato modello colturale. Riserve Naturali Biogenetiche, istituite per conservare particolari caratteristiche genetiche delle specie che vivono al loro interno, anche per riprodurle e riutilizzarle (ad esempio boschi da seme). Riserve Naturali di Popolamento Animale, che proteggono l ambiente vitale di determinate specie animali. Restringendo l ambito alla sola Regione Toscana, l istituzione e la gestione delle Riserve Naturali regionali è di competenza delle province, tanto che nella nostra regione vengono denominate come Riserve Naturali Provinciali. L esercizio delle attività consentite entro il territorio delle Riserve è disciplinato da un apposito regolamento, ed è prevista anche in questo caso l adozione e l esecuzione di un Piano di sviluppo economico e sociale. 6.4 Altre tipologie di Aree Protette della Regione Toscana Oltre a quanto indicato nei paragrafi anteriori, sul territorio della Toscana esistono altre tipologie di aree protette, previste dalla L.R. 49/95. Esse sono: Parchi provinciali. Sono compresi nella categoria dei Parchi (anche l EUAP li considera tali), insieme ai Parchi regionali propriamente detti. Le due tipologie di Parco sono differenziate in base alla rilevanza delle emergenze naturalistiche ed ambientali, alla loro estensione e continuità territoriale, al grado di complessità delle azioni di tutela da realizzare, ed all entità delle risorse necessarie per il loro funzionamento. Come per le Riserve naturali provinciali, l istituzione e la gestione dei Parchi provinciali è demandata alle Provincie, mentre gli strumenti operativi sono gli stessi previsti per i Parchi (Regolamento, Piano del Parco, Piano di sviluppo). Il Piano del Parco provinciale ha valore di piano paesaggistico e di piano urbanistico per i territori interessati. Aree naturali protette di interesse locale. Sono quelle inserite in ambiti territoriali intensamente antropizzati, che necessitano di azioni di conservazione, restauro o ricostituzione delle originarie caratteristiche ambientali e che possono essere oggetto di progetti di sviluppo ecocompatibile. L istituzione e la gestione di queste aree è delegata ai Comuni od alle Comunità Montane, che hanno anche il compito di indicarne le modalità di gestione e di finanziamento. Siti web dei Parchi in Toscana: Parco nazionale Appennino Tosco Emiliano : Parco nazionale Arcipelago Toscano : Parco nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna : Parco naturale regionale Alpi Apuane : Parco naturale regionale Maremma -Monti dell Uccellina : Parco naturale regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli : Riferimenti normativi: Legge N. 394 del 6 dicembre 1991, Legge quadro sulle aree protette : Legge regionale Regione Toscana N. 49 dell 11 aprile 1995 : ana:legge: ;49 55

56 PARTE TERZA ELEMENTI di CARTOGRAFIA Figura 1. Carta Topografica con i confini dell IPSAA de Franceschi La Cartografia si occupa della rappresentazione della superficie terrestre su di una superficie piana di dimensioni ridotte. E una disciplina molto antica, in cui i cartografi italiani hanno sempre svolto un ruolo di primo piano. Le varie Carte (geografiche, topografiche, catastali) hanno una enorme applicazione pratica in moltissimi ambiti. Nel settore forestale sono un importante supporto nella progettazione (rimboschimenti, sistemazioni idraulico-forestali, viabilità ed infrastrutture, esbosco con teleferiche), nella pianificazione (piani di assestamento forestale, piani colturali, piani di gestione e di zonizzazione di Aree Protette) e nella ricerca (studi vegetazionali e studi fitosanitari, inventari forestali). 1. CARATTERISTICHE GENERALI delle RAPPRESENTAZIONI CARTOGRAFICHE Il supporto su cui viene rappresentata la superficie terrestre può essere di due tipi: Cartaceo, ovvero su fogli di carta o materiale affine, di dimensioni tali da potere essere facilmente trasportato e consultato (100cm x 80cm o simili), che corrisponde alle classiche carte (geografiche, topografiche ecc.) Digitale, visualizzabile sul monitor di un computer e consultabile, modificabile ed interrogabile con appositi software GIS (Geographic Information System), che corrisponde alla tecnica più moderna. Le rappresentazioni cartografiche rispetto alla superficie terrestre sono sempre: Ridotte, ovvero rappresentano la Terra con dimensioni notevolmente minori. Il fattore di riduzione di una carta rispetto alle reali superfici terrestri viene indicato dalla scala. La scala di una carta è definita da due numeri, separati da due puntini (ad esempio scala 1 : 10.ooo, che si 56

57 legge scala uno a diecimila). Il secondo numero ci indica di quante volte è più piccola la rappresentazione della carta rispetto alla superficie terrestre. Simboliche, ovvero le caratteristiche morfologiche ed i manufatti dell uomo presenti sulla superficie sono rappresentati con dei simboli grafici od alfanumerici. I simboli utilizzati, che dovrebbero essere standardizzati a livello mondiale ma che di fatto non lo sono, sono comunque interpretabili nella Legenda, un riquadro presente su ogni carta dove oltre alla spiegazione dei simboli utilizzati sono indicate altre importanti caratteristiche della carta. Approssimate. La trasformazione di una superficie curva quale quella terrestre (e non uniforme, per la presenza dei rilievi) in una superficie piana, comporta inevitabilmente delle deformazioni e quindi degli errori non eliminabili. Quando la superficie rappresentata è poco estesa tali errori divengono trascurabili. In base alla scala, le Carte possono essere così suddivise: Planisferi, che rappresentano tutta la superficie terrestre. Carte geografiche, con scala fino 1 : , che rappresentano grandi porzioni della superficie terrestre. Carte corografiche, con scala compresa tra 1 : ed 1 : Carte topografiche, con scala compresa tra 1 : ed 1 : (oggi in alcune zone d Italia anche a scala 1 : 2.000). Le carte topografiche, in particolare quelle di grande e media scala, sono le carte più utilizzate in ambito agricolo, forestale, ambientale e territoriale. Le carte topografiche riportano anche, a differenza di tutte le altre tipologie, e con metodologia che vedremo in seguito, la rappresentazione dei rilievi. Mappe catastali. In scala compresa tra 1 : ed 1 : 500, sono le carte utilizzate dai tecnici che svolgono pratiche catastali (compravendite, frazionamenti, ecc.) Con l aumentare della scala, aumenta la precisione della carta e la quantità di dettagli visualizzabili. La cartografia digitale permette invece di ridurre od ampliare la scala a piacimento, fermo restando che la quantità di dettagli rimarrà comunque quella propria della scala della carta installata. Sempre a proposito della scala, si parla di: Grande scala per scale di 1 : 500; 1 : 1.000; 1 : Media scala per scale di 1 : ed 1 : Piccola scala per scale minori di 1 : Un importante tipologia di carte derivate dalle carte topografiche è quella delle carte tematiche. Esse sono carte che rappresentano su di una base topografica la localizzazione od i confini di una determinata caratteristica cartografabile. Esempio di carte tematiche importanti da un punto di vista ambientale ed agro forestale sono: le Carte Geologiche, che riportano i confini delle formazioni rocciose del sottosuolo, oltre all inclinazione degli strati, alle faglie ed altre informazioni geologiche; le Carte Forestali, che riportano i confini dei vari tipi di bosco, suddiviso in base al tipo di specie e/o alle forme di governo e trattamento, o di altri parametri, a seconda delle necessità; le Carte di Uso del Suolo (Land Use), che suddividono il territorio a seconda della sua utilizzazione (centri urbani, foreste, aree agricole, aree improduttive). Le varie categorie individuate e cartografate nelle carte tematiche vengono evidenziate con colori o simboli diversi, opportunamente spiegati nelle annesse Legende. 57

58 Figura 2. Carta geologica d Italia. Foglio 96 Massa. Scala originaria I SISTEMI CARTOGRAFICI: UTM e GAUSS-BOAGA Un Sistema Cartografico rappresenta il procedimento impiegato per la realizzazione di una determinata cartografia relativa ad una certa area. Esso si compone di diversi elementi, tra i più importanti dei quali vi sono il datum, il tipo di proiezione cartografica, il sistema di riferimento delle coordinate, le correzioni geometriche o matematiche applicate. Nel mondo vengono utilizzati moltissimi Sistemi Cartografici, distinti in base agli elementi sopra citati. Il Datum rappresenta il modello matematico utilizzato per descrivere la superficie terrestre (che come è risaputo non è sferica, ma è assimilata ad un ellissoide di rotazione). Le diverse nazioni utilizzano nella loro cartografia datum diversi, con la conseguenza che uno stesso punto della superficie terrestre ha Coordinate Geografiche differenti nei diversi sistemi. La conoscenza del datum con cui si opera ha importanza pratica quando si utilizza la cartografia digitale. Nella cartografia italiana, si sono nel tempo utilizzati tre datum: 1. Monte Mario o Roma40, utilizzato solo in Italia. 2. European Datum 1950, o semplicemente ED50, utilizzato in tutta Europa. 3. World Geodetic System 1984, o semplicemente WGS84, che si è reso necessario con l avvento dei sistemi di localizzazione GPS, i quali lavorano appunto con questo datum. E adottato in tutto il mondo. La realizzazione della cartografia relativa ad una determinata area geografica avviene in pratica proiettando la superficie terrestre su di un'altra superficie. La proiezione può avvenire con diverse modalità; il Tipo di Proiezione Cartografica identifica: il tipo di superficie utilizzato per la proiezione (che può essere piana, conica o cilindrica; le ultime due vengono poi sviluppate su di una superficie piana); 58

59 l orientamento della superficie di proiezione rispetto alla superficie terrestre (che può essere diretta, trasversa od obliqua); la posizione della superficie di proiezione rispetto alla superficie terrestre (tangente o secante); la posizione rispetto al globo terrestre dell ipotetica sorgente luminosa che origina la proiezione (punto di vista); il metodo geometrico o matematico impiegato per la costruzione della proiezione. Ad ogni tipo di proiezione, corrisponde una diversa rappresentazione della superficie terrestre. La cartografia italiana utilizza un tipo di proiezione cilindrica trasversa (ovvero il cilindro di proiezione è posto con il suo asse maggiore perpendicolare all asse terrestre, vedi figura 3), nota come Proiezione Trasversa di Mercatore, o come Proiezione di Gauss. Figura 3. Proiezione cartografica cilindrica trasversa La proiezione di Mercatore-Gauss, ha anche le seguenti caratteristiche: il cilindro è leggermente secante la superficie terrestre, in modo da ridurre la deformazione lineare; è conforme, ovvero la proiezione mantiene inalterati gli angoli originali (isogonia), mantenendosi così inalterate anche le forme; i rapporti tra le superfici risultano invece modificati; meridiani a paralleli si incontrano sulla proiezione ad angolo retto. Mentre per identificare un punto sulla superficie terrestre si fa ricorso ad un sistema di Coordinate Geografiche, espresse in gradi e frazioni di grado (Longitudine e Latitudine), nelle Carte si utilizza un sistema di Coordinate Piane, la Coordinata Est e la Coordinate Nord, ambedue espresse in metri. Il Sistema di Riferimento è il sistema di assi cartesiani a cui sono riferite le coordinate di un qualunque punto. In Italia sono attualmente in uso due Sistemi Cartografici: il Sistema UTM, ed il Sistema Gauss-Boaga (ce ne sarebbe anche un terzo, il Sistema Cassini-Soldner, utilizzato nel Nuovo Catasto Terreni, ma non ce ne occuperemo). 2.1 Il Sistema UTM Il Sistema UTM (Universal Transverse Mercator) è impiegato a livello mondiale; in Italia interessa la cartografia più recente. Si basa sulla proiezione di Gauss e sul datum ED50. Inoltre: La superficie terrestre viene divisa in spicchi uguali chiamati fusi, orientati nel senso dei meridiani. Per ogni fuso si esegue una proiezione cartografica autonoma; per mantenere le deformazioni entro limiti accettabili, ogni fuso ha un ampiezza di 6. Il cilindro di proiezione risulta praticamente tangente al meridiano centrale del fuso. La superficie terrestre risulta quindi suddivisa in 60 fusi, numerati progressivamente da ovest verso est, a partire 59

60 dall antimeridiano di Greenwich (il meridiano 180). Ad esempio il fuso 1 va dal meridiano 180 ovest fino al meridiano 174 ovest; il meridiano centrale è il 177 ovest. I fusi hanno larghezza massima in corrispondenza dell equatore, e si restringono progressivamente proseguendo verso i Poli. Ogni fuso in senso della latidune va da 80 sud fino ad 80 nord, restando escluse le zone polari. Il territorio dell Italia risulta compreso nei fusi n 32, 33 e 34. Figura 4. Fusi del Sistema UTM Il sistema di riferimento delle coordinate piane prende come origine delle ascisse (coordinata est) il meridiano centrale del fuso a cui viene attribuito valore convenzionale 500 km, per evitare valori negativi di ascissa (quindi l ascissa aumenta progressivamente ad est del fuso centrale, e diminuisce progressivamente ad ovest). L ordinata (coordinata nord) ha invece come origine l equatore, e cresce progressivamente verso Nord e verso Sud. Nell uso pratico delle carte topografiche, quando si opera sul territorio italiano per definire univocamente le coordinate di un punto, occorre semplicemente premettere ai valori numerici il numero del fuso UTM in cui ci troviamo. Nel caso invece che l UTM sia utilizzato per definire le coordinate di un qualsiasi punto della superficie terrestre, il sistema impiega ulteriori suddivisioni dei fusi, che qui non analizzeremo. 2.2 Il Sistema Gauss-Boaga Il Sistema Gauss-Boaga è stato adottato solo in Italia, ed impiegato per la realizzazione della vecchia cartografia italiana. Nonostante sia obsoleto è ancora utilizzato, ad esempio nella cartografia elaborata dalla Regione Toscana. E molto simile al Sistema UTM, ma fornisce per lo stesso punto valori di coordinate diverse (perché utilizza sia un diverso datum che un diverso sistema di riferimento). Si basa sul datum Roma40 e sulla proiezione di Gauss. Inoltre: La superficie del territorio italiano viene compresa in due fusi (orientati lungo i meridiani come nell UTM). I due fusi sono separati da un meridiano centrale, che passa per Monte Mario (una località vicina a Roma), che ha longitudine rispetto al meridiano 0 (quello di Greenwich) di Il fuso ad ovest di Monte Mario, chiamato Fuso Ovest ha ampiezza di circa 6 ; il Fuso Est, per permettere la copertura di tutto il territorio, ha ampiezza di circa I due fusi sono sovrapposto di circa 30 per facilitare il passaggio tra essi. Il Fuso Ovest si estende quindi da 6 ad est di Greenwich fino a (con meridiano centrale a 9 ); il Fuso Est, da fino a (con meridiano centrale a 15 ). La coordinata Nord mantiene la stessa origine dell UTM (ovvero l equatore, anche se ha valore diverso per il diverso datum utilizzato). La coordinata Est prende come riferimento il meridiano centrale dei due fusi, a cui vengono attribuiti i valori convenzionali di km per il fuso Ovest, e km per il fuso Est. 60

61 Nel Gauss-Boaga i soli valori numerici sono sufficienti per definire le coordinate di un punto. Figura 5. Il Sistema Gauss-Boaga 3. PRINCIPALI ELEMENTI DI UNA CARTA TOPOGRAFICA Una carta topografica ha forma rettangolare, ed è costituita da un riquadro, che racchiude la rappresentazione cartografica vera e propria, e da uno spazio esterno al riquadro, che contiene la Legenda e tutta una serie di altre informazioni. Figura 6. Foglio della serie 25 della Carta d Italia IGM Nuova Serie 61

62 Oltre alla scala, in una carta topografica ci sono diversi elementi che è necessario conoscere per poterla leggere ed utilizzare: Serie di appartenenza. Ogni carta fa parte insieme ad altre di una serie elaborata da un certo Ente per rappresentare un determinato territorio ad una certa scala. Ad esempio si ha la Carta d Italia IGM serie 50, elaborata dall IGM (Istituto Geografico Militare) per tutto il territorio italiano, in scala 1: Questa serie è composta da 652 carte topografiche. Identificazione. Una carta è identificata dalla serie di appartenenza, da un numero progressivo tipico della serie, e da un nome (generalmente quello del centro abitato più importante). Ad esempio si ha la Carta d Italia IGM serie 50, foglio 262 (Pistoia). Quadro di unione. Riporta i confini del territorio rappresentato dalla serie ed i suoi limiti amministrativi con sovrapposti i riquadri occupati dalle singole carte, di cui è indicato il relativo numero e nome. Il Quadro di Unione permette una facile identificazione della carta che rappresenta una zona di nostro interesse. Figura 7. Estratto dal Quadro d Unione Carta d Italia IGM serie 25 Oggetti del territorio rappresentati. Tra gli elementi del territorio rappresentati da una carta topografica si hanno: - Idrografia. Comprende i corpi d acqua, siano essi fiumi, laghi, sorgenti, rappresentati rispettivamente da linee, superfici e punti di colore azzurro - celeste. - Orografia. Corrisponde alla forma che assume la superficie terrestre per la presenza di monti, valli, crinali, pianure. Essa viene rappresentata per mezzo delle curve di livello (vedi paragrafo successivo). - Fabbricati. I fabbricati, singoli e dei centri urbani, vengono rappresentati dal loro perimetro con diverso tipo di riempitura dello spazio interno (campitura) a seconda della destinazione dell edificio. - Vie di comunicazione. Con simbologia di tipo lineare variabile a seconda della categoria vengono indicate le strade (distinte in autostrade, strade di grande comunicazione, strade secondarie, strade sterrate), le mulattiere ed i sentieri (secondo la scala), le ferrovie, gli impianti a fune, ecc. - Vegetazione. Le categorie cartografate con propri simboli si limitano generalmente a due: bosco ed aree coltivate. - Limiti amministrativi. Riguardano i confini di stato, di regione, di provincia e di comune. 62

63 - Toponomastica. Sono riportati i nomi dei centri abitati, di singole case e luoghi, di monti, fiumi e torrenti. - Quote altimetriche. Sono indicati i valori dell altitudine sopra il livello medio del mare di punti caratteristici: centri abitati, singole case, cime di montagne, incroci di strade, incroci di fiumi e di fiumi con strade, ecc. Nell ambito dei punti precedenti, ogni categoria è contraddistinta da un proprio simbolo, interpretabile nella Legenda che accompagna la carta. Nel caso di carte tematiche, nella Legenda si trovano anche i simboli utilizzati per cartografare le varie categorie individuate. Curve di Livello. Le curve di livello sono linee continue che uniscono punti della superficie terrestre che hanno uguale quota altimetrica (sempre riferita al livello medio del mare). Le curve di livello disegnate effettivamente su di una carta topografica hanno tra loro una differenza di quota costante, il cui valore prende il nome di equidistanza, e che dipende dalla scala utilizzata. Carte in scala 1: hanno in genere equidistanza di 10 metri (ovvero si hanno le curve di livello 10m, 20m, 30m, e così via), quelle in scala 1: hanno equidistanza 25 metri (ovvero hanno le curve di livello 25m, 50m, 75m e così via). L equidistanza di una carta è sempre indicata nello spazio esterno al riquadro. Le quote altimetriche sono indicate sulle curve in numero sufficiente a poter estrapolare il valore di una qualunque curva. Figura 8. Curve di livello. CTR della Toscana, scala originaria 1: Le curve di livello sono la modalità escogitata dai cartografi per rappresentare l andamento del rilievo della superficie terrestre. Ovviamente trattandosi della rappresentazione bidimensionale di un fenomeno tridimensionale, tale rappresentazione va opportunamente letta. Ciò comporta una discreta fantasia ed un po di esperienza. Sapere leggere il rilievo dalle curve di livello è importante sia per l orientamento in campagna che per lo studio in ufficio di importanti caratteristiche del territorio (suscettibilità all erosione, estensione dei bacini idrografici ecc.). In campagna la quota altimetrica reale può essere stabilita con l uso di uno strumento chiamato Altimetro. L altimetro indica l altitudine misurando la pressione (la pressione diminuisce proporzionalmente all aumento di altitudine). 63

64 Figura 9. Curve di Livello e morfologia reale Orientamento della carta. La direzione nord sud di una carta topografica può essere facilmente dedotta in quanto essa risulta perpendicolare alla direzione in cui è scritta la toponomastica. Tenendo la carta davanti nel verso normale, quello che permette la lettura delle scritte, il nord rimane dal lato più lontano rispetto a chi legge, il sud da quello più vicino. Coordinate. Sui vertici del riquadro che contiene la carta sono riportate le coordinate geografiche riferite al sistema utilizzato dalla carta. Lungo il riquadro sono invece indicate ad intervalli di 1 km le coordinate piane, sempre riferite al sistema utilizzato dalla carta. Le coordinate omologhe dai due lati del riquadro sono unite da linee che nel loro insieme costituiscono una griglia (chiamata inquadramento), molto utile per l individuazione dei punti ed il calcolo delle loro coordinate. 4. SEMPLICI OPERAZIONI CON LE CARTE TOPOGRAFICHE Premesso che per le elaborazioni in ufficio dei dati cartografici si utilizzano software GIS (vedi par. 6), molto rapidi e precisi, si presentano di seguito alcune semplici calcoli, che talora è necessario svolgere in campagna: Calcolo della distanza tra due punti A e B (esempio 1). Per calcolare la distanza topografica tra due punti sulla superficie terrestre (che, si ricorda, corrisponde non alla loro distanza reale, ma alla proiezione di questa sul piano orizzontale), occorre: 1. Misurare la distanza dei due punti corrispondenti sulla carta topografica (nel caso si dovesse misurare la lunghezza di una strada o di elementi curvilinei, si ricorre ad un curvimetro). 2. Moltiplicare detta distanza per la scala. Il valore ottenuto è espresso nella stessa unità di misura utilizzata nella misurazione sulla carta (mm o cm) 3. Trasformare il valore ottenuto in metri (o km). Calcolo della pendenza del terreno tra due punti A e B (esempio 2). La pendenza tra due punti è espressa dal rapporto tra il dislivello che c è tra i due punti (ovvero dalla differenza di quota altimetrica) e la loro distanza topografica (e se vogliamo esprimere la pendenza in percentuale, occorre moltiplicare per 100 il valore ottenuto). Quindi: 64

65 1. Si misura il dislivello, leggendo le quote di A e B sulle curve di livello; 2. si misura la distanza A B come in esempio 1, trasformando il valore in metri; 3. si divide il dislivello per la distanza, e si moltiplica per 100. Esempio 1 Scala della carta: 1: Distanza sulla carta: 14 mm Distanza topografica sul terreno: 14 mm x = mm = 140 m Esempio 2 Quota A: 870 mslm Quota B: 850 mslm Scala della carta: 1: Distanza sulla carta: 14 mm Dislivello: 870 m 850m = 20 m Distanza topografica sul terreno: 14 mm x = mm = 140 m Pendenza: (20m / 140m) x 100 = 14,3 % Stima di una superficie. Per la misura in campagna di una superficie su una carta topografica non esistono metodi sufficientemente precisi. Per una stima abbastanza attendibile, si può utilizzare la sovrapposizione di un foglio di carta millimetrata trasparente (ammesso di riuscire ancora a trovarlo in commercio!), ed il conteggio dei quadratini (ognuno dei quali rappresenta una superficie sul terreno che dipende dalla scala della carta). 5. LA CARTOGRAFIA ITALIANA La produzione delle carte topografiche terrestri relative al territorio italiano è per legge (la n. 68 del 2 febbraio 1960) affidata all Istituto Geografico Militare (IGM). 9 Ci sono inoltre altri produttori di cartografia (ACI, Touring Club, Istituto Geografico de Agostini, Enti Parco) tra cui, particolarmente importanti, le Regioni. 5.1 Le Carte Topografiche IGM L Istituto Geografico Militare è stato creato nel 1872, con il nome di Istituto Topografico Militare (ed assunse l attuale denominazione nel 1882); ha sede a Firenze, in Via Cesare Battisti. Presso il punto vendita dell Istituto, in viale Strozzi 10, può essere acquistato il materiale prodotto, in parte reperibile anche on line (sul sito dell Istituto, all indirizzo dove si possono anche scaricare i quadri di unione delle varie serie). 9 La stessa Legge affida all Istituto Geografico della Marina la produzione delle carte marine, alla Sezione fotocartografica dello Stato Maggiore dell Aeronautica le carte aeree, al Servizio Geologico la cartografia geologica, ed all Amministrazione del Catasto l elaborazione di carte per fini fiscali. 65

66 Le carte topografiche IGM più recenti sono quelle della Carta d Italia nuova serie, basata ed inquadrata sul sistema ED50 (ma in corso di trasformazione al WGS84), che risulta composta da: Fogli (serie 50, copertina arancione). In scala 1: Ciascun foglio ha un ampiezza di 20 in longitudine e 12 in latitudine, coprendo una superficie di circa 600 km². In totale si hanno 652 fogli, numerati progressivamente da nord a sud e da ovest ad est. Sezioni (serie 25, copertina azzurra). In scala 1: Ottenute dalla suddivisione dei precedenti Fogli (ogni foglio ne contiene 4) le Sezioni hanno ampiezza di 10 in longitudine e 6 in latitudine, coprendo una superficie di circa 150 km². In totale si compone di elementi, contrassegnati dal numero del foglio di appartenenza e da un numero romano da I a IV, partendo dalla sezione in alto a destra (vedi Figura 7). Figura 10. Loghi della nuova serie 5 e 25 dell IGM Figura 11. Particolare di Sezione della Carta d Italia serie 25 Sebbene non più in commercio, si trovano spesso presso Enti ed Uffici elementi della Carta d Italia vecchia serie, basata sul datum Roma40, e con coordinate piane Gauss-Boaga. Essa era organizzata in Fogli (scala 1: ), Quadranti (scala 1:50.000) e Tavolette (scala 1:25.000), con un taglio diverso (= diversa ampiezza) rispetto alla nuova serie. Presso l IGM è reperibile anche altro materiale utile per lo studio del territorio, quali ad esempio le fotografie aree in bianco e nero, a colori ed all infrarosso. 66

67 5.2 Le Carte Topografiche della regione Toscana Come avvenuto anche per le altre regioni, la Toscana ha provveduto ad elaborare una propria cartografia di dettaglio che nel complesso prende il nome di Carta Tecnica Regionale (CTR). Essa risulta dalla suddivisione dei Fogli 1: della Carta d Italia IGM nuova serie, ma utilizza ancora il sistema di coordinate Gauss-Boaga ed il datum Roma40. La CTR è organizzata in: Sezioni, in scala 1:10.000, con ampiezza di 5 in longitudine e di 3 in latitudine. Ogni Foglio IGM ne contiene 16, numerate da 010 a 160 (010, 020, 030, ecc.), da ovest ad est e da nord a sud. Ogni sezione risulta identificata, oltre che da un nome, da un numero a 6 cifre: le prime 3 indicano il numero del Foglio IGM, le altre 3 la numerazione interna. (Esempio: ) Figura 12. Identificazione Sezioni della CTR Toscana Figura 13. CTR Toscana: particolare di Sezione (scala originaria 1:10.000) 67

68 Elementi, in scala 1:5.000, suddivisioni delle Sezioni, con ampiezza di 2 30 in longitudine, e di 1 30 in latitudine. All interno della Sezione sono numerati da 1 a 4 in senso orario, partendo da quello in alto a destra. Identificato dal numero della sezione, sostituendo all ultimo zero un numero da 1 a 4. (Esempio ) Figura 14. Identificazione Elementi CTR Toscana Figura 15. CTR Toscana: particolare di Elemento (scala originaria 1:5.000) Per le zone più densamente popolate, la Regione Toscana ha prodotto anche delle carte topografiche in scala 1: Ogni carta è identificata da un codice alfanumerico del tipo nnlnn (ad esempio 19K43), le cui ultime 2 cifre fanno riferimento ad una delle 64 parti in cui è stato suddiviso un rettangolo di dimensioni 12,8 km per 9 km, a sua volta sottomultiplo del reticolato Gauss-Boaga. Figura 16. Identificazione Carte 1:2.000 CTR Toscana 68

69 Figura 17. CTR Toscana: particolare di carta 1: LA CARTOGRAFIA DIGITALE Negli ultimi 20/30 anni ha avuto grande sviluppo ed applicazione la cartografia digitale che, in maniera molto semplicistica, permette la visualizzazione di carte topografiche sullo schermo di un computer, e la loro stampa con le comuni stampanti (o con stampanti chiamate plotter, che stampano su fogli di grandi dimensioni). Nella realtà la cartografia digitale è un elemento fondamentale di complessi sistemi che prendono il nome di GIS (Geographic Information System, in italiano SIG, Sistemi di Informazione Geografica), divenuti fondamentali strumenti gestionali nei più svariati settori che abbiano una base territoriale (agricoltura, foreste, viabilità, rete idrica ed elettrica, ecc.). I GIS vengono elaborati ed utilizzati medianti potenti software. I più conosciuti ed utilizzati sono: MapInfo Professional. A pagamento (e costoso, come il seguente). Per gli elementi grafici utilizza files con formato proprietario.map. ArcGIS. A pagamento. Utilizza files di tipo shape (.shp), di libera riproduzione ed utilizzati dalla maggior parte dei GIS. QGIS. E un open source, che può essere scaricato gratuitamente all indirizzo web Frequentemente aggiornato, utilizza shapefiles ed ha pressoché le stesse funzionalità dei GIS professionali. Gli elementi topografici della cartografia digitale dei SIG sono rappresentate in strati sovrapposti chiamati layers (esempio di strati: curve di livello 10 metri, curve di livello 50 metri, idrografia, viabilità, fabbricati, toponomastica, vegetazione, inquadramento), che i programmi GIS rendono individualmente visibili o meno secondo le necessità. La caratteristica fondamentale della cartografia digitale, ai fini delle applicazioni che vedremo tra poco, è quella che ogni punto della carta è georeferenziato, ovvero di esso sono note le coordinate piane rispetto al sistema di riferimento utilizzato. 69

70 Figura 18. Schermata di MapInfo Professional Tra le numerose funzionalità dei programmi GIS si ricordano le seguenti: La riduzione o l ampliamento a qualunque valore la scala della carta visualizzata, senza alcuna perdita di risoluzione (anche se ovviamente il livello del dettaglio è quello della scala originaria della serie). La misurazione rapida e precisa di distanze tra due punti, di superfici e di perimetri. La modifica degli elementi cartografici di base. L aggiunta di strati personalizzati, in cui possono essere rappresentati punti (ad esempio alberi monumentali, sorgenti, punti panoramici), linee (es. piste trattorabili e sentieri) o poligoni (es. un area da rimboschire, una particella forestale), scegliendo tra una vasta gamma di simboli e colori. L aggiunta di fotografie aeree, che permettono una facile delimitazione delle diverse categorie d uso del territorio. L integrazione diretta (ovvero il disegno immediato) dei dati rilevati con un GPS. La possibilità di collegare gli elementi dei singoli strati (in pratica si fa solo per gli strati personalizzati) ad un database che registri per ogni elemento una serie di informazioni da noi scelta ed immessa (di ogni particella forestale possiamo, ad esempio, indicare il numero, il tipo di bosco, le specie presenti, la forma di governo e di trattamento, o quant altro). I dati immessi possono essere visualizzati a piacimento sulla carta (di ogni albero monumentale cartografato si può, ad esempio, fare apparire sulla carta il nome specifico, e magari anche dimensioni ed età). La possibilità di evidenziare sulla carta (e di fornire le informazioni inserite nel database) punti, linee ed aree che rispondono a determinati requisiti da noi impostati attraverso una query (possiamo ad esempio richiedere al programma di mostrare tutte le aree coperte da ceduo di faggio, che si trovano al di sopra dei m, su terreni con pendenza superiore al 50%. Il GIS risponderà evidenziando sul monitor le aree che soddisfano tali condizioni, e mostrando pure i dati associati). La possibilità di impaginare e stampare in qualunque formato qualunque schermata si voglia, sia essa rappresentata da un singolo strato, come dai risultati di una query. 70

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