LEZIONE Elementi di economia 2.2. Le teorie dello sviluppo e degli squilibri territoriali 2.3. Le teorie della localizzazione

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1 LEZIONE Elementi di economia 2.2. Le teorie dello sviluppo e degli squilibri territoriali 2.3. Le teorie della localizzazione Flavia Martinelli Le principali teorie dello sviluppo e degli squilibri territoriali 1. I modelli neoclassici della convergenza; 2. La teoria della base di esportazioni; 3. La teoria dello squilibrio cumulativo; 4. Le teorie del sottosviluppo e della dipendenza 5. La scuola francese della Regolazione 6. Globalizzazione e sviluppo locale Flavia Martinelli 2

2 1. Le teorie neoclassiche della convergenza Assunzioni semplificatrici per permettere modellizzazione matematica: Concorrenza perfetta: Pluralità di piccole imprese, stessi prodotti, identica tecnologia Assenza economie di scala o esterne Informazione perfetta Comportamento razionale (massimizzazione profitto/minimizzazione costi) Nessuna impresa può influenzare mercato (regolato da gioco domanda/offerta) Solo 2 fattori di produzione (lavoro L e capitale K) Due ipotesi alternative: Mobilità dei fattori: libero movimento di K e L tra regioni > MODELLI DI CONVERGENZA Mobilità delle merci: libero movimento delle merci tra regioni > MODELLI DEL COMMERCIO INTERREGIONALE Flavia Martinelli 3 I modelli della convergenza I prodotti NON possono spostarsi tra regioni Possono spostarsi liberamente i fattori K e L 2 tipi di regione: ricca (molto K, poco L); povera (molto L e poco K) Nella regione ricca (in base alle leggi del mercato) : Il K è abbondante > costo del K (tasso di interesse) basso Il L è scarso > costo del L (salari) alto Regione povera : l opposto Comportamento razionale = perseguimento massima utilità: Il L si sposta dalla regione povera a quella ricca (massimizzazione salario) Il K si sposta dalla regione ricca a quella povera (massimizzazione del profitto) Nel lungo periodo convergenza dello sviluppo Flavia Martinelli 4

3 I modelli del commercio interregionale I fattori (L and K) non possono spostarsi Ma si spostano liberamente i prodotti Le regioni si specializzano nelle produzioni più adatte ai loro vantaggi comparativi, cioè alla loro dotazione fattoriale: Le regioni ricche si specializzano in produzioni ad alta intensità di K Le regioni povere in produzioni ad alta intensità di L Attraverso il libero scambio di merci, si verifica la convergenza Ancora oggi principio base della liberalizzazione del commercio internazionale Flavia Martinelli 5 Una valutazione critica Teorie in voga negli anni 50 e 60. Ancora attuali tra gli economisti neoclassici. Perché : Permettono modelli matematici Legittimano politicamente il laissez-faire (non intervento pubblico) Critiche: Non vi è perfetta libertà di movimento, tranne a scala subnazionale: batriere istituzionali al movimento (protezionismo, leggi antiimmigrazione, vincoli al trasferimento capitali) Le economie di scala e le tecnologie risparmiatrici di lavoro rendono non necessario il movemento di K Il movimento di L contribuisce ad abbassare i salari delle regioni ricche Recentemente tornata in auge con liberalizzazione del commercio internazionale Flavia Martinelli 6

4 2. Teoria della base di esportazioni Teoria Non si preoccupa di convergenza Cerca di spiegare perché alcune regioni si sviluppano prima e più velocemente di altre Meccanismo di crescita in tre passaggi: Le regioni hanno una specifica dotazione fattoriale e sfruttando questi fattori specifici possono produrre a costi inferiori ad altre regioni (si specializzano in quelle produzioni dove hanno un vantaggio comparativo) Di conseguenza riescono ad esportare questi prodotti nelle altre regioni I redditi derivanti dalle esportazioni vengono reinvestiti nella regione determinando un processo virtuoso di crescita autopropulsiva. La base: la dotazione di fattori o risorse endogene: Risorse naturali (terra fertile, minerali e materie prime, clima, ) e caratteristiche geografiche (porto naturale, pianura, via d acqua navigabile, ) Risorse antropiche: infrastrutture, forza lavoro specializzata, servizi avanzati, ) Critica Teoria descrittiva, ma NON normativa: la dotazione fattoriale è condizione necessaria ma non sufficiente. Descrive alcuni processi di sviluppo nel passato ma non assicura lo sviluppo futuro. I redditi delle esportazioni possono essere spesi per importazioni. I redditi delle esportazioni possono essere investiti altrove. Flavia Martinelli 7 3. Teorie dello squilibrio cumulativo Tra il 1955 e il 1958 tre autorevoli economisti (PERROUX, MYRDAL, HIRSCHMAN) contestano le ipotesi neoclassiche della mano invisibile e della convergenza: Lo sviluppo capitalistico è strutturalmente squilibrato Lo sviluppo inizia in alcuni luoghi, si concentra cumulativamente in questi poli iniziali di crescita ed è caratterizzato da potenti forze centripete, che frenano la sua diffusione territoriale (MYRDAL, PERROUX) Meccanismo di polarizzazione: i poli attraggono risorse dalle altre regioni e invadono queste ultime con il loro prodotti mettendo in crisi le produzioni locali Nel lungo periodo si possono verificare effetti di diffusione (quando nei poli iniziali si creano problemi di congestione e quando esistono complementarità tra regioni diverse), specie alaa scala subnazionale (HIRSCHMAN) Per prevenire l eccessiva polarizzazione e per incentivare i processi di diffusione è necessario l intervento pubblico. Negli anni 60 vengono istituite numerose agenzie di sviluppo regionale. Flavia Martinelli 8

5 4. Teorie della dipendenza e del sottosviluppo Nascono alle fine degli anni 60 ad opera di economisti di formazione marxista provenienti da paesi in via di sviluppo (America Latina, Africa). Criticano la teoria ortodossa dello sviluppo e in particolare due teorie dominanti nel campo dello sviluppo: La teoria degli stadi di sviluppo (ROSTOW): tutte le regioni si sviluppano in stadi successivi, sorta di tappe universali obbligate. Metafora del decollo. Il modello dualistico di LEWIS : nei paesi in via di sviluppo ci sono due settori separati: un settore arcaico (tradizionale) e un settore moderno (capitalistico). Il settore moderno assorbe progressivamente la forza lavoro di quello arcaico. Per entrambe il sottosviluppo è una questione di ritardo e lo sviluppo una questione di tempo. Flavia Martinelli 9 Elementi chiave Le relazioni economiche (di scambio) NON sono relazioni simmetriche, ma asimmetriche, cioè caratterizzate da posizioni di potere. Sono relazioni di dominazione/subordinazione: le regioni e gli interessi forti impongono le loro condizioni. Vengono coniati i concetti di centro e periferia I paesi del centro dominano, sfruttano e condizionano lo sviluppo dei paesi della periferia Mentre le regioni ricche all origine erano non sviluppate, il sottosviluppo delle regioni povere è una conseguenza strutturale dello sviluppo delle regioni ricche (due facce della stessa medaglia) Il sottosviluppo NON è, perciò, un problema di ritardo da colmare nel tempo, né un fenomeno separato. L enfasi si sposta dalla dotazione di risorse interne (base di esportazioni) alle relazioni esterne, che condizionano in modo determinante lo sviluppo interno; da fattori economici a fattori politici, (struttura di classe, alleanze tra gruppi di potere interni ed esterni). Flavia Martinelli 10

6 Tre forme di dipendenza Diretta (periodo/condizione coloniale): il Centro sfrutta/possiede direttamente la Periferia Indiretta (periodo/condizione post-coloniale): il capitale industriale del Centro domina la perifweria attraverso l alleanza con le classi dominanti locali (latifondisti, militari, etc.). Il Centro utilizza le materie prime a basso costo ed esporta manufatti in Periferia. Tecnologico-finanziaria (contemporanea): Il centro presta risorse finanziarie all periferia La periferia usa i prestiti per acquistare tecnologia, consulenze e servizi dal centro Devono ripagare debito e interessi I più radicali tra i teorici della dipendenza sostengono che gli aiuti internazionali riproducono la dipendenza e accentuano il sottosviluppo Flavia Martinelli 11 Meccanismi Quando sono integrate nel mercato capitalistico le regioni della periferia diventano pesantemente condizionate e non possono evolvere in modo indipendente: Le strutture produttive tradizionali vengono messe in crisi dalla concorrenza dei prodotti dei paesi avanzati Si crea povertà e disoccupazione Si crea uno scambio ineguale (EMMANUEL) I prezzi dei prodotti agricoli prodotti dai paesi della periferia non crescono (alta disoccupazione, basso costo del lavoro, prezzi imposti dal centro) I prezzi dei prodotti industriali e dei servizi prodotti nei paesi del centro crescono (anche a causa delle lotte sindacali e dell aumento dei salari operai). Per acquistare beni e servizi dal centro la periferia deve vendere una proporzione crescente di materie prime. Secondo gli autori più radicali i lavoratori del centro sfruttano i lavoratori della periferia Flavia Martinelli 12

7 5. La scuola francese della Regolazione Approccio neo-marxista francese (BOYER, LIPIETZ) Interazione tra dimensione economica e dimensione istituzionale. Lo sviluppo si può leggere in termini di: Regimi di accumulazione (dimensione economica) Modi di regolazione (dimensione politico-istituzionale) Analizza due regimi: Il modello fordista (prima parte de XX secolo negli USA; seconda metà in Europa): grandi imprese verticalmente integrate, automazione meccanica e catena di montaggio, produzione di massa per mercati di massa Diversi modelli nazionali e diverse articolazioni subnazionali (LIPIETZ): Il modello post-fordista (1980 >): automazione flessibile, sistemi di imprese, diversificazione dei mercati, deregulation. Flavia Martinelli Globalizzazione e sviluppo locale Paradosso: con la globalizzazione riscoperta delle specificità territoriali Recupero del locale : identità locale, sviluppo endogeno, autonomia locale Nell era dell informazione (CASTELLS) spazio di flussi e reti di luoghi Flavia Martinelli 14

8 2.3. Le teorie della localizzazione 1. Teorie neoclassiche 2. Teoria del polo di sviluppo 3. Teoria del ciclo di vita del prodotto 4. La scoperta della grande impresa: Concentrazioner industriale e imprese plurilocalizzate Deindustrializzazione, investimenti diretti all estero e nuova divisione internazionale del lavoro Investimenti esogeni e sviluppo delle regioni periferiche 5. La riscoperta della piccola e media impresa: I distretti industriali Decentramento produttivo e sistemi di imprese Flavia Martinelli 15 Introduzione Perché le imprese si localizzano in un posto piuttosto che un altro? Quali sono le leggi che governano la distribuzione delle attività sul territorio? Le teorie della localizzazione studiano il comportamento delle imprese nello spazio. Sono teorie microeconomiche Ovviamente collegate alle teorie dello sviluppo: le scelte localizzative delle imprese influenzano e sono a loro volta influenzate dallo sviluppo delle regioni. Le teorie della localizzazione hanno bisogno del supporto di una teoria dell impresa, cioè di teorie che spieghino cosa è un impresa, quale struttura si dà, quali strategie persegue. Flavia Martinelli 16

9 1. Teorie neoclassiche Stesse assunzioni semplificatrici dei modelli della convergenza. In particolare, le imprese si comportano razionalmente, in un contesto di informazione perfetta e concorrenza perfetta. Le decisioni di localizzazione sono perciò prese sulla base di obiettivi di minimizzazione dei costi: le imprese si localizzano dove la somma dei costi di produzione e distribuzione è più bassa In questo calcolo un ruolo rilevante hanno i costi di trasporto, che sono una funzione della distanza: Dai mercati di approvigionamento (beni e servizi intermedi) Dai mercati di sbocco (prodotto finito) Tre famiglie di modelli (matematici): Modelli della localizzazione ottimale (luogo dei minori costi) Modelli dell area di mercato (ampiezza del mercato della singola impresa) Modelli della località centrale (CHRISTALLER) e modelli gravitazionali: l area di mercato di una città è proporzionale alla sua popolazione; gerarchie urbane basate su aree di mercato per le diverse funzioni urbane Flavia Martinelli Teoria del polo di sviluppo Alla fine degli anni 50 gli economisti scoprono l esistenza della grande impresa F. PERROUX (1955) considera 3 fattori ignorati dai neoclassici: Economie di scala = vantaggi (interni all impresa) che derivano da volumi crescenti di produzione (legge dei rendimenti crescenti: al crescere dei volumi diminuisce il costo unitario di produzione). La grande impresa esiste in virtù delle economie di scala e agisce come un motore di crescita (impresa motrice). Economie di agglomerazione = vantaggi (esterni all impresa) che favoriscono l agglomerazione spaziale delle imprese: Presenza di infrastrutture (strade, elettricità acqua, fognature) Presenza di altre imprese (semilavorati, servizi, clienti) Interdipendenze settoriali o relazioni interaziendali: le imprese non svolgono l intero ciclo produttivo e attivano relazioni di fornitura a monte e a valle con altri settori e imprese. Flavia Martinelli 18

10 Nelle regioni dove si localizza un impresa motrice si avvia un processo cumulativo di sviluppo polarizzato: L impresa sfrutta le economie di scala e cresce Attrae altre imprese attraverso i legami di fornitura (interdipendenze settoriali e relazioni interaziendali): il cosiddetto indotto Si formano economie esterne che attraggono altre imprese Esempi: L industria automobilistica (relazioni a monte) L induistria siderurgica (relazioni a valle) La teoria dello sviluppo polarizzato è descrittiva, è stata trasformata in teoria normativa con l avvio della politica dei poli di sviluppo (anni 60): la localizzazione di grandi imprese (pubbliche o private) in regioni periferiche, con la speranza che esse attivino processi virtuosi di crescita Condizione necessaria ma non sufficiente. Spesso fallimentare: La creazione di legami di fornitura e la nascita di nuove imprese è un processo lento (10-15 anni) Le grandi imprese sono spesso verticalmente integrate e non attivano legami di fornitura locali. Flavia Martinelli Teoria del ciclo di vita del prodotto R. VERNON (1966) : la localizzazione delle imprese cambia in funzione del ciclo di vita del prodotto. Ogni prodotto passa attraverso almeno tre fasi. Fase dell innovazione Il prodotto viene inventato e sperimentato (produzione artigianale di prototipi) L impresa si localizza in aree industrializzate e ricche, perché ha bisogno di fornitori specializzati, lavoro qualificato e un mercato di sbocco ricco e pronto a rischiare. La domanda è limitata e indipendente dal prezzo. Fase della maturazione Il prodotto raggiunge la sua configurazione finale La domanda per il prodotto cresce Il processo produttivo può essere standardizzato e automatizzato Inizia la concorrenza e la domanda è influenzata dai prezzi. Il costo di produzione diventa importante L impresa si localizza in aree meno industrializzate (minor costo del lavoro), dove però vi è una domanda potenziale Fase della saturazione Il mercato è ormai saturo. La competizione è forte e si basa unicamente sui costi di produzione L impresa si localizza in aree povere dove il costo del lavoro è bassissimo e riesporta il prodotto. Flavia Martinelli 20

11 4. La scoperta della grande impresa La formazione delle grandi imprese A. CHANDLER (1966 Struttura e strategia), storico dell economia, descrive la formazione delle grandi imprese, le loro trasformazioni organizzative e le loro strategie di crescita nella prima metà del XX secolo negli USA. Egli mette in luce: I processi di crescita che portano alle grandi imprese I fattori esplicativi: i progressi nei trasporti (ferrovie transcontinentali) e nelle telecomunicationi (telegrafo e telefono), che allargano le aree di mercato (da imprese a mercato locale a imprese nazionali) Le trasformazioni organizzative e la cosiddetta rivoluzione manageriale Dall imprenditore al dirigente Struttura dipartimentale (orizzontale) e poi divisionale organisation (verticale) con funzioni specializzate L importanza delle conoscenze tecniche. La mano visibile della gestione scientifica Le relazioni tra struttura e strategie di impresa Flavia Martinelli 21 I processi di concentrazione industriale La formazione delle grandi imprese è il risultato di processi storici di concentrazione industriale: il mercato viene progressivamente controllato da un numero esiguo di imprese. Due modalità di crescita: Crescita interna: aumento di capacità produttiva attraverso investimenti aggiuntivi (generalmente quando il mercato è in espansione) Crescita esterna: acquisizione di imprese (capacità produttiva) già esistenti (in periodi di stasi o crisi dei mercati) Tre tipi di concentrazione industriale: Integrazione orizzontale: l impresa aumenta le sue quote di mercato sconfiggendo la concorrenza o acquistandola all interno dello stesso settore. Integrazione verticale: l impresa si espande in attività a monte o a valle della sua produzione. Nel periodo fordista le imprese tendevano ad essere verticalmente integrate; nel periodo post-fordista prevale la disintegrazione verticale Integrazione diagonale: concentrazione finanziaria; holdings finanziarie controllano attività non collegate Flavia Martinelli 22

12 De-industrializzazione, investimenti nelle regioni periferiche e nuova divisione internazionale del lavoro Nella seconda metà degli anni 70 iniziano fenomeni di deindustrializzazione: le grandi imprese chiudono gli stabilimenti nelle aree di vecchia industrializzazione e si trasferiscono in regioni poco industrializzate, sia in patria (aree rurali), sia all estero (paesi in via di sviluppo) Negli anni 80 ampia letteratura sulle imprese multinazionali e sugli investimenti nelle regioni periferiche. Due spiegazioni: : Strategie di minimizzazione dei costi (costo del lavoro più basso, vicinanza materie prime, minore sindacalizzazione, minori controlli ambientali, agevolazioni finanziarie) Strategie di penetrazione e/o mantenimento potere di mercato La struttura gerarchica delle grandi imprese si riflette in localizzazioni differenziate: Nelle grandi aree metropolitane dei paesi avanzati: le direzioni amministrative e strategiche (il cervello) In regioni/città intermedie: sedi divisionali e produzioni avanzate Nelle regioni periferiche: la produzione materiale nei settori più maturi Flavia Martinelli 23 Investimenti esogeni e sviluppo delle regioni periferiche Negli anni 80, alcuni studi si concentrano sugli effetti degli investimenti esogeni, cioè di imprese esterne, spesso multinazionali nelle regioni periferiche Contrariamente alla teoria dei poli di sviluppo questi impianti di produzione decentrati hanno impatti poco significativi in termini di sviluppo, in quanto: Sono verticalmente integrati. Non hanno perciò relazioni intersettoriali e la maggior parte dei legami di fornitura sono con l azienda madre. Non contribuiscono perciò a creare nuove imprese locali (indotto) Operano in settori generalmente maturi. Hanno perciò scarsi impatti in termini di innovazione e trasferimento tecnologico. Generano occupazione, ma si tratta generalmente di occupazione poco qualificata. Con il tempo è possibile che si determinino relazioni più positive con l economia locale, ma dipende dal settore e dalle strategie dell azienda. Generalmente le imprese multinazionali non hanno radici e si comportano in modo opportunistico: riesportano i profitti, sfruttano la mancanza di regolamenti, utilizzano tecniche quali il transfer pricing per non pagare tasse, etc. Flavia Martinelli 24

13 5. La riscoperta delle piccole imprese Nel periodo fordista le piccole e medie imprese (PMI) erano considerate: Una forma di produzione arcaica destinata a scomparire Oppure una fase transitoria nell inevitabile processo di crescita Con la crisi del fordismo a metà degli anni 70 gli economisti riscoprono la piccola impresa, come fenomeno non transitorio, anzi come forma organizzativa funzionale e competitiva. Tre filoni di studio: 1) I distretti industriali (BAGNASCO, BECATTINI, BRUSCO in Italia) 2) I sistemi flessibili di produzione (SCOTTe altri, U.S.A.) 3) Le agglomerazioni innovative (high-tech, Silicon Valley) Flavia Martinelli 25 I distretti industriali BAGNASCO (1977 Le 3 Italie): Tra il Nord industrializzato e il Sud arretrato (analisi dualistica dell Italia) scopre una Terza Italia, quella del Centro- Nordest, caratterizzata da industrializzazione diffusa, sistemi di imprese e complementarità tra agricoltura e manifattura. BECATTINI e BRUSCO introducono il concetto di Distretti industriali (preso da Marshall: Solingen e Sheffield): analizzano questi sistemi di imprese in un quadro che considera non solo gli aspetti economici, ma anche sociali (tradizione, conoscenze) e istituzionali (rapporto con gli enti locali) DEFINIZIONE: un DI è un sistema (non un agglomerato, che è un concetto geografico) di PMI operanti in un settore o in più settori collegati, geograficamente concentrate, caratterizzati da intense relazioni interaziendali (divisione sociale del lavoro) e da relazioni non gerarchiche (non vi è un impresa dominante) Il sistema è caratterizzato da cooperazione e competizione tra le imprese. Nei DI dell Emilia Romagna e della Toscana un aspetto rilevante è anche la cooperazione tra imprese e amministrazioni pubbliche (centri di servizi, infrastrutture, agevolazioni) Flavia Martinelli 26

14 I fattori di successo dei DI Aspetti socioeconomici: Flessibilità: il sistema produttivo può attivarsi, articolarsi e comporsi in funzione delle variazioni/fluttuazioni della domanda Uso flessibile del lavoro, per l assenza di sindacalizzazione e rapporti paternalistici Sfruttamento del lavoro (evasione legislazione del lavoro, basso riconoscimento qualifiche e anzianità, bassi salari, lavoro a domicilio, lavoro nero) Evasione legislazione di salvaguardia ambientale e sulla sicurezza del lavoro Aspetti istituzionali: Cooperazione con i governi locali Sistema del credito orientato alle PMI Centri di servizi e assistenza (fiscale, tecnologica, etc.), spesso sostenuti dalle amministrazioni locali Fattori storico-congiunturali: La crisi del fordismo e delle grandi imprese (rigide e verticalmente integrate) nella seconda metà degli anni 70 e per tutti gli anni 80: hanno consentito alle PMI e ai DI di competere in produzioni di nicchia (ad alto contenuto di design e con produzioni soggette a rapidi cambiamenti della moda). (Nel XXI secolo i DI sono andati in crisi: gerarchizzazione e de-industrializzazione) I DI sono diventati un mito internazionale, proprio quando iniziavano ad andare in crisi Flavia Martinelli 27 Decentramento produttivo e reti produttive La ristrutturazione post-fordista delle grandi imprese (anni 80 e 90): Disintegrazione produttiva ( Toyota city ) e reti produttive (out-sourcing e off-shoring) Produzione just-in-time (invece che just-in case) Automazione flessibile Sistemi articolati di produzione, gerarchicamente controllati attraverso sistemi informativi integrati Flavia Martinelli 28

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