UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI M.FANNO CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT PROVA FINALE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE TRA TEORIA E PROCESSO. IL CASO PIAZZETTA SPA RELATORE: CH.MO PROF. DIEGO CAMPAGNOLO LAUREANDO: ENRICO FORATO MATRICOLA N ANNO ACCADEMICO

2 STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE TRA TEORIA E PROCESSO. IL CASO PIAZZETTA SPA Introduzione..4 1 STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE Contesto economico Storia e teoria Motivi e vantaggi dell internazionalizzazione Quando conviene internazionalizzare La scelta dei mercati geografici Modalità di internazionalizzazione L avvio del processo Lo sviluppo del processo. I modelli degli stadi Le modalità di presenza Analisi comparata delle diverse modalità Criteri di selezione della modalità di presenza ottimale Accordi, alleanze e acquisizioni come modalità di crescita internazionale Ostacoli comuni all internazionalizzazione 31 2

3 2 IL CASO PIAZZETTA SPA Introduzione e contesto economico Il Business Model Canvas Le strategie di internazionalizzazione di Piazzetta Motivi alla base dell espansione internazionale Variabili che influenzano la scelta dell internazionalizzazione La scelta dei mercati geografici. Uno sguardo a Stati Uniti, Spagna e Germania Le diverse modalità di presenza.40 Considerazioni finali..43 Riferimenti bibliografici

4 Introduzione In questo elaborato vengono analizzati i maggiori studi globali sulle strategie di internazionalizzazione delle imprese; saranno presentati i punti teorici principali e successivamente il caso pratico di un azienda veneta all interno della quale ho svolto l attività di stage, il Gruppo Piazzetta Spa. Nella prima parte verrà esposto il processo di elaborazione di una strategia di internazionalizzazione. Esso sarà presentato seguendo uno schema logico che parte dalle motivazioni che spingono un azienda ad espandersi oltre i confini nazionali, prosegue analizzando le tempistiche e la scelta delle nazioni più consone agli obiettivi preposti, e delinea infine le possibili modalità di presenza delle quali un impresa può servirsi per entrare in un paese estero. Nella seconda parte verrà descritta Piazzetta Spa, un impresa produttrice di stufe e caminetti, che negli ultimi anni ha assunto un interessante dimensione internazionale grazie all esportazione dei propri prodotti in quasi tutti i continenti del globo. Verrà dapprima presentata, e successivamente ne saranno analizzate le principali strategie di internazionalizzazione, comparandole poi con gli studi teorici precedentemente esaminati. 4

5 1 LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE 1.1 Contesto economico Il trend mondiale degli ultimi anni ha visto un costante e generale aumento degli scambi di beni, di servizi e di capitali fra paesi diversi, con un tasso di crescita quasi sempre superiore a quello di espansione del PIL (Dematté 2008). Se si potesse osservare il fenomeno dall alto, sarebbe possibile notare una sorta di dilatazione spaziale degli affari, all interno della quale ogni organizzazione ricerca una localizzazione ottimale per la produzione e la vendita dei propri beni. Questa dilatazione spaziale delle filiere produttive può avvenire attraverso forme diverse: - Verticale: l impresa integra verticalmente i vari anelli della propria filiera, che, anche se si trovano in diverse nazioni, fanno tutte capo ad un unico ente. - I processi produttivi, e quindi i flussi di ricchezza, passano da un Paese all altro, ma i vari step della filiera fanno parte di imprese diverse. - Scelte deliberate aziendali, per ottenere un vantaggio competitivo: varie soluzioni possibili e praticabili, alla ricerca del vantaggio per ogni settore aziendale. Le varie forme che può prendere l internazionalizzazione dipendono dalle singole scelte organizzative, ma anche dalle forze dell ambiente esterno: parecchi elementi infatti sono in grado di influenzare le scelte di internazionalizzazione, quali barriere doganali, spinte del mercato competitivo, restrizioni legali, nuove opportunità offerte da enti sovranazionali (UE, ad esempio) per favorire il commercio internazionale. Ciò non significa comunque che le imprese non abbiano un certo grado di discrezionalità o di potere decisionale. Spiegando questo concetto con il modello delle strategie deliberate ed emergenti (Mintzberg 1985), possiamo dire che non ci troviamo di fronte né a strategie puramente emergenti (vi sono infatti margini di decisione autonoma) né puramente deliberate. L aspetto chiave è, utilizzando le parole di Mintzberg, l adattabilità. Le organizzazioni rispondono alle forze dell ambiente esterno, cercando anche di influenzarlo a loro volta. Di caso in caso, le strategie saranno più segnatamente deliberate e quindi scelte a priori, o più emergenti, come pura risposta reattiva agli stimoli dell ambiente esterno. In quest ottica, una strategia è quel sistema di scelte e di azioni che consente all impresa di raggiungere e mantenere simultaneamente e dinamicamente un posizionamento sul mercato di sbocco e sui diversi mercati di approvvigionamento dei fattori di produzione, in modo da 5

6 assicurarsi un vantaggio competitivo e tre ordini di equilibrio per la sopravvivenza e lo sviluppo: equilibrio economico, finanziario e patrimoniale. Con il termine internazionalizzazione si intendono tutti quei processi di crescita che le imprese avviano sui mercati esteri, spingendo i loro affari e le loro attività oltre i confini nazionali, alla ricerca di nuovi mercati di sbocco o di risorse produttive. L internazionalizzazione va qui intesa come una sottospecie delle più generali strategie di espansione geografica: se un organizzazione volesse modificare il proprio mercato di sbocco in senso spaziale, dovrà anche modificare tutto il pacchetto di strategie, in quanto le varie scelte (dei mercati delle fonti produttive, dei mercati finanziari, dei paesi in cui vendere i prodotti) non sono affatto disgiunte l una dall altra. 6

7 1.2 Storia e teoria Da un punto di vista prettamente teorico, il concetto di internazionalizzazione come attività di impresa nasce negli anni Sessanta, grazie agli studi di Stephen Hymer (1960). Fino ad allora si riteneva che esso dovesse essere analizzato all interno dei flussi internazionali di beni e di capitali, studiando il fenomeno quindi dal punto di vista delle nazioni e della macroeconomia. A tal proposito, il cosiddetto commercio internazionale era stato spiegato con i seguenti modelli: del vantaggio assoluto (Adam Smiths 1776), secondo cui una nazione esporta i beni o servizi che produce ad un minor costo assoluto rispetto a tutti gli altri paesi; del vantaggio comparato, proposto da David Ricardo (1817), modello poi ripreso e allargato a più fattori produttivi da Heckscher e Ohlin (1933), secondo i quali i paesi con una dotazione relativamente più ricca di capitale si specializzano nella produzione ed esportazione di prodotti ad alta intensità di tale fattore (prodotti ad alta tecnologia) e importano prodotti ad alta intensità di lavoro (prodotti a bassa tecnologia) da paesi relativamente più dotati di abbondante manodopera. Negli anni Cinquanta iniziarono ad affiorare i primi dubbi sulla vera natura di questi flussi internazionali di beni, servizi e capitali, fino a che, nel 1960, Hymer, nella sua tesi di dottorato, affermò che gli investimenti diretti dovessero essere considerati non tanto dei meri movimenti internazionali di capitale, ma un insieme complesso e organizzato di transazioni, più propriamente riconducibili ad una vera e propria attività d impresa. Grazie anche alle analisi di Bain (1956), il modello di Hymer incorpora vantaggi e svantaggi che un impresa incontra durante il processo di internazionalizzazione. Gli svantaggi sono tutti quelli connessi alla condizione di organizzazione non nazionale (liability of foreigness), barriere naturali che si stanziano contro le imprese straniere: lingua, economia, condizioni politiche, cultura etc. Sono comunque costi che possono essere definiti fissi, in quanto, una volta sostenuti, non dovranno più essere affrontati. I vantaggi invece possono essere di due tipi: di costo (controllo delle tecniche produttive, brevetti, condizioni di favore sui mercati finanziari) e di differenziazione (controllo di punti di vendita strategici, preferenze particolari dei consumatori). Secondo Hymer, il motivo del cosiddetto going international sta proprio nel godere di alcuni vantaggi rispetto alle aziende locali, tali da compensare i costi fissi delle barriere all ingresso. 7

8 Teorie post-hymer: L influenza di Hymer si continuò a percepire per anni all interno della letteratura economica, a tal punto che alcuni economisti decisero di raggruppare le teorie successive sull internazionalizzazione in due insiemi, le teorie di Cambridge, negli Stati Uniti, e quelle di Reading, in Inghilterra. Le teorie di Cambridge possono essere a loro volta suddivise in due filoni principali: la teoria del ciclo di vita del prodotto (Vernon 1966) e il filone oligopolistico. La teoria del ciclo di vita del prodotto si basa sull ipotesi che le imprese dei paesi industrializzati, pur avendo le stesse probabilità di accesso a nuove conoscenze scientifiche, non abbiano uguali probabilità di applicarle alla creazione di nuovi prodotti. Vi è infatti da tenere in considerazione il mercato di sbocco che, se relativamente avanzato, permette alle imprese al suo interno di avere un vantaggio innovativo nell anticipare le dinamiche della domanda in altri paesi. Vernon giunse alla conclusione che, poiché nella fase di introduzione di un nuovo prodotto non si è ancora raggiunta la standardizzazione e la stabilità della domanda, occorre mantenere un grado elevato di flessibilità e comunicare rapidamente con fornitori e clienti: la produzione dei nuovi prodotti sarà quindi localizzata in prossimità del mercato di sbocco, nel paese in cui è situata l impresa innovatrice. Nella fase di maturità del prodotto, i vantaggi di differenziazione spingono le vendite oltre i confini nazionali, mentre nell ultima fase, quando ormai il prodotto è maturo e standardizzato, vi sarà una spinta a ricercare la redditività nella riduzione dei costi di produzione, localizzando perciò le attività produttive nei paesi in via di sviluppo. Questa teoria ha il limite di aver focalizzato l attenzione sul prodotto e non sull impresa, tralasciando le possibilità di analizzare un impresa multi-product, o differenziazioni tecnologiche sul processo e non solo sul prodotto. Il denominatore comune del filone oligopolistico, invece, è la descrizione dell impresa multinazionale come un impresa di grandi dimensioni la cui esistenza è supportata da un vantaggio competitivo di tipo oligopolistico o monopolistico, che la rende capace di superare i vantaggi nazionali delle imprese locali (vantaggi informativi, culturali, legittimazione sociale). Per compensare lo svantaggio informativo, Caves (1971) individua la differenziazione del prodotto, tipica dei settori oligopolistici, ottenibile tramite investimenti orizzontali. Nel caso invece di investimenti verticali, la presenza estera delle imprese è riconducibile alla creazione di barriere all entrata nei confronti di nuovi competitor. Le teorie di Reading si svilupparono nella seconda metà degli anni settanta nell omonima città inglese, e si rifanno alle teorie dei costi di transazione, elaborate prima da Coase (1960) e poi da Williamson (1975). L impresa multinazionale viene qui rappresentata come un ente 8

9 complesso che estende le proprie attività all estero attraverso forme di organizzazione interna (investimenti diretti), in quanto più efficienti rispetto al mercato, che comporta costi di transazione elevati, riconducibili in primis alla distanza geografica e alla diversità ambientale. L espansione internazionale di un impresa attraverso investimenti diretti viene interpretata facendo riferimento al fallimento di alcuni tipi di mercato: l investimento estero di tipo verticale, ovvero internazionalizzare i prodotti intermedi, è spiegato dal fine di sostituire i processi di mercato, attenuando i fenomeni di opportunismo che minano la sicurezza della fornitura; l investimento diretto di tipo orizzontale (allargare gli impianti produttivi in un altro paese) è invece riconducibile alla necessità di sostituire il mercato per supportare la crisi del know-how o per evitarne la diffusione. Le teorie strategiche: All interno dell international business, i contributi principali sono riconducibili a Kogut (1985) e Porter (1986). Kogut cercò di individuare in quali attività le imprese dovrebbero concentrare le proprie risorse e dove conviene estendere a livello internazionale le attività della catena del valore. Per rispondere a questi quesiti, il suo modello fa riferimento alle teorie del vantaggio comparato delle nazioni (location-specific advantage, influenza le scelte organizzative riguardo alla locazione delle attività) e del vantaggio competitivo (firm-specific advantage, influenza la scelta su quali attività della catena del valore investire risorse). Poiché ogni nazione possiede un vantaggio comparato nello svolgimento di determinate attività, e ogni impresa si differenzia dalle altre per le attività che svolge, esiste quindi una tendenza da parte delle aziende a spostare le proprie attività all interno delle nazioni dotate di un vantaggio comparato nello svolgimento delle stesse (questo spiega la propensione a localizzare attività ad alta intensità di lavoro nei paesi in via di sviluppo, ad esempio). Il dispiegamento internazionale della catena del valore può comunque non attuarsi per via di barriere all entrata oppure perché l azienda ha maggior interesse a sfruttare i propri vantaggi competitivi in altre attività. L interazione tra vantaggio comparato e competitivo individua tre modalità di internazionalizzazione: la prima si fonda esclusivamente sul vantaggio comparato delle nazioni, attraverso la quale il flusso del commercio è unidirezionale, dalle nazioni dotate di tale vantaggio a quelle che ne sono prive, e gli investimenti diretti hanno luogo in favore di integrazioni verticali della catena. La seconda si fonda solo sul vantaggio competitivo delle imprese, in cui il flusso del commercio può essere intrasettoriale e gli investimenti diretti delle imprese sono collegati ad attività di integrazione orizzontale. La terza modalità si fonda 9

10 sull interazione tra vantaggio comparato e competitivo: ciò, in virtù del fatto che le attività e le strutture risultano più complesse, permette all impresa un grado maggiore di flessibilità strategica, derivata principalmente da opportunità di arbitraggio (sui fattori di mercato, ma anche sull informazione) e opportunità di leva (derivanti dalla differenziazione globale dei prezzi e dalla riduzione del rischio). Porter, invece, nel suo modello, piuttosto simile a quello di Kogut, applica alla nazione i concetti relativi al vantaggio competitivo delle imprese, ottenendo quindi i due pilastri del vantaggio competitivo delle imprese e del vantaggio competitivo delle nazioni su cui basarsi per il proprio lavoro. Il vantaggio competitivo di una nazione è pertanto l insieme dei fattori nazionali che favoriscono il vantaggio in determinati settori. Esso è determinato da un sistema di quattro elementi, conosciuto come diamante di Porter : - Condizioni dei fattori: secondo Porter, le condizioni dei fattori devono essere analizzate in base alla dotazione dei fattori e alle gerarchie tra i fattori: la dotazione dei fattori è lo stock di fattori produttivi che una nazione ha a disposizione, raggruppabili in cinque categorie: le risorse umane, le risorse fisiche, le risorse di conoscenza, le risorse di capitali e le infrastrutture. Per comprendere meglio le condizioni dei fattori è necessario distinguere delle gerarchie al loro interno: una prima distinzione può essere tra fattori di base (risorse naturali, clima, posizione geografica) e fattori avanzati, necessari per acquisire un vantaggio competitivo di livello superiore, ma, dal momento che richiedono importanti investimenti di risorse fisiche e umane, sono relativamente scarsi. Una seconda possibile distinzione è tra fattori generalizzati (sistema autostradale, fonti di capitali) e fattori specializzati (dotati di un grado di specificità più elevato, come infrastrutture particolari): i fattori generalizzati sono disponibili su larga scala ma sono facilmente annullabili, al contrario di quelli specializzati, che possono generare un vantaggio competitivo importante. La terza distinzione è tra fattori ereditati e creati: chiaramente i secondi permettono di acquisire un vantaggio competitivo più ampio, ed è su di essi che bisogna essere pronti ad investire. - Condizioni della domanda: le condizioni della domanda interna, altro determinante del diamante, dipendono da tre fattori: la composizione della domanda domestica, le dimensioni della domanda (e il modello di crescita), e l internazionalizzazione della domanda interna. La composizione della domanda domestica è rappresentata dalla natura e dalla gamma dei bisogni dei consumatori interni: più questi sono dinamici e sofisticati, maggiore è la pressione che eserciteranno sulle organizzazioni locali perché 10

11 soddisfino i loro bisogni. Le dimensioni e il modello di crescita della domanda sono un fattore importante perché aiutano a capire quanto velocemente la domanda cresce e poi sarà saturata, e in che scala avverranno questi cambiamenti. La terza caratteristica è l internazionalizzazione della domanda domestica, che spiega i meccanismi attraverso cui i bisogni interni di una nazione vengono trasmessi ai mercati esteri. Ciò dipende dal tipo di acquirenti (se sono mobili o statici) e dal grado di influenza che una nazione ha nei confronti delle altre. - Settori industriali correlati e di supporto: la presenza di settori industriali (fornitori) o correlati competitivi in ambito internazionale aumenta la possibilità di creare vantaggi comparati mediante cooperazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti, date le numerose opportunità di flusso di informazioni e di interscambio di tecnologie che si vanno ad imbastire. - Strategia, struttura e rivalità delle imprese: il quarto pezzo del diamante si riferisce alla gestione delle imprese e alla natura della rivalità domestica. L ambiente nazionale influenza il modo in cui le imprese sono gestite, creando un vantaggio competitivo (o almeno, una diversità) a livello internazionale, ampliato dalle dinamiche concorrenziali nazionali che spingono le imprese a migliorarsi (rivalità positiva). A questi si aggiungono due ulteriori variabili: il caso e il governo. Gli eventi casuali sono fuori dal controllo di imprese e governi nazionali, quali ad esempio invenzioni, spostamenti nei mercati finanziari, guerre; essi influiscono sul vantaggio competitivo nazionale in quanto, creando discontinuità, offrono la possibilità di spostamenti nelle posizioni competitive. Il governo invece può influenzare ciascuno dei quattro fattori del diamante, positivamente o negativamente: basti pensare a sussidi, educazione, politiche fiscali, regolamentazioni. Ogni nazione ha il proprio vantaggio competitivo rispetto alle altre. Le imprese caratterizzate da un approccio globale dovranno quindi sfruttare i vantaggi selettivi delle altre nazioni e scegliere la propria base domestica, dove verrà impostata la strategia di base, all interno del paese che offre un vantaggio competitivo superiore in quel segmento. Anche il diamante di Porter, però, sebbene abbia avuto una risonanza parecchio elevata, si scontra con dei limiti. Il primo è il fatto che, essendo un approccio di tipo deterministico, tiene poco conto delle capacità delle imprese, le quali sono ancora pesantemente condizionate dal sistema nazionale. Inoltre, i concetti rilevanti (ad esempio le quattro determinanti) mancano di una definizione precisa e sono troppo ampi e senza confini ben precisi. Ciò influenza la capacità predittiva del modello. 11

12 I limiti del modello del diamante di Porter hanno aperto la strada a nuovi contributi nell ambito dell internazionalizzazione, come ad esempio gli studi di Peng, Collins, Chang, Rumelt. Attualmente non esiste un unica teoria dell internazionalizzazione, ma piuttosto un insieme di teorie e modelli che, attraverso un evoluzione incrementale, hanno cercato di analizzare e spiegare alcuni fenomeni che non era possibile interpretare con gli schemi teorici precedenti. Il fatto di non possedere ancora una teoria unificata non significa che non siano stati comunque trovati dei tratti comuni per le imprese che vogliano internazionalizzare. Di seguito, cercherò di analizzare i processi e i modelli più utilizzati per descrivere l internazionalizzazione, che in questi ultimi anni sta assumendo una dimensione sempre più rilevante all interno dello strategic management. 12

13 1.3 Motivi e vantaggi dell internazionalizzazione L internazionalizzazione è il risultato di un processo in continua evoluzione, mirato ad un espansione della catena del valore dell impresa oltre i confini nazionali. Le motivazioni che stanno alla base di questo processo possono essere raggruppate in interne ed esterne. Motivazioni interne: sfruttare un vantaggio competitivo interno all azienda, come ad esempio una leadership di costo o l unicità del proprio prodotto. Un altra possibile motivazione interna è la possibilità di ricercare all estero nuove fonti di vantaggio competitivo, che possono tornare utili sia in mercati nazionali che internazionali. Motivazioni esterne: l ambiente esterno vincola in qualche modo l azione dell impresa. Ad esempio, può succedere che internazionalizzare sia l unica via per non uscire dal mercato. In altri casi, si può pensare ad imprese che agiscono da follower di altre imprese che hanno varcato i confini nazionali in precedenza. Le motivazioni interne risultano essere più razionali e ragionate a priori, mentre quelle esterne sono reattive ed elaborate a posteriori, in risposta all ambiente. Normalmente, un processo inizia sulla base di entrambi i tipi di motivazioni. Componenti del paradigma eclettico: Vantaggi di proprietà: Vantaggi di localizzazione: vantaggi propri dell impresa: vantaggi del paese di arrivo: - nazionale - nuovi mercati - oligopolistico - prezzi bassi - di impresa - infrastrutture efficienti - manageriale Vantaggi di internazionalizzazione: - IDE vs accordi e alleanze - teoria costi transazione Tabella 1.1 Le componenti del paradigma eclettico di Dunning. Fonte: AIELLO 2005 Analizzare le motivazioni significa in sostanza considerare i cosiddetti vantaggi che l internazionalizzazione apporta ad una determinata impresa: per un azienda è conveniente internazionalizzare se da questo processo essa ne ricava vantaggi di tipo competitivo, strategico o di costo. Dunning (1993, 2000) elaborò il suo famoso paradigma eclettico, con l obiettivo di unificare in un unico schema alcuni dei più importanti filoni teorici sui vantaggi dell internazionalizzazione, come quello di Reading. Egli individua tre categorie di vantaggi 13

14 che un impresa può ricercare all estero: i vantaggi di proprietà, di locazione e di internalizzazione. Le teorie dei vantaggi di proprietà (ownership specific advantages) si basano sull idea che l impresa internazionale deve possedere un vantaggio competitivo unico e sostenibile rispetto alle imprese locali. Si possono individuare quattro tipi di vantaggio di proprietà: il vantaggio derivante dallo sfruttamento delle risorse presenti nella nazione di origine (vantaggio nazionale), quello derivante da un potere monopolistico o oligopolistico (Hymer, 1960), quello derivante dal controllo di risorse scarse e sostenibili (vantaggio d impresa), e quello derivante dalle competenze dei manager (vantaggio manageriale). I vantaggi di locazione (location specific advantages) spiegano la forza di attrazione di alcune nazioni nei confronti della locazione di certe attività della catena del valore delle imprese multinazionali. Essi sono vantaggi che non sono presenti nel paese di origine dell impresa, come ad esempio vantaggi di costo del lavoro e delle materie prime, oppure opportunità di mercato non presenti nel paese di origine, tipo un tasso di crescita o una struttura competitiva del mercato più vantaggiosi. In questo caso, come nel precedente, è possibile ottenere alcuni di questi vantaggi non solo tramite investimenti diretti, ma anche tramite accordi. I vantaggi di internalizzazione (internalization advantages) sono necessari per spiegare le modalità di internazionalizzazione. Scegliere l internalizzazione, e quindi l integrazione verticale degli investimenti, piuttosto che rifarsi ad accordi e alleanze esterne all azienda, significa infatti essere in possesso di vantaggi di internalizzazione importanti, che facciano preferire gli investimenti diretti quali forma di internazionalizzazione rispetto ad altri accordi esterni. Questa teoria mette d accordo le teorie sui costi di transazione (Coase 1937, 1960; Williamson 1975, 1981) e quelle sui costi di agenzia (Jensen e Meckling, 1976). 14

15 1.4 Quando conviene internazionalizzare In questo paragrafo sarà fatta luce sul momento di vita di un azienda nel quale conviene maggiormente (oppure vi sono più spinte esterne a) iniziare un processo di internazionalizzazione. Ciò è influenzato da parecchie variabili, interne ed esterne all organizzazione: lo stadio del ciclo di vita del prodotto; le caratteristiche del settore e del prodotto stesso; lo stadio di crescita e le caratteristiche dell azienda. Per quanto riguarda lo stadio del ciclo di vita del prodotto, come già osservato in precedenza, per un prodotto nuovo ed innovativo la spinta all internazionalizzazione può essere data principalmente dalla voglia di esportare il vantaggio competitivo, duplicandolo in altri paesi: in questa direzione, imprese che producono beni o servizi ad elevato grado di innovazione sono spinte all internazionalizzazione (iniziando dall esportazione) già in una prima fase del ciclo di vita del prodotto. Il contrario invece può accadere se osserviamo imprese che producono beni comuni o già venduti nel mercato da altri competitor. Per queste imprese, la spinta all internazionalizzazione (se sarà presente) avverrà in una fase più avanzata del ciclo di vita del prodotto, quando questo sarà ormai standardizzato e il vantaggio competitivo sarà ricercato nella diminuzione dei costi di produzione. È qui che la localizzazione produttiva in paesi con abbondanza di risorse naturali avrà un forte incentivo ad essere messa in atto. Anche le caratteristiche del settore in cui l impresa opera sono molto importanti per capire quando conviene pensare all internazionalizzazione. Se il settore è multidomestico, significa che la domanda varia da paese a paese, solitamente per beni di non alto valore. Per competere a livello nazionale servono adattamenti del prodotto, della comunicazione e delle modalità distributive. Gli adattamenti sono più efficaci se la strategia scelta è multidomestica, ovvero con presenza diretta nel paese estero. È chiaro che non ogni impresa, trovandosi di fronte a un settore multidomestico, sceglierà di internazionalizzare, in quanto sa che non potrà soltanto replicare il proprio prodotto per farlo funzionare bene anche fuori dai confini nazionali. Quando il settore è globale invece significa che vi è omogeneità dei mercati nazionali, e il prodotto è ampiamente venduto a livello mondiale, permettendo di sfruttare elevate economie di scala. I vantaggi dell impresa derivano dall integrazione delle attività su base globale, per cui un organizzazione che abbia deciso di entrare, con un ingente investimento, in un settore globale, fin dall inizio dovrà ricercare il proprio vantaggio competitivo all esterno dei confini nazionali, a differenza di un impresa operante in un settore multidomestico che, come analizzato sopra, non ha grosse spinte iniziali 15

16 all internazionalizzazione e potrà scegliere più avanti nel tempo la propria strategia di espansione, sulla base di altri fattori (Mayer e Whittington 2004). Il prodotto stesso è una discriminante molto forte: se parliamo di beni tecnologici e web services, essi sono molto più facili da internazionalizzare fin da subito in quanto i costi di spostamento fisico dei beni sono vicini allo zero, mentre beni di grosse dimensioni trovano costi di transazione (trasporto, imposte, tempo) più elevati. In questi casi, la scelta di andare a internazionalizzare dovrà essere preceduta da un periodo di attento studio, in quanto l investimento di risorse necessario all inizio del processo è più significativo e meno reversibile, e la spinta esterna a internazionalizzare dovrà venire da altre determinanti, come ad esempio il possesso di un fattore critico di successo. Il come scegliere i mercati e le modalità strategiche ottimali per penetrarli saranno descritti più avanti. Da ultimo, le caratteristiche dell impresa svolgono un ruolo fondamentale. La struttura e la cultura di un organizzazione influenzano le strategie di internazionalizzazione della stessa. Miles e Snow (1978) nel loro lavoro studiano il concetto di adattamento organizzativo, scoprendo che la strategia è legata indissolubilmente alla struttura e ai processi dell azienda. Essi formalizzarono il cosiddetto modello del ciclo adattivo, raggruppando le scelte che le imprese compiono in tre gruppi di problemi principali da risolvere: il problema imprenditoriale (come gestire il proprio mercato), il problema ingegneristico (come implementare la soluzione al problema imprenditoriale) e quello amministrativo (come strutturarsi per gestire le soluzioni ai primi due problemi). Tabella 1.2 I quattro tipi strategici individuati da Miles e Snow. Ma come si muovono le organizzazioni all interno del ciclo adattivo? Miles e Snow raggruppano le organizzazioni in tre (+1) tipi strategici: i difensori, i cercatori, gli analizzatori e da ultimi i reattori. I difensori (defender) agiscono in un ambiente statico, cercando di trovare una domanda stabile e difendere la propria quota di mercato con la competizione nei prezzi. Possono fare ciò in quanto la loro struttura si basa sull efficienza e l integrazione verticale. La strategia è sempre ben chiarita prima di iniziare il processo, ma ciò comporta il 16

17 rischio di eventuali fluttuazioni del mercato che rendono l ambiente più dinamico e difficile da controllare. I cercatori (prospector) agiscono invece in un ambiente dinamico, cercando di continuo nuove opportunità strategiche, e sono molto propensi al cambiamento. Una struttura orizzontale, decentrata e flessibile permette tutto ciò, lasciando i vantaggi e i rischi del first mover. Gli analizzatori (analyzer) possono essere considerati un mix dei primi due. Bilanciamento è la parola migliore per descriverli: un continuo trade-off tra minimizzare i rischi e spingere i ricavi più in alto possibile. Per cercare di tenere un mercato stabile ma dall altra parte sondare nuove opportunità strategiche, la soluzione sta nell imitazione: non si muovono come first mover ma come second best mover. La struttura che permette ciò è una struttura a matrice. Il rischio principale è l inefficienza dovuta alla difficoltà di mantenere la giusta bilancia. I reattori (reactors) possono essere considerati, più che una strategia, il fallimento della strategia. Si trovano in questa categoria infatti coloro che non sono riusciti ad attuare una strategia vincente, e reagiscono solo agli impulsi dell ambiente esterno. Considerando queste tre principali categorie strategiche, si possono fare delle riflessioni anche sull internazionalizzazione. Da primo, si può cogliere la differenza sostanziale tra un cercatore e un difensore: il primo ha nel DNA la spinta a internazionalizzare fin da subito. Un cercatore che trova una nuova opportunità di business all estero non esiterà prima di coglierla al volo, mentre un difensore scarterà a priori, almeno all inizio, l idea di oltrepassare i confini nazionali. Altri fattori esterni potranno comunque spingere più avanti nel tempo un difensore a internazionalizzare, come ad esempio la troppa pressione competitiva del mercato nazionale. Per gli analizzatori invece il discorso è un po più complicato, in quanto è difficile capire il momento esatto in cui conviene loro espandersi geograficamente. Restano sempre validi le altre determinanti finora prese in considerazione. In generale, non vi è un momento specifico nel quale un impresa decide di internazionalizzare, ma vi sono molte determinanti che, unite alla natura stessa dell impresa, possono operare sul processo decisionale e quindi influenzare la strategia internazionale di quest ultima. 17

18 1.5 La scelta dei mercati geografici La scelta strategica di dove internazionalizzare comincia innanzitutto dalla scelta delle nazioni all interno delle quali posizionare le proprie attività economiche. Questa scelta è fortemente influenzata dagli obiettivi strategici dell impresa. L internazionalizzazione può essere connessa alla ricerca di un mercato per i propri prodotti, oppure alla ricerca di mercati delle risorse, in grado di aumentare l efficienza o il valore della propria offerta. Perretti (2008) individua, sulla base di questi obiettivi, quattro tipologie di nazioni diverse: mercati di sbocco per prodotti/servizi già presenti nel portafoglio dell impresa; mercati delle risorse (materie prime o manodopera) in grado di offrire minori costi; mercati delle risorse che forniscano prodotti ad una qualità maggiore; paesi in cui localizzare il coordinamento di alcune attività. Ciascun obiettivo strategico permette così di individuare un cluster di nazioni con le caratteristiche desiderate. Ad esempio, se si ricerca manodopera specializzata, occorrerà ricercarla in paesi già industrializzati, mentre se ciò che si vuole è una riduzione dei costi, anche accontentandosi di manodopera non qualificata, il gruppo di nazioni da cui far partire la propria ricerca sarà quello che comprende i paesi in via di sviluppo. Una volta determinato il gruppo di nazioni che presentano i requisiti richiesti dagli obiettivi strategici, il secondo step diventa determinare quali tra i paesi del cluster presentino un grado di attrattività maggiore. Il grado di attrattività delle nazioni è il risultato di un insieme di fattori positivi e negativi messi a sistema. Tali fattori possono essere ricondotti a cinque categorie: - Fattori economici: i fattori economici sono rappresentati da: risorse naturali (nei paesi in via di sviluppo sono la principale fonte di risorse, ma occorre capire il peso che esse rivestono nell economia della nazione, e quanto esse possano dipendere da fattori casuali, come ad esempio, nel caso di risorse agricole, cattivi raccolti); mercato del lavoro (occorre fare attenzione alla differenza di qualità del lavoro, di produttività e di costo, quando si mettono a confronto paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo); mercato dei capitali (una buona analisi richiederebbe la conoscenza di reddito, tasso di risparmio, inflazione e potere d acquisto delle persone di quella determinata nazione); infrastrutture (trasporto e comunicazione sono le vene pulsanti di uno Stato. Adeguati sistemi di trasporto e comunicazione garantiscono efficienza e attrattività); tecnologia (occorre valutare il divario tecnologico tra l impresa e la nazione di arrivo). - Fattori politici: è necessario valutare parecchi fattori: l instabilità politica, ad esempio, dovuta a cambi di governo avvenuti in modo più o meno democratico, o al grado di protesta sociale, aumenta l incertezza e i possibili costi indiretti collegati ad 18

19 essa; anche l ideologia politica stessa è molto importante: alcune ideologie possono limitare il raggio di azione delle imprese (si pensi a leader nazionalistici che impongono restrizioni nei confronti delle organizzazioni straniere); un altra variabile da tenere in considerazione sono le istituzioni: comprendere quali sono i principali attori politici della nazione è di fondamentale importanza. In genere, istituzioni deboli generano effetti negativi sulle imprese, inefficienza e lentezza nei servizi, parzialità negli organi giudiziari; ancora, c è da analizzare le relazioni internazionali che la nazione instaura con gli altri Stati: possono costituire vantaggi oppure restrizioni per l attività che si vuole internazionalizzare (accordi bilaterali sulla fiscalità, ad esempio); infine, vi sono da valutare eventuali incentivi che una nazione prevede nei confronti di imprese straniere, al fine di attrarne gli investimenti. Tutto questo ricade nel concetto di rischio politico, implementato da Bunn e Mustafaouglu (1978): esso viene definito come qualsiasi evento politico, avente luogo nella nazione di destinazione, che possa avere impatti negativi sulle attività dell organizzazione. - Fattori culturali: sono variabili tanto importanti quanto difficili da determinare: la cultura, radicata nelle radici della società, è la categoria che sta alla base e influenza tutte le altre; per analizzarla attraverso Hofstede (1991), possiamo dire che vi sono tre dimensioni della struttura sociale: l attitudine nei confronti del prossimo, la struttura delle relazioni e lo stile decisionale; queste variabili definiscono due estremi, l individualismo e il collettivismo; la struttura sociale influenza la struttura organizzativa e i processi di un impresa. La concezione dello spazio e del tempo è un altra variabile significativa (si pensi alla misurazione dello spazio in modo esatto o spannometrico, o alla concezione del tempo circolare contro quella lineare). Anche la religione è importante, influenza i giorni lavorativi (festività) e la cultura in generale. Infine, altre due variabili individuate da Hofstede sono le differenze di sesso (mascolinità/femminilità) e il linguaggio. - Fattori demografici: si possono analizzare i tassi di crescita (un incremento della popolazione espande il mercato), la struttura della popolazione (i gusti di una popolazione la cui maggioranza è giovane sono diversi da quelli in cui l anzianità è predominante), il grado di urbanizzazione, le correnti migratorie (si riflettono sulla disponibilità di manodopera). - Fattori competitivi: rappresentano le variabili che influenzano la competizione in un mercato. Porter (1982) individua, nel suo modello, cinque forze: a monte della catena, i poteri contrattuali dei fornitori, a valle i poteri contrattuali dei clienti, per quanto 19

20 riguarda il mercato, invece, le altre due forze sono quelle delle minacce di potenziali nuovi entranti e di prodotti sostitutivi. Ogni potenziale nazione ospitante cela al suo interno un ambiente coeso e in continua evoluzione da generazioni e generazioni. Per questo motivo, un impresa, nella fase di ricerca del luogo in cui internazionalizzare le proprie attività, dovrà tenere conto di tutti i fattori che interagiscono con l ambiente nella nazione di destinazione. Una buona analisi dei mercati competitivi, della cultura nazionale, delle istituzioni e della ideologia politica aiuterà l organizzazione entrante a decidere a sua volta come reagire all ambiente interno, che potrebbe anche rigettarla. Un fattore chiave sarà soprattutto capire in che misura farsi influenzare (la struttura potrebbe adattarsi al nuovo mercato) e in che misura cercare di influenzare il nuovo ambiente. 20

21 1.6 Le modalità di internazionalizzazione L avvio del processo L internazionalizzazione può prendere inizio da una o più attività della catena del valore, che sia sul mercato di sbocco, su quelli di approvvigionamento delle attività produttive o finanziarie. Mercati di sbocco: generalmente, l attività da cui parte il processo di internazionalizzazione è la vendita. Per le PMI, solitamente il primo passo viene mosso attraverso intermediari commerciali esteri, in occasione di fiere internazionali. Poi, con il tempo, si comincerà ad internazionalizzare le attività di assistenza post-vendita e di promozione. Mercati di approvvigionamento di fattori produttivi: solitamente avviene in una fase già avanzata del processo. Gli obiettivi ricercati in una localizzazione internazionale della produzione sono riconducibili a strategie di resource-seeking (ricercare materie prime, manodopera a costi inferiori), market-seeking (maggiore vicinanza al mercato di sbocco) e knowledge-seeking (accesso a fonti di conoscenza). Fonti finanziarie: sono decisioni relative ad un trade-off tra gli obiettivi di minimizzare il costo di finanziamento dopo le tasse e di mantenere il rischio entro livelli accessibili Lo sviluppo del processo. I modelli degli stadi Molti autori hanno cercato di teorizzare una linea guida del comportamento che le imprese assumono all interno dello sviluppo del processo. Queste teorie possono essere raggruppate sotto i cosiddetti modelli degli stadi. In questi modelli, il processo si sviluppa attraverso una successione di cambiamenti incrementali. Si assume che l impresa evolva da un basso ad un elevato livello di attività internazionali, attraverso stadi, che si presumono unidirezionali. Tra questi, il modello di Uppsala (Johanson e Wiedersheim-Paul 1975) è degno di nota. Dopo aver raccolto dati da un campione di aziende svedesi, gli autori distinguono quattro stadi di sviluppo internazionale: Primo stadio: non vi sono attività regolari di esportazione. Secondo stadio: l esportazione è effettuata mediante rappresentanti indipendenti (agenti). Terzo stadio: costituzione di una filiale commerciale estera. Quarto stadio: costituzione di un unità produttiva in sede estera. 21

22 Secondo gli autori, gli ostacoli maggiori all internazionalizzazione sono la mancanza di conoscenza del mercato estero, unita alla scarsità di risorse da dedicare al progetto, e solo un approccio incrementale può superarli. Essi ipotizzano inoltre che nella scelta dei mercati geografici le imprese siano guidate dalla distanza psichica delle potenziali nazioni rispetto al mercato domestico, determinata da tutti i fattori che possano ostacolare i flussi informativi tra l azienda e il mercato estero, come la cultura, la lingua, le differenze fiscali, gli usi aziendali. Successivamente, Johanson e Vahlne affinarono questo modello, prima nel 1977 e poi nel Il punto comune di tutti questi modelli, però, è che hanno sempre tre macro-fasi: la fase precedente al processo, la fase iniziale e quella avanzata. Le critiche mosse a questi modelli muovono infatti da qui: l evidenza empirica ha dimostrato che il processo non è soltanto evolutivo, ma le imprese balzano da uno stadio all altro in modo tutt altro che sequenziale. Altre critiche muovono dalla durata delle fasi e del processo in sé. Non tutte le aziende hanno le stesse tempistiche, tutt altro. E il modello inoltre non prevede inversioni di marcia o eventuali ripensamenti: è unidirezionale, anche se la realtà conferma il contrario. Da ultimo, è importante notare come questi modelli riguardino l internazionalizzazione commerciale, quando oggi ormai l internazionalizzazione è un fenomeno che riguarda tutte le attività di un organizzazione. Da queste considerazioni, è chiaro che l impresa internazionale non possa essere analizzata attraverso un unico modello. Ma quindi perché i modelli a stadi sono importanti? Per rispondere a questo quesito, va ricordato che un azienda che vuole espandersi oltre i confini nazionali dovrà affrontare due tipi di incertezza: quella derivante da fattori non conosciuti (ma conoscibili, come il contesto normativo, le dimensioni della domanda di un prodotto), e quella derivante da fattori inconoscibili (domande latenti, potenziali entranti). Mentre il primo tipo di incertezza è riducibile attraverso studi e analisi di mercato, il secondo è un tipo di incertezza impossibile da combattere. Ecco quindi che un modello a stadi può aiutare un impresa a crescere a gradini, investendo un ammontare di risorse sempre maggiore, man mano che anche la conoscenza del nuovo contesto competitivo sarà migliorata. In questo modo il rischio potrà calare e l impresa penetrare il mercato con maggiore sicurezza. Varie e numerose sono le strategie che le organizzazioni nel tempo hanno utilizzato per spingersi con successo al di fuori dei confini nazionali. Di seguito, seguendo sempre la letteratura globale, saranno analizzate le modalità di presenza che meglio possono adattarsi ai diversi tipi di impresa che si trovano ad affrontare la questione dell internazionalizzazione. 22

23 DIMENSIONE INVESTIMENTO Le strategie di presenza L elaborazione di una strategia esplicita di presenza prevede quattro fasi: - Valutazione del potenziale strategico dei mercati. - Valutazione dell attrattività dei singoli mercati. - Formulazione della strategia di presenza/crescita. - Implementazione della strategia. Quali sono i modi più opportuni per entrare in un mercato straniero, in base agli obiettivi strategici dell impresa e alle risorse disponibili? Focalizzando l attenzione solamente sulle strategie di internazionalizzazione sui mercati di sbocco (non si intende solo la mera vendita/esportazione, ma anche il trasferimento di risorse e competenze), troviamo già più di un alternativa: i due estremi sono l essere presenti solo occasionalmente e indirettamente, e il costruire una presenza costante e diretta che consenta all impresa di diventare un vero e proprio attore locale. Basso coinvolgimento MOTIVAZIONI STRATEGICHE Sfruttamento di opportunità spot Presenza costante per far crescere il mercato Conseguimento di una posizione competitiva importante - FIERE - TRADING - AFFARI COMPANY OCCASIONALI LOCALI Alto coinvolgimento - UFFICIO DI RAPPRESENTA NZA - JOINT VENTURE - IDE Tabella 1.3 Le modalità di presenza sui mercati di sbocco una tassonomia. Fonte: MARAFIOTI 2008 È possibile, quindi, in prima approssimazione, identificare due variabili di decisione sulle strategie di presenza da intraprendere: la dimensione dell investimento e le motivazioni strategiche. Esiste una relazione positiva tra il raggiungimento di una posizione competitiva di spessore e la dimensione dell investimento. Unendo le due variabili si può ottenere una tabella che mostra le varie modalità di presenza possibili, sulla base degli obiettivi e delle 23

24 risorse che si vogliono utilizzare: ad esempio, con un basso coinvolgimento finanziario, si potranno sfruttare opportunità spot (fiere) oppure cercare già di ottenere una presenza costante (trading company del paese d origine o locali), ma per raggiungere una posizione competitiva importante (attraverso joint venture commerciali o investimenti diretti) occorre investire un elevata quantità di risorse nel progetto. Allo scopo di descrivere le varie tipologie possibili di modalità di presenza, possiamo raggruppare queste ultime in tre macro-categorie: modalità di presenza basate sull esportazione, contrattuali e con investimento (Marafioti 2008). Modalità di presenza basate sull esportazione: l esportazione può anche riguardare solamente i prodotti fisici ed è quindi la modalità di presenza maggiormente utilizzata dalle piccole e medie imprese, dati l importante limitazione dei rischi, il basso coinvolgimento di risorse e l alta flessibilità di azione che essa comporta. L esportazione può essere diretta e indiretta. Quando è indiretta, si ricorre a intermediari, come le imprese export nazionali, o gli importatori locali, che conoscono meglio il mercato estero e permettono all impresa esportatrice di non trasferire attività al di fuori della nazione. Questa modalità è particolarmente utile per le società che per la prima volta intendono affacciarsi ad un ampliamento di commercio in ottica internazionale. Siamo di fronte ad esportazione diretta invece quando gli intermediari operano in nome e per conto dell impresa. I vantaggi per l azienda sono collegati al controllo (parziale o completo) del prezzo e della distribuzione, oltre che alla protezione dei marchi e dei brevetti. Modalità di presenza basate sull esportazione: Indiretta Diretta (agente o filiale) Modalità di presenza contrattuali: Management contract Licensing Franchising Contract manufactoring Investimento estero: Joint venture: ex novo o acquisizione Investimento diretto estero Tabella 1.4 Le diverse modalità di presenza. Fonte: MARAFIOTI

25 L esportazione diretta può essere svolta facendo ricorso ad agenti o filiali. Gli agenti (o canali distributivi esteri) si occupano delle transazioni, della logistica, forniscono servizi complementari al cliente finale. Nel caso di filiali e sussidiarie, invece, gli agenti sono direttamente controllati dall azienda, in quanto dipendenti da quest ultima, ma per attuare ciò occorre un impegno finanziario più consistente. La differenza tra le due diverse soluzioni sta nel fatto che l agente è un soggetto indipendente che rappresenta l impresa estera per conto ma non in nome, mentre il distributore estero acquista i prodotti per poi rivenderli, assumendosi il rischio della mancata vendita. La remunerazione dell agente è sostanzialmente legata ai volumi delle vendite, quella del distributore al margine di profitto. Una terza tipologia di esportazione diretta è il contatto diretto tra il produttore e il cliente finale, ma anche in questo caso l azienda dovrà dotarsi di strumenti adeguati per gestire la parte logistica. Modalità di presenza contrattuali: sono forme di collaborazione con terzi soggetti, regolate dal punto di vista formale. Il management contract è un accordo attraverso il quale l azienda entrante si occupa della gestione dell attività quotidiana di un impresa già presente nel paese di destinazione, ed è rappresentata nel comitato manageriale che supervisiona le attività. Contratti di questo tipo non consentono comunque all azienda di effettuare investimenti di capitale o decidere riguardo a manovre di lungo periodo. Con il licensing, il licenziante concede al licenziatario il diritto di produrre o distribuire un prodotto, a fronte del pagamento di royalties (licenze). Il licenziatario (l impresa locale) ha piena discrezionalità nella gestione del mercato, ed il controllo è garantito da clausole contrattuali. Questa modalità di presenza è però accessibile solamente ad imprese che possiedano marchi o brevetti ritenuti interessanti dai potenziali target, oppure un prodotto differenziato in grado di garantire un ritorno economico maggiore (Contractor 1984). Il rischio di tale modalità contrattuale è l eventuale perdita del know-how trasferito, che può sfociare nella creazione di un concorrente locale. Qualora l obiettivo sia non tanto lo sfruttamento di vantaggi locali ma la mera esportazione dei propri prodotti sul mercato locale, il licensing è spesso visto come alternativa all investimento diretto. La scelta tra le due modalità dipenderà dal valore attuale netto (VAN) dei due progetti, e dal rischio dato da un investimento diretto confrontato con quello dato dalla concessione della licenza. Il franchising è una forma di licenza con la quale cui l utilizzo di un prodotto viene concesso a un soggetto indipendente, sempre in cambio di royalties. Esso ha una finalità tipicamente distributiva, il cui principale vantaggio risiede nella velocità di espansione dei mercati internazionali utilizzando bassi investimenti, e la grande motivazione del franchisee 25

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