DISAGIO SOCIALE E POLITICHE DELLA CASA

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1 DISAGIO SOCIALE E POLITICHE DELLA CASA Comunicazione di: Gaetano Lamanna Coordinatore Dip.to Ambiente e Territorio Cgil nazionale alla 1^ Conferenza Nazionale CGIL Per il diritto alla salute un sistema di qualità Roma, gennaio 2004

2 Il diritto alla casa è tornato ad essere un tema di riflessione e di lavoro. Per molti anni questo tema era scomparso dall agenda del sindacato e dall attenzione della sinistra. Il dato statistico sulle case in proprietà (l 80% circa), benchè basato sulla famosa media di Trilussa, era tale da considerare la casa un problema sostanzialmente risolto. Per chi non aveva la casa in proprietà c era l equo canone o, se il suo reddito era particolarmente basso, l alloggio popolare o, ancora per le i redditi medi, gli immobili degli enti previdenziali o delle assicurazioni o delle banche. La casa in proprietà utilizzando la 167 (l edilizia agevolata in cooperativa), l equo canone, l edilizia residenziale pubblica, sono stati grandi conquiste sociali, frutto di lotte che risalgono agli anni sessanta e che culminarono con lo sciopero generale delle tre confederazioni sulla casa che si svolse il La politica della casa, dunque, pur tra contraddizioni e limiti (non dimentichiamo che la crisi della mobilità urbana deriva per molti aspetti da uno sviluppo distorto e non programmato delle città e del territorio), fino agli anni novanta, sotto l impulso del movimento sindacale, ha conseguito risultati non disprezzabili dal punto di vista sociale, è stata un elemento non secondario del Welfare italiano. Negli anni novanta inizia un processo riformatore che ha finito col gettare, insieme all acqua sporca, anche il bambino. Nel 96, con l accordo tra governo e parti sociali sulla riduzione del costo del lavoro, si decideva di eliminare i contributi Gescal, con i quali si finanziava l edilizia sociale. Nel 98 si chiudeva la fase dell equo canone (che si basava sostanzialmente sul concetto di prezzo amministrato, scaricando sul proprietario della casa il costo sociale dell intervento) e si approvava la legge 431 sulla regolamentazione degli affitti, introducendo sia il regime del doppio canale di contrattazione del canone sia il fondo sociale di sostegno all affitto per le famiglie più disagiate. Infine, con il titolo V, le competenze relative alla politica della casa sono passate in via esclusiva alle Regioni e al sistema delle autonomie locali. Ma il passaggio di competenze è avvenuto a zero lire. Infatti, essendo stati i finanziamenti per la politica sociale della casa garantiti dal fondo Gescal, nel bilancio dello Stato non esisteva una spesa storica dedicata alla casa (come per la sanità o per i trasporti). Se le riforme del centro-sinistra in tema di casa sono risultate inadeguate e hanno creato più problemi, in termini di incertezza e precarietà, di quanti non ne abbiano risolto, l attuale governo sta procedendo a un radicale smantellamento di ogni tipo di intervento pubblico. Nessun finanziamento per l ERP, svuotamento del Fondo sociale per l affitto a livelli insignificanti, promesse di agevolazioni alle giovani coppie da finanziare con le risorse destinate all assistenza. Tutto ciò avviene al di fuori di qualsiasi concertazione non 2

3 solo con le parti sociali, ma anche con gli altri livelli istituzionali. Per l attuale governo il discorso è chiuso. D altra parte, Il viceministro Martinat, che ha la delega sulla casa, non perde occasione per ripetere che la materia è esclusiva competenza delle Regioni e, quindi, non spetta al governo trovare le risorse. Se i comuni vogliono mantenere o incrementare il Fondo per l affitto, dice Martinat, se lo finanzino da soli tramite l aumento dell Ici. Per il governo, dunque, la casa non è un diritto da garantire, né un problema sociale che si collega strettamente alla politica dei redditi, alle politiche del lavoro, alla politica dei servizi. Quali sono i cambiamenti, intervenuti nell ultimo decennio, che fanno assumere una nuova centralità alle politiche dell abitare? Perché in un paese che ha sulla carta un numero di abitazioni di gran lunga superiore al numero delle famiglie esiste, poi, questo grande divario tra domanda e offerta abitativa? Tre sono, a mio avviso, le ragioni fondamentali che hanno determinato l insorgere, nel nostro paese, di una questione abitativa con caratteristiche diverse rispetto al passato: una ragione demografica, messa in evidenza dall ultimo censimento Istat. Dal 1991 al 2001 il numero delle famiglie è aumentato di un milione e mezzo (passando da circa venti milioni a circa ventuno milioni e mezzo). Aumenta il numero di famiglie ma diminuisce la composizione dei nuclei familiari: più anziani soli, più single, più famiglie monogenitore; una ragione legata al mondo del lavoro. I lavoratori in mobilità nelle aree produttive del Nord-Est, ma anche i giovani, con contratti a tempo determinato o di collaborazione, costretti a spostarsi in continuazione da una città all altra, hanno messo in evidenza l estrema rigidità del mercato abitativo rispetto alla flessibilità e alle nuove dinamiche del mercato del lavoro; infine, la forte crescita dei valori immobiliari, soprattutto nelle grandi città, che ha comportato un considerevole aumento degli affitti. E saltato, negli ultimi anni, come dimostrano le indagini condotte dal Sunia nelle grandi città, qualsiasi rapporto tra reddito dei lavoratori e canone. I livelli di canone richiesti sul mercato privato dell' affitto sono del tutto incompatibili con i redditi da pensione o con quelli di una famiglia in cui lavora solo il capofamiglia o con quelli di un giovane che cerca la sua autonomia. Se questa è la situazione, c è bisogno di un insieme di interventi, ovvero di una politica capace di dare una risposta ad una platea sociale vasta che vive 3

4 drammaticamente il problema della casa. Si tratta di anziani, giovani, lavoratori in mobilità, immigrati, single, divorziati, studenti universitari, per i quali la casa si presenta non già come un bene d investimento o un bene rifugio (come è stato per più di una generazione dal dopoguerra in poi), bensì come un bene d uso, funzionale ai percorsi di vita e di lavoro di ciascuno. Rispetto a questa visione, nuova e moderna, della funzione della casa, si registra un ritardo intollerabile della cultura di sinistra e dello stesso movimento sindacale. La vicenda delle dismissioni del patrimonio residenziale pubblico degli enti previdenziali (e, in una certa misura, anche dell Erp), con l accelerazione avuta con i processi di cartolarizzazione, è emblematica di una politica che alle esigenze di cassa ha sacrificato bisogni sociali fondamentali. Da questo punto di vista, il ministro Tremonti sta portando avanti, certamente in modo più brutale, una politica che ha mosso i primi passi col centrosinistra. Si sta completando la vendita di circa abitazioni pubbliche (che erano affittate a canone moderato) senza tenere in alcun conto le ripercussioni negative sul mercato degli affitti e, complessivamente, sul tessuto delle nostre città, destinate a diventare facile preda degli interessi e delle speculazioni di grandi immobiliari, che spingono per cambiare la destinazione d uso degli immobili collocati nelle aree centrali e di maggior pregio, costringendo la popolazione residente, che non è in grado di sopportare certi costi, a spostarsi in periferia. Cgil,Cisl e Uil hanno predisposto un documento unitario sul rilancio della politica della casa, che deve servire da base per il confronto col governo in sede di finanziaria e, comunque, per avviare una vertenzialità a livello regionale e territoriale. Nei mesi scorsi abbiamo aperto un tavolo con la Conferenza delle Regioni e con l Anci, e abbiamo chiesto al governo una conferenza nazionale sulla casa. La stessa proposta hanno fatto, autonomamente, i sindacati degli inquilini, Federcasa, il movimento cooperativo, le associazioni dei proprietari e dei costruttori. Sulla questione casa si gioca, insomma, una partita importante non solo sul piano dei diritti e delle politiche sociali, ma anche su quello delle politiche d investimento e delle politiche urbanistiche. Il nostro impegno è rivolto, a partire dai prossimi mesi, a: porre al centro delle politiche abitative la questione della sostenibilità degli affitti. Ciò presuppone il rilancio degli investimenti nel campo dell edilizia sociale e dell edilizia agevolata in affitto permanente (o per almeno venti anni). L aumento di un offerta abitativa - adeguata, per tipologia e costi alla nuova domanda sociale richiede una voce di bilancio non inferiore, come chiedono anche 4

5 Regioni e Comuni, a mille milioni di euro annui. I finanziamenti pubblici, al fine di assicurare la massima produttività degli investimenti, dovrebbero essere variabili (sul modello della legge 21/ 01 sul disagio abitativo ), cioè tali, da un lato, da garantire la copertura dei costi al 100% per gli alloggi destinati alle fasce più deboli e, dall altro, da prevedere il concorso dei privati per soddisfare la domanda di coloro che non hanno i requisiti per accedere all alloggio popolare ma, al tempo stesso, non sono nelle condizioni di accedere al mercato privato dell affitto. Inoltre, invece di costruire ex novo (se non in casi in cui sia impossibile altrimenti), i Comuni in via prioritaria dovrebbero indicare, direttamente o d accordo con i privati, immobili vuoti e aree degradate da recuperare; mantenere e potenziare, con un finanziamento di 500 milioni di euro il Fondo sociale per l affitto, una forma essenziale d intervento quando il divario tra reddito e canone colloca il nucleo familiare nella fascia di povertà. L integrazione al reddito per l affitto (il bonus casa), allo stato attuale, è lo strumento più flessibile ed efficace a disposizione dei comuni per fronteggiare il disagio abitativo; rafforzare il secondo canale (il contratto d affitto concordato ), prevedendo una modifica alla legge 431/ 98 al fine di dare maggiori incentivi fiscali ai proprietari immobiliari, che oggi preferiscono il canale libero o affittare in nero ; puntare al rifinanziamento dei contratti di quartiere che, alla luce dell esperienza, hanno dimostrato di essere validi strumenti di riqualificazione urbana attraverso interventi (nel campo dei servizi e delle infrastrutture), in grado di riconnettere le periferie al tessuto complessivo della città. 5

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