L'applicazione delle norme internazionali ed europee nell ordinamento interno.

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1 L'applicazione delle norme internazionali ed europee nell ordinamento interno.

2 Il diritto internazionale può essere definito come il diritto (o ordinamento) che disciplina le relazioni tra i soggetti (statuali e non) della Comunità internazionale. I soggetti della Comunità internazionale sono coloro i quali possiedono l'astratta attitudine a divenire titolari dei diritti e degli obblighi previsti dalle norme di diritto internazionale, molte delle quali essi stessi hanno generato mediante la consuetudine. Dall'impegno e la cooperazione tra gli Stati nasce il diritto internazionale, che gli stessi Stati si impegnano a rispettare con proprie norme, anche di rango costituzionale, generando così i rapporti interstatali, ma non solo. Infatti, l'internazionalismo moderno, trasferendo dal piano nazionale a quello dell'ordinamento internazionale la disciplina dei rapporti economici, commerciali e sociali, destina l'amministrazione ed applicazione del diritto internazionale agli operatori giuridici interni, in primo luogo ai giudici nazionali. Al fine di comprendere a pieno l'influenza del diritto internazionale nell'ordinamento interno è opportuno affrontare il tema dell'adattamento del diritto interno al diritto internazionale, in particolare, come le norme internazionali vengono immesse nell'ordinamento statale e coordinate con le norme di origine nazionale. Le procedure di adattamento nell'ordinamento italiano possono essere distinte tra procedimenti ordinari e procedimenti speciali: con il procedimento ordinario le norme internazionali (consuetudinarie o pattizie) vengono riformulate all'interno dello Stato sotto forma di norme interne (costituzionali, legislative o amministrative) riproducendo, o eventualmente, specificando il contenuto. In questo caso, la norma interna che riproduce quella internazionale ha lo stesso valore di qualsiasi norma statale e dunque segue il principio lex posterior derogat priori, indipendentemente dalla evoluzione dalla norma internazionale originaria. con il procedimento speciale (o procedimento mediante rinvio) il Costituente o il legislatore o l'organo amministrativo opera semplicemente un rinvio alle norme internazionali e ordina, mediante l'ordine di esecuzione (emanato con la stessa legge che autorizza la ratifica del trattato ex

3 art. 80 Cost., ma che dopo la riforma dell'art. 117, co. 1 Cost. può essere considerato come una mera clausola di stile) l'applicazione all'interno dello Stato ex art. 10 della Costituzione italiana (Cost.), il quale stabilisce che "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute". Sebbene, per una esatta applicazione del diritto internazionale sia preferibile il procedimento speciale, perché lascia all'interprete il centro di applicazione della norma, in alcuni casi il procedimento ordinario è indispensabile. Questo caso si verifica, quando la norma internazionale non è self-executing e dunque richiede necessariamente, per essere applicata, un'attività normativa integratrice da parte degli organi statali. Una norma si definisce non self-executing (o non direttamente applicabile): 1. quando questa attribuisce semplici facoltà agli Stati 2. quando, pur imponendo obblighi, la norma non può ricevere esecuzione perché mancano gli organi o le procedure interne indispensabili per la sua applicazione 3. nel caso in cui la sua applicazione richieda adempimenti di carattere costituzionale. La norma internazionale non self-executing impone un obbligo di risultato e lascia lo Stato libero nella scelta dei mezzi più idonei (legge costituzionale, legge ordinaria, decreto legge, atto amministrativo), purché la corretta interpretazione ed applicazione della norma stessa sia garantita. E' da rilevare, che molto spesso le norme internazionali vengono interpretate come non self-executing per ragioni "politiche" perché contrarie agli interessi nazionali o indesiderate e così vengono sollevate questioni: sul contenuto vago della norma, oppure le considerano norme sui principi generali e non di dettaglio, al fine di escludere la diretta applicabilità. I procedimenti ordinari e speciali, dunque, attengono al mezzo attraverso cui il diritto internazionale penetra nell'ordinamento interno. Il passaggio successivo attiene al rango che le norme internazionali acquisiscono una volta adattate all'interno dell'ordinamento statale (in Italia). Per quanto riguarda l'adattamento del diritto internazionale generale, a procedere è il Costituente e avviene a livello costituzionale. L'art. 10 Cost., definito dall'internazionalista Perassi come il "trasformatore

4 permanente", permette mediante il procedimento di adattamento speciale, precedentemente trattato, il rinvio mobile, lasciando all'interprete interno la possibilità di applicare in modo unitario e conforme le norme di diritto internazionale all'ordinamento interno. Le norme internazionali generali sono le consuetudini, che possono essere considerate come fonti primarie dell'ordinamento internazionale e sono norme che si sono formate nell'ambito internazionale attraverso l'uso. Le norme consuetudinarie hanno rango costituzionale, tuttavia, queste norme non possono essere contrarie ai principi fondamentali della Costituzione. Su questo punto, la Corte Costituzionale, nella sentenza del n.238 ha ritenuto che una norma consuetudinaria contraria ai principi fondamentali della nostra Costituzione non può operare nel nostro ordinamento, ma ha poi affermato, che solo un controllo di costituzionalità può stabilire se una norma internazionale consuetudinaria sia contraria o meno ai principi fondamentali della Costituzione e se questa debba essere applicata, riaffermando così il controllo accentrato della Corte Costituzionale. Anche l'art. 11 Cost. è una norma di adattamento al diritto internazionale consuetudinario che "...consente, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Questa norma, in primis, è stata usata dalla Corte Costituzionale per garantire il primato del diritto dell'unione Europea sul diritto interno, ma può anche essere estesa per l'adattamento delle norme di diritto internazionale consuetudinario, come ad esempio: l'uso della forza nei casi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite per legittima difesa collettiva o per le operazioni di peacekeeping organizzate o autorizzate dal Consiglio di Sicurezza dell'onu (art. VII della Carta). L'obbligo di conformarsi agli obblighi previsti dalle norme di diritto internazionale investe tutti gli organi dello Stato: Parlamento, Pubblica amministrazione e Magistratura. Subordinate alla consuetudine ci sono le tipiche norme di diritto internazionale, gli accordi (patti, o convenzioni, o trattati) internazionali che vincolano solo gli Stati contraenti. L'adattamento nell'ordinamento interno di tali norme internazionali si realizza mediante l'applicazione congiunta del procedimento ordinario e speciale. Le convenzioni internazionali possono, infatti, contenere sia norme precettive, che norme incomplete e programmatiche: per le prime, il legislatore emana l'ordine di esecuzione per rendere tali norme operanti, tenendo conto, nel caso dei trattati, di tutta una serie di elementi fondamenta-

5 li, quali: entrata in vigore del trattato, gli Stati che ne fanno parte nel momento in cui occorre applicarlo, riserve poste al trattato, deposito, status delle notifiche di successione ecc. Per le seconde, le norme internazionali incomplete o programmatiche, il legislatore pone in essere un'ulteriore attività legislativa di dettaglio. Per quanto concerne il rango dei trattati nel diritto interno, questo, ha subito profonde modifiche con la riforma del titolo V della Costituzione, effettuata con la Legge cost n. 3. L'art. 3 n.1 della legge di riforma ha stabilito che la legislazione statale deve esercitarsi "nel rispetto dei vincoli internazionali". In tal modo, viene riconosciuta e garantita la preminenza degli obblighi internazionali, e quindi anche degli obblighi derivanti dai trattati sulla legislazione ordinaria. Dopo questa riforma, una legge ordinaria che non rispetti i vincoli derivanti da un trattato deve ritenersi viziata e come tale deve essere annullata dalla Corte Costituzionale. A chiarimento di tale riforma sono intervenute due sentenze della Corte Costituzionale, le cosiddette "sentenze gemelle", del , n. 348 e 349 che hanno, da un lato, confermato quanto stabilito dall'art. 117, comma 1 Cost. riformato, dunque, la prevalenza degli obblighi internazionali sulla legislazione ordinaria, dall'altro hanno mantenuto il controllo di costituzionalità sulle norme internazionali quando queste sono contrarie alla Costituzione. In tal modo, la Corte Costituzionale riconosce al giudice la competenza ad interpretare le norme interne in modo conforme alle norme internazionali ma limita, con la sentenza n.349, l'attività interpretativa stessa "quando il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale", imponendo il giudizio di costituzionalità. Le norme pattizie assumono così il rango di norme "interposte" tra legge ordinaria e Costituzione, diventando parametro di costituzionalità delle leggi nei limiti del rispetto della Costituzione. La dottrina definisce la rivendicazione da parte della Corte Costituzionale del suo controllo di costituzionalità sui trattati internazionali, nonostante la riforma del titolo V della Costituzione, come teoria dei controlimiti. Per quanto riguarda l'adattamento da parte dell'ordinamento interno agli atti delle organizzazioni internazionali, l'italia, a secondo del tipo di accordo stipulato con l'organizzazione internazionale X, applica sia l'immissione automatica che il procedimento ordinario. Il primo viene utilizzato quando il trattato istitutivo dell'organizzazione internazionale X prevede espressamente la diretta applicabilità delle deci-

6 sione emanate dai loro organi negli ordinamenti degli Stati membri (regolamenti dell'unione Europea) mediante l'applicazione dell'art. 11 Cost. che prevede: "... in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Questo, comunque, non esonera le norme emanate dagli organi delle organizzazioni internazionali, come avviene per i trattati, al controllo di costituzionalità. Il secondo metodo di adattamento si utilizza quando il trattato stipulato con l'organizzazione X non contiene alcuna disposizione sulla diretta applicabilità delle decisioni emanate dagli organi della organizzazione e quindi, per ognuna di esse è necessario un atto di esecuzione ad hoc. Una trattazione separata, rispetto a quella dell'adattamento dei trattati ed alle fonti derivate dai trattati, merita l'adattamento al diritto dell'unione Europea (Unione). La ragione risiede nel diverso rapporto che lega il diritto dell'unione al diritto interno rispetto al diritto internazionale. Quest'ultimo si sviluppa come forma di coordinamento tra due sistemi giuridici autonomi tra loro, il rapporto tra l'ordinamento dell'unione e quello interno, invece, si presenta come rapporto di integrazione. Le caratteristiche di questo rapporto di integrazione sono: 1. i soggetti destinatari delle norme europee (regolamenti, direttive e decisioni) sono i medesimi dell'ordinamento interno 2. i poteri delle istituzioni dell'unione operano direttamente sui soggetti del diritto interno 3. i soggetti di diritto dell'unione e quelli di diritto interno hanno le medesime garanzie e possono adire direttamente gli organi giurisdizionali europei. Tutto ciò conduce a due principi fondamentali: la diretta efficacia del diritto dell'unione e il primato del diritto dell'unione sul diritto interno. Per quanto riguarda, la diretta efficacia del diritto dell'unione è opportuno specificare che l'efficacia diretta non va confusa con la diretta applicabilità. L'efficacia diretta è legata alla norma ricavata dalla disposizione, dove per norma si intende il contenuto di una disposizione normativa, qualunque sia l'aspetto formale dell'atto (regolamento, direttiva, decisione). La diretta applicabilità è una caratteristica tipica di determinati atti che hanno caratteristiche ben precise, come ad es. il

7 regolamento. Il regolamento, in quanto atto emanato da un organo delle istituzioni europee contenente disposizioni imperative è direttamente applicabile ed esplica i suoi effetti nel momento stesso in cui viene emanato, a prescindere da una disposizione nazionale di recepimento, ex art. 288 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea (TFUE). Questo, sebbene si traduca nell'introduzione nell'ordinamento italiano di una fonte di tipo legislativo non prevista dalla Costituzione, non comporta una violazione di quest'ultima perché, dal combinato disposto dell'art. 11 Cost. e l'art. 117, comma 1 Cost. si evince che il legislatore deve rispettare gli obblighi derivanti dal diritto dell'unione Europea, con prevalenza sulle norme nazionali. Tuttavia, alcuni regolamenti possono essere incompleti e non avere quella forza formale necessaria che li rende direttamente applicabili, allora in questi casi, è necessario un atto statale di esecuzione ed integrazione per far loro produrre effetti, come avviene per le norme internazionali non self executing. A differenza dal passato, oggi è possibile affermare che anche le decisioni e le direttive, possono avere una diretta applicabilità, seppur limitata. Infatti secondo il Conforti e altra autorevole dottrina, regolamenti, direttive e decisioni sono tutti sullo stesso piano in termini di diretta applicabilità e necessitano l'emanazione di atti interni di esecuzione solo quando incompleti. L'applicabilità diretta delle direttive è ammessa, entro certi limiti, anche dalla Corte di Giustizia dell'ue quando: i giudici interni, chiamati ad interpretare norme interne che disciplinano materie oggetto di una direttiva, devono interpretare la norma alla luce della lettera e dello scopo della direttiva medesima. ( sentenze UE: , in causa 14/83 e in causa C-106/89, in cause riunite C-378 a 380/07. A queste sentenze della Corte di Giustizia UE seguono in Italia: Cass. civ., Sez. Unite n e n. 6316) la direttiva chiarisce un obbligo già previsto dai trattati, anche quando riguardi solo un principio generale. (sentenze UE: , in causa 33/70, in causa C-445/06 e in causa C-555/07) la direttiva impone un obbligo di risultato, che non necessariamente implica l'emanazione di atti ad hoc perché "incondizionate e sufficientemente precise da un punto di vista sostanziale". In questo caso, gli individui possono far valere gli effetti della direttiva innanzi ai giudici nazionali

8 (es. la direttiva richiede l'obbligo di abrogare una determinata norma entro un certo termine; qualora il termine decorra senza che la direttiva sia stata applicata, si può far valere l'abrogazione). Sul punto, rilevano due distinti orientamenti della Corte di Giustizie UE: un primo orientamento, richiamando l'art. 288 TFUE, impone alla direttiva solo effetti verticali e conseguentemente, solo contro lo Stato o altri organismi incaricati di pubbliche funzioni potrà essere invocata la direttiva (sentenza UE: in causa 152/84 e in causa C-61/11). Un secondo orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia UE afferma che la direttiva non ha solo effetti verticali ma anche orizzontali, conseguentemente, potrebbe essere invocata anche nelle controversie degli individui fra loro (sentenza UE: in causa C-555/07) le direttive stabiliscono un termine entro il quale lo Stato deve adempiere. In questo caso, sebbene lo Stato non abbia un vero obbligo di risultato fino alla scadenza del termine, questo ha comunque l'obbligo di non adottare disposizioni che siano contrarie al risultato imposto dalla direttiva. (sentenza UE: in causa C-129/96; in Italia: Cass. civ. Sez. Unite, n. 2906, in tema di appalti pubblici) le direttive impongono allo Stato obblighi procedurali (es. obbligo di informare la Commissione dell'unione sull'adozione di certe norme nazionali, per dare l'opportunità alla Commissione stessa di sollevare eventuali obiezioni). In questo caso, la violazione di tale obbligo porta alla disapplicazione della norma nazionale (sentenza UE: in causa C-194/94, in causa C-20/05) le direttive direttamente applicabili non vengono attuate e conseguentemente violano il diritto dell'unione. In questo caso, i singoli soggetti colpiti da tale violazione possono chiedere il risarcimento del danno, a condizione che quella determinata direttiva attribuisca loro dei diritti e che sussista il nesso di causalità tra la mancata applicazione della direttiva e il danno (sentenze UE: in cause C-6/90 e C-9/90, in causa C-224/01 e in causa C- 173/03; in Italia: Cass. civ. Sez. Unite, n. 9147).

9 La Corte di Giustizia UE, riconosce efficacia diretta anche alle decisioni indirizzate agli Stati membri, quando l'obbligo è chiaro e preciso, anche quando abbiano ad oggetto obblighi di non facere (sentenza UE: in causa 9/70). A tal punto, è opportuno passare alla trattazione del primato del diritto dell'unione sul diritto interno e al rango che esse assumono nell'ordinamento interno. La Corte Costituzionale, seguendo la famosa sentenza della Corte di Giustizia UE del in causa 106/77 (caso Simmenthal), con le sentenze: n.170, n. 113 e n.389 dell' afferma che il diritto comunitario (oggi dell'unione) prevale sulle leggi interne, sia anteriori che posteriori e che ogni giudice o organo amministrativo è tenuto a disapplicare la normativa interna a favore del diritto dell'unione, perché direttamente applicabile, ex art. 11 Cost. precedentemente trattato. La riforma del titolo V della Costituzione (art. 117, comma 1) va inserita in questo contesto e conferma il rispetto dei vincoli derivanti dal diritto dell'unione e anche la giurisprudenza costituzionale, successiva a questa riforma, conferma l'inapplicabilità o l'illegittimità costituzionale delle leggi ordinarie quando in contrasto con norme dell'unione direttamente o non direttamente applicabili ( sent n. 28 e n. 227). Per quanto riguarda invece i rapporti tra il diritto dell'unione e le norme costituzionali, si applica la teoria dei controlimiti, precedentemente trattata, dunque il diritto dell'unione in nessun caso può comportare la violazione dei principi fondamentali e la Corte Costituzionale mantiene la riserva del giudizio di costituzionalità in caso di conflitto tra principi fondamentali e diritto europeo, anche se alla luce delle recenti novità introdotte nell'ue, questa teoria sembra in conflitto con il processo di integrazione avviato. L'ordinamento dell'unione mantiene alto lo standard di protezione dei diritti fondamentali e non necessiterebbe l'applicazione della teoria dei controlimiti. Infatti, l'ue si fonda sul rispetto delle tradizioni democratiche costituzionali comuni degli Stati membri e dispone della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea, proclamata a Nizza nel 2000 e promuove il rispetto dei diritti umani attraverso il richiamo dei diritti garantiti dalla Convenzione Europea dei diritti umani (CEDU). Inoltre, dopo la riforma operata dal Trattato di Lisbona è prevista l'adesione dell'unione europea alla CEDU (non ancora avvenuta), il riconoscimento della Carta di Nizza come atto giuridico vincolante e l'inserimento nel TUE, di un nuovo art. 2 che garantisce la protezione dei diritti fondamentali.

10 Infine, è opportuno affrontare il ruolo delle Regioni in materia di adattamento delle norme internazionali ed europee nell'ordinamento interno. L'art. 117, comma 1 Cost. riformato, fissa il limite alle competenze regionali e obbliga il legislatore regionale al rispetto dei "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Per quanto riguarda le norme internazionali non selfexecuting che hanno ad oggetto materie di competenza esclusiva o concorrente delle Regioni, inizialmente era esclusa per le Regioni qualunque attività di esecuzione di obblighi internazionali. Oggi, mediante la L. cost. 3/2001 e successiva L. 131/2003 di attuazione, è avvenuto il riconoscimento a livello costituzionale del potere di attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'unione europea ad opera delle Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempimento (art. 117, comma 5). Oltre al limite del potere delle Regioni per il caso di inadempimento, l'art. 120 Cost. comma 2, anch'esso modificato dalla L. cost. 3/2001 pone ulteriori limiti a questo potere e prevede un potere sostitutivo del Governo anche in caso "di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, ovvero di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali..." Per quanto riguarda i poteri delle Regioni e il diritto dell'unione europea, la legge del n.234 stabilisce che anche le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza "danno attuazione alle direttive ed agli altri obblighi derivanti dal diritto dell'unione europea" (art. 29, comma 1). Nelle materie di competenza concorrente, lo Stato fissa i principi nel rispetto di quali le regioni e le province autonome devono esercitare la loro attività di attuazione (art. 30).

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