i percorsi memoria della l inverno e le altre stagioni Centri di Cultura per l Infanzia e l Adolescenza

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1 i percorsi della memoria l inverno e le altre stagioni Centri di Cultura per l Infanzia e l Adolescenza

2 i percorsi della memoria l inverno e le altre stagioni a cura del Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti Centri di Cultura per l Infanzia e l Adolescenza

3 Città di Torino ITER - Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile Presidente Mariagrazia Pellerino Assessora alle Politiche Educative Direttore Umberto Magnoni Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti Responsabile pedagogico Maria Carla Rizzolo Cura redazionale del presente volume Rosella Fonsato Progetto grafico Giuseppe Filosa Stampa Agit Mariogros Industrie Grafiche s.p.a. La mostra I percorsi della memoria è stata curata da Paola Catta - ideazione Marina Caramello - cura redazionale Giuseppe Filosa - progetto grafico Un cordiale ringraziamento, per le immagini, i ricordi, le suggestioni a: Bettino Colecchia, Anna e Franco Contardo, Umberto de Renzo, Marina Devescovi, Giuseppe Filosa, Roberto Fiochi, Sergio Fronetto, Camilla Galvani, Luciano Gibelli, Giuseppe Ippolito, Elio Nebiolo, Mariangela Nigrotti, Pier Giorgio Romerio e al Comune di Trino (VC) Info Centro per la Cultura Ludica via Fiesole Torino telefono labludica@comune.torino.it Città di Torino, ITER 2011 edizione fuori commercio pubblicazione a supporto dell azione pedagogica dei docenti e libera consultazione degli allievi e dei familiari

4 Indice Premessa pag. 5 I percorsi della memoria l inverno e le altre Stagioni pag. 7 Giochi con attrezzi semplici la trottola pag. 9 le biglie pag. 11 sassi, monete, noci e tappi di bottiglia pag. 15 la lippa pag. 17 le figurine pag. 19 giocare con il corpo pag. 21 giocare a... pag. 25 Alberi e arbusti per giocare uomini e alberi pag. 27 l albero di Natale pag. 29 la fiera di sant Orso: un evento millenario pag. 31 Una tradizione italiana: il presepe arte e tradizione del presepe pag. 33 presepi di carta e calendari dell avvento pag. 35 Sorprese d inverno giochi di neve pag. 37 Giocare con l immaginario gli angeli pag. 39 Una tradizione italiana: la Befana la Befana vien di notte... pag. 41 i re Magi antagonisti della Befana? pag. 45 la Befana è una strega? pag. 47 Di festa in festa: il carnevale echi di primavera pag. 49 Carnevale italiano pag. 51 Ricette d inverno il sapore della festa pag. 53 La mostra pag. 55

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6 Premessa È sempre difficile parlare di gioco, è molto più significativo giocare. La mostra I percorsi della memoria, l inverno e le altre stagioni si presenta come un occasione per incontrare attraverso i diversi modi di giocare, la storia e la cultura delle comunità contadine e urbane dei primi decenni del 900. Lo sforzo è teso ad affrontare il compito della testimonianza non in maniera nostalgica, ma in modo creativo e attuale, proponendo accanto alla memoria, le possibili trasformazioni che consentono di recuperare oggi, con l uso di materiali contemporanei, la dimensione ludica e la giocabilità di ieri. Infatti l azione è nello spirito dei giocatori: dai iniziamo a giocare e poi si vede come va! Difficilmente si leggono tutte le regole, magari solo le principali per iniziare il gioco, si ricorre alle istruzioni per dirimere le questioni quando non ci si mette d accordo o quando il gioco langue e serve una verifica. In questo caso trattandosi di giochi radicati nella memoria di giocatori del secolo scorso, giochi che spesso non vengono utilizzati e condividisi nella dimensione quotidiana, ci è parso importante lasciarne una traccia agita e scritta, che potesse essere testimone itinerante della cultura ludica. L'idea di presentare in un percorso-mostra i giochi e i giocattoli tradizionali è nata dall'incontro con personaggi di tutte le età, che hanno permesso di raccogliere e di documentare le loro memorie ricche di aneddoti, di curiosità. Dove la chiarezza espositiva unita alla precisa rappresentazione grafica (racconti, schede tecniche, ricostruzioni fedeli) consentono di accompagnare correttamente la ricostruzione dei giocattoli e, volendo, di eseguirla con estrema facilità. Nell'immediato dopoguerra la cultura popolare ha visto un netto declino e, nella metà degli anni '70, se ne potevano trovare tracce prevalentemente nei libri, nei nastri magnetici e nei nascenti musei. Il lavoro di ricerca sul giocattolo povero, quello autocostruito, affrontato da Giancarlo Perempruner, si è rivelato impegnativo e complesso, spesso è stato necessario ricorrere all'intervista e alla ricostruzione dei giocattoli. Questa operazione però, ha permesso di mettere in luce un aspetto estremamente positivo, tipico delle passate generazioni: la grande capacità manuale che consentiva di produrre molti giocattoli, per lo più stagionali. A questo concorreva una vasta conoscenza dei materiali che si trovano in natura e la tradizione di conservare tutte le cose per il momento inutilizzabili. Il recupero dei giochi, dei giocattoli e delle filastrocche tradizionali non deve essere visto con nostalgica compiacenza per il passato. Infatti un recupero indifferenziato, condurrebbe a errate interpretazioni, come credere che giochi e giocattoli siano il segnale gioioso della società contadina e, successivamente, industriale. In realtà l'infanzia non era allora protetta e felice esattamente come non lo è oggi, soprattutto in alcune particolari categorie sociali. 5

7 Ciò che è importante è che questi giochi e giocattoli esposti e raccontati sono il prodotto di un ambiente, la testimonianza di usi e mentalità tipiche di un determinato periodo e di una determinata comunità. Sono, in sostanza, una preziosa documentazione che dovrebbe aiutarci a interpretare il passato correttamente evitando idealizzazioni o demonizzazioni fuori luogo. Inoltre la cultura ludica della tradizione popolare, costituita da giochi e giocattoli che imitavano la vita contadina e della periferia industriale urbana, aveva il grande pregio pedagogico di non sostituire la vita reale con i mondi virtuali di oggi (dalla televisione al cinema a internet). Quando i materiali per il gioco dovevano essere recuperati venivano più spesso valorizzate la creatività e l iniziativa. L ambiente naturale offriva i materiali più adatti: l acqua, il fango, la sabbia, i sassi, le canne, le foglie, i fiori, gli alberi e gli arbusti erano i giocattoli dei bambini, materiali ludici che l industria del giocattolo non potrà mai riprodurre. Alcuni giochi del passato non sono più proponibili oggi, poiché lo sviluppo urbanistico-industriale ha cambiato le condizioni ambientali ed i ritmi di vita delle famiglie. Nel repertorio dei giochi tradizionali, si trovano proposte che sollecitano i bambini all acquisizione di importanti abilità sul piano percettivo e motorio, che stimolano la capacità di organizzarsi con i compagni; si tratta, in genere, di giochi con regole da fare in gruppo. Questo tipo di cultura ludica un tempo si trasmetteva direttamente fra ragazzi e bambini in luoghi di aggregazione quali cortili, strade, giardini. Oggi i luoghi del gioco sono, tendenzialmente, più solitari e chiusi, diventa perciò importante trovare pretesti per rilanciare occasioni di gioco all aperto, con materiali semplici e, quando possibile, autocostruiti. Nella civiltà del consumo e del culto del tempo libero è ancora necessario sostenere il diritto al gioco per tutti i bambini, difendere spazi e tempi per il gioco inteso come imperdibile esercizio di autonomia, strumento insuperabile per confrontarsi con la conoscenza del mondo e di se stessi. In questo contesto la diffusione, la trasmissione e la reinvenzione del gioco e del giocare, obiettivi fondanti del Centro per la Cultura Ludica, si sviluppano anche attraverso il progetto Mostre in gioco per consentire, attraverso l itineranza, di condividere contenuti e pratica ludica, per riportare l accento sulla cultura ludica, sulle molte forme del gioco che, oggi come nel passato, concorrono alla crescita culturale dell uomo. Maria Carla Rizzolo Responsabile Centro per la Cultura Ludica 6

8 l inverno e le altre stagioni I percorsi della memoria C'erano una volta, e ci sono ancora, i giochi e i giocattoli della tradizione popolare. La lunga vita di alcuni di essi è dovuta ad una ricetta semplice: poche regole variate mentre la sostanza resiste alle mode e alle nuove esigenze. Molti altri giochi e giocattoli sono stati invece dimenticati: l'evolversi dei tempi, delle condizioni economiche, del mercato, l'impraticabilità attuale di strade e cortili sono condizionamenti che non possiamo ignorare. Ma basta un po di spirito ludico, un po di coraggio nelle proposte e la memoria antica scritta dentro di noi si risveglia, le nostre abilità sopite ritrovano energia: nessuno resiste all'invito al gioco. Nelle nostre società i giocattoli sono di serie, realizzati in materie plastiche, elettrici, elettronici, computerizzati; per gli adulti rappresentano un veicolo per introdurre il bambino nel ruolo sociale che rivestirà da grande. In questa dimensione la persona in crescita non "crea" i giochi, ma ne è semplice e passiva proprietaria. Anche in passato il giocattolo poteva costituire un elemento di 7

9 8 utile avvio ai compiti dell'età adulta, ma il bambino veniva coinvolto nella progettazione e costruzione, essendo l'età adulta una dimensione in cui il fare costituiva elemento imprescindibile di sussistenza, oltre che di collocazione sociale nella comunità. Il bambino era chiamato a mettere in atto le sue abilità, le sue risorse creative e imitative sfruttandole sul piano privilegiato del gioco, libera e felice espressione di sé. Costruire un giocattolo, inventare un gioco è un piacere unico. Lo sapeva bene Giancarlo Perempruner, alla cui memoria la mostra è dedicata, che con la sua ricerca e la sua passione ci ha regalato non solo documenti e testimonianze preziose, ma lo spirito al quale questo percorso si ispira. La mostra si propone di raccontare e valorizzare la risorsa gioco, con l'augurio a tutti i visitatori di scoprire o ritrovare nelle tracce della tradizione qualcosa di sé, la propria originale dimensione ludica.

10 la trottola Giochi con attrezzi semplici Nota in molte parti del mondo (Europa, Asia, Americhe), la sua presenza nelle culture e nella storia si perde nella notte dei tempi. Di trottole trattano antichi riti, nel corso dei quali si traevano auspici dal suo modo di roteare o saltellare; in un passo di Pindaro se ne parla addirittura in modo intrigante (Afrodite dona una trottola a Medea per sedurre Giasone). Omero, Platone, Aristofane, Virgilio raccontano di trottole. Per costruire le trottole venivano usati i materiali più diversi: terracotta, bronzo, ferro e anche oro. Di uso frequente il legno di bosso, facile da trovare e durissimo. La trottola classica (strombos presso i Greci, turbo presso i Romani) veniva lanciata a mano libera aiutandosi con uno spago. Il paleo rappresenta una variante della trottola: si tratta di un cono appuntito che viene fatto girare per mezzo di una frusta. Trottola e paleo accompagnavano sfide tra villaggi medievali per stabilire supremazie campanilistiche, aiutavano addirittura le autorità per la gestione dell'ordine pubblico: le trottole venivano messe a disposizione dei contadini durante i mercati affinché, ol- 9

11 tre a riscaldarsi, occupassero in modo decoroso le ore di ozio, evitando risse e stravizi. La trottola moderna ha conservato la semplicità originaria: al di là della produzione di serie, rimane un giocattolo essenziale, che chiunque può costruire con i materiali più disparati. l'uovo di Colombo La storia è nota, addirittura proverbiale. Far stare in piedi un uovo fu una scoperta leggendaria al punto di significare, nel linguaggio corrente, il saper dare soluzione semplice a un problema complesso. Che siano stati Cristoforo Colombo o Bramante o Brunelleschi a risolvere la questione è cosa misteriosa. Poco importa: provare per credere. Basta agitare fortemente e a lungo un uovo e poggiarlo poi con delicatezza su un piano. Ma se ci si vuole divertire senza rischiare una frittata, è meglio usare un uovo di legno, come quelli da rammendo. Può diventare, all'occorrenza, una divertente trottola. 10

12 le biglie Giochi con attrezzi semplici Si gioca a biglie da moltissimo tempo. Erano già note agli Egizi e ai Romani, prima di Cristo. Terracotta, pietra, vetro, acciaio, marmo i materiali più usati. Nella memoria collettiva il gioco con le biglie ha ancora un posto, sia pure un poco polveroso. Certo molti ricordano cocenti sconfitte e trionfali vittorie in cui l'abilità di mano e una inconscia pratica delle leggi fisiche generava il rispetto degli amici. Gioco maschile per eccellenza, in Italia resta ancorato all'età infantile. Ma le biglie ebbero invece una fortuna particolare e duratura nei Paesi anglosassoni, Gran Bretagna e Stati Uniti, dove anche oggi gli adulti ne praticano il gioco. In Italia gli adulti smisero di giocare a biglie nel Settecento. Nei negozi di giocattoli è possibile trovare confezioni di biglie importate dalla Gran Bretagna e corredate di istruzioni per i diversi giochi. Sorprende l'estrema cura delle regole, l'elevata specializzazione del linguaggio, la varia nomenclatura. I bambini inglesi dividono le biglie in commoneys (le più comuni) e alleys (biglie d'alabastro), i ragazzi ame- 11

13 12 ricani le chiamano kabolas, steelies, jumbos, milkies, peewees a seconda della grandezza maggiore o minore. Dei tantissimi giochi con biglie e palline è sopravvissuto, presso di noi, il "circuito". Le biglie si sfidano lungo una pista sapientemente tracciata in terra dai giocatori compiendo una vera e propria corsa, irta di difficoltà e ostacoli (buche, curve profonde, particolari modalità di lancio obbligatorie su alcuni tratti). In mancanza di biglie, si giocava con tappi a corona, sassolini, noccioli, bottoni.

14 la bottiglietta "bicicletta" Ai tempi di Binda e Guerra, campioni di ciclismo, nacque una bevanda che rivoluzionò il gusto degli Italiani: la gazosa. Prediletta da atleti e ciclisti, dissetante e popolare, la gazosa apparve in una confezione rivoluzionaria, la bottiglia comunemente chiamata "bicicletta". Il nome derivava non solo dall'associazione all'amatissimo sport di quegli anni, ma dal fatto che nelle fabbriche in cui era prodotta gli operai lavoravano a cottimo e, dunque, dovevano "pedalare" per stringere i tempi di produzione. Oggi introvabile, la "bicicletta" sfruttava un ingegnoso meccanismo per mantenere gassato il suo contenuto. All'interno del collo era inserita una biglia di vetro mobile sulla ranella di gomma che stava all'interno dell'imboccatura. Capovolgendo la bottiglia, per effetto del gas contenuto nella miscela liquida (zucchero, acqua, limone e tartrato acido di potassio), la biglia andava a premere contro la ranella con un effetto di chiusura ermetica. Bastava premere sulla biglia con la punta del dito per aprire la bottiglia. Una strozzatura sul collo della bottiglia impediva poi alla biglia di finire sul fondo. Amatissima dai bambini, veniva usata per la pesca "a bomba" nei torrenti, sfruttando la rapidità di chiusura e la forte pressione interna. Rotta la bottiglia e recuperata la biglia di vetro 13

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16 Giochi con attrezzi semplici sassi, monete, noci e tappi di bottiglia Sostituti delle biglie, ma non solo, i sassolini hanno un ruolo di primo piano nei giochi di competizione. Piuttosto piccoli e piatti, sono ideali per sfidarsi lungo i fiumi; se lanciati con perizia, i sassi rimbalzano sull'acqua e il numero di rimbalzi determina il vincitore. Le monete hanno avuto buona parte nei giochi di un tempo, dando al vincitore non solo un primato, ma anche un effettivo guadagno. Sbattamuro era un gioco molto popolare di cui conosciamo due versioni: nella prima i giocatori scagliano la moneta contro un muro. Vince quella che rimbalza più lontano e guadagna le altre monete in gioco. Nella seconda le monete scivolano verso la base del muro e vince quella che si è avvicinata maggiormente. In questo gioco, oltre all'abilità, 15

17 16 contava il peso delle monete: più leggere per la prima versione, molto pesanti per la seconda. Quanto durava? Fino a che la disponibilità finanziaria dei giocatori non era ridotta a zero. Il gioco delle noci, antichissimo, arriva a noi col nome di nocino: fatto un castelletto con le noci e posta in cima un'altra noce, vince chi, da una certa distanza, colpisce e butta giù l'insieme. Gioco infantile per eccellenza, entrò nel linguaggio corrente degli antichi Romani: "lasciare le noci" indicava l età della vita in cui l infanzia finisce e cominciano le prime responsabilità. Una menzione a parte meritano i tappi a corona. Perfetti per il gioco di squadra, collezionabili per colore e marchio, i tappi a corona hanno animato battaglie di eserciti immaginari, partite di calcio, sfide in piste improvvisate. Calciotappo e ciclotappo erano giochi diffusissimi: nel primo, utilizzando un tappo di sughero svuotato come pallone, i tappi a corona venivano impiegati come "calciatori", sapientemente mossi sul campo dalle dita svelte dei bambini. Nel secondo si costruiva un "circuito" sulla terra, disseminato di curve e cunette, poi, a colpi di pollici e indici ben calibrati, i tappi "ciclisti" iniziavano la competizione. Tappomuro era invece in tutto simile alla seconda versione del gioco con le monete.

18 la lippa Giochi con attrezzi semplici Occorrente per il gioco: un ampio spazio, un vecchio manico di scopa o un ramo. Costruire una lippa è semplice: dal manico di scopa si ricavano un bastone maneggevole e un segmento più corto a due punte, la lippa vera e propria. Scopo del gioco: alzare la lippa (col bastone o con le mani), colpirla al volo e farla roteare lontano. Il bastone, oltre che per battere, è l'unità di misura per stabilire chi ha effettuato il lancio più lungo. Per due o più giocatori, questo semplicissimo gioco appassionava i ragazzi. È conosciuto anche come Cirimela, dai due vocaboli che segnavano l'uno l'apertura del gioco da parte del battitore (Ciri!) e l altro il consen- 17

19 18 so degli altri ad effettuare la battuta (Mela!). Antenato del baseball, aveva alcune regole ferree: se il battitore, lanciata la lippa a mezz'aria, non riusciva a coglierla con il bastone e a lanciarla, veniva dichiarato "cotto" e sostituito da un altro. Se il colpo riusciva, ma gli avversari afferravano la lippa prima che cadesse, il battitore veniva comunque sostituito. Se ad acchiappare la lippa era invece un compagno di squadra, questi doveva rilanciarla indietro al battitore il quale cercava di colpirla di nuovo, scagliandola il più lontano possibile.

20 le figurine Giochi con attrezzi semplici Dentro una figurina si racchiude un mondo di giochi e di relazioni. Allegate a prodotti di largo consumo o vendute singolarmente nelle edicole o nelle cartolerie, le figurine tracciano una mappa variegata di usi, costumi e consuetudini ancora diffuse. Amate per le raccolte da custodire gelosamente o per giochi e scambi, le figurine con le loro illustrazioni segnano i gusti del tempo e tracciano ponti immaginari con la storia. In commercio dalla fine dell'ottocento, le figurine raccontano per immagini i grandi libri (dalla Divina Commedia di Dante a Cuore di De Amicis), le guerre, le fiabe, gli sport, le città del mondo, gli animali esotici, i volti dei bambini, i personaggi storici, le auto, i personaggi della TV e del cinema Le illustrazioni sono pensate per accattivarsi un pubblico di bambini e di adolescenti i quali, oltre alla raccolta, si dedicano allo scambio e all'uso delle figurine per in- 19

21 20 numerevoli giochi, fino a servirsene per sostituire il denaro in proibitissimi giochi d'azzardo o di carte. Molti editori si specializzano in questa produzione, scegliendo con oculatezza temi e argomenti in grado di resistere al tempo e alle mode. Così, se le figurine "di guerra" hanno vita breve, quelle che illustrano libri, città, animali attraversano le generazioni. I bambini le prediligono per i giochi: è la quantità di figurine a costituire un vero capitale da investire e, per chi vince, un bottino prestigioso. Figurine più pesanti servono per i giochi in cui il lancio e la caduta sono fondamentali. I giocatori ben forniti possono sfidarsi di fronte al muro lanciando a turno la propria figurina sulle altre: chi "tira su", vince tutta la posta che è per terra. Una bella variante è conosciuta come America: da un'altezza prefissata si lasciano cadere a terra le figurine, quella che si sovrappone a un'altra le vince tutte. Un'altra possibilità consiste nel porre pacchetti di figurine su una serie di barattoli che i giocatori, da una certa distanza, dovranno colpire con un sasso. Chi abbatte il bersaglio vince la posta.

22 giocare con il corpo Giochi con attrezzi semplici Il corpo è un interessante attrezzo per giocare. Economico e sempre disponibile, si presta ad una serie pressoché infinita di attività ludiche, a qualsiasi età. Fin dalla nascita, il bambino acquista una sorta di consapevolezza rispetto all'uso del corpo per soddisfare bisogni o per giocare: è il primo strumento con cui si misura e sul quale costruisce i più importanti apprendimenti. In stagioni successive della vita la libertà di gioco del corpo è non solo una fonte di piacere e di divertimento, ma la premessa all'autonomia, all'espressione di sé e alla qualità delle relazioni. Fermiamoci qui e riprendiamo il filo della memoria. In tempi di minore disponibilità economica e maggiore presenza di spazi (sia aperti che chiusi) per i bambini, i giochi corporei aveva- 21

23 22 no grandissima diffusione. Abbiamo già detto quanto il corpo sia attrezzo semplice e disponibile. Aggiungiamo che, nel gioco, è anche il più antico. Campana, Mondo e Settimana sono giochi non solo antichissimi, ma conosciuti a tutte le latitudini. Gli studiosi concordano nel ritenerli l'evoluzione, in chiave ludica, di pratiche astrologiche ancestrali. Il tracciato disegnato sulla terra, il numero delle caselle a rappresentare giorni o piani dell'universo (la terra, il cielo) e la pietruzza o piastrella usata per avanzare saltando su un piede solo raffigurerebbero le costellazioni e il sole nei suoi movimenti stagionali. L'esito del lancio della pietra, dentro e fuori dalle caselle, ricorda i rituali di indovini e maghi conoscitori del caso e del destino. Nel gioco della Campana, di cui Mondo e Settimana sono sinonimi, ritroviamo elementi del gioco dell'oca e del labirinto, ugualmente antichi: il corpo funge da pedina che si sposta sul tracciato e conquista, di volta in volta e con regole ferree, l'ultima casella, finalmente in salvo da trabocchetti e penitenze. I bambini e i ragazzi si sono sbizzarriti nell'inventare tracciati complessi e ricchi di imprevisti. Saltando su un piede solo bisogna centrare con la pietra una casella precisa, evitarne altre, non pestare le righe, a volte ripetere il percorso e, solo alla fine, si potranno poggiare entrambi i piedi. Chi

24 sbaglia, perde il turno. Nella variante del Saltariga ogni casella guadagnata dà diritto a tracciare le proprie iniziali. Ogni errore obbliga a cancellarle. Vince chi, alla fine del percorso, ha segnato con il proprio nome ogni punto del tracciato. A San Francisco i ragazzini giocano a Campana (Hopsoth, cioè salto scozzese) in 19 modi diversi Mani rosse Era un gioco da fare in casa, d'inverno, magari vicino alla stufa. Pochi elementi necessari: un minimo di tre giocatori e riflessi pronti. Il primo giocatore pone una mano sul proprio ginocchio e gli altri sovrappongono ciascuno una mano su quella dell'altro. A questo punto è il turno dell'altra mano: il primo giocatore la pone su quella dell'ultimo e gli altri a seguire. Alla fine si avrà una pila di mani sovrapposte. Il gioco ha inizio quando il primo giocatore sfila da sotto le altre mani la sua prima mano posta sul ginocchio e tenta di colpire con forza l'ultima mano posta sulla pila. Sono ammesse "finte" e falsi colpi: tutto si gioca sui riflessi dei partecipanti, svelti a sottrarre al colpo la propria mano. Il gioco termina a "mani rosse", quando cioè tutti i giocatori non sono più in grado di tollerare altri colpi. 23

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26 giocare a... Giochi con attrezzi semplici Ricordate, fra i classici dell'infanzia, quel gioco senza nome che chiamavamo "facciamo che "? Si trattava di stabilire, attraverso questa frase di magica potenza, ruoli improvvisamente nuovi, situazioni immaginarie, a volte improbabili. Tutto, ma proprio tutto, rientrava nelle regole del "facciamo che ", dal diventare poliziotti al trasformarsi in signore della buona società riunite intorno a un tè improvvisato, dal giocare a cowboys e indiani all'impersonare principi e principesse oppure i mestieri degli adulti. Nel linguaggio tecnico queste attività si chiamano "giochi di ruolo" e "giochi di imitazione". Siamo all'interno della sfera simbolica, una parte importante dell'evoluzione della persona, che si manifesta con grande precocità. Già molto prima dei tre anni è possibile vedere nei bambini attività imitative riferite agli adulti e alle azioni che svolgono. Il gioco imitativo impegna emozioni forti. Nel gioco della guerra si 25

27 26 spara, ci si ferisce, si muore perfino. In quello del mercato la compravendita avviene con grande serietà. È la dimensione ludica a permettere una rappresentazione tanto realistica quanto innocua: impersonare equivale ad assumere liberamente e autonomamente le caratteristiche di qualcuno o qualcosa, rimanendo sempre se stessi. Imitando si cresce. I bambini dell'antichità giocavano ai giudici, ai guerrieri, ai venditori del mercato. Ogni cultura, in ogni tempo, stabilisce i suoi ruoli di riferimento, ma il significato profondo del gioco non cambia: è un allenamento alla vita futura, all'assunzione di responsabilità e compiti tipici degli adulti ( spesso molto meno avventurosi ed esaltanti). Il gioco simbolico traccia sempre una linea di genere: ci sono giochi maschili e giochi femminili, anche se l'educazione delle generazioni più giovani si è orientata ad una maggiore flessibilità. Nel nostro viaggio della memoria ci piace ricordare oggetti che hanno segnato profondamente questo tipo di giochi: le fionde, gli archi e le frecce, le bambole povere e le risorse incredibili di tutti gli incolti e delle campagne, che permettevano la fabbricazione di strumenti e oggetti ludici notevoli: chi non ha giocato alla cucina o al mercato servendosi di erbe, foglie, frutti, bacche, pietre e terra? Chi non si è lanciato in spericolati agguati, novello Robin Hood o imprendibile apache, munito di arco e frecce? Chi non ha vissuto almeno un'ora da pirata o da Robinson Crusoe in una capanna improvvisata su una fantastica isola deserta? Oggi qualcosa è cambiato. La TV propone ai nostri bambini modelli da imitare che, a loro volta, sono imitazioni iperboliche della realtà. Il rischio corrente è che le presenze virtuali abbiano una credibilità maggiore di quelle reali. Si tratta di un presente con il quale occorre fare i conti, perché la tecnologia è uno strumento per l'uomo, non un obiettivo dell'evoluzione.

28 uomini e alberi Alberi e arbusti per giocare Se anche ricordassimo a memoria tutte le categorie e la nomenclatura pazientemente ordinate da Carlo Linneo, illustre botanico, la vera conoscenza degli alberi e degli arbusti andrebbe ancora oltre, dentro quel fitto reticolo di saperi e azioni formatosi nei millenni, frutto del rapporto quotidiano intercorso fra uomini e alberi. Simbolo ispiratore di concetti profondi legati alla vita e ai suoi valori, l'albero è alleato dell'evoluzione dell'uomo la quale, emergendo faticosamente dalla stretta dei bisogni primari (proteggersi, alimentarsi, rischiarare la notte, scaldarsi), approda all'immaginario, ai desideri, alla creazione di tutto ciò che rende la storia umana espressione di cultura. La vicenda della nostra specie, fin dagli albori, trabocca di riti creati intorno agli alberi e alla loro presenza: il potere politico o religioso, le insegne militari, sociali e di stirpe, persino le similitudini e i modi di dire correnti sfruttano l'albero e l'arbusto nella loro interezza. 27

29 28 I giochi non sono da meno. L'albero non è solo primitivo riparo dai pericoli della notte, combustibile per il fuoco e la luce, fonte di medicamento e di sostentamento: sugli alberi ci si arrampica per sfida o per cogliere la "cuccagna" posta in cima, i loro rami robusti accolgono le altalene e le funi, i frutti servono per fare collane e biglie. Di nocciolo selvatico e castagno sono fatti gli animali intagliati, i cerchi, gli archi, le fionde e le lippe; con la canna si fanno flauti, girandole con la segala e trombe con le zucche secche; i frutti dell'acero sembrano fatti per volare. Nelle nostre città popolose e invase dalle auto, la presenza di alberi, sia pure in un minuscolo spazio verde ricavato negli snodi delle strade e dei corsi, è ancora teatro di scambi, di giochi, di incontri tra generazioni, un piccolo segnale di continuità nella storia di un legame millenario.

30 l albero di Natale Alberi e arbusti per giocare Già gli antichi Egizi addobbavano alberi. Erano costituiti da piccole piramidi di legno, ad imitazione dei più grandi monumenti in pietra e decorarli aveva un significato propiziatorio. Sulla punta della piramide veniva posta una ruota solare e sulle facce si ponevano dei bastoncini da incendiare. Se il fuoco avesse raggiunto la cima della piramide l'anno sarebbe stato fortunato. I Romani usavano addobbare i pini durante la festa invernale dedicata a Saturno. In Europa furono i popoli scandinavi e germanici ad ereditare questa tradizione: addobbavano gli alberi per celebrare il solstizio d'inverno. Nel nord dell'europa, infatti, l'apparizione del sole, inteso come luce e calore di vita, era sentita, al pari degli Egizi, come un segnale di buon augurio. Molte leggende spiegano poi la diffusione dell'albero di Natale nella tradizione europea. Una di queste vuole che sia stato san Bonifacio d'inghilterra ad adottare l'abete come simbolo religioso. 29

31 30 Durante i suoi vagabondaggi attraverso la Germania, Bonifacio abbatté una quercia presso la quale erano stati sacrificati tre uomini agli dei pagani. In luogo della quercia spuntò e crebbe un abete che Bonifacio considerò un segno della presenza di dio. Un'altra leggenda tedesca dice che i sempreverdi divennero tali al momento della nascita di Gesù, coprendosi di foglie verdi in segno di rispetto. Da allora pini e abeti hanno assunto il significato che conosciamo. L'albero di Natale, dunque, racchiude in sé numerosi simboli culturali e religiosi: candele e luci appese ai suoi rami richiamano gli antichi riti del sole e della luce, ma anche la nascita di Cristo come luce del mondo. Dobbiamo però a Martin Lutero il consolidarsi della tradizione: fu lui che, ispirandosi alle migliaia di stelle che risplendevano in una notte gelida intorno al 1530, decorò il primo abete di lumi, affinché i bambini pensassero alla luce lontana della stalla di Betlemme. L'uso di sradicare e portare nelle case gli abeti e i pini è successivo. In Italia questa tradizione arrivò molto più tardi: il nostro Paese, come diremo più avanti, è celebre per il presepe.

32 la fiera di sant'orso: un evento millenario Alberi e arbusti per giocare Ogni anno, da mille anni, Aosta festeggia il patrono sant'orso, a fine gennaio, con una fiera popolare e artigiana. Riprendendo la tradizione originaria, la fiera di sant'orso si propone come occasione di incontro e scambio tra gli abitanti della valle che possono trovare, sulle moltissime bancarelle, oggetti d'uso comune o domestico, strumenti di lavoro, oggetti d'arte, zoccoli e calzature, tutti rigorosamente fatti a mano. Non mancano i giocattoli, i mobili, gli strumenti musicali. Il legno è il vero protagonista: ciliegio, rovere, ontano, ginepro, bosso, salicone, frassino, nocciolo, noce, castagno, pero, acero, abete, pino cembro, larice, betulla l'elenco degli alberi che forniscono materia prima è lunghissimo. Sant'Orso è una delle ultime fiere che conserva intatta l'anima più schietta- 31

33 32 mente popolare e tradizionale dell'artigianato. Gli oggetti in vendita, pur mantenendo il fascino un po' rude delle cose prodotte manualmente e in modo non seriale, sono perfettamente funzionali alle nostre esigenze di oggi e sfidano senza timore i prodotti industriali in plastica o altri materiali sintetici. Chiunque visiti la fiera potrà verificare che la sua storia millenaria è rimasta pressoché intatta: turisti e appassionati del genere si mescolano infatti con gli abitanti della valle che scendono al capoluogo per presentare i loro prodotti, scambiare, vendere, contrattare come probabilmente avveniva intorno all'anno Mille, quando la fiera rappresentava una scadenza necessaria e l'occasione per approvvigionarsi di quanto serviva al lavoro e alla vita domestica quotidiana.

34 Una tradizione italiana:il presepe arte e tradizione del presepe Non stupisca la presenza del presepe tra i giochi e giocattoli d'inverno. Preparare il presepe, allestirlo, inventarsi scenografie, paesaggi, animazioni non toglie nulla al significato religioso, aggiunge anzi intimità e partecipazione. L'inventore del presepe, san Francesco d'assisi, fu uomo dotato di grande spirito ludico. La drammatizzazione corale della nascita di Cristo fu un'operazione culturale importante, innestata sulla tradizione dei poeti e cantori di strada, all'epoca veri e propri divulgatori di cultura presso il popolo. Francesco allestì il primo presepe vivente a Greccio, ispirandosi al vangelo di Luca che racconta con semplicità e commozione la nascita di Cristo nella stalla. Ancora oggi a Greccio la sacra rappresentazione del presepe vivente si ripete ogni anno. Ma vogliamo parlare anche del presepe inanimato: muschio per creare i prati e carta stagnola o specchi per simulare torrenti e laghetti, farina bianca e bambagia per la neve, statuine di ogni tipo e fattura per rappresentare i mestieri degli uomini, pastori dormienti e donnine con il bambino in collo, falegnami, pescatori, fabbri, panettieri è il presepe delle nostre case, un tempo tramandato di 33

35 34 generazione in generazione, custodito gelosamente e preparato insieme, grandi e bambini, con gioia e divertimento. Il più antico si deve ad Arnolfo di Cambio ed è custodito nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Ma i presepi più celebri furono creati fin dal Rinascimento dagli artigiani napoletani i quali, anche oggi, continuano la loro squisita produzione in via san Gregorio Armeno. I pastori furono e sono ancora la loro specialità: figure ben caratterizzate, non di rado assumono le sembianze e i ruoli di personaggi noti e viventi del mondo politico, del costume, dello sport, dello spettacolo. Perché no? È una maniera di continuare la tradizione di Francesco d'assisi, portando sempre più vicino alla gente lo spirito della Natività e conservando al presepe quel carattere intimo e familiare che ne fa il simbolo più schietto della tradizione natalizia italiana.

36 presepi di carta e calendari dell avvento Una tradizione italiana: il presepe La consuetudine, diffusa in tutto il mondo cattolico, di preparare il presepe in occasione delle feste natalizie ha dato origine, nell Ottocento e nel primo Novecento, periodi caratterizzati da un vero e proprio boom della carta stampata, a una produzione di presepi in carta da ritagliare e montare, destinata alle famiglie più povere, che non potevano permettersi le costose statuine di gesso dipinto. I fogli per i presepi comprendevano un fondale, le quinte, la grotta, le immagini della Sacra Famiglia e dei pastori. Le figure erano provviste di una linguetta sulla base che, ripiegata e incollata su un pezzo di cartone (o fermata con un peso, magari un sassolino), permetteva di tenerle in piedi. Si trattava, in genere, di una produzione non molto curata, ma rilevante come espressione di costume anche sotto l aspetto grafico; d altra parte era interesse dei fabbricanti che le figurine avessero un aspetto così precario da essere buttate via all Epifania, per essere poi ricomprate alla vigilia del Natale successivo. I primi esemplari in carta sono quelli di Alberto Ronco (Milano 1610), seguono le incisioni di Pietro Antonio Mancinelli (secolo XVIII) e di 35

37 Gerolamo Cattaneo. Esistono presepi famosi, come quello disegnato da Guido Marussig nel 1916, interessante dal punto di vista grafico in quanto presenta figurine d una modernità cui il pubblico non era abituato; questo presepe, prodotto dalla ditta P.I.E.G.A. (Prodotti Italiani Educativi Giocattoli Artistici) di Milano, rimasta sul mercato per un periodo di tempo piuttosto limitato, costituisce una vera rarità. Curiosamente, le sembianze e i vestiti dei vari personaggi rispecchiano l epoca contemporanea al disegnatore, non quella storica della Natività. Così il falegname, il fabbro, le contadine, sembrano usciti da un mondo sospeso tra fiaba e realtà che rappresenta l immaginario di tutti. I "calendari dell'avvento" sono invece un prodotto moderno e di ispirazione laica. Tipici del mondo anglosassone, hanno messo radici anche da noi e sono assai diffusi, soprattutto negli ultimi anni. Prodotti anch'essi in carta, contribuiscono in modo giocoso al clima di attesa del Natale: per ogni giorno d'avvento i bambini trovano uno sportellino da aprire, all'interno del quale c'è una figurina ammiccante (babbo natale, un albero, fiocchi di neve, giocattoli) e, spesso, una piccola sorpresa o un dolciume. L'ultima casella corrisponde al 25 dicembre e, di solito, nasconde la figura di Gesù bambino e una sorpresa più consistente. 36

38 giochi di neve Sorprese d inverno Un antico detto contadino recita "Sotto la neve pane e sotto l'acqua fame". La neve è sempre stata benvoluta nelle nostre culture: garanzia di raccolto per chi lavorava la terra e pretesto ricco di spunti fantastici per i narratori di casa. Ma le prime nevicate invernali, che mettono di buon umore i nostri sciatori, erano una festa per i bambini e i ragazzi. Anche oggi, nonostante le città guardino alla neve come a una fonte di disagio e di impedimento alla circolazione, i parchi urbani raccolgono frotte di bambini entusiasti. Il primo gioco che la neve ispira è quello del semplice contatto: il piacere di toccarla, manipolarla, affondare piedi e gambe, rotolarsi, tuffarsi, lasciarsi cadere a "fare lo stampo" la neve e i bambini hanno un rapporto privilegiato: la temperatura aumenta e invita ad uscire, un silenzio intimo e magico avvolge le cose, tutto ciò che la neve tocca diventa scenario di situazioni eccitanti e giochi molto piacevoli. Fare a palle di neve è il gioco più diffuso: una innocua guerra in cui al bersaglio prescelto non si dà tregua finché 37

39 non viene letteralmente sepolto. I negozi di giocattoli e di articoli sportivi propongono slitte e bob disegnati con perizia tecnologica, ma prima della produzione industriale i bambini riuscivano comunque ad ingegnarsi con quello che trovavano: una tavola ben piallata, un vecchio copertone, un sacco (compresi i più recenti sacchi in nylon per l'immondizia) fungevano perfettamente da slitte per gare e rapide scivolate dai pendii. I meno ardimentosi si davano alla scultura: i pupazzi di neve occupavano intere giornate e l'obiettivo era sfidare la stagione e guardarli sciogliere lentamente al primo sole. il cristallo di neve La neve cade a fiocchi, si sa. Ma ogni fiocco contiene un gran numero di cristalli. Ciascuno è formato da una piccolissima goccia d'acqua che, a temperatura inferiore a 0, precipitando, combina miliardi di molecole in ricami aghiformi e stelliformi a simmetria esagonale. È impossibile trovare due cristalli di neve uguali: ciascuno obbedisce ad una geometria misteriosa. Fu Wilson A. Bentley a stabilirlo, dopo cinquant'anni di osservazioni iniziate quando era ragazzo a Jerico (USA) con un piccolo microscopio. Un gioco da fare? Disegnare o costruire il proprio cristallo, magari dopo una passeggiata in mezzo alla neve intatta e gelata: in tali condizioni è possibile, talvolta, catturare l'immagine di qualche cristallo lievemente deposto sullo strato più fresco e superficiale. 38

40 gli angeli Giocare con l immaginario L'immaginario non è la fantasia. Dentro l'immaginario si collocano sogni e desideri i quali, in qualche maniera, hanno a che fare con la realtà. Nell'immaginario si trovano figure, azioni, pensieri evocati da qualcosa che facciamo, sentiamo, tocchiamo, viviamo. Cosa sono gli angeli? Non sappiamo darne una definizione senza impegolarci in oscuri meandri simbolici. Preferiamo collocarli nell'immaginario, come hanno fatto gli artisti di ogni epoca, siano essi pittori, scultori, scrittori, musicisti, poeti. Nelle rappresentazioni sacre, gli angeli si mostrano in ruoli importanti: annunciatori, difensori, presenze protettive, schiere al servizio del divino. Sono creature alate di straordinaria bellezza e di indefinibile genere: tra il divino e l'umano, l'angelo crea un ponte spirituale che nutre anche l'immaginario. Angeli bambini popolano il Natale, angeli adulti e pazienti accompagnano in modo impalpabile la vita delle persone, o così ci piace pensare. Si definisce angelo una persona buona e angelica ogni cosa che ispiri bellezza, spiritualità, purezza, sia essa creatura vivente, cibo, 39

41 immagine, musica L'angelo, per molti, rappresenta il futuro dopo la morte, l'evolvere dell'umano in una dimensione ripulita dal dolore e dal male e pronta a vegliare su chi è rimasto in terra. Dedichiamo questo piccolo spazio agli angeli nel nostro cammino attraverso il gioco e la memoria, per la loro presenza nei presepi e nella simbologia del Natale, per quel loro ruolo così indefinibile, tra sacro e profano. Perché, allora, non provare a mettere le ali a qualcosa di noi: non è forse un bel gioco? 40

42 Una tradizione italiana: la Befana la Befana vien di notte... Epifania (termine greco colto che indica la manifestazione del divino in forma visibile), Befania (storpiatura popolare dello stesso termine, con molte varianti nei dialetti italiani, a indicare la manifestazione di Cristo ai re Magi, simbolo del sapere umano), Befana: questo è il percorso etimologico che conduce al personaggio della strega vecchia, brutta e un po' stracciona, protagonista del Natale tradizionale italiano. In molte regioni del nostro Paese, infatti, è la Befana la più attesa e la più prodiga di doni, una strega buona con tanto di scopa che vola nottetempo sui tetti e dentro le case, unica nel suo genere. Una leggenda italiana spiega così la presenza della Befana il 6 gennaio: la notte che i Magi erano in viaggio verso Betlemme, essi si fermarono presso la casa della Befana per chiedere ospitalità, ma la vecchia era troppo indaffarata per occuparsi di loro. Essi ripartirono e la Befana pensò che li avrebbe accolti al ritorno. Ma i Magi, compiuta la visita a Gesù, cambiarono strada e la vecchia non li vide mai più. Per 41

43 42 punizione fu condannata a cercare per sempre il luogo in cui il bambino Gesù si trovava. Per questo ogni anno si mette in viaggio la notte dell'epifania e lascia un dono nelle case in cui ci sono bambini: spera sempre che tra loro si trovi Gesù. Ma questa signora senza tempo ha illustri antenate: la dea Strenia, personificazione della salute pubblica, era per gli antichi Romani ciò che la Befana è per noi. Quello che noi chiamiamo strenna (spesso si tratta di un piccolo dono in denaro fatto ai bambini il 6 gennaio) deriva appunto dal nome della dea romana: strenae erano detti infatti i doni simbolici scambiati durante la sua festa.

44 perché la data del 6 gennaio è stata scelta per celebrare l'epifania? Fu la Chiesa d'oriente, attenta a cristianizzare gli antichi riti pagani, a stabilirla: in quella data l'oriente non cristiano celebrava infatti la benedizione delle acque, simbolo di vita e prosperità. Dobbiamo invece la data del 25 dicembre alla Chiesa d'occidente che, con uguale lungimiranza, pose la festa del Natale alla scadenza degli antichi riti in onore del Sole. La Chiesa Cattolica, in seguito, acquisì entrambe le ricorrenze per celebrare in modo grandioso la venuta di Cristo. 43

45 44 la Befana del vigile urbano Torino, anni Venti del Novecento. Il lavoro delle guardie comunali subisce una radicale trasformazione: da garanti dell'ordine (poco amati dalla popolazione, nei confronti della quale svolgono compiti di controllo e di repressione) i vigili si trasformano in agenti di polizia stradale con il compito di disciplinare e gestire il crescente traffico motorizzato della città. Appaiono agli incroci, in piedi sulle pedane, con qualsiasi tempo, per garantire la circolazione e l'incolumità delle persone. Così i Torinesi cominciano a sentire il vigile urbano come amico, come tutore. Il periodo delle feste natalizie è il più duro: a Torino fa freddo, c'è la nebbia, piove, nevica e il vigile intirizzito continua il suo lavoro per la strada. Dapprima come gesto di amicizia occasionale, poi per tradizione, comincia l'offerta spontanea di piccoli doni da parte dei cittadini nel giorno dell'epifania. Una bottiglia di vino, un panettone, una scatola di cioccolatini, un pacchetto di sigarette: la gente accosta i vigili, sulle pedane e per le vie, e fa gli auguri. Nasce così la Befana del vigile una consuetudine che a Torino resiste fino a metà degli anni Settanta. Proprio in quel periodo la manifestazione si snatura: le grandi industrie locali approfittano della tradizione per farsi pubblicità gratuita. Così, per rispettare la vera spontaneità dei cittadini e offrire un'immagine di correttezza, gli stessi vigili torinesi si pronunciano per il suo annullamento.

46 Una tradizione italiana: la Befana i re Magi: antagonisti della Befana Ma quanti erano, in realtà, i re Magi? Ci piace pensare che fossero tre e venissero dalla Persia. Altre fonti sostengono fossero due, la Chiesa armena ne testimonia dodici. Quello che però ci interessa è comprendere chi fossero questi personaggi così importanti nella nostra tradizione, attori fondamentali nella rappresentazione del presepe. Secondo Erodoto i Magi erano sacerdoti appartenenti a una tribù della Media, antica regione persiana devota alla dottrina di Zarathustra. Con questa fama raggiunsero le culture d'occidente e, nella Roma imperiale, si finì con l'identificare i Magi con i sacerdoti babilonesi, dediti invece all'astrologia e alla magia. Così il termine mago raccolse in sé significati diversi: sapiente, uomo di casta sacerdotale e stregone dedito a incantesimi e prodigi. I Vangeli accreditano la più antica definizione, spirituale e colta. I loro doni sono l'espressione di valori elevati: l'oro simbolo di ricchezza di fronte al Re neonato, mirra e incenso come balsami pregiati per ono- 45

47 46 rare e santificare. In Europa, fin dal Medioevo, la tradizione dei Re Magi ebbe gran fortuna; in Italia si diffuse soprattutto al Nord e nelle isole. La leggenda vuole che sia stata sant'elena, madre dell'imperatore Costantino, a scoprire le spoglie dei tre re e a farne dono a Eustorgio, vescovo di Milano, il quale eresse una basilica a loro intitolata, che oggi porta invece il suo nome. I Magi furono oggetto di profonda venerazione non solo in Lombardia, ma anche in molte altre regioni italiane. Anch essi divennero per i bambini fonte di doni. Per questo, la notte del 5 gennaio era d'uso lasciare fieno davanti alle porte e lucerne accese affinché i Magi trovassero la strada per Betlemme e ristoro per i cavalli, lasciando in cambio un piccolo dono ai bambini. Il culto dei Magi è oggi innestato sulla tradizione del presepe: la loro presenza continua a significare il riconoscimento e la venerazione del divino da parte del sapere umano, il tributo della conoscenza alle ragioni della fede. Ma, sui tetti delle case, la notte del 6 gennaio trionfa tutta sola la Befana, antagonista assai meno colta e spirituale, ma dotata di quella conoscenza antica, profonda e un po' misteriosa che rappresenta l'anima schietta e popolare, il sapere femminile ancestrale che alimenta ancora il nostro immaginario.

48 Una tradizione italiana: la Befana la Befana è una strega? Su questo non ci sono dubbi: la Befana è donna. Ma non a caso. Non ci sono paragoni con i sapienti Magi né con Babbo Natale, munifico e bonario. Tutti sono concordi: è vecchia, brutta, malandata, sdentata, malvestita e, molti testimoniano, dotata di una lingua lunga e tagliente. Pare abbia anche un caratteraccio e, data la tarda età, conoscenze magiche misteriose e antiche. È una strega, non vi sono dubbi, e della migliore tradizione. Ma questo non ci stupisce: fenomeno italiano, la Befana la dice lunga sul femminile nell'immaginario popolare locale ed europeo. La strega è una figura ambivalente e dotata di un potere che attinge alla natura e alla forze dei sentimenti e delle emozioni. Essa incarna, attraverso il travestimento ributtante e l'agire notturno, il sapere nascosto, custodito nel profondo, mai celebrato dal potere pubblico né riconosciuto dalla scienza. È il sapere popolare, quell'insieme di intuito e conoscenza della terra e dei cicli universali sospeso tra vita e morte, tra bene e male. Siamo di fronte a una strega buona e tuttavia inquietante: potrebbe 47

49 48 non esserlo? Premia e punisce: doni ai "buoni" e carbone per i "cattivi". La Befana "sa", in quel misto di saggezza antica e veggenza di tante nonne contadine. La si vuole vecchia e rinsecchita a rappresentare l'anno che se ne va: per questo in alcune città se ne brucia il fantoccio a scopo propiziatorio. In alcune tradizioni regionali se ne traccia un identikit dettagliato: occhi di brace, capelli stopposi e irti, bocca sdentata, corpo magrissimo e allampanato, mani nodose e grossi piedi deformi. Una donna stramba che si rende invisibile per spiare i comportamenti e, all'occorrenza, divertirsi alle spalle dei puniti. Pettegola e impicciona, la Befana è una che sa tutto di tutti: una comare dall'occhio lungo e dall'udito fino, una da cui guardarsi e di cui non essere nemici. È in tutto e per tutto la summa dei pregiudizi e delle dicerie sulle donne, il cui sapere, trasversale ai libri di scienza e di storia, alimenta paure ancestrali. Eppure, questa donna, così strana e scostante, è la genuina espressione di una cultura schietta e ben radicata di cui incarna l'immaginario più ricco: la sua vecchiezza è indice di conoscenza e saggezza, il suo sapere indaga i buoni sentimenti, il suo sacco è una fonte inesauribile di doni, la sua presenza sfida il tempo. E non dimentichiamo la cosa più affascinante: la Befana sa volare. Non solo sopra i tetti, ma nei pensieri, nei cuori e nei sentimenti delle persone. Finché continueremo a crederle, beninteso.

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