Sommesso e intenso narratore delle pianure della valle

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1 Introduzione 2DOSSIER Yto Barrada, Vacant lot #3, Avenue d Espagne, Tangeri, Courtesy the artist di Giovanna Parodi da Passano e Alessandra Brivio Sommesso e intenso narratore delle pianure della valle padana, Gianni Celati è anche autore di un acuto e autoironico diario di viaggio e di smarrimenti nell altrove africano: Avventure in Africa (1998). Il libro, scritto col passo svelto del racconto quotidiano, è la cronaca di una sconclusionata peregrinazione attraverso il Mali, il Senegal e la Mauritania. Appena sbarcato dall aereo a Bamako, nel Mali, Celati si pone la fatidica domanda di Bruce Chatwin che ci faccio qui? e da subito rinuncia a capire cosa stia succedendo intorno a lui (pp. 9-10). E anche in seguito, durante tutta la sua permanenza, egli continuerà a non riuscire a identificarsi in nessuno dei ruoli assegnati ai bianchi nel cosiddetto continente nero, un continente che resta per lui l Africa elusiva di Michel Leiris. Celati è consapevole, beninteso, del fatto che la banalità turistica è un fenomeno da cui nessuno è totalmente esente e dà per scontata pertanto la propria ineluttabile appartenenza, in una qualche misura, ai «casi esemplari di turismo africano» (p. 10) così come del resto assume la propria totale disappartenenza alla vita che lo circonda tuttavia egli non vuole essere prigioniero di un ideologia come lo sono i turisti (Simonicca 2007, p. 72). Turista per caso nell Africa occidentale, Celati evita di rinchiudersi nella boria del nostro sapere e nell anestesia della nostra esperienza personale. Lo scrittore Celati rifiuta dunque programmaticamente di appartenere alla tribù (la nostra parafrasi di un titolo del Moravia africano 1 è intenzionale) degli intellettuali d Occidente contagiati dal mal d Africa che, armati della loro cultura, viaggiano attraverso quel continente e capiscono tutto. Celati non nasconde infatti il suo fastidio nei confronti di chi tenta di spiegare l alterità africana a forza di concetti generali. Già insofferente verso i giudizi categorici quando percorre da viandante disorientato il devastato paesaggio post-industriale delle campagne di casa nostra (da tempo come noto egli sostiene, alla Wittgenstein, l esigenza di dire solo quello che può essere detto), 2 da straniero in territorio africano Celati osserva l animato disordine della vita locale con un atteggiamento fra lo sconcertato e il curioso e non cessa di rimarcare la necessità di congedarsi dal terreno delle spiegazioni definitive, di sottrarsi ai nostri luoghi comuni. Abbandonato alla deriva del mondo africano, egli asseconda più che mai quell andare alla deriva in mezzo a tutto ciò che non capisce 3 che è diventato il suo inconfondibile modo di attraversare tanto il paesaggio, quanto la pagina scritta. Non a caso, sul terreno, due fantasmi perturbano Gianni Celati: il turista e l antropologo. Va detto che quello delineato nelle note del diario è un antropologo se non proprio caricaturale, di certo neppure sfiorato dalla tempesta del decostruzionismo: a tutti i costi infatti l antropologo di Celati vuole trovare riscontri e sul campo prende tutto «come informazione, dato di fatto, spiegazione concettuale» (p. 66). Se ciò non bastasse, l antropologo in questione non sembra neanche aver letto Goffmann, lontano come è dal considerare il self quale formula mutevole e dal realizzare che la vita va anche pensata come teatro-gioco-recitazione. Gli antropologi, per dirla ancora con le parole dell autore di Avventure in Africa, «non tengono mai conto di queste recite, né del fatto che tutti recitiamo per far finta di essere noi stessi» (p. 66). Quanto al turista, se il giudizio di Celati nei confronti della categoria è apparentemente più indulgente, non per questo è meno impietoso. Il turista bianco in Africa viene descritto come un «pallido fantasma che ciondola stranito» (pp. 17, 21), uno che quando esce dal suo «campo di concentrazione», l albergo, è «destinato a guardare tutto come da dietro un vetro» (p. 22). Celati finisce per domandarsi se non sarebbe meglio, per gli antropologi, arrendersi all evidenza e cessare di braccare i sopravvissuti delle civiltà scomparse ridotti ormai a mere comparse esotiche per consacrarsi a un oggetto di studio meno deperibile come appunto sono i turisti, «l unico popolo a cui si può appartenere ormai, in quanto viaggiatori o sbandati perpetui» (p. 163). Ma la di là di questa provocazione, o sotto le descrizioni parzialmente ironiche delle varie tipologie di turisti, ciò che risulta del tutto evidente nella narrazione di Celati (senza dimenticare le semplificazioni che ogni lettura della complessa esperienza turistica impone) è che il solo effettivo terreno dell incontro tra «bianchi visitatori e popolazione nera» (p. 19) è il campo della contrattazione. A Celati non sfugge certo come la partita fra i turisti bianchi «ricchi, potenti, moderni, compratori di tutto» (p. 11) e i nativi che li vedono «come delle vacche da mungere per un senso di giustizia naturale» (p. 21) sia un gioco ad armi impari (l espressione è di Olu Oguibe). I processi di negoziazione fra hosts e guests operano indubbiamente in un quadro di consumo dell esotismo influenzato dal persistente squilibrio di poteri fra mondo africano e mondo occidentale (ma a Celati non sfugge neppure la strumentalizzazione di tale presupposto di disparità da parte dei locali). Tuttavia, per quanto condizionate da rapporti di forza subiti o negoziati, e per quanto prevedibili nel loro continuo oscillare tra conflitto e ricomposizione, le contrattazioni di questo

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3 genere portano ad esiti non necessariamente scontati e fanno emergere le numerose trasversalità che nei circuiti del turismo locali investono le operazioni di costruzione e di manifestazione delle identità. Nonostante infatti una ripetitività nei rispettivi modi di manipolazione dei codici dell altro e nonostante la tendenza da parte di entrambi gli schieramenti a definire i propri interlocutori attribuendo loro d ufficio fisionomia e motivazioni, ogni negoziazione è reinterpretazione e come tale ricalca solo in parte un copione prestabilito. Nel gioco delle parti fra persone venute per vivere l esotico e altre organizzate per venderlo l economia si confronta con l immaginario. Il fatto che nelle contrattazioni gli attori locali mettano in scena la loro cultura secondo le nostre aspettative, ma anche secondo i loro desideri e le loro risorse cognitive, cambiando a seconda delle opportunità e dei contesti, e in più casi adottando atteggiamenti alquanto plastici nei confronti delle pretese tradizioni, non va interpretato come accettazione passiva o opportunistico adattamento (Lane 1988, p. 66), ma piuttosto come conferma della osservazione che ogni contrattazione turistica, oltre ad essere carica di interessi ben reali, è scambio di segni sociali. Aspetto, quest ultimo, che appare con chiarezza nelle incessanti trattative registrate con inalterabile sense of humour in Avventure in Africa fra l autore o il suo compagno di viaggio e i venditori indigeni (p. 19). Trattative dove la negoziazione di immagine, identità e potere fra nativi e turisti, ma anche all interno delle stesse comunità ospitanti, non è quasi mai assente. Strettamente intrecciata al filo conduttore del presente dossier, che si tiene alle due direttrici incrociate del patrimonio e del turismo, la dimensione della negoziazione si mostra cruciale se situata nella più ampia prospettiva che lega il fare e rifare di culture e di luoghi ai processi di costruzione locale di identità, tradizioni e autenticità. Processi che hanno contribuito all istituzionalizzazione patrimoniale e turistica delle società africane quali culture etniche, incontaminate e originarie. Negli odierni contesti africani del turismo la pratica delle negoziazioni rimanda pertanto a relazioni di contatto che, come ricorda James Clifford, «non sono mai trasparenti o prive di appropriazione» (2004, p. 38). Seguendo questa linea di pensiero, gli autori da noi invitati a collaborare a questa pubblicazione non hanno certo trascurato nei loro scritti il ruolo della negoziazione dei significati e delle identità (con tutte le implicazioni che essa può avere: economiche, politiche, etiche ed estetiche) all interno delle dinamiche di appropriazione e di riappropriazione culturali. Presi nell insieme i contributi, dalle angolature diverse ma tutte pertinenti, ci pare siano ampiamente riusciti a raggiungere il duplice obiettivo che avevamo individuato. Il primo basandosi su esperienze dirette, sul campo era Yto Barrada, Hotel Ahlen, Tangeri, Courtesy the artist 4

4 quello di focalizzare la ricerca, attraverso analisi circostanziate di processi di patrimonializzazione e di valorizzazione turistica dei beni ambientali e culturali materiali e immateriali, su cosa si costruisce e si trasforma all interno dell inautenticità turistica, evidenziando in particolare le poste politiche e identitarie del mito dell autenticità per fare emergere il complesso gioco di incastri e di negoziazioni che si manifesta in ogni processo di turistificazione. In altre parole, di contribuire in qualche misura alla decostruzione ormai in atto da tempo della dicotomia fra autenticità e artificialità, partendo dal presupposto che, come scrive Ulf Hannerz (2001, p. 36), «bisogna abbandonare l idea che il locale sia autonomo, che abbia un integrità sua propria, e dire piuttosto invece che esso ha significato come arena in cui si riuniscono influenze di vario genere». Il secondo ponendosi in questo caso su scala più ampia era di tornare ancora una volta, fornendo possibilmente alcuni elementi di aggiornamento, su temi fondamentali quali le molteplici declinazioni dell autenticità, la messa in scena della memoria e dell identità e la costruzione dei sentimenti di appartenenza a un luogo, a un territorio, a una cultura. Interrogandosi quindi innanzitutto sul significato stesso di patrimonio in contesti non occidentali. Che cosa infatti si può definire patrimonio in culture altre da quella europea occidentale (unica ad aver elaborato la nozione universalistica di patrimonio culturale )? I luoghi di memoria, i monumenti, le architetture, le feste, i segni, le immagini, gli oggetti rappresentativi di quale storia? Quali forme di arte e di produzione artigianale ( tradizionali, contemporanee)? La grande tematica, su cui convergono turismo e antropologia, della costruzione del patrimonio (artistico, paesaggistico, umano) con tutti i processi che tale costruzione mette in gioco, dalla produzione di autenticità, tradizionalismo e localismo, alla ricostruzione dell etnicità, alla risemantizzazione del passato, e così via è al cuore del pensiero critico contemporaneo interno agli studi culturali. Ad essa si lega strettamente l altrettanto ampiamente dibattuta problematica della commercializzazione della cultura e dell heritage. Data la complessità delle poste in gioco la questione del patrimonio e del rapporto fra identità, memoria (o meglio, memorie spesso contrastanti e incompatibili) e patrimonio, è nevralgica nelle società ex-colonizzate fino a ieri oggetto di ricerca dell etnologia tradizionale e oggi meta del turismo esotico. Non si deve infatti dimenticare da un lato la funzione importante che lo sguardo coloniale ha avuto sia nella formazione dell identità del colonizzatore e del colonizzato, sia nella nascita del turismo verso le aree extra-europee (in Africa il turismo viene inventato dai bianchi nella seconda metà dell Ottocento sull onda delle spedizioni coloniali), sia nel consolidarsi nell immagine dei media dell idea dei territori esotici come realtà ferme nel tempo. Né va trascurato, dall altro, il peso degli interessi economici e turistici globali (che non necessariamente coincidono con gli interessi delle popolazioni locali) sulle politiche patrimoniali dei paesi meta di vacanze esotiche, paesi perlopiù arretrati le cui fragili economie finiscono per essere assai dipendenti dal turismo. È indubbio che a rendere incerta la prospettiva sul destino dei patrimoni ambientali e culturali di molti scenari esotici contribuisce in maniera non irrilevante l invasività dell industria del turismo basato sull esperienza dell etnicità altra. Un mercato le cui logiche neo-coloniali in versione consumistica (logiche che esigono l annessione bulimica di sempre nuovi orizzonti ai sogni e all economia dell Occidente) sono assecondate dall orientamento prevalente in poteri centrali e locali dei paesi del Sud a considerare paesaggi naturali e culturali come una risorsa economica da sfruttare. In quest ottica vengono utilizzati modelli di gestione/modifica del territorio mutuati dall Occidente per rispondere alle esigenze del turismo di massa che necessita di strutture standardizzate. E anche quando, al contrario, (come nell approccio protezionistico adottato in Africa nella gestione della natura durante il periodo coloniale e post-coloniale con la creazione di parchi e aree protette) si blinda un area (disconoscendo i tradizionali diritti d uso sulle riserve delle popolazioni locali in più casi costrette allo spostamento) lo si fa in nome di una visione di preservazione di paesaggi originari anch essa importata dai paesi colonizzatori. Per decostruire la nostra idea di Africa come terra di paesaggi fisici e umani incontaminati basterebbe infatti la considerazione di quanto poco in genere abbia a che vedere con i vissuti locali la messa in scena di autenticità preservata (che al meglio è ricostruzione in dimensione folklorica di identità e specificità culturali) in grado di corrispondere al bagaglio di percezione dei turisti. Nondimeno, il fatto che in genere le società ospitanti, invase ieri da coloni e oggi da turisti, mostrino atteggiamenti ambivalenti nei confronti dell occidentalizzazione, non di rado rivelandosi capaci di creatività culturale nella loro costruzione di un interfaccia con le orde degli ospitati, impegna la riflessione antropologica a non sottovalutare egemonie e resistenze, specie in contesti colonizzati nell economia e nell immaginario. La rifunzionalizzazione della tradizione e la messa in scena della memoria negli attuali contesti di crescente commercializzazione delle culture esotiche legata al consumo turistico di luoghi, narrazioni e identità porta a una continua rivisitazione della storia e dell antropologia nelle politiche comunicative locali. Tali strategie di valorizzazione del proprio heritage costituiscono un campo privilegiato ai fini dello studio delle trasformazioni, ridefinizioni e rinegoziazioni identitarie. L irrisolta querelle su costi e ricavi del turismo di massa (fattore di sviluppo e fonte di ricchezza per paesi in difficoltà da un lato, motore di una mercificazione consumistica distruttiva per l ambiente, non meno che per la cultura e il tessuto sociale, dall altro) si presenta in tutte le regioni del Terzo mondo in via di modernizzazione. In Africa tuttavia il dibattito antropologico su turismo e patrimonio assume un rilievo particolare per almeno tre motivi. Per prima cosa, dato che il fenomeno del dominio coloniale e neocoloniale nel caso dell Africa ha interessato, se pur con modalità diverse, la totalità del continente, l interazione sul territorio fra politici locali, chi controlla i capitali (prevalentemente stranieri) e l immaginario costruito che sottende all azione dei primi due, emerge in tutta la sua complessità. Nel valutare il senso e l impatto che il fenomeno turistico può avere, oltre a prendere in considerazione le ricadute economiche e sociali, dobbiamo anche confrontarci con questo carico di rappresentazioni che nel passato hanno fatto del continente africano un continente immobile 5 AeM aprile 09

5 6 ad uso e consumo del sistema imperialista e colonialista, e che mostrano nel presente una persistente facoltà di agire e sugli immaginari occidentali e sulle dinamiche africane di ritradizionalizzazione. Il turismo in Africa, soprattutto quello che si focalizza sulle risorse culturali ed etniche, è la continuazione di un discorso che non ha mai smesso di produrre fantasmi e fraintendimenti, barriere e gerarchie. La seconda ragione è attinente alla prima. La patrimonializzazione si afferma in terra d Africa attraverso sguardi e intenzioni straniere. Gli eventi che hanno consentito alle società africane il riconoscimento internazionale del proprio patrimonio locale (fatto che ha permesso l avvio dello sviluppo turistico) vanno quindi letti nell ambito di un processo di contaminazione culturale e tale lettura fa emergere rapporti di forza e condizionamenti del potere affioranti nello stesso censimento delle risorse locali e nella loro utilizzazione a fini di valorizzazione e/o di reddito. Alla luce del già menzionato fatto che, nel caso dell Africa, secoli di contatti con gli europei e decenni di colonizzazione avevano già costretto le popolazioni locali a ripensare il loro legame con la memoria e con l identità e considerando che, più in generale, nelle questioni inerenti al patrimonio ambientale e culturale si riflettono le tensioni prodotte dall incrociarsi di rappresentazioni e memorie stratificate e contraddittorie, così come di aspettative e interessi diversi e conflittuali, non c è da stupirsi del ruolo rilevante che tuttora sembra giocare l immaginario coloniale (molto presente va sottolineato in chi guida gli investimenti psicologici ed economici del turismo esotico) nelle politiche del consumo turistico regionali e locali africane e nella costruzione degli heritage. Politiche che, comunque vengano impostate, si trovano per forza di cose a relazionarsi con il bagaglio di stereotipi e di pregiudizi che alimentano il mercato occidentale del viaggio e dell evasione nella primordialità e nella autenticità africane. I governi locali sembrerebbero peraltro assecondare in genere le immagini che l Occidente ha prodotto, come tanti processi di patrimonializzazione e museificazione continuano a testimoniare. Basti pensare alla pressoché generale adozione da parte degli stati africani di strategie neocoloniali di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale (dalle varie operazioni di costruzione dell autenticità e del pittoresco, ai processi di esteticizzazione e di esoticizzazione del paesaggio e della vita locale). Tali strategie importate, finalizzate alla massimizzazione del richiamo turistico e strumentali alle logiche dello sfruttamento post-coloniale (Rami Ceci 2005, p. 43 e 58-59), finiscono anche per modificare il modo di autopercepirsi delle comunità locali favorendo processi di riappropriazioni e riclassificazioni identitarie. Sotto questa prospettiva possiamo intravedere nel fenomeno turistico, oltre all assimilazione di un linguaggio egemone, anche la capacità da parte degli attori locali di utilizzare a proprio vantaggio le parole chiave del vocabolario degli occidentali a caccia di avventure nell alterità africana, parole quali tradizione, esotico, primitivo. Da cacciatore a preda, il turista bianco (viaggiatore o mercante che sia) nella sua costante ricerca di arti e rituali tribali è ingabbiato nelle costruzioni che lui stesso, nel corso della storia, ha contribuito a realizzare, e come tale diventa vittima designata di raggiri (si pensi alla falsificazione delle opere d arte o al coinvolgimento dei bianchi in rituali esoterici). Va inoltre evidenziato che nei contesti africani del turismo è ben presente la sovrapposizione-contrapposizione richiamata da Alessandro Simonicca (2006, p. 35) fra «un autenticità fredda», tipica dei costruttori istituzionali di immagini, e «un autenticità calda», operata all interno dei siti da parte dei residenti. Legata quest ultima al sempre più forte desiderio locale di riappropriarsi delle forme religiose, della musica, della danza e dell arte in genere e pensarle come patrimonio da conservare e rivendere fuori dall Africa o alle varie comunità di turisti che visitano il continente. La terza ma non ultima ragione consiste nel fatto che l Africa, un mondo «saturo dell immaginario planetario» (Amselle 2001, p. 14) nel quale le tradizionali destinazioni del turismo di massa continuano a registrare - nonostante la diffusa instabilità politica e sociale, e nonostante i dati di una contrazione dei flussi turistici in più aree del continente - un rilevante afflusso di visitatori, resta anche la terra nella quale maggiormente sono concentrati i paesi più poveri del mondo. Oggi, pur nella diversità dei contesti e nell ambito di storie e istituzioni assai diverse di luogo in luogo (l Africa presenta una grande varietà di situazioni dal punto di vista dell attività turistica), le fondamentali domande sul ruolo dell industria turistica in rapporto alla definizione del patrimonio culturale, all uso di tale definizione ai fini di modellare il territorio, alle modalità di tutela e rielaborazione del patrimonio, si pongono in tutto il continente. Per quanto sviluppati sotto vesti diverse e animati da differenti filosofie, i modelli di turismo proposti portano inevitabilmente con sé un carico di contraddizioni. Il turismo di massa è un fenomeno che agisce come un rivelatore dei paradossi e delle crudeltà del mondo in cui viviamo e che, per dirla con Abdelwahab Bouhdiba, «inietta il comportamento di una società del superfluo all interno di una società del bisogno». Il che non aiuta certo a risolvere gli squilibri e le inquietudini sociali ed economiche che continuano a turbare l Africa. Gli africani di oggi vogliono approfittare della mondializzazione, del consumismo, aspirano insomma a una modernità, e la loro aspirazione si traduce nel desiderio di accedere a un mondo di privilegi da cui hanno spesso la convinzione, per i motivi più diversi, di essere stati esclusi. Le barriere e le frontiere, sia interne al continente sia esterne, sono le nuove forme di esclusione di un umanità che preme per avere ciò che a priori le è precluso. La dimensione da analizzare, come suggerisce Ferguson (2005), è quindi quella spaziale. Gli emarginati non attendono un futuro migliore, ma si spostano nello spazio per cercarlo, anche quando il progetto è ad alto rischio e la possibilità di successo infinitesimale. Gli stessi luoghi infatti che rappresentano scenografie edeniche per i turisti provenienti dal Nord del mondo sono spesso vissuti come inferni dai nativi, luoghi da cui scappare verso i paradisi dell Occidente. Lo spostamento rappresenta una forma di asimmetria, che il turismo e la migrazione mettono chiaramente in luce. Il bianco deve, oltre a incarnare la categoria alla quale è assegnato, spiegare perché è potuto arrivare in Africa con i documenti in regola e dopo un viaggio confortevole mentre i giovani africani devono confrontarsi con barriere sempre più alte che li vorrebbero tener fermi in un luogo, in un paese o almeno all interno del loro continente. La stridente coesistenza dei due movimenti inversi dei migranti e dei turisti trova un eco e una denuncia nel campo dell arte. Interprete del nostro tempo e come tale aperta a qualsia-

6 Yto Barrada, Fields of irises, Tangeri Courtesy the artist si interferenza e influenza, e al contempo particolarmente sensibile ai temi dell appartenenza, della storia locale, della contraddittoria e ambigua memoria dei luoghi, della mercificazione della cultura, dell asservimento dell immaginario tutti temi che si misurano con gli effetti della ricaduta sui diversi scenari africani delle pratiche occidentali di patrimonializzazione una nuova generazione di artisti africani, attenta alla storia e all attualità dei propri paesi, testimonia dell attuale interazione creativa fra centro e periferia. Lontani dagli stereotipi turistici e integrati nella rete globale della creazione contemporanea, per quanto ancora costretti a confrontarsi con le Afriche fantasma dei musei di etnologia, gli artisti africani (che spaziano dal disegno alla pittura, alla scultura, all installazione, al video, alla fotografia, alla performance) propongono in più casi un arte molto politica, destinata a suscitare dibattiti in quanto tesa a sottolineare le contraddizioni del presente e capace di interagire con esso. La loro ricerca estetica si spinge talvolta più in là delle interpretazioni di antropologi, sociologi e critici nel catturare i fermenti e le idee emergenti nei loro mondi, e per tanto le loro opere più significative sono illuminanti per far conoscere, far capire e far sentire che cosa oggi l Africa pensa di sé. Quale immagine ad esempio più della struggente opera Iris Tingitana. La botanica del potere realizzata dall artista franco-marocchina Yto Barrada per la Biennale di Venezia del 2007 opera composta da una serie di fotografie accompagnate da uno scritto e in cui la botanica è usata come denuncia della rovinosa speculazione edilizia in atto a Tangeri avrebbe potuto garantirci una resa migliore del fatto che il turismo, così come in genere si sviluppa nei paesi del Sud del mondo, non è soltanto l incontro di individui appartenenti a differenti comunità e dei loro rispettivi desideri, scopi e pratiche, ma è anche, inevitabilmente, le nuove forme culturali e le scelte che scaturiscono da questi incontri? Scelte che a Tangeri negli ultimi anni hanno spinto un processo di esteticizzazione che porta a sua volta ad ulteriori scelte e pratiche (Tucker 2003, p. 1). L iris della Barrada fiore autoctono dei terrains vagues di Tangeri che sta scomparendo a causa degli innumerevoli cantieri che, per sviluppare la città, sventrano con indiscriminata violenza il territorio diventa un durissimo attacco all attuale politica del turismo del governo marocchino. Politica che disinvoltamente forza strutture e caratteristiche dei luoghi per allestirvi attività di sostegno al turismo che possano essere realizzate in tempi brevi, e che per costruire giganteschi complessi turistici e residenziali interviene in maniera scriteriata nella modifica del paesaggio locale. Si elimina così ciò che nel corso del tempo ha assunto un significato di rilievo per la collettività mettendo anche a rischio modi secolari di vita, e si sta distruggendo una biodiversità unica per rimpiazzarla con palme sul lungomare e gerani rossi in perenne fioritura secondo un modello di parco standardizzato e importato da fuori. Scrive la Barrada per presentare questo suo lavoro: Di solito, i fiori sono considerati poetici. Qui, sono diventati politica. 7 AeM aprile 09

7 Yto Barrada, Vacant lot #2, Rue de Fes, Tangeri, Courtesy the artist 8 Da dieci anni a questa parte, a Tangeri e tutto intorno, i campi, i mercati, le foreste un tempo protette, le spiagge e gli edifici storici, sono lasciati in balia dei promotori turistici, degli imprenditori e degli agenti immobiliari. Si vuole produrre nel più breve tempo possibile un clone della Costa del Sol spagnola, meta del turismo vacanziero di massa. Nel gennaio scorso gli iris selvatici, già minacciati di estinzione sono spuntati tra ruspe che caracollavano in lottizzazioni fantasma e in cantieri ingombri di macerie, in mezzo a praterie in cui fioriscono ancora centinaia di specie autoctone, essendo la penisola tingitana la regione a più alta biodiversità di tutto il Mediterraneo. I fiori potrebbero essere i proverbiali canarini nella miniera di carbone. Lo scopo, più o meno consapevole, delle autorità è di confezionare un Marocco nuovo, lindo, adatto al mercato globale, in cui le sole specie autoctone da mostrare al pubblico siano quelle consacrate dalla modernità, o addomesticate entro una cornice folcloristica. La domanda è: nella nuova Tangeri ci sarà spazio per i fiori selvatici, per i mercati scoperti, per chi ha voglia di fare la siesta in un prato? Esisteranno ancora quei luoghi abbandonati, marginali, insperati che costituiscono un patrimonio invisibile? Rispondere all angoscioso interrogativo sollevato dall artista non sembra oggi cura prioritaria per le autorità locali: nella nuova Tangeri ci si prepara ad accogliere grandiosamente ipotetiche migliaia di turisti stranieri mossi dal desiderio d Oriente. Al contrario, le effettive migliaia di deprivati che, spinti dal desiderio d Occidente, sono confluiti in questi ultimi anni nella mitica ma mitica per chi? si domanda Mohamed Choukri e, con lui, Rachid Tafersiti (Tafersiti 2004, p. 89) città bianca della sponda africana dello stretto di Gibilterra possono uscirne con sempre maggiore difficoltà (dato che, dopo gli accordi di Schengen, lo stretto braccio di mare che divide il Marocco dalla Spagna è diventato un muro pressoché invalicabile). Giovanna Parodi da Passano è docente presso l Università di Genova di Etnologia e Antropologia del Turismo nel corso di laurea triennale in Scienze geografiche per il territorio, il turismo ed il paesaggio culturale, e di Culture ed estetica dell Africa nel corso di laurea magistrale in Antropologia culturale ed Etnologia. Africanista di formazione, attualmente si occupa dei culti legati ad associazioni di maschere e di estetica della rappresentazione nello spazio culturale yoruba sudoccidentale; della musealizzazione di oggetti e memorie inerenti ai culti afro-cubani a Cuba (ha in corso una collaborazione con il Museo Municipale di Guanabacoa, l Avana); di street art, moda e design in Africa Alessandra Brivio si è dottorata in antropologia presso l Università di Milano Bicocca, sotto la direzione di Alice Bellagamba. Svolge ricerca in Togo, Benin e Ghana su temi correlati alla religione tradizionale. Tra il 2002 e il 2004 ha collaborato all ideazione e messa in opera dell esposizione Euhé-Ouachi: un estetica del disordine con G. Parodi da Passano e il CSAA di Milano Bi b l i o g r a f i a J.L. Amselle, Connessioni. Antropologia dell universalità delle culture, Bollati Boringhieri, Torino 2001; ed. or. Branchements. Antropologie de l universalité des cultures, Flammarion, Paris 2001 J. Clifford, Ai margini dell antropologia. Interviste, Meltemi, Roma 2004; ed. or. On the Edges of Anthropology, Prickly Paradgm Press LLC, Chicago 2003 G. Celati, Avventure in Africa, Feltrinelli, Milano 1998 F. James, Decomposing modernity: history and hierarchy after development, in A. Loomba, S. Kaul, M. Bunzl, A. Burton e J. Esty (a cura di), Postcolonial Studies and Beyond, Duke University Press, 2005 U. Hannerz, La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001; ed. or. Transnational Connections. Culture, People, Places, Routledge, London-New York 1996 P.J. Lane, Tourism and Social Change among the Dogon, African Arts, Vol. XXI (4), 1988, pp e 92 A. Moravia, A quale tribù appartieni?, Bompiani, Milano 1972 L. Rami Ceci (a cura di), Turismo e sostenibilità. Risorse locali e promozione turistica come valore, Armando editore, Roma 2005 A. Simonicca, Viaggi e comunità. Prospettive antropologiche, Meltemi, Roma 2006 A. Simonicca, Turismo fra discorso, narrativa e potere, in M. Aime (a cura di), Antropologia del turismo, in «La ricerca folklorica», n. 56, 2007, pp R. Tafersiti, Tanger Chroniques d une transition, Edition Zarouila, Tanger 2004 H. Tucker, Living with Tourism, Routledge, London and New York 2003 No t e 1 - A partire dal 1963 per anni Moravia ha intrapreso lunghi viaggi in Africa. L esperienza africana dapprima riportata nei suoi articoli sulla terza pagina del Corriere della Sera è poi confluita nei volumi A quale tribù appartieni? (1972), Lettere dal Sahara (1981), Passeggiate africane (1987). 2 - Nei Nuovi preamboli del 1986 alle sue ormai celebri Finzioni occidentali Celati parla dei cinque saggi che compongono il volume (apparso in prima edizione nel 1975) come di un tentativo sistematico di abbandono della sindrome razionalistica occidentale e del suo delirio di consapevolezza. 3 - La frase di Gianni Celati è citata in Alfredo Giuliani, Celati contrabbandiere d immagini, in «la Repubblica», 5 maggio Tourism is a subject of interest for anthropology as it touches on important issues and concepts such as authenticity, modernity, ethnicity, identity, memory, and the invention of tradition which are components of social changes and the focus of both anthropology and cultural studies. In Africa heritage politics used to be a product of the hegemonic colonial experience, which involved the entire continent, and it changed both the colonized and the colonizers. Today s tourism is marked by important economic interests that can orientate the heritage politics of exotic countries (sometimes even in contrast with local interests) and influences local economies and environment policies.

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