Capitolo X. La trasformata di Laplace
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- Chiara Randazzo
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1 Capitolo X La trasformata di Laplace La soluzione delle reti in regime dinamico può essere ricercata anche con un altro metodo che si basa sulle notevoli proprietà di una trasformazione, detta di Laplace. Il metodo ricalca quello utilizzato per il regime sinusoidale, ma è molto più generale. Ricordiamo brevemente definizione e proprietà della trasformata di Laplace. Consideriamo una funzione del tempo f(t) definita sull intervallo (0,). La trasformata di Laplace della funzione f(t) è definita dall integrale: dove p è una variabile complessa. Il fatto che per l estremo inferiore dell integrazione si sia utilizzato il simbolo 0 - sta ad indicare che si prenderà in considerazione il limite da sinistra dell integrale. In questo modo se f(t) contiene nell origine un impulso kδ(t) esso contribuisce all integrale; come abbiamo già visto, la presenza di impulsi nell origine è indice del fatto che la rete non è, in generale, a riposo nell istante iniziale. D altra parte l integrale nella (X.1) è un integrale improprio, quindi anche l estremo superiore implica una operazione al limite. In altri termini la (X.1) va intesa come forma breve per: F p = F(p) = 0 - lim T, ε 0 f t e -pt dt, f t e -pt dt. Partendo da quanto detto per introdurre il metodo dei fasori, proviamo ad analizzare la trasformazione (X.1) con lo scopo di comprenderne meglio la sua struttura e quindi T - ε (X.1)
2 282 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica le sue funzioni. Come ricorderete l obiettivo che ci proponevamo nell introdurre il metodo dei fasori era quello di trasformare l insieme delle funzioni sinusoidali - soluzioni di regime delle equazioni diffrenziali che governano i circuiti lineari quando il forzamento è appunto sinusoidale - in un altro insieme nel quale le operazioni di calcolo fossero più agevoli. In particolare era necessario che nell insieme di arrivo fossero conservate le operazioni di prodotto per una costante, somma e derivazione e che quest ultima si riducesse ad una operazione algebrica (prodotto per jω) in modo tale da trasformare le equazioni differenziali di partenza in equazioni algebriche. Il fatto che ogni elemento dell insieme di partenza era individuato da tre parametri - frequenza (o pulsazione), ampiezza (o valore efficace) e fase iniziale - ci portò ad individuare l insieme delle funzioni complesse di variabile reale del tipo Ae j(ωt+α) come un possibile insieme di arrivo. In particolare, poi, volendosi limitare alle sole grandezze sinusoidali della stessa frequenza, i parametri diventavano due e questo ci ha consentito di ridurre l insieme di arrivo a quello dei numeri complessi - caratterizzati appunto da due valori, parte reale e coefficiente dell immaginario. Questa volta il problema è più arduo in quanto l insieme di partenza e quello di tutte le funzioni di una sola variabile reale a partire da un punto iniziale o almeno di una classe abbastanza ampia di tali funzioni. Tale è infatti l insieme delle possibili soluzioni delle equazioni differenziali che governano la dinamica di un circuito a partire da un istante iniziale t=0. Ogni elemento di un tale insieme di partenza è individuato da una infinità di valori: tutti i valori che la specifica funzione f(t) assume tra 0 ed infinito. L insieme di arrivo dovrà avere la stessa dimensione e la trasformazione dovrà tenere conto di tutti i valori della funzione di partenza f(t). Dovendosi poi conservare le operazioni di somma e di prodotto per una costante è chiaro che dobbiamo pensare ad una operazione di tipo lineare che per definizione gode di tali proprietà. La (X.1) soddisfa queste condizioni in virtù delle proprietà della operazione di integrazione. Essa definisce effettivamente una trasformazione che, se l integrazione a secondo membro esiste (esamineremo tra breve questo aspetto), fa corrispondere a funzioni f(t) dell insieme di partenza funzioni F(p) dell insieme di arrivo. Infatti a causa dell integrazione la variabile t scompare e quello che resta è solo funzione della variabile p. Si noti il ruolo svolto dall esponenziale e -pt : esso, da una parte, introduce la nuova variabile p dalla quale dipendono le funzioni dell insieme di arrivo della trasformazione e dall altra gioca il ruolo di una sorta di funzione peso che in qualche modo contrassegna i singoli valori assunti dalla funzione f(t) in modo tale che di essi non si perda memoria individuale nell insieme di arrivo. Si noti anche che l integrazione deve neces-
3 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 283 sariamente essere impropria - e cioé estesa ad un intervallo illimitato - altrimenti si rischierrebbe di non tener conto di parte della funzione di partenza. Che il ruolo di funzione peso venga svolto dalla funzione esponenziale e -pt è in realtà una scelta obbligata se si vuole che l operazione di derivazione nell insieme di arrivo si riduca ad una operazione algebrica. Supponiamo infatti di aver individuato nella forma generale descritta dalla (X.2) la nostra trasformazione, dove la funzione peso è svolta da una generica funzione g(p,t) e proviamo a calcolare la trasformata della derivata di f(t): 0 df t dt g p,t F(p) = Nella X.2 si è effettuata una integrazione per parti e si è tenuto conto del fatto che la variabile p in questo caso gioca il ruolo di un semplice parametro. Dalla relazione trovata si deduce che se si vuole che la derivazione si riduca ad una semplice operazione algebrica, occorre che la g(p,t) soddisfi la seguente equazione: dg p,t = ± h(p) g p,t. (X.4) dt dove h(p) è una funzione della sola p. Solo in tal caso, infatti, l integrale a secondo membro della (X.3) è ancora nella forma della trasformata (X.2). Se poi si aggiunge la richiesta che la relazione algebrica sia anche lineare la funzione h(p) deve evidentemente ridursi alla sola p e di conseguenza l equazione (X.4) avrà per soluzione e ±pt. L esponenziale e -pt nella (X.1) - la scelta del segno meno è naturalmente arbitraria ma corrisponde ad una esigenza di razionalizzazione che sarà più chiara a valle delle considerazioni che stiamo per sviluppare - svolge anche un altro ruolo. Come si è già rilevato, l integrale che figura nella (X.1) è necessariamente improprio e per questo motivo può divergere se la funzione f(t) non ha un comportamento adeguato per t che tende all infinito. Ciò rischia di limitare la classe di funzioni che ammette la trasformata. Se indichiamo con σ la parte reale di p e con ω il suo coefficiente dell immaginario, la (X.1) può essere scritta: F(p) = 0 0 dt = f(t) g(p,t) 0 - f t g p,t dt, f t e -σt e -jωt dt, dg p,t dt f t dt. (X.5) dove è messo in evidenza il ruolo svolto da σ nel contribuire a smorzare l andamen- 0 (X.2) (X.3)
4 284 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica to della funzione integranda per t che tende all infinito: in pratica c è da aspettarsi che per σ positivo è sufficientemente grande anche per funzioni f(t) che divergono per t che tende all infinito l integrale della (X.1) esista. Nonostante tutte le precauzioni prese non per tutte le funzioni f(t) definite in (0,) l integrale di cui alla (X.1) esiste ed è finito. Ad esempio se consideriamo la funzione e αt, la funzione integranda nella (X.1) è: f t e -pt = e α- σ t e - jωt. Se σ>α, l integrale (X.1) esiste ed è finito, mentre se σ=α esso non esiste e se σ<α esso è illimitato. Invece se consideriamo la funzione, la funzione integranda è: In questo caso non esiste alcun valore di σ, finito, per cui l integrale (X.1) sia finito. Ogni funzione f(t) definita sull intervallo (0,), per la quale esiste un valore di σ tale che l integrale (X.1) esiste ed è finito, si dice trasformabile secondo Laplace. Come illustreremo, infatti, tra breve con alcuni esempi, basta che l integrale esista e sia finito per un qualsiasi valore di σ, perché la trasformata F(p) possa essere estesa a tutto il piano. Il più piccolo valore di σ per cui ciò accade si dice ascissa di convergenza per l integrale di Laplace ed il semipiano a destra di tale valore prende il nome di semipiano di con - vergenza. Si mostra facilmente che ogni funzione f(t) per cui è verificata la condizione f t M e σ 0t per ogni t>0, con M ed σ 0 costanti positive, è trasformabile secondo Laplace. L operazione di trasformazione verrà indicata con il simbolo L: e t2 f t e -pt = e t - σ t e - jωt. F(p) = L[f(t)]. (X.6) Per maggior chiarezza riesaminiamo il caso della funzione f(t)=e αt con α reale affrontato in precedenza. Abbiamo: Se α<re{p}, si ottiene: F(p) = 0 - e α-p t F p = L f t = 1 p-α. (X.8) L espressione (X.8) è stata ottenuta con il vincolo Re{p}>α; essa ha senso, però, in tutto dt = e α-p t α-p 0 - (X.7)
5 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 285 il piano complesso salvo che nel punto p=α dove esplode - si dice che F(p) ha un polo in p=α. Un caso particolarmente significativo è quello della funzione impulsiva: f(t)=δ(t). Infatti, utilizzando la proprietà di campionamento dell impulso, si ottiene: L δ t = δ t e -pt dt = 1. (X.9) 0- Allo stesso risultato si giunge anche utilizzando la definizione dell impulso δ(t) come limite della funzione P (t)/ per che tende a zero. Infine consideriamo la funzione gradino unitario: f(t)=u(t). Abbiamo facilmente: Se Re{p}>0, si ha: F(p) = F(p) = L u t = 1 p. Anche in questo caso la F(p) descritta dalla (X.11) può essere estesa a tutto il piano complesso salvo che al punto p =0, dove esplode (in questo punto la funzione ha un polo). La trasformata di Laplace gode di alcune notevoli proprietà. In primo luogo la proprietà di unicità: se la funzione f(t) definita in (0,) è trasformabile secondo Laplace, allora la sua trasformata è unica. Questo risultato è immediato se si pensa a come la trasformata è stata definita. Per quanto riguarda il problema inverso, si può dimostrare il seguente teorema: se due funzioni f e g hanno la stessa L-trasformata allora deve risultare: e - p t f t - g t dt = - 1 p e- p t 0 dt = 0. (X.11) (X.12) Il che implica che f e g coincidono, a meno di un numero finito di discontinuità di prima specie. L operazione definita dalla trasformata di Laplace stabilisce, dunque, una corrispondenza biunivoca tra le funzioni f(t) definite in (0,) e le funzioni trasformate F(p). L operazione di antitrasformazione, che associa alla L-trasformata F(p) la funzione f(t), prende il nome di antitrasformata di Laplace e e viene indicata con L 1 : (X.10)
6 286 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica f(t) = L -1 [F(p)]. (X.12) In particolare l antitrasformata (per t > 0) si può ottenere attraverso una integrazione lungo una retta, nel piano complesso, appartenente tutta al semipiano di convergenza, come indicato nella seguente formula di Fourier-Riemann: f(t) = 1 2πj σ + j σ - j F p e pt dp. (X.13) In generale, però, non sarà necessario fare ricorso a tale integrazione, salvo in casi eccezionali, in quanto sarà, in generale, facile determinare l antitrasformata utilizzando la conoscenza di trasformate note e le proprietà della trasformazione. Nella tabella (X.I) sono riportate alcune trasformate notevoli di frequente uso nella risoluzione di reti elettriche. Il fatto che l antitrasformata sia unica, come la trasformata, rende particolarmente interessante la trasformata di Laplace sul piano operativo. Infatti possiamo immaginare di trasformare un problema nel dominio del tempo in quello corrispondente nel dominio trasformato, risolverlo in questo dominio e poi ritornare nel dominio di partenza. L utilità di operare nel dominio trasformato è una immediata conseguenza delle proprietà della trasformata di Laplace che abbiamo messo in luce nella introduzione e che qui riassiumiamo in forma esplicita. In primo luogo l operazione di L-trasformata è un operazione lineare; se, infatti, le trasformate di due funzioni f 1 (t) ed f 2 (t) sono, rispettivamente, F 1 (p) ed F 2 (p), e se c 1 e c 2 sono due costanti arbitrarie, allora si ha: L[c 1 f 1 (t) + c 2 f 2 (t)] = c 1 F 1 (p) + c 2 F 2 (p). In secondo luogo, la trasformata di Laplace riduce l operazione di derivazione ad una operazione di moltiplicazione. Si ha infatti in base alla (X.3), opportunamente riscritta per g(p,t) = p: L df dt = pf p - f 0 -, (X.14) dove F(p) è la trasformata della funzione f(t) ed f(0 - ) è il suo valore in t=0 -.
7 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 287 funzione Tabella X.I trasformata δ t 1 δ n t u t p n t n 1 n! p n+1 e -αt 1 p+α t n n! e-αt 1 p+α n+1 cos βt sinβt e -αt cos βt e -αt sin βt Ae -αt cos βt + B-Aα β e -αt sin βt 1 p p p 2 +β 2 β p 2 +β 2 p+α p+α 2 +β 2 β p+α 2 +β 2 Ap +B p+α 2 +β 2 La trasformata di Laplace ed i circuiti elettrici. A questo punto è chiaro come si può procedere. Una volta ottenuto il sistema di equazioni differenziali risolvente per la dinamica di un circuito, lo si trasforma nel dominio
8 288 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica della variabile p, ottenendo un sistema di equazioni algebriche per le trasformate delle grandezze incognite. Risolvendo tale sistema e antitrasformando si determinano le grandezze incognite nel dominio della variabile t. Si noti che, a causa della proprietà (X.14), le condizioni iniziali entrano direttamente nel sistema di equazioni. La soluzione, quindi, ne terrà automaticamente conto. Ma in effetti si può fare di più: si può estendere il concetto di impedenza, introdotto per il regime sinusoidale, anche ai regimi qualsiasi, così come illustrato nel seguito. Consideriamo una rete elettrica in regime dinamico qualsiasi costituita da n nodi ed l lati; volendo studiare il suo funzionamento nell intervallo (0,t), scriviamo in primo luogo le equazioni che esprimono la validità delle leggi di Kirchhoff per le correnti e le tensioni nella rete. In forma sintetica potremo esprimere tali equazioni con il seguente simbolismo: Σ j (±) i j (t) = 0 per ogni nodo, (X.15) Σ j (±) v j (t) = 0 per ogni maglia. (X.16) Ogni tensione ed ogni corrente è, naturalmente, definita nell intervallo (0,). Supponiamo che ognuna di queste grandezze sia trasformabile secondo Laplace. Allora, se L{i j (t)}=i j (p) e L{v j (t)}=v j (p), le equazioni (X.15) ed (X.16) possono essere scritte: Σ j (±) I j (p) = 0 per ogni nodo, (X.17) Σ j (±) V j (p) = 0 per ogni maglia. (X.18) Queste equazioni, in pratica, si riferiscono ad una rete trasformata che ha la stessa topologia della rete effettiva (cioè lo stesso grafo); alla generica coppia {v j (t), i j (t)}, di tensioni e correnti associate ad ogni lato, si è sostituita la coppia {V j (p), I j (p)} delle trasformate che verificano le (X.17) e le (X.18), ovvero le leggi di Kirchhoff. Resta da stabilire quale sia il legame tra la tensione trasformata V(p) e la corrente trasformata I(p) relativa ad ogni lato. Tale legame, ovviamente, dipende dalla natura del bipolo inserito nello specifico lato della rete effettiva. Ci limiteremo a considerare reti di generatori indipendenti di tensione e di corrente, contenenti bipoli passivi lineari e tempo-invarianti (resistori, induttori, condensatori, doppi bipoli lineari e tempo-invarianti). Avremo dunque essenzialmente le seguenti possibilità:
9 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 289 Bipoli attivi ideali Al generatore di tensione ideale e(t) corrisponde nel dominio trasformato un generatore descritto da E(p)=L{e(t)}. Come nel generatore effettivo, la corrente che in esso circola dipende dalla rete in cui è inserito. Analogamente, al generatore indipendente di corrente j(t) corrisponde il generatore trasformato I(p)=L{j(t)}. La tensione sul generatore dipende dalla rete in cui è inserito. Bipoli passivi lineari e tempo invarianti Osserviamo in primo luogo che per un generico bipolo caratterizzato dalla coppia V(p), I(p) (convenzione dell utilizzatore), se il rapporto V(p)/I(p) è indipendente sia da V(p) che da I(p), se cioè: V p I p = Z p, (X.19) il modello matematico definito dalle (X.17), (X.18) e (X.19) è del tutto analogo a quello delle reti lineari in regime stazionario o a quello delle reti in regime sinusoidale rappresentate nel dominio simbolico dei fasori. La grandezza Z(p) prende il nome di impe - denza operatoriale. Ciò effettivamente accade per il bipolo resistore; si ha infatti: e quindi Z(p) = R, indipendente da V(p) e da I(p). Per l induttore, invece, abbiamo: e per il condensatore: v t = R i t V p = R I p, (X.20) v t = L di dt V p = p L I p - L i 0-, (X.21) i t = C dv dt I p = p C V p - C v 0-. (X.22) Anche per l induttore ed il condensatore possiamo, dunque, definire una impedenza operatoriale se risulta, rispettivamente, i(0 - )=0 e v(0 - ) = 0, se, cioè, i bipoli a memoria della rete sono inizialmente nello stato di riposo. Pertanto il concetto di impedenza operatoriale Z(p) può essere utilizzato se, e solo se, la rete è inizialmente a riposo. Riassumendo, nel caso di reti inizialmente a riposo possiamo costruire una rete di impedenze operatoriali corrispondente alla rete data, descritta dal modello matematico definito dalle (X.17), (X.18) e (X.19). Per una tale rete trasformata possiamo utilizzare tutti
10 290 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica i risultati ottenuti a livello formale nello studio delle reti in regime stazionario. D altra parte, come abbiamo visto in precedenza, ogni bipolo inizialmente non in riposo può essere visto come un bipolo inizialmente nello stato zero, a patto di aggiungere opportuni generatori impulsivi che tengano conto delle condizioni iniziali. Queste considerazioni ci consentono di utilizzare il concetto di impedenza operatoriale anche nelle reti inizialmente non allo stato zero. Un esempio Un esempio chiarirà meglio i diversi aspetti connessi all' applicazione di un tale metodo. La rete è descritta in figura. (X.1); il generatore di tensione fornisce una tensione e(t)=10sen 4t; all istante t=0 l interruttore viene chiuso. In tale istante la tensione sul condensatore è nulla, mentre nell induttore è presente una corrente di 2A. Fig.X.1 Non essendo la rete inizialmente a riposo, possiamo ricondurla ad una rete allo stato zero introducendo un generatore di tensione impulsiva pari a Φ 0 δ(t), con Φ 0 =Li(0 - )=2 weber, così come mostrato in Fig.X.2.
11 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 291 Fig.X.2 La rete di impedenze operatoriali equivalente è mostrata in Fig.X.3, dove E 1 (p)=40/(p ) ed E 2 (p)=2. Fig,X.3 Essendo presenti due generatori, possiamo applicare la sovrapposizione degli effetti e determinare la soluzione I(p) come somma delle soluzioni I 1 (p) ed I 2 (p) rispettivamente delle due reti mostrate in Fig. X.4
12 292 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica Fig.X.4 Per la soluzione delle due reti in esame conviene effettuare una trasformazione triangolo stella del triangolo formato dalle impedenze 2/p, 0,5 e 0,5, rispettivamente, così come mostrato in Fig.X.5. I valori delle tre impedenze equivalenti si ricavano agevolmente applicando le classiche formule della trasformazione triangolo-stella: Z A = 1 p + 2, Z B = 0,25 p p + 2, Z c = 1 p + 2. Fig.X.5
13 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 293 Infine si ricavano le due soluzioni I 1 (p) ed I 2 (p): I 1 p = Z B + p Z B + Z C p E 1 p 5 + Z A + Z B + p Z C + 5 Z B + p + Z C + 5, I 2 p = - Z A + 5 Z A + Z C + 10 E 2 p p + Z B + Z A + 5 Z C + 5 Z A + Z C Utilizzando i valori delle diverse impedenze e le espressioni delle trasformate delle tensioni dei generatori, si ottiene: I 1 p = 40 p 2 + 2,25p p + 2 p p p 2 + 9,5 p + 11, I 2 p = - 2 p p 2 + 9,5 p Considerando che le radici del polinomio di secondo grado al denominatore sono: p = - 2, p = - 11/4, tale polinomio può anche essere scritto nella forma: 2 p 2 + 9,5 p + 11 = 2 p + 2 p Inserendo tale forma nella espressione delle correnti, riordinando e semplificando, si ottiene: I 1 p = 4 p + 2,25 p p p , 4 I 2 p = - 1 p A questo punto, per antitrasformare, occorre scomporre I 1 (p) in fratti semplici (I 2 (p) è già in tale forma). Si ottiene: I 1 p = A p + B p C p D p , (X.23)
14 294 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica con A,B,C e D costanti da determinare. La antitrasformata si ricava ora agevolmente adoperando la tabella X.I: i t = L -1 I 1 p + I 2 p = Acos 4t + B 4 sin 4t + Ce- 11/5 t + D - 1 e - 11/4 t. Ricordiamo che le costanti A,B,C,D della scomposizione in fratti semplici si ricavano facilmente moltiplicando la (X.23) di volta in volta per il binomio (p-α i ), dove le α i sono le radici del denominatore di I 1 (p), e facendo poi tendere p alla radice stessa. Si ottiene: -4jA+B -8j = ( p+4j) I 1 p=-4j, Da questo sistema si ottengono i valori delle costanti. Infine una ultima osservazione sull utilizzo della trasformata di Laplace. In un capitolo precedente abbiamo fatto vedere come in un sistema ingresso-uscita lineare, tempoinvariante ed inizialmente allo stato zero, sia possibile esprimere la risposta ad un qualsiasi ingresso, che sia nullo per t<0, nella forma di integrale di convoluzione dell ingresso stesso e della risposta all impulso: v t = t + e τ h t - τ dτ. 0-4jA+B 8j = ( p-4j) I 1 p=4j, C = p I 1, D = p+ p= I 1. p= Si puo far vedere che applicando la trasformazione di Laplace a questa relazione, tenendo conto della sua definizione, si ottiene: V(p) = E(p) H(p). (X.24) È questa una proprietà notevole della trasformazione di Laplace: essa trasforma il pro - dotto di convoluzione tra due funzioni del tempo in un prodotto ordinario tra le trasformate delle rispettive funzioni. La relazione (X.22) esplicita ancora meglio le proprietà della risposta all impulso di una rete; la conoscenza di tale risposta, e quindi della sua trasformata, consente di ricavare immediatamente la trasformata della risposta ad un ingresso qualunque, mediante la semplice operazione di moltiplicazione per la funzione H(p), che prende il nome di funzione di trasferimento della rete.
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