Corso di Fisica. Cenni di fisica moderna. Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni a.a.08-09

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Corso di Fisica Cenni di fisica moderna Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni a.a.08-09 1

SOMMARIO Cenni di fisica moderna a. Corpo nero b. Effetto Fotoelettrico c. Atomo di Bohr d. Elettroni come Onde di Materia e. Principio di Indeterminazione di Heisenberg f. Orbitali atomici g. Particella come pacchetto d onda 2

Presentiamo nel seguito i fatti più importanti che portarono alla crisi della meccanica classica alla fine del 1800 ed alla conseguente formulazione dei fondamenti della meccanica quantistica nel secolo successivo. a. Corpo nero Qualsiasi corpo solido o liquido che si trovi ad una certa temperatura emette radiazioni elettromagnetiche (irraggiamento). Lo spettro di emissione di tale radiazione dipende fortemente dal potere del corpo di riflettere e assorbire le radiazioni elettromagnetiche che lo colpiscono. Per ricavare una legge generale che descriva l emissione termica dei corpi solidi e liquidi ci si riferisce in genere ad un corpo ideale chiamato CORPO NERO. Esso ha la proprietà di assorbire completamente qualsiasi radiazione che lo colpisca, ovverossia non riflette la radiazione elettromagnetica che lo colpisce. Per visualizzare il concetto di corpo nero si può considerare una cavità munita di un piccolo foro. La radiazione elettromagnetica che entra nel foro colpisce le pareti della cavità venendone parzialmente riflessa più volte finché non viene completamente assorbita dagli atomi delle pareti. La radiazione elettromagnetica che è entrata dal foro rimane così intrappolata nella cavità e tutta la sua energia viene assorbita dagli atomi sulle pareti della cavità, il piccolo foro appare infatti nero se lo si guarda dall esterno. 3

Lo spettro di emissione di un corpo nero venne misurato con precisione la prima volta verso la fine del 1800. L andamento di ε, potere emissivo specifico del corpo nero, rispetto alla lunghezza d onda è mostrato in figura. Tale risultato sperimentale è detto legge di Wien. Il grafico si riferisce alla temperatura di 6000K, corrispondente alla temperatura della superficie del sole (che con buona approssimazione si comporta appunto come un corpo nero). ε(λ,t), potere emissivo specifico, si misura in W/m 3. di ε( λ, T) dλ =, area sottesa da una porzione infinitesima di curva, rappresenta l energia emessa dal corpo nero per unità di tempo e di superficie, ovvero la sua intensità, riferita all intervallo infinitesimo di lunghezza d onda dλ considerato. Nella figura è evidenziato l intervallo delle lunghezze d onda visibili dall occhio umano: la luce. Il massimo della curva, intorno a λ = 500nm, corrisponde all incirca al colore giallo. 4

Legge di Stefan-Boltzmann La potenza irraggiata dal corpo nero per unità di superficie, cioè l area complessiva sottesa dal potere emissivo specifico in funzione della lunghezza d onda, risulta proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta del corpo nero: I = 0 ε ( λ, T ) dλ = σt 4 La costante σ è detta costante di Stefan e vale: 5

Per spiegare teoricamente l emissione del corpo nero si considera che gli atomi delle pareti della cavità del corpo nero si comportino come oscillatori armonici che emettono e assorbono energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Utilizzando la trattazione classica degli oscillatori armonici (legge di Rayleigh-Jeans) non si riesce però a spiegare il risultato sperimentale dato dalla legge di Wien, essa infatti porta al divergere del potere emissivo specifico ε al diminuire della lunghezza d onda (catastrofe ultravioletta). Tale comportamento è dovuto al fatto che classicamente gli oscillatori, nel loro moto armonico, possono assumere un qualsiasi valore della lunghezza d onda. Essendo di fatto possibili tutte le lunghezze d onda, la densità di energia totale (integrale del potere emissivo) risulterà infinita. Questo problema fu risolto da Planck nel 1900. egli impose una condizione di quantizzazione per l energia di ogni oscillatore armonico: E = hν con ν frequenza di oscillazione e h costante di Planck, h = 6.626 x 10-34 Js. 6

Nella figura è riportato il confronto tra legge di Wien (misura sperimentale), legge di Planck (ottenuta mediante quantizzazione) e Legge di Rayleigh Jeans (ottenuta con trattazione classica) per un corpo nero a T = 2000K. Come si vede la legge di Planck descrive bene il risultato sperimentale, mentre quella di Rayleigh-Jeans diverge a basse lunghezze d onda. 7

Fotoni come quanti di radiazione elettromagnetica Il successo della trattazione di Planck sul corpo nero portò a considerare che la radiazione elettromagnetica possa essere interpretata come trasportata da particelle, dette fotoni, quanti di energia elettromagnetica. Tale interpretazione, data da Albert Einstein nel 1905, gli valse il premio Nobel. Ogni fotone ha un energia E che dipende solo dalla frequenza della radiazione elettromagnetica stessa: E = h v = con h = 6.626x10-34 Js costante di Planck ; λ lunghezza d onda ; c velocità della luce. Nel vuoto: h c λ c = ε 1 0 µ 0 = 3 10 Perciò fotoni nel vuoto viaggiano alla velocità della luce ed hanno massa a riposo nulla (m 0 = 0). Il momento del fotone è definito come p = E/c. 8 m s 8

Esempio 9

b. Effetto Fotoelettrico - In un tubo a vuoto sono inseriti due elettrodi metallici mantenuti ad una differenza di potenziale V. Un fascio di radiazione elettromagnetica incide sull elettrodo mantenuto a potenziale maggiore. Sia V che la frequenza e l intensità della radiazione incidente possono essere variati, così come il materiale di cui è costituito l elettrodo. hν V i A + _ Gli elettroni che vengono emessi ed hanno energia cinetica sufficiente a superare il potenziale ritardante tra i due elettrodi faranno registrare una corrente nell amperometro posto in serie. L esperienza mostra che quando la frequenza e l intensità della luce sono mantenute costanti, la corrente diminuisce al crescere della tensione ritardante V, raggiungendo lo zero per un certo stopping voltage V s, il cui valore è indipendente dall intensità della radiazione. Per un dato materiale, lo stopping voltage dipende linearmente dalla frequenza ν, in accordo con la relazione: ev s = hv φ 10

2,5 Stopping Voltage [V] 2 1,5 1 0,5 ev s = hv φ 0 0,0E+00 2,0E+14 4,0E+14 6,0E+14 8,0E+14 1,0E+15 1,2E+15 1,4E+15 frequenza [Hz] Esempio con emettitore di Ca Il valore del termine costante φ dipende dal materiale emettitore; la pendenza della retta, h, è la stessa per ogni materiale, ed è pari alla costante di Planck. Inoltre, per ogni materiale, esiste una frequenza di soglia ν th, sotto al quale valore non vengono emessi elettroni, qualsiasi sia l intensità della luce incidente. 11

Nell interpretazione quantistica dell effetto fotoelettrico data da Einstein l energia portata da un fotone viene assorbita da un singolo elettrone. Se questo viene emesso dall elettrodo, la differenza tra energia assorbita dall elettrone e l energia con cui esso era legato al materiale corrisponde all energia cinetica dell elettrone estratto. L energia più piccola con cui gli elettroni possono essere legati al materiale è detta funzione lavoro, φ, del materiale. Gli elettroni verranno quindi emessi con energia cinetica variabile da zero al valore massimo che è dato dalla differenza tra l energia trasportata dal fotone, hν, e la funzione lavoro del materiale, φ. Perché gli elettroni raggiungano l elettrodo di raccolta e diano quindi luogo al passaggio di corrente nel circuito, tale energia cinetica deve essere maggiore o uguale all energia corrispondente allo stopping voltage: ev s. La frequenza di soglia dei fotoni incidenti è quella che corrisponde alla funzione lavoro: hν th = φ. Per frequenze minori di ν th i fotoni incidenti non avranno sufficiente energia per estrarre elettroni dal materiale. 12

1. Esercizi sull effetto fotoelettrico 1. 2. 2. 3. 3. 4. 4. 13

5. 6. 14

c. L atomo di Bohr Nel 1913 Bohr presentò un primo modello atomico dove gli elettroni sono considerati in orbita intorno ad un nucleo carico positivamente posto al centro. Nel caso semplice dell idrogeno, con un solo elettrone, che compie un orbita circolare di raggio r attorno al protone, su di esso agisce la forza di Coulomb che corrisponde alla forza centripeta che mantiene l elettrone sul orbita circolare: m 2 υ = r e 2 4πε r 0 2 L energia totale dell elettrone è la somma dell energia cinetica e dell energia potenziale: 15

Nella trattazione classica, l elettrone in orbita, essendo in moto accelerato, dovrebbe emettere radiazione elettromagnetica, in tal modo perderebbe progressivamente energia fino a cadere sul protone. Bohr perciò postulò che l elettrone potesse eseguire orbite circolari stazionarie senza emissione di radiazione, ammettendo così che a livello atomico le leggi che regolano i fenomeni naturali fossero diverse da quelle già note della fisica classica. Egli impose la regola di quantizzazione del momento angolare dell elettrone: 16

E semplice mostrare che in tal modo si quantizza il raggio r delle orbite possibili per l elettrone: e la sua energia: Con n = numero quantico 17

Nel modello di Bohr l atomo, costituito dal nucleo contenente i protoni e i neutroni e dagli elettroni su orbite circolari stazionarie, ha un energia fissata da tale regola di quantizzazione. Esso può acquisire energia per interazione con l esterno: in tal caso passa temporaneamente ad uno stato eccitato, con l elettrone su un orbita di raggio maggiore e quindi energia maggiore. Da tale stato eccitato tornerà dopo breve tempo allo stato fondamentale (processo di diseccitazione). La seconda ipotesi di Bohr è che in una qualsiasi transizione da uno stato con numero quantico n = k ad uno stato con numero quantico minore n = l < k l atomo emetta un quanto di energia elettromagnetica: 18

Esempio sull atomo di Bohr 19

d. Le onde di de Broglie: elettroni interpretati come onde di materia Abbiamo visto che l onda elettromagnetica può essere interpretata come corpuscolo di energia pari a E = hν e zero massa a riposo. Nel 1924 Louis de Broglie propose che, se la radiazione elettromagnetica poteva essere interpretata come una particella, allora particelle dotate di massa, come gli elettroni, potevano in certe circostanze comportarsi come onde. Se per il fotone abbiamo: E hν p = = = c c possiamo per analogia associare alla particella dotata di massa m e momento p = mv una lunghezza d onda ( detta lunghezza d onda di de Broglie ) h λ λ = h = p h mυ 20

Esercizi sulle onde di materia 1. 2. 3. 1. 2. 3. 21

Esperimenti di diffrazione con fasci di elettroni Esperimenti di diffrazione eseguiti con fasci di elettroni dettero concretezza all ipotesi di De Broglie. I primi esperimenti per osservare la diffrazione di fasci di elettroni furono compiuti da C.J. Davisson e L. H. Germer presso i Bell Telephone Laboratories nel 1927. Essi diressero un fascio di elettroni da 54eV contro un cristallo di Nickel, la cui distanza interatomica era nota (2.15Ǻ) per diffrazione di fasci X, e misurarono l intensità degli elettroni riflessi in funzione dell angolo di incidenza. Trovarono un picco di intensità per angoli intorno a 50 rispetto alla normale della superficie del cristallo. Utilizzando la relazione di Bragg determinarono una lunghezza d onda pari a 1.65Ǻ, in accordo con l ipotesi di de Broglie (a meno di una piccola correzione dovuta al potenziale accelerante del cristallo di Nickel ). N.B: Poco più tardi, G. P. Thomson, studiò la trasmissione di elettroni attraverso sottili fogli di metallo, osservando figure di diffrazione circolari. Fisico inglese, figlio di J. J. Thomson, il fisico che scoprì l'elettrone nel 1897. Come il padre egli vinse il premio Nobel che gli venne assegnato nel 1937 assieme a C. J. Davisson per avere dimostrato il comportamento ondulatorio degli elettroni previsto anni prima da Louis de Broglie (Nobel nel 1929). Thomson e Davisson pervennero indipendentemente allo stesso risultato. 22

Esercizi su diffrazione e interferenza con fasci di elettroni 1. 2. 3. 23

4. 24

e. Principio di indeterminazione di Heisenberg Consideriamo un elettrone di cui non si conosce la posizione ma di cui è noto il momento, sia in direzione che in verso. Per determinarne la posizione possiamo porre una fenditura di larghezza d perpendicolarmente alla sua direzione di moto e verificarne la posizione finale su uno schermo fluorescente posto ad una certa distanza. L incertezza sulla posizione sarà data dalla larghezza della fenditura x = d. Per la sua natura ondulatoria la particella sarà diffratta nel passaggio dalla fenditura. x Schermo Direzione di moto elettrone d = x y Pattern di diffrazione 25

Prima di passare attraverso la fenditura la componente della quantità di moto lungo x è nota ( p x = 0 ) mentre non si conosce la posizione lungo x dell elettrone. Al passaggio dalla fenditura la componente p x del suo momento non è più sicuramente nulla, ma assume un incertezza p x perché la particella potrebbe stare muovendosi verso un punto appartenente alla figura di diffrazione. Dalla teoria della diffrazione il primo punto di intensità nulla si trova all angolo α tale che senα = λ/d. Poiché all elettrone è associata la lunghezza d onda di de Broglie λ = h/p, anche se non sappiamo esattamente dove l elettrone colpirà lo schermo, possiamo essere ragionevolmente certi che p x avrà valore tra 0 e psenα, cioè : h λ p x p senα = = λ d h d Schermo da cui otteniamo una relazione tra l incertezza sulla posizione e quella sul momento: x p x h x y x α p p x I minimo di diffrazione che è la formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg. 26

Esercizi sul Principio di indeterminazione di Heisenberg 1. 2. 27

3. 28

4. Figura 2 29

Orbitali atomici Una conseguenza del principio di indeterminazione di Heisenberg è che lo stato iniziale della particella non può mai essere completamente determinato, tale indeterminazione iniziale si riflette sugli stati successivi, bisogna quindi abbandonare il determinismo adottando invece leggi probabilistiche. Per esempio quindi l elettrone in un atomo non dovrà più essere visto come corpuscolo in orbita, ma sarà descritto mediante una funzione d onda φ(x,y,z,t) tale che il valor medio del suo quadrato φ 2 dia la densità di probabilità di trovare la particella all istante t nell intorno del punto di coordinate x,y,z. z ϕ(r,θ,φ θ,φ) = ϕ n,l (r) ϕ l,m (θ,φ θ,φ) Fattore radiale Densità di Probabilità Fattore angolare 2 = ψ Probabilità che l elettrone di trovi nella regione di spazio tra r ed r + dr: x φ θ r y dp 2 = ψ dv = ψ 2 4π r 2 dr 30

Conformazione di alcuni orbitali atomici Esempi di fattori radiali in orbitali atomici Fattori radiali ϕ(r) Fattori r 2 ϕ (r) 2 31

Elettrone come Pacchetto d Onda Abbiamo già visto che l interpretazione moderna della natura ondulatoria delle particelle è che l intensità dell onda, misurata come quadrato della sua ampiezza, dà in ogni punto la probabilità relativa di trovare la particella in quel punto. Questa interpretazione è stata formulata da Max Born nel 1926: Se la funzione d onda associata all elettrone è y(r,t) allora y(r,t) 2 r è la probabilità relativa di trovare l elettrone nello spazio r al tempo t. Supponiamo ora di scrivere la relazione tra le proprietà corpuscolari e quelle ondulatorie dell elettrone: 1 2 2 mv = E = hν ; mv = p = h. λ Possiamo da queste immediatamente determinare la velocità dell onda per esempio calcolando il prodotto λ ν. Otteniamo: λν = h mv 1 2 Da questo calcolo risulta che la velocità dell onda è solo la metà di quella dell elettrone!!! In cosa abbiamo sbagliato? mv h 2 = 1 2 v. 32

Elettrone come pacchetto d onda Come descrivere un elettrone localizzato ( con x piccolo e p tale da soddisfare il principio di indeterminazione di Heisenberg) mediante il concetto ondulatorio? Sappiamo che un onda piana con lunghezza d onda λ e frequenza ν ha la forma: ϕ( x, t) = Asen( kx ωt) con k = 2π /λ e ω = 2πν. Questa onda si estende verso infinito in entrambe le direzioni spaziali, quindi non può rappresentare una particella localizzata, che invece deve essere caratterizzata da una funzione non nulla solo in una limitata regione dello spazio ( x). Per rappresentare una particella localizzata dobbiamo sovraimporre onde piane con diversa lunghezza d onda, in modo da ottenere un pacchetto d onda. Mostriamo che il pacchetto d onda corrispondente ad una particella localizzata nella distanza x si ottiene sovrapponendo diverse onde piane con vettor d onda k diversi. 33

Battimenti Per chiarire il concetto con un esempio semplice sovrapponiamo due onde con vettor d onda un po diversi: k 1 = (k + k) e k 2 = (k k). ϕ = ϕ + = [( k k ) x ( ω ω) t] + sen[ ( k + k ) x ( ω + t] sen ) 1 ϕ2 ω Utilizzando la formula trigonometrica di addizione otteniamo: ϕ = ϕ1 + ϕ2 = 2sen[ kx ωt] cos[ kx ωt] Il primo termine, 2sin[kx-ω t], oscilla con frequenza che è media delle due frequenze. Esso è modulato in ampiezza dal secondo termine, lentamente variabile nel tempo, che oscilla su una dimensione spaziale dell ordine di π / k: distanza tra le quali le due onde, inizialmente in fase all origine, divengono completamente fuori fase. Ad un ulteriore distanza π / k, le onde torneranno ad essere tra loro sincronizzate. Perciò due onde con frequenza simile rompono l onda continua in una serie di pacchetti equispaziati (fenomeno del battimento). Sovrapposizione di due onde piane monocromatiche con frequenza simile 34

Esempio Consideriamo due diapason che vibrano rispettivamente alle frequenze di 438Hz e 442 Hz. Determinare: (a) la frequenza dell onda sonora risultante dalla loro interferenza; (b) Ogni quanto tempo l ascoltatore percepisce un massimo di intensità di battimento. soluzione: (a) f = 440Hz; (b) t = 0.25s Teorema di Fourier Più in generale, il problema di analizzare forme d onda complesse, può essere affrontato utilizzando il Teorema di Fourier, in base al quale si può rappresentare qualsiasi funzione periodica come una serie di termini delle funzioni seno e coseno. La corrispondente somma di termini che rappresentano la forma d onda è detta serie di Fourier. Sia y(t) una funzione periodica nel tempo: y(t+t) = y(t). Il teorema di Fourier afferma che questa funzione può essere espressa come: [ 2π fit] + Bi cos[ 2πfi ]) y( t) = Σ( Asen i t dove la frequenza più bassa è f 1 = 1/T, le frequenze più alte sono multipli interi della fondamentale f n = nf 1. 35

Torniamo ora al problema di descrivere un elettrone localizzato. Il pacchetto d onde è ottenibile sovrapponendo onde piane di vettori d onda diversi, con valore all interno dell intervallo k intorno a k. In questo caso le onde saranno fuori fase dopo una distanza dell ordine di π / k e non torneranno mai in fase in un altra regione dello spazio. Secondo la teoria dell analisi di Fourier, che qui non presentiamo, il pacchetto localizzato in x è costituito da onde aventi k nel dominio k tale che: x k ~ 2π Ora, poichè: k = 2π /λ e p = h/λ, allora p = h k / 2π = ħ k. Otteniamo: k = 2π p/ h e quindi: x p ~ h che è l espressione del principio di indeterminazione di Heisenberg. 36

Velocità di Fase e di Gruppo Il concetto di pacchetto d onda risolve il paradosso della velocità dell onda, che sembra diversa da quella dell elettrone. Il punto è che le onde elettroniche, diversamente da quelle elettromagnetiche, hanno diversa velocità di fase e di gruppo. Velocità di Fase ω υ f = k Velocità di Gruppo υ = g dω dk E = hν = hω = 2π 2 p 2m = hk 2π 2 1 2m 2 hk Otteniamo la relazione: ω = 4 πm Da cui deriviamo velocità di fase e di gruppo : h hk Dove abbiamo usato: p = = λ 2π ω = = k dω hk p υ g = = = = υ dk 2πm m Perciò il pacchetto d onda viaggia alla velocità di gruppo, corrispondente alla velocità v dell elettrone interpretato come particella. υ f hk = 4πm p 2m 1 = υ 2 37