Commercio (Via del) (Francolino Zona Industriale)

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1 Commercio (Via del) (Francolino Zona Industriale) In economia il commercio, ovvero lo scambio in forma di acquisto e/o vendita di beni valutari o di consumo, mobili o immobili e di servizi su un mercato in cambio di moneta, è una delle attività principali su cui, da sempre, si fonda il sistema economico. Nei secoli il commercio ha subito varie evoluzioni fino ad arrivare a un mercato globale praticamente senza confini, (la globalizzazione), favorito dallo sviluppo rispettivamente nelle ere industriale e post-industriale dei mezzi di trasporto e di comunicazione. Accenni sull'inizio della disciplina economica e sugli sviluppi odierni. Il primo tentativo di modello matematico del funzionamento del commercio è stato operato dall'economista scozzese Adam Smith partendo dall'astrazione della concorrenza perfetta fra venditori al di là dei suoi risvolti sulla regolazione del sistema stesso; con termini intuitivi egli denominò ciascuno di questi sistemi "mercato" e i sistemi componenti di ciascuno "domanda" e "offerta" (acquirenti e venditori) e arrivò al concetto che, data la concorrenza perfetta, essa crei di per sé un sistema allocativo ottimale di assegnazione dei beni nella società per ognuno, attraverso la mano invisibile della ricerca egoistica del proprio interesse particolare (si vedano però al riguardo, fra i moltissimi, i più recenti problemi dell'inquinamento e del riscaldamento globale). Naturalmente esistono diversi ostacoli sociali e legislativi alla concorrenza perfetta, oltre che intrinsechi al commercio; ci sono poi sistemi in cui essa, per gli stessi motivi, non si attua affatto (monopolio, oligopolio, monopsonio (unico acquirente), ecc.); inoltre la stessa teorizzazione economica, di fatto "guida" o può guidare gli operatori, (che non sono solo venditori e acquirenti), verso atteggiamenti divergenti o dissonanti da essa, ed è divenuta parte del nodo cruciale degli aspetti produttivi delle merci e dei servizi e dell'assegnazione degli stessi alle persone. Perciò il commercio -guidato dalle teorizzazioni economiche del liberismo e spinto al consumismoha visto innescarsi e accentuarsi un forte movimento di antiglobalizzazione o nuova globalizzazione tendente a ridisegnare temi, modalità e prospettive future di questo settore.. In questa chiave, si sono moltiplicate negli ultimi anni del '900 le iniziative di commercio equo-solidale e alternativo. Commercio e distribuzione. La distribuzione commerciale è lo strumento attraverso cui le aziende produttrici e distributrici immettono sul mercato beni e servizi. E' anche elemento fondamentale del marketing mix e si considera come un insieme di istituzioni indipendenti che operano per rendere un prodotto o servizio disponibile al pubblico. Agenti della distribuzione Nella distribuzione, gli intermediari tra produttore e cliente sono:

2 I Dettaglianti (retailers), che si dividono per: linee di prodotto vendute: (grandi magazzini, supermercati, ipermercati); tipo di servizio: self-service, limited-service, full-service: prezzi praticati: discount-store, cash and carry. I Grossisti (wholesalers). Tipologie di canale di vendita A seconda del numero di intermediari, esistono diverse tipologie di canale di vendita o distributivo, attraverso il quale un'azienda propone i propri prodotti sul mercato. canale diretto: nessun intermediario, l'azienda ha venditori propri o punti vendita di proprietà. canale corto o breve: attraverso un intermediario (un dettagliante). canale lungo: prevede due o più intermediari (uno o più grossisti e un dettagliante). Copertura del mercato Esistono fondamentalmente tre strategie di market coverage: distribuzione intensiva: mira a rifornire il maggior numero possibile di rivenditori (es. alimentari). distribuzione esclusiva: solo un numero limitato di rivenditori al dettaglio hanno i diritti di vendita per una certa area (es. concessionarie di auto, negozi di alta moda). distribuzione selettiva: numero elevato di rivenditori, ma selezionati e quindi in numero inferiore a tutti i rivenditori potenziali (es. elettrodomestici) Strutture di distribuzione: dettaglio e ingrosso Distribuzione al dettaglio: il destinatario della merce è un consumatore o utilizzatore finale. All'interno di questa tipologia distributiva si possono annoverare: grande distribuzione organizzata (GDO): ne fanno parte i supermercati, gli ipermercati, i discount e i grandi magazzini, tutti caratterizzati da vasti spazi di vendita dove la merce viene prelevata dall'acquirente direttamente dallo scaffale. piccola distribuzione: ne fanno parte soprattutto piccoli punti vendita con sede fissa (o in forma ambulante). Tale distribuzione si è evoluta negli anni novanta con la nascita dei centri commerciali, dove, in strutture composte da ampi spazi di solito multipiani costruite ad hoc, vengono aggregati più punti vendita al dettaglio diversificati per tipologia di merci e servizi presenti. Distribuzione all'ingrosso: destinatari della merce e dei servizi sono quelle aziende che utilizzano il bene per lavorarlo o per rivenderlo sia all'utente finale che ad altre aziende a loro assimilabili. Le attività inerenti alla distribuzione commerciale implicano necessariamente la movimentazione della merce. Pertanto, la netta differenza tra la vendita al dettaglio e quella all'ingrosso è che in quest'ultima l'elemento diversificante e indispensabile è il trasporto, mentre in quella al dettaglio l'elemento predominante è l'esposizione del prodotto. Il termine vendita al dettaglio (in inglese retail marketing) viene usato in campo commerciale per indicare la versione, completa di imballo, di un particolare prodotto destinato alla vendita al pubblico e non ad aziende; le quali normalmente comprano merci in quantitativi maggiori con diversa distribuzione e imballo (fra cui la vendita all'ingrosso). Il termine inglese retailing traduce il luogo dello shopping; di conseguenza, il Retail Marketing altro non è che l insieme delle strategie e delle tattiche di marketing attinenti alla gestione del punto vendita e mirate ad incrementarne l'attività aziendale. La vendita al dettaglio può integrare anche moderne tecniche di marketing non convenzionale, quali il marketing di prossimità (proximity marketing) e contribuire a progetti complessi di marketing multicanale. Recentemente si è cominciato a posizionare nei punti vendita anche dispositivi interattivi digitali di nuova generazione che permettono di veicolare i messaggi promozionali in maniera multimediale con un approccio più articolato e personalizzato con il cliente. Un'ulteriore innovazione nel campo

3 della vendita al dettaglio è rappresentato dalla progressiva diffusione dei cosiddetti negozi a tempo, caratterizzati da aperture lampo e vendita di prodotti a edizione limitata. Il ruolo del dettagliante (in inglese retailer) è quello di organizzare al meglio la vendita, (retail). Con il termine grande distribuzione organizzata (a volte con la sua abbreviazione GDO) ci si riferisce al moderno sistema di vendita al dettaglio effettuato attraverso una rete di supermercati. La GDO rappresenta l'evoluzione del supermercato singolo, che a sua volta costituiva lo sviluppo del negozio tradizionale. Le catene di supermercati e ipermercati, che vengono normalmente raggruppate sotto la dizione di Grandi Superfici, possono appartenere ad un gruppo proprietario, o far parte di associazioni consorziate in forma di Gruppi di acquisto, nelle quali i singoli supermercati, pur presentandosi sotto un marchio comune, mantengono la propria individualità e la conduzione dell'esercizio. La storia Fin dal 1830 in Francia i cosiddetti Magasins de Nouveautés rappresentarono il passaggio tra il commercio tradizionale e la formula del grande magazzino. La data di nascita del grande magazzino, tuttavia, è fatta coincidere con l'apertura del rinnovato Le Bon Marché a Parigi nel 1852, seguito a ruota dall'apertura dei magazzini Louvre. Altri attribuiscono il primato all'americano Macy's (che aprì a New York nel decennio successivo) in quanto l'ampiezza delle linee merceologiche offerte da Macy's giustifica, a prescindere dalla data di apertura, la definizione di grande magazzino. Per quanto riguarda il Supermercato, le prime esperienze non durature risalgono al 1916 dove a Memphis Clarence Saunders aprì il Piggly Wiggly Store, sperimentando per la prima volta il tornello come sistema per il controllo degli accessi in un locale pubblico. Le prime esperienze durature nacquero a valle della grande depressione del 1929, a partire dal primo punto vendita della King Kullen a Cincinnati. Per quanto riguarda, infine l'ipermercato, il caso più emblematico è quello del gruppo francese Leclerc che ha sempre tentato di introdurre nuove merceologie nei suoi punti vendita spesso "forzando" al ribasso l'esistenza di prezzi imposti (tabacchi, libri, benzine, profumi, ecc.) Il primo grande magazzino italiano è stato fondato a Milano nel 1877 da due fratelli che avevano avuto successo come venditori ambulanti di tessuti: Luigi e Ferdinando Bocconi; il magazzino si chiamava Aux villes d'italie, poi ribattezzato Alle città d'italia, e si rifaceva al Bon Marché. Il 27 novembre 1957 apre il primo supermercato in Italia di una catena di GDO. Si trovava a Milano in viale Regina Giovanna, la società si chiamava Supermarkets Italiani che oggi è meglio nota come Esselunga. Questo punto di vendita, quasi 50 anni dopo l'apertura è stato ceduto al Gruppo Rewe e oggi ha l'insegna Billa. Nel 1964 apre a Dalmine il primo cash and carry ad insegna Gros Market-Lombardini. Il 18 settembre 1971 apre a Castellanza il primo ipermercato italiano ad insegna MaxiStanda. Passato a Billa, oggi questo ipermercato ha insegna Il Gigante. Nel 1972 apre a Carugate il primo centro commerciale italiano con ipermercato ad insegna Carrefour. Passato ad Euromercato oggi questo negozio è ritornato proprietà del gruppo Carrefour. Il 26 marzo 1992 apre il primo discount in Italia ad Arzignano, a insegna Lidl. La situazione italiana Viene a volte fatta una distinzione tra strutture della Grande Distribuzione (GD) e strutture della Distribuzione Organizzata (DO). Le prime vedono grosse strutture centrali controllate da un unico soggetto proprietario, che gestiscono punti di vendita quasi sempre diretti. Gli attori più importanti sul mercato Italiano sono attualmente Lidl, Carrefour, Auchan, Coop e Esselunga. Le seconde, in altri termini anche Distributori Associati (DA), vedono invece piccoli soggetti aggregarsi secondo la logica de l'unione fa la forza: consorziandosi in gruppi d'acquisto i piccoli e

4 medi dettaglianti possono ottenere agevolazioni economiche in termini di approvvigionamento, derivanti dal maggior potere contrattuale nei confronti dei fornitori. A questo si aggiungono i vantaggi conseguibili dallo sfruttamento del marchio e dall'ottenimento di supporto in termini di know-how e coordinamento strategico. Nel nostro paese i gruppi più importanti sono Conad, Sigma, Interdis, Selex, Sisa e Despar. Recentemente la GD ha però radicalmente cambiato le sue strategie di crescita, tanto da pareggiare e, solo ultimamente, scavalcare la posizione di dominanza della DO. Un aspetto determinante che ha causato il "cambio di leadership" è da individuare nelle caratteristiche strutturali dei due operatori. Infatti la struttura a rete della DO ha rivelato alcuni punti deboli riconducibili alle relazioni con i fornitori. Sovente infatti nella DO si verificano casi di "sovrapposizione negoziale" a causa della crescita dimensionale (e di conseguenza contrattuale ed economica) di singoli membri dello stesso gruppo che non tardano a reclamare maggiore indipendenza dalla centrale, anche per le problematiche di carattere strategico e di governance. I rapporti di fornitura e le condizioni economiche che si riescono a ottenere infatti rappresentano una voce essenziale nel risultato economico di un'impresa commerciale. Inoltre non va sottovalutata l'eterogeneità dei formati di vendita che spesso caratterizza la DO e che penalizza la capacità di controllo e coordinamento unitario da parte della centrale. In generale, in Italia la GDO soffre una notevole debolezza delle catene nazionali che si trovano soverchiate dalla potenza dei colossi esteri, in particolar modo nei settori discount e ipermercati rispettivamente dominati da gruppi tedeschi e francesi. Ne consegue anche una totale assenza di gruppi italiani nei mercati esteri, mentre in Germania e Francia dominano le catene nazionali. Nessun gruppo italiano ha una diffusione capillare in tutto il Paese, ad eccezione delle cooperative di consumatori (Coop) e di dettaglianti (Conad, Sigma). Oltre a Esselunga, attiva solo nel settore supermercati, tra i gruppi nazionali si fanno notare anche Iper, Bennet e Panorama: da notare che questi ultimi due si riforniscono dalla stessa centrale di acquisto Intermedia e si presentano in maniera estremamente simile, ma sono finora diffusi capillarmente solo in aree limitate del Paese, senza mai farsi concorrenza; un'eventuale loro fusione, similmente a quanto accaduto nelle catene d'oltralpe, farebbe di questo gruppo il maggiore in Italia anche davanti a Coop, ma è una realtà abbastanza lontana dal concretizzarsi. Ad integrare le due tipologie distributive vi sono, inoltre, le cooperative di consumatori e le cooperative di dettaglianti. Le prime vedono nel principale attore Coop Italia, mentre le seconde Sigma e Conad, tutte con sede a Bologna. Di norma i sistemi cooperativi vengono comunque inseriti all'interno dei gruppi della Grande Distribuzione. Classificazione punti vendita I punti vendita vengono generalmente classificati dalla grande distribuzione per canale in base alla loro dimensione (in mq.) effettivamente adibita ad area di vendita vera e propria, cioè senza calcolare eventuali gallerie commerciali, parcheggi, ecc. ed in base alla profondità dell'assortimento. Secondo la società Nielsen, i canali di vendita della grande distribuzione sono i seguenti: Ipermercato: un'area di vendita al dettaglio superiore ai m² - Supermercato: area di vendita al dettaglio dai 400 m² ai m². - Libero Servizio: area di vendita al dettaglio dai 100 m² ai 400 m² - Discount: struttura in cui l'assortimento non prevede la presenza di prodotti di marca. - Cash and carry: struttura riservata alla vendita all'ingrosso. - Tradizionali: negozi che vendono prodotti di largo consumo di superficie inferiore ai 100 m² - Self Service Specialisti Drug: negozi che vendono principalmente prodotti per la cura della casa e della persona. Nel linguaggio corrente del settore, vi sono anche altre terminologie che cercano di creare ulteriori segmentazioni. Iperstore o mini-iper: area di vendita al dettaglio dai m² ai 4000 m² - Superstore: area di vendita al dettaglio dai m² ai m² - Supermercato di prossimità: area di vendita al dettaglio dai 500 agli 800 m² - Superette: area di vendita al dettaglio dai 200 m² ai 400 m²

5 La classificazione per area di vendita è indicativa; è da considerare anche la politica commerciale che sta alla base del punto vendita. Ad esempio il gruppo Interdis individua, con insegna Ipersidis, superfici di oltre 1500 metri quadrati, mentre per Il Gigante o Esselunga, i superstore sono negozi dai 2000 ai 4500 metri quadrati circa, mentre vengono considerati ipermercati, ad esempio da Auchan solo i negozi di oltre 4500 metri quadrati. Nella realtà, quindi, ogni catena prevede dei format diversi con caratteristiche che spesso esulano dalla metratura, ed attengono, ad esempio, alla presenza in assortimento di prodotti non alimentari o ad un'alta superficie dedicata ai prodotti freschi. Per una miglior comprensione delle unità operative della G.D e della G.D.O è opportuno rifarsi alle definizioni dell'economista Giancarlo Pallavicini, pubblicate nel 1968 per quelle che all'epoca costituivano le tipologie della distribuzione integrata: grandi magazzini, magazzini a prezzo unico, supermercati, catene di negozi, cooperative di consumo, unioni volontarie e gruppi di acquisto, case di vendita per corrispondenza e altre forme del dettaglio integrato (vendita "porta a porta", case di sconto, centri commerciali verso i quali viene prevista l'evoluzione di parte della grande distribuzione, e "drug stores"), che hanno costituito un riferimento per la normativa nazionale e per gli indirizzi della Comunità economica europea. Commercio equo e solidale. Con commercio equo e solidale o semplicemente commercio equo (fair trade in inglese) si intende quella forma di attività commerciale, nella quale l'obiettivo primario non è la massimizzazione del profitto, ma principalmente la lotta allo sfruttamento e alla povertà legate a cause economiche, politiche o sociali. È dunque una forma di commercio internazionale con cui si cerca di far crescere aziende sane nei paesi più sviluppati e di garantire a produttori e lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso; in questo senso si contrappone alle pratiche commerciali basate sullo sfruttamento che si ritengono spesso applicate dalle multinazionali, operanti esclusivamente in ottica della massimizzazione del profitto. Le motivazioni Alla base del Commercio Equo e Solidale (praticato soprattutto da associazioni cooperative, con un'elevata presenza di volontariato nei paesi ricchi) c'è dunque la volontà di contrastare il commercio tradizionale che si basa su pratiche ritenute dannose quali: la determinazione dei prezzi, che vengono stabiliti da soggetti forti (multinazionali, catene commerciali) indipendentemente dai costi di produzione che sono a carico di soggetti deboli (contadini, artigiani, emarginati); l'incertezza di sbocchi commerciali dei prodotti, che impedisce a contadini e artigiani di programmare seriamente il proprio futuro; il ritardo dei pagamenti, ovvero il fatto che gli acquirenti paghino la merce molti mesi dopo la consegna e spesso anni dopo che sono stati sostenuti i costi di produzione (infrastrutture, semenza, nuovi impianti arborei, materie prime), che favorisce l'indebitamento di soggetti economicamente deboli e un circolo vizioso che porta spesso all'usura; la mancata conoscenza, da parte dei produttori, dei mercati nei quali vengono venduti i loro prodotti e dunque la loro difficoltà di riuscire ad adeguarsi e a prevedere mutamenti nei consumi; al fine di ridurre i costi, vengono impiegate tecniche di produzione che nel medio-lungo periodo si rivelano particolarmente negative per il produttore e/o la sua comunità; al fine di aumentare il prodotto, si fa ricorso al lavoro di fasce della popolazione che nei paesi ricchi viene tutelata (bambini, donne incinte,...) e si rinuncia alla formazione dei giovani; persone con scarsa produttività (rispetto alla concorrenza) non hanno di fatto possibilità di sopravvivere sul mercato; Una caratteristica peculiare del Commercio Equo e Solidale è la filiera corta, cioè l'esistenza di un percorso produttivo breve per la materia prima fatto di al massimo tre o quattro passaggi (produzio-

6 ne, trasporto, stoccaggio nei magazzini degli importatori, distribuzione presso le botteghe del mondo) che rendono il prodotto sempre rintracciabile. In questo, il Commercio Equo e Solidale si distingue fortemente dal commercio tradizionale, la cui filiera è spesso fatta di numerosi passaggi che aumentano notevolmente il profitto di chi mette il prodotto sul mercato a scapito di chi produce. Le regole Il commercio equo-solidale interviene creando canali commerciali alternativi (ma economicamente sostenibili) a quelli dominanti, al fine di offrire sbocchi commerciali a condizioni ritenute più giuste per coloro che producono. I principali vincoli da osservare per entrare nel circuito del commercio equosolidale sono i seguenti: Divieto del lavoro minorile - Impiego di materie prime rinnovabili - spese per la formazione/scuola - cooperazione tra produttori - creazione, laddove possibile, di un mercato interno dei beni prodotti. Gli acquirenti (importatori diretti o centrali di importazione) dei paesi ricchi, si assumono impegni quali: Prezzi minimi garantiti (determinati in accordo con gli stessi produttori; il prezzo corrisposto deve permettere una vita dignitosa ai produttori, permettere investimenti nel campo sociale e far sì che la produzione sia ambientalmente sostenibile) - quantitativi minimi garantiti - contratti di lunga durata (pluriennali) - consulenza rispetto ai prodotti e le tecniche di produzione - prefinanziamento. I prodotti Tipici prodotti del commercio equo sono caffè, tè, zucchero di canna, cacao e prodotti artigianali, miele, quinoa, orzo, frutta secca, infusi, spezie, banane e altri, che vengono trasformati in cioccolata e cioccolatini, torrone, caramelle, biscotti, crema di nocciole, bibite solubili, succhi di frutta, muesli (miscela di fiocchi di cereali, frutta essiccata e altro). La produzione biologica sempre più presente tra i prodotti alimentari è dovuta da un lato alle scelte dei consumatori del Nord per un cibo più sano, ma anche per evitare ai contadini e operai di esporsi a prodotti nocivi per l'uomo e per motivi di salvaguardia dell'ambiente. A volte sono gli stessi contadini a decidere per l'agricoltura biologica quale tecnica tradizionale di coltivazione. Dimensioni del fenomeno Nel 2003 le università Cattolica e Bicocca di Milano hanno avviato un'ambiziosa ricerca - i cui risultati sono stati presentati nel maggio al fine di fotografare le dimensioni del commercio equo e solidale sul mercato italiano e sui paesi in via di sviluppo, ipotizzando che tale commercio possa diventare una possibile politica per lo sviluppo dei paesi arretrati. Durante il 2005 nella sola Unione Europea il commercio equo e solidale ha raggiunto un fatturato record di 660 milioni di euro, due volte e mezzo maggiore rispetto allo stesso nel Sempre nell'ue, sono più di i punti vendita che trattano merci solidali ( di questi sono supermercati comuni che vendono anche prodotti equi) mentre sono circa 2800 le botteghe del mondo presso cui offrono il loro servizio circa volontari. Il dato italiano sulla spesa pro-capite è il più basso d'europa: trentacinque centesimi di Euro a testa. Le botteghe solidali sono circa seicento in tutta Italia e sono concentrate prevalentemente nel nordovest e nel nord-est, rispettivamente il 38% e il 22,6% del totale. Sono specializzate (40% del totale) in prodotti artigianali di fascia medio-alta provenienti da più di cinquanta paesi del sud del mondo. Il 52,2% delle botteghe ha lo status di associazione mentre il 24% sono cooperative. Da notare che l'88% di esse si trova nelle grandi città. Le persone coinvolte nelle botteghe tra dipendenti, volontari, soci e cooperative sono sessantamila. I prodotti del commercio equo, specialmente quelli alimentari, si trovano in molte catene della grande distribuzione. I punti vendita che trattano prodotti equosolidali in Italia sono più di cinquemila.

7 Sempre nel 2005 le botteghe del mondo, a fronte di un mercato in continua espansione, sono in leggera perdita (pari a euro). Essa in gran parte è dovuta al sottodimensionamento e all'inefficienza economica nei punti vendita, numerosi, ma di piccole dimensioni. La vendita di riso equo solidale ha avuto un incremento del 190% tra il 2004 e il Hanno aumenti di vendita ragguardevoli anche caffè (+8%), tè (+11%), banane (+20%) e zucchero (+50%). Percentuali incoraggianti che però vanno controbilanciate con i dati in valore assoluto, poco edificanti se confrontati a livello europeo: ad es. in Gran Bretagna nel 2005 sono arrivate 3300 tonnellate di caffè equo solidale, mentre in Italia solo 223. Critiche al modello Secondo alcuni economisti e filosofi, tra cui Fritjof Capra, il modello di mercato proposto dal commercio equo e solidale non è nè efficace nè efficiente negli scopi che si propone: Ad esempio, l'agricoltura biologica in Brasile deve comunque essere fatta a scapito della foresta amazzonica, e il suolo ottenuto dal disboscamento resta fertile solo per pochi anni. Altro esempio: per irrigare territori desertici spesso si causa la mineralizzazione eccessiva del terreno, vedi deserto del Mojave. La realtà Carpianese. A Carpiano il piccolo commercio è quello che contribuisce a tener vivo il paese. I negozi continuano a svolgere un servizio sociale indispensabile -sopratutto nei confronti di chi ha difficoltà a spostarsi verso centri commerciali e località limitrofe- e a favorire i contatti umani e le relazioni tipiche di una piccola comunità a misura d'uomo. Inoltre -sopratutto nella cosiddetta zona industriale di Francolino- sono insediate aziende tipicamente commerciali, o dipendenze commerciali e logistiche di aziende che producono altrove le loro merci. Testi liberamente tratti da Wikipedia

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