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1 Gli inserti di ➍ Dalla produzione alla distribuzione: il ruolo dell'investment advice ANNA MARIA D ARCANGELIS Professore Associato di Economia del Mercato Mobiliare e Investment Banking Università degli Studi della Tuscia Professore Incaricato di Ingegneria Finanziaria Università degli Studi di Siena Behavioral Finance e Financial Engineering di Anna Maria D Arcangelis Come noto, uno dei paradigmi della finanza è l utilizzo di modelli di analisi dei mercati finanziari basati sul comportamento degli investitori affine a quello di agenti economici razionali. Il ricorso alla razionalità deriva da due esigenze di fondo: in primo luogo, assicurare l aggiornamento immediato delle aspettative all arrivo di ogni news rilevante per le scelte di investimento (in linea con la previsione del teorema di Bayes); inoltre, legare le scelte degli operatori alle aspettative (in linea con l ipotesi di massimizzazione dell utilità attesa). Il pregio di un paradigma dalle ipotesi così complesse è la facilità di gestione: nella teoria economica, più forti sono gli assunti di base, maggiore è la semplicità del modello utilizzato. Si rammenta, del resto, che la teoria della finanza origina da un filone di studi che possiamo datare nei decenni 50-60, finalizzato a rappresentare la complessa realtà economica attraverso un numero limitato di funzioni semplici, dato un set rigoroso di ipotesi e a un utilizzo estensivo della scienza matematica. L ipotesi di razionalità perfetta è quindi perfettamente in linea con le teorie del tempo e con gli strumenti utilizzati. Shiller (2006) descrive la storia dell economia finanziaria secondo l evoluzione di due distinte scuole di pensiero: la prima è la teoria neoclassica, nata negli anni 60 con il Capital Asset Pricing Model e il paradigma dell efficienza del mercato e sviluppata nel decennio successivo con l «Intertemporal Capital Asset Pricing Model» e l «Arbitrage-Based Option-Pricing Theory» del decennio successivo. La teoria neoclassica si sviluppò nella scuola di Chicago, che divenne, anche grazie al successo teorico ed empirico delle nuove teorie, il baricentro del mondo accademico della finanza. Per un lungo periodo, le ipotesi della teoria neoclassica hanno costituito un paradigma non discutibile: per Jensen (1978) «nessun altra proposizione in economia e nelle scienze sociali può vantare il solido supporto empirico di cui gode l efficienza del mercato». Ben presto, tuttavia, l enfasi e la perentorietà di tali affermazioni cominciò a essere messa in discussione da una imponente massa di lavori empirici, che sottolineavano alcuni fatti apparentemente in contrapposizione con la teoria prevalente. Se gli anni 60 avevano visto nascere la teoria neoclassica, dagli anni 80 esplode la rivoluzione della finanza comportamentale: si parte dagli studi di Shiller sulle cause della volatilità dei mercati finanziari, si prosegue con il filone delle anomalie dei rendimenti fino a giungere, nel decennio successivo, a ipotizzare una fusione della teoria finanziaria classica con la Prospect Theory di Kahneman e Tversky (1979) e con altre dottrine della scuola psicologica. Diversa è la base teorica dei due approcci, in merito all assunto di razionalità; come pure fortemente diversi sono il tempo e il contesto teorico nel quale essi si sono sviluppati. Nonostante ciò, per dirla con Shiller (2006), non è il caso di 25

2 ➍ Opportunità di mercato e controllo del rischio Dalla produzione alla distribuzione: il ruolo dell'investment advice Asset Allocation e ottimizzazione del portafoglio 1 la FRONTIERA EFFICIENTE µ 2 Avversione al rischio e risk premium µ Figura n. 1 La frontiera efficiente µ 1 µ 2 IL MODELLO COMPORTAMENTALE. LA PROSPECT THEORY DI KAHNEMAN E TVERSKY. La prospettiva delineata dalla finanza comportamentale è profondamente diversa, perché le deviazioni dal rendimento medio non sono le uniche determinanti dell attitudine al rischio dell investitore. Kahneman e Tversky (1979) indagano a fondo sulla razionalità delle scelte di operatori e investitori posti in condizioni di incertezza. Il loro lavoro, insignito del premio Nobel per l Econoparagonare «la diffusione della finanza comportamentale all avvento del Paganesimo». Non è corretto, insomma, contrapporre la behavioural finance alla teoria neoclassica, così come è avvenuto frequentemente nei primi anni di diffusione delle nuove teorie. Il susseguirsi di crisi finanziarie ha reso fortemente instabili i mercati finanziari, e con essi è aumentata l insicurezza degli investitori sulla scelta dell investimento ottimale. Nessuna delle due teorie è sconfitta: gli anni recenti hanno, semmai, evidenziato come i modelli classici e comportamentali si siano spesso intrecciati, rendendo evidente che solo un loro utilizzo congiunto permette di superare i limiti di ciascuno dei due utilizzati separatamente. Il modello classico. L analisi media-varianza e il Capm sono universalmente noti e apprezzati. L opinione di Jagannathan e Wang (1996) sulla Modern Portfolio Theory, «the major contribution of academic research in the postwar era», è tuttora condivisa da una nutrita schiera di accademici. Anche se non mancano sottili spunti critici: dietro al «Most Mba courses, for example, still teach Mean Variance Analysis as if it were a universally accepted framework for portfolio choice» di Campbell e Viceira (2002) si respira l avanzare ormai deciso della dottrina comportamentale. Nel modello razionale la selezione è fondata su due fattori: (a) le opportunità di portafoglio individuate da una frontiera efficiente sul piano rendimento-rischio (figura n. 1) e (b) le preferenze dell investitore, descritte dalla teoria attraverso funzioni di utilità, anche esse delineate sul piano rendimento atteso-deviazione standard, in base a un dato coefficiente di avversione al rischio. Più alto è il coefficiente di risk aversion, più elevata è la remunerazione per il rischio richiesta dall investitore (figura n. 2). Se è semplice rappresentare le diverse opportunità di mercato sugli assi cartesiani «rendimento atteso-rischio», più complicato è trasformare in una combinazione numerica la complessa percezione del rischio dell individuo. Nella pratica quotidiana di banche ed Sgr si fa largo uso di questionari Figura n. 2 Avversione al rischio e risk premium che, attraverso l uso di domande ad hoc, realizzano l obiettivo di classificare la clientela in un certo numero di classi di rischio (in genere da tre a cinque). Nell ambito della teoria classica, la selezione del portafoglio migliore per l investitore è effettuata con un processo matematico che consiste nella individuazione dei punti di contatto tra la frontiera efficiente (o la sua semplificazione lineare del Capm) e le curve che esprimono l avversione al rischio del singolo (figura n. 3). L intero processo di scelta dei mix ideali è dominato dalla teoria dell utilità attesa, rigorosa e fortemente matematica. Secondo il modello, l avversione al rischio è individuata dalla capacità di accettare dei risultati più o meno disallineati, in positivo o negativo, dal rendimento atteso. Molti intermediari indagano, con lo strumento del questionario, su tale caratteristica, chiedendo, per esempio se partendo da un rendimento atteso pari a x, si preferisca un risultato tra (x-y) e (x+y), oppure tra (x-2y) e (x+2y). Indagini di questo tipo sono fondate sul concetto statistico di rischio come variabilità dei rendimenti, misurato dall indicatore di varianza. Tale modalità di misurazione del rischio suggerisce che gli investitori diano lo stesso peso ai rendimenti positivi e a quelli negativi. www 27

3 ➍ Dalla produzione alla distribuzione: il ruolo dell'investment advice 3 La selezione del portafoglio ottimo per due distinte classi di investitori 4 La value function della Prospect theory µ Investitore aggressivo Prospect utility Investitore timido perdita profitto Figura n. 3 La selezione del portafoglio ottimo mia nel 2002, individua numerose per due distinte classi deviazioni di investitori rispetto al modello classico. La «teoria dei prospetti» (Prospect Theory) offre l opportunità di fare previsioni attendibili sulle scelte finanziarie degli individui anche qualora la teoria dell utilità attesa sia violata. Kahneman e Tversky lavorano con una «funzione di valore» diversa e più realistica rispetto all algoritmo classico di utilità attesa. Per esempio, il rischio è definito ancora in termini di scarti positivi e negativi dal rendimento atteso, ma il riferimento non è più la statistica della media. E ancora, la funzione di utilità è concava nei profitti e convessa nelle perdite (figura n. 4): ciò rispetta l evidenza empirica per cui l attitudine al rischio non è costante, ma profondamente influenzata dalla fase di mercato che determina l inversione delle preferenze dell operatore. Se un guadagno minore certo è in genere preferito a uno maggiore ma incerto, la prospettiva si rovescia se si porta l individuo a ragionare in un contesto di perdita invece che di profitto. In quest ultimo caso, infatti, la preferenza dei soggetti intervistati si indirizza verso la scelta di rischiare una perdita maggiore incerta a una minore certa. In sintesi, distanziandosi sensibilmente dai comportamenti dell homo economicus, l investitore è un risk lover in contesto di perdite e un risk averse quando la scelta è effettuata tra prospettive diverse di profitto. Se si considera l attitudine degli investitori a sovrapesare i risultati di breve periodo rispetto a quelli di più lungo termine, si arriva a spiegare facilmente la preferenza della clientela media verso le soluzioni a rischio limitato (cash, bond), quando sarebbe più conveniente innalzare il peso degli asset con un grado di rendimento atteso e di rischio più elevato (equity). Un punto chiave della prospect theory di Kahneman e Tversky è l osservazione dell incapacità degli investitori a valutare correttamente le probabilità. In particolare emerge una tendenza chiara a sovrastimare gli eventi estremamente rari e a sottostimare quelli più probabili. Non a caso, la teoria dei prospetti di Kahneman e Tversky non fu formulata, in origi- Figura n. 4 - La value function della Prospect theory ne, nel contesto economico finanziario. Prima di applicarsi agli investimenti finanziari, i due autori erano stati chiamati dal governo federale Usa a indagare sulle cause della decisa protesta dei cittadini alla decisione di puntare sull energia atomica, scelta particolarmente incoraggiata dagli scienziati del tempo. Kahneman e Tversky dimostrarono che la probabilità di incorrere in un incidente nucleare di impatto disastroso era infatti sovrastimata dalla gran parte della popolazione: ciò bastava a rovesciare la scelta rispetto alle indicazioni dei consulenti governativi, che misuravano la probabilità di un evento rovinoso solo alla luce delle conoscenze della fisica. Quanto fin qui detto mette in luce che il tallone d Achille della Mean Variance Theory è in fondo la fredda rappresentazione statistica del rischio, laddove si tratta a ben vedere di un concetto estremamente più complesso. Basta osservare l ampia varietà dei volumi e degli articoli accademici e non dedicati alla tematica dei rischi, in ambiti diversi (aziendale, bancario o finanziario), con accezioni diverse (da quelle molto tecniche a quelle maggiormente «filosofiche»). Una qualche cautela nell utilizzo estensivo della modellistica classica in un mercato finanziario dominato da strumenti non lineari, e con distribuzioni profondamente diverse dalla gaussiana sembra certamente opportuna. Il grande pregio di semplicità della teoria media-varianza è fortemente controbilanciato da un output del processo decisionale non sempre corretto. Non si deve peraltro nascondere l evenienza di una eccessiva complessità derivante dall applicazione estensiva della behavioral theory sui mercati finanziari. BEHAVIOURAL BIASES. I COMPORTAMENTI IRRAZIONALI DE- GLI INVESTITORI. L analisi fin qui svolta, dimostra che il processo di investimento è influenzato da avversione alle 28 28

4 perdite - e non al generico rischio - e da una ponderazione non razionale delle probabilità. In tale contesto solo in presenza di particolari forme della funzione del valore di Kahneman e Tversky si riesce a combinare teoria classica e comportamentale e a determinare l asset allocation ottima di ciascun investitore, in presenza di dinamiche di non perfetta razionalità. La valutazione dei comportamenti irrazionali degli investitori non è certamente completa: esistono altre forme di razionalità imperfetta. La dottrina comportamentale ne ha considerate molte, lavorando in particolare sulle modalità con cui gli individui, gli investitori in particolare, gestiscono le informazioni. La varietà e la complessità delle problematiche che vengono poste a tutti noi e la incapacità a razionalizzare all estremo, come farebbe un computer nella gestione di un modello, fa sì che l investitore privilegi, nel suo ragionare quotidiano, l adozione di approcci euristici. Si tratta, a ben vedere, di una mera semplificazione della realtà, che viene analizzata attraverso modalità non completamente rigorose e, in qualche caso, intuitive. Se ciò non pregiudica necessariamente l ottimalità della scelta, in alcuni casi, tuttavia, un comportamento troppo semplificatore può portare a scelte non perfettamente razionali. Gli errori cognitivi legati alla gestione delle informazioni sono classificati, in genere, in tre categorie: availability bias, representantiveness e anchoring. Gli availability bias derivano dalla tendenza degli investitori a basare le proprie scelte su un sottoinsieme di informazioni invece che sulla totalità di esse. La semplificazione consiste quindi nel rinunciare a parte del set informativo, privilegiando solo le indicazioni immediatamente disponibili o facilmente ricordate, in genere per la maggiore frequenza con cui certi avvenimenti si manifestano. Barber e Odean hanno effettuato una grande mole di esperimenti utilizzando i conti individuali degli investitori. In un lavoro del 2005, i due autori dimostrano, per esempio, come i piccoli investitori determinano la composizione dei loro portafogli equity. Diversamente da un gestore professionale, un investitore individuale in genere circoscrive drasticamente il campione su cui effettuare la scelta, limitandosi a considerare quelle aziende che in qualche modo, nelle settimane o nei giorni precedenti, hanno catturato la sua attenzione per qualche particolare motivo. Si considerano, quindi, i titoli «caldi», di cui la stampa o i resoconti di mercato hanno parlato di recente, sia per l uscita di informazioni di tipo aziendale che «fondamentale», sia per la particolare dinamica dei «numeri» in Borsa (volumi eccezionalmente elevati rispetto alla media, rendimenti, sia positivi che negativi, estremamente alti, condizione di eccesso in alcuni indicatori di analisi tecnica ecc.). L utilizzo privilegiato di informazioni facilmente disponibili può condurre, per esempio, a fenomeni di eccesso di reazione (overreaction) alle news. La sovra reazione alle news è una anomalia comportamentale studiata nel 1985 da Werner De Bondt e Richard Thaler, che analizzando dati dal 1933 in poi, dimostrarono che le azioni con rendimento basso o negativo nei cinque anni precedenti, battevano successivamente gli altri titoli caratterizzati da performance particolarmente positive, anche considerando le usuali correzioni per il rischio. Possiamo pensare, per esempio, alla bolla tecnologica della fine dello scorso decennio, quando gli investitori che si erano gettati nell euforia collettiva della «new economy,» cominciarono ad agire senza considerazione alcuna per il rischio, anche solo generico, dell investimento. Ma quando il mercato iniziò a «correggere» pesantemente, la perdita di confidenza cosi repentina portò a sovrapesare i risultati di breve termine, fortemente negativi. La rappresentatività si riferisce alla tendenza a ricorrere a stereotipi quando si è chiamati a prendere delle decisioni. Per esempio, il valore informativo di una notizia in una sequenza di notizie simili tende a essere sovrastimato: un investitore che osserva una sequenza di utili eccezionali di un azienda può essere facilmente indotto a ritenere che tale risultato possa perdurare nel tempo, anche se una riflessio- 29

5 ➍ Dalla produzione alla distribuzione: il ruolo dell'investment advice ne più profonda porterebbe facilmente a conclusioni meno drastiche. Basta, in altri termini, un qualche risultato positivo per indurre a pensare che la storia recente del titolo sia cambiata. Dietro a questo errore c è la scarsa capacità di valutare la effettiva rappresentatività di un campione statistico rispetto all universo di riferimento. Anche per l errore di rappresentatività, come per l availability bias, la conseguenza immediata è la sovra reazione dei prezzi appena esposta; un altro effetto, conosciuto nella letteratura finanziaria, determinato dalla distorsione informativa appena esposta è l hot hand effect, per cui si scommette sulla «mano calda» dei gestori dei fondi, accomunati in questo ai professionisti del basket. L effetto è stato verificato da molte indagini empiriche, che dimostrano l incremento dei flussi finanziari verso quei fondi comuni con eccezionali performance di breve periodo. La scarsa considerazione riposta verso la casualità genera, inoltre, fenomeni di gambler s fallacy, che si verificano quando si ritiene probabile una inversione di tendenza, dopo una sequenza di risultati dello stesso segno, ritenendo che tale cambiamento di regime sia più prossimo alla casualità rispetto a un risultato in trend. Da alcuni studi di finanza comportamentale emergono, tra l altro, indicazioni verso la ricerca del momentum, che indica la direzione e la forza del movimento dei prezzi. L analisi empirica ha dimostrato che le azioni con momentum positivo continuano a sovraperformare nel medio termine: chi segue la strategia acquista azioni con momentum positivo per rivenderle quando l indicatore diventa negativo. Tornando alle behavioral biases, l ultima categoria è l anchoring. Si tratta di un fenomeno associato alla consuetudine degli individui impegnati nella risoluzione di un problema ad ancorarsi a una informazione ritenuta saliente tra i dati complessivi noti (l opinione di un esperto, una stima di consenso); successivamente si perviene a una correzione. Le analisi sperimentali dimostrano, tuttavia, che l aggiustamento dall anchor è in genere insufficiente. Molte sono le esemplificazioni dell anchoring sui mercati finanziari: la dinamica dei prezzi azionari in un range fa ritenere probabile la permanenza all interno del range stesso, così come si tende a delineare attese di utile in linea con i dati storici. All anchoring sono collegati vari effetti: il framing bias, che indica la tendenza a decidere in modo diverso in base al contesto con cui la scelta è presentata; l overconfidence o ipersicurezza, tendenza degli individui a sovrastimare le proprie capacità previsionali (chi casualmente acquista un titolo vincente facilmente arriva a ritenere di essere dotato come stock picker anziché fortunato); o l effetto di illusione del controllo, di chi ritiene di saper controllare ciò che è al di fuori di ogni possibilità di verifica. Si classificano infine anche le distorsioni decisionali, quali il mental accounting, che descrive la tendenza a classificare i propri beni in un certo numero di bucket separati. Alcuni investitori ragionano come se avessero una parte sicura del loro portafoglio, protetta dai rischi (liquida o investita in bond a basso grado di rischio), e una parte rischiosa accumulata con l obiettivo di tentare l opportunità di «diventare ricchi». Sono molti gli investitori che allocano i rischi nel loro portafoglio per gruppi omogenei di titoli, e non valutano il risultato complessivo, ignorando, in particolar modo, gli effetti correlazione. La conseguenza è un comportamento detto narrow framing, che può portare a un processo di scelta inefficiente. Accade spesso, per esempio, che si eviti di vendere un determinato asset in perdita, perché si valuta la situazione individuale del conto in questione e si evita di considerare il portafoglio complessivo in cui l asset è inserito. Infine, meritano una menzione le distorsioni basate sulla diffusione di feedback di decisioni precedenti. La conoscenza dei risultati porta a ritenere, sbagliando, di aver previsto in modo corretto. Ugualmente irrazionale è l atteggiamento mentale, denominato psychological call option, che porta ad avocare a sé le scelte finanziarie che hanno avuto un esito positivo e ad attribuire al proprio consulente la responsabilità degli investimenti conclusi in modo meno brillante

6 LE IMPLICAZIONI. Nella trattazione precedente, sono state illustrate le principali distorsioni messe in luce dalla finanza comportamentale rispetto alla teoria normativa classica. Il riconoscimento di questo ampio corpo teorico di errori cognitivi in cui cade l uomo «normale» e non l investitore «perfettamente razionale» apre uno spazio importante all attività di consulenza in tema di investimenti finanziari. Chi meglio del consulente che si pone tra l investitore e il mercato può assumere il ruolo di gestore delle problematiche comportamentali? Non è un caso che molti consulenti interpretano la loro professione finalizzandola anche all educazione finanziaria del proprio cliente. Sul punto si rimanda all interessante trattazione di Linciano (2010), nei Quaderni Consob. L analisi comportamentale ha risvolti pratici importanti in numerosi ambiti del processo di asset allocation. Un primo aspetto è il risk profiling, normalmente la profilatura della clientela è effettuata attraverso la valutazione dell avversione al rischio. Secondo la dottrina comportamentale, l attitudine al rischio non è definita unicamente dalla risk aversion, ma da altri fattori (esperienza, perdite precedenti ) che possono influire sulle preferenze degli investitori. Un altro ambito importante nel quale le conoscenze acquisite con la behavioural finance trovano un utilizzo importante è quello dell ingegneria finanziaria. Si tratta dell attività di strutturazione dei prodotti finanziari complessi, che combinano in sé prodotti finanziari con profili di rischio nettamente diversi, quali bond e derivati (in genere opzioni). Il prodotto più noto, il più classico nel segmento è la index linked, che permette di investire in uno zero coupon o un bond a tasso fisso (che assicurano il ritorno del capitale investito) e in una certa percentuale di call su un sottostante azionario (che assicurano l incasso di una percentuale pari o inferiore al 100% della dinamica positiva del sottostante). Considerando l aspetto comportamentale di avversione degli investitori alle perdite si potrebbe facilmente assegnare un ruolo centrale agli strutturati nei portafogli degli investitori comuni. Ma non è cosi semplice. Fisher (2007) dimostra che i soggetti che privilegiano i prodotti strutturati agiscono in contrasto con l assioma di razionalità. La scuola di Zurigo ha impostato numerose ricerche sul tema: Thorsten e Rieger (2008) evidenziano la scarsa convenienza degli strutturati emessi sul mercato svizzero e su quello tedesco; inoltre, i due autori dimostrano che solo pochi structured products sono in linea con la massimizzazione dell utilità dell investitore qualora si accetti la Prospect Theory di Kahneman e Tversky. La scelta del segmento sembra quindi effettuata da investitori particolarmente irrazionali, che falliscono nel valutare le probabilità di incappare in scenari negativi. È, infine, indubbio il ruolo chiave degli interventi Consob, in materia di prospetti e trasparenza informativa sui costi dei prodotti finanziari, sull incidenza dei vari fattori di rischio, nonché sull armonizzazione delle regole di condotta degli intermediari alle disposizioni Mifid. Barber B., Odean T.,(2008) «All that Glitters: The Effect of Attention and News on the Buying Behavior of Individual and Institutional Investors», Review of Financial Studies, 21, pp Campbell, J.Y., L. Viceira (2002), «Strategic Asset Allocation», Oxford University Press, Oxford. De Bondt W. e Thaler R. (1985), «Does the stock market overreact?», Journal of Finance, 40, pp Fischer R. (2007), «Do Investors in Structured Products Act Rationally?», Hens T e Rieger M.O. (2009), «The Dark Side of the Moon: Structured Products from the Customer's Perspective», NCCR Working Paper, n. 459, University of Zurich. Jagannathan R., Wang Z. (1996) «The Conditional CAPM and the Cross-Sections of Expected Returns», Journal of Finance, n. 3, 51. Kahneman, D. e Tversky A. (1979), «Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk», Econometrica, 47, pp Linciano N. (2010), «Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento. Le indicazioni di policy della finanza comportamentale dei risparmiatori retail, Quaderno di Finanza Consob, Coll. Studi e Ricerche Shiller R.J. (2006) «Tools for financial innovation: Neoclassical versus behavioral finance», Cowles Foundation Paper n The Financial review, n 1,

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