Deformazione miocardica longitudinale e circonferenziale
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- Gianluca Raimondi
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1 La sindrome del QT lungo (LQTS) è caratterizzata da prolungamento del potenziale di azione cardiaco (APD). La maggiore durata del potenziale di azione è registrata nell'endomiocardio e nel mesomiocardio e si associa a un allungamento della contrazione cardiaca. La deformazione miocardica (o sforzo) longitudinale e circonferenziale (fig. 1) può essere evidenziata con la particolare tecnica ecocardiografica dell'inseguimento macchioline (speckle tracking). Deformazione miocardica longitudinale e circonferenziale Figura 1. Curve di sforzo miocardico nella proiezione apicale asse lungo in un soggetto sano (sinistra) e in un paziente LQTS (destra). Nell'individuo sano la durata della contrazione (370 millisecondi) è omogenea in tutti i 6 segmenti. Il paziente LQTS mostra un aumento di durata della contrazione (460 millisecondi) nei 3 segmenti settali (curve di sforzo, rossa, blu scuro, e rosa), indicando un certo grado di dissipazione meccanica della contrazione miocardica. AVC indica chiusura della valvola aortica. Lo studio (1) ha incluso 101 portatori "genotipici" di mutazione LQTS e 35 individui sani. Aritmie cardiache erano presenti in 48 portatori di mutazioni, mentre 53 erano asintomatici. La durata della contrazione miocardica è stata valutata con l'ecocardiografia di sforzo (strain) come il tempo dall'onda Q dell'ecg al picco dello sforzo in 16 segmenti del ventricolo sinistro. Lo sforzo è stato valutato lungo l'asse longitudinale, che rappresenta principalmente le fibre sottoendocardiche, e lungo l'asse circonferenziale, che rappresenta le fibre mesomiocardiche. La durata media della contrazione è risultata essere più lunga nei portatori di mutazioni LQTS rispetto a quella di individui sani (445±45 verso 390±40 millisecondi P<0.001) e più lunga in portatori sintomatici rispetto a quelli asintomatici LQTS (460±40 verso 425±45 millisecondi; P<0.001). La durata della contrazione nelle fibre sottoendocardiche (longitudinal strain) era più lunga di quella delle fibre mesomiocardiche (circumferential strain) nei pazienti LQTS sintomatici (460±45 verso 445±45 millisecondi; P=0.008) ma non nei pazienti asintomatici e individui sani, evidenziando una dispersione meccanica trans murale. Tale differenza temporale 1
2 era presente nella maggioranza dei segmenti del ventricolo sinistro ed era più evidente in pazienti con LQT2 e in quelli con sindrome di Jervell and Lange-Nielsen. Una curva ROC (receiver operating caratteristics) è un grafico della sensibilità, o tasso di veri positivi, rispetto al tasso di falsi positivi, per un sistema di classificatore binario in quanto la sua soglia di discriminazione è varia. Il ROC può anche essere rappresentato equivalentemente tracciando la frazione di veri positivi meno i falsi positivi (TPR = tasso di veri positivi) rispetto alla frazione di falsi positivi meno i veri negativi (FPR = tasso di falsi positivi). Conosciuto anche come una curva caratteristica relativa di funzionamento, perché è un confronto di due caratteristiche di funzionamento (TPR e FPR). L'analisi ROC fornisce gli strumenti per selezionare i modelli possibilmente ottimali e di scartare quelli non ottimali indipendentemente dal contesto di costo o della distribuzione della classe. L'analisi ROC è collegata in modo diretto e naturale all'analisi costi / benefici di diagnostica nel processo decisionale. In questo studio, come evidenziato con l'analisi ROC, la dispersione meccanica longitudinale, confrontata con il QTc, permetteva una migliore discriminazione tra i portatori di mutazioni LQTS con e senza eventi cardiaci con un'area sotto la curva ROC (AUC) di 0.87 (95% intervallo di confidenza [CI], verso 0.71 per QTc (95% CI, ; P<0.01).) (Figura 2). Figura 2 Curve ROC di eventi cardiaci in 101 portatori di mutazione LQTS Figura 2. La dispersione meccanica, confrontata con il QTc, dimostra una migliore sensibilità nella discriminazione dei pazienti che esperirono eventi cardiaci. Il QTc di 460 millisecondi mostrava una sensibilità del 42% (95% CI, 29-57) e una specificità dell' 81% (95% CI, 67-91) per identificare portatori di mutazione con una storia di eventi. Il valore di taglio ottimale per la dispersione meccanica era di 33 millisecondi e identificava portatori di mutazione con una storia di eventi con una sensibilità del 76% (95% CI, 61-87) e 2
3 una specificità del 91% (95% CI, 78-98). Vi è stata una modesta ma significativa correlazione tra dispersione QTc nell'ecg e dispersione meccanica nell'ecocardiografia (r=0.30, P=0.007). 1. Kristina Hermann Haugaa, Jan P. Amlie, Knut Erik Berge, et al. Transmural Differences in Myocardial Contraction in Long-QT Syndrome. Mechanical Consequences of Ion Channel Dysfunction Circulation. 2010;122: Indice: Imaging: Conseguenze Meccaniche della Disfunzione dei Canali Ionici pag. 1-2; Editoriale: Prevenzione della Morte Improvvisa Post Infartuale, pag. 3-9; Leading article: SINDROME DELLA TACHICARDIA POSTURALE ORTOSTATICA pag. 8-12; Focus: Solo Compressione del Torace da parte dei soccorritori durante Resuscitazione Cardiopolmonare. Clopidogrel Con o Senza Omeprazolo nella Malattia Coronarica, pag ; Medicina e morale: Violazioni dell'etica medica; pag Prevenzione della Morte Improvvisa Post Infartuale Circa il 10%-15% di sopravvissuti un infarto miocardico acuto con funzione ventricolare sinistra depressa muoiono entro 2 anni. (1 5) Nella popolazione generale l'80% delle morti sono cardiache, metà delle quali sono improvvise (6) e spesso attribuite a bradiaritmie o tachiaritmie ventricolari, specialmente in pazienti con scompenso cardiaco. (2 5,7) Tuttavia, una grande proporzione di morti tra i pazienti con cardioverter-defibrillatore impiantabile rivelano, che le morti definite come improvvise non sono dovute a aritmie cardiache e quelle definite come morti non improvvise possono in realtà essere dovute a aritmie cardiache, (8,9) sottolineando la discrepanza tra le definizioni di evento clinico aritmico e l'evenienza di una vera aritmia cardiaca. Sulla prevenzione della morte improvvisa dopo infarto miocardico (IM), industria e governi hanno speso milioni di dollari negli ultimi trent'anni, ma la migliorata sopravvivenza dei pazienti dopo infarto miocardico rilevata nel corso di questi anni, potrebbe essere attribuita soprattutto alla riduzione dell'estensione dell'infarto. La diminuita estensione della zona di necrosi è il risultato di una riperfusione coronarica precoce ottenuta sia con farmaci trombolitici che con interventi coronarici percutanei, come anche di un progresso nel trattamento farmacologico dopo la fase acuta dell'infarto miocardico, in cui sono inclusi β-bloccanti adrenergici, inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, bloccanti i recettori dell'angiotensina, e antagonisti dell'aldosterone. 3
4 Nonostante tali progressi, non abbiamo assistito a una riduzione della morte improvvisa dopo infarto miocardico. Infatti, trent'anni fa la morte improvvisa contava per circa il 50% di morti cardiache dopo infarto miocardico in pazienti con frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE) (10,11) Secondo alcuni studi la proporzione relativa di morti improvvise sembrava essere diminuita a circa il 30% delle morti cardiache, dopo l'istituzione della terapia riperfusiva dell'infarto miocardico acuto (12, 13). Invece, altre analisi hanno evidenziato che la morte cardiaca rimane la causa di una metà di tutta la mortalità cardiaca dopo infarto miocardico. (14) Anche un altro recentissimo studio dimostra che la morte improvvisa conta per il 50% della mortalità cardiaca in pazienti con recente infarto miocardico e FE (15) Tali conclusioni documentano che nonostante le notevoli recenti diminuzioni della mortalità dovuta a malattia coronarica, la morte improvvisa rappresenta ancora una sfida importante, e ciò per molte ragioni. Innanzitutto, nei pazienti con malattia coronarica e infarto miocardico, la morte improvvisa non è una singola entità; i suoi meccanismi patogenetici sono eterogenei e si modificano nel tempo dopo l'infarto miocardico. A fronte di meccanismi eterogenei un solo test non sarà sufficiente a identificare tutti i pazienti a rischio, e una modalità di trattamento non sarà ottimale per tutti. Così, nonostante l'impianto di migliaia di cardioverter-defibrillatori impiantabili (ICDs) negli ultimi dieci anni, e almeno la metà di questi furono impiantati per la prevenzione primaria della morte improvvisa, tale evento costituisce tuttora la più frequente singola causa di morte di origine medica. Siamo in questa situazione, perché non comprendiamo bene i meccanismi patogenetici che provocano la morte improvvisa e neppure i fattori immediati che fanno scattare l'arresto cardiaco. Il "monitor cardiaco impiantabile" (MCI), implementato per la registrazione automatica di aritmie, permette rilevamento, quantificazione, e documentazione di eventi aritmici durante un monitoraggio prolungato che si estende fino a mesi. L'uso clinico e di ricerca con tale registratore di ECG (loop recorders) è stato finora in gran parte focalizzato su pazienti sintomatici con sincope. Il Cardiac Arrhythmias and Risk Stratification After Myocardial Infarction (CARISMA) (15) è stato uno studio multicentrico osservazionale in cui da un totale di 5869 pazienti consecutivi esaminati in 10 centri Europei ne furono arruolati 312 sopravvissuti dopo un recente (21 giorni) infarto miocardico (IM) con una FE Innanzitutto i pazienti furono sottoposti a una serie di tests invasivi e non invasivi per definire la stratificazione del rischio, verso fibrillazione ventricolare (FV) o tachicardia ventricolare sostenuta sintomatica (TV). I fattori predittivi più forti di eventi aritmici primari risultarono essere le misure di variabilità della frequenza cardiaca, e l'induzione di TV sostenuta monomorfa durante la stimolazione elettrica programmata (PES) (HR = 4.8, 95% CI, , P = 0.003) (7). A ciò ha fatto seguito l'impianto del monitor cardiaco in grado di registrare tachiaritmie ( 125 bpm per 16 battiti) e bradiaritmie ( 30 bpm o asistolie 4.5 secondi) per un periodo di 2 anni. (16) Dopo 2 anni di follow-up, 25 pazienti (8% della popolazione dello studio) esperirono 1 degli eventi primari: l'ecg documentava "aritmia cardiaca fatale o quasi fatale, assai probabilmente trattabile con un defibrillatore impiantabile (ICD)." Furono escluse le aritmie che si sono verificate in pazienti con scompenso cardiaco in fase terminale o durante ischemia refrattaria (16). Ventisei pazienti che avevano il loop recorder morirono, e in 16 di questi un ECG fu registrato entro 1 ora dalla morte. Aritmie nel tempo del decesso furono egualmente divise tra tachicardia ventricolare (TV) o fibrillazione ventricolare (FV) e bradiaritmie. (17) La morte cardiaca fu definita come improvvisa in 9 pazienti e come morte non improvvisa in 10. Tra i pazienti con ECG interpretabile del monitor cardiaco impiantato al momento del decesso, FV era presente in 6 di 9 morti improvvise (mai la TV), e una bradycardia era presente solo in 1 delle 9 morti improvvise. Le aritmie documentate al tempo della morte cardiaca non improvvisa includevano FV (1), TV (1), e bradiaritmie (4). (18) Nello studio CARISMA vengono invece riportate tutte le aritmie documentate dal monitor cardiaco, e anche la loro relazione con il decorso clinico. (15) Quindi per la prima volta si ha la descrizione completa (Tab.1) delle aritmie spontanee che si sono verificate nei primi 2 anni dopo un infarto miocardico acuto. 4
5 Tabella 1. Incidenza di aritmie cardiache registrate dal monitor cardiaco impiantabile Aritmia Pazienti, n, (incidenza,%) Eventi n Bradicardia sinusale ( 30 bpm, 8 battiti ) 20 ( 6.7 ) 111 Arresto Sinusale ( 5 s) 16 ( 5.4 ) 23 FA di nuova insorgenza ( 125 bpm, 16 battiti ) 82 ( 27.6 ) 538 Blocco AV di grado elevato (dal secondo al terzo grado; 30 bpm, 8 battiti ) 29 ( 9.8 ) 124 TV non sostenuta ( 125 bpm, 16 battiti, < 30 s) 39 ( 13.1 ) 64 Tachicardia ventricolare sostenuta ( 125 bpm, 30 s) 9 ( 3.0 ) 20 FV ( 125 bpm, 16 battiti ) 8 ( 2.7 ) 19 Qualsiasi aritmia 137 ( 46.1 ) 885 L'andamento nel tempo delle aritmie registrate dal monitor cardiaco risulta anche essere interessante. L'incidenza del blocco AV fu più elevata nei primi 3 mesi dopo l'infarto miocardico, ma tali eventi continuarono a presentarsi durante tutti i 2 anni del periodo di osservazione. Invece, TV e FV sostenute furono molto più concentrate nei primi 3 mesi dopo l'infarto, con pochissimi episodi nel restante periodo di monitoraggio. Ciò concorda con precedenti osservazioni e suggerisce che vi sono 2 periodi di rischio elevato di morte improvvisa da tachiaritmie: Il primo, precoce dopo l'infarto miocardico, è seguito da un periodo latente, e il secondo poi con numeri crescenti di eventi comincia molto più tardi (4 o più anni) l'infarto miocardico acuto (19,20). La figura 1A mostra il tempo di comparsa della prima bradiaritmia, documentato nel 17% dei pazienti. L'arresto sinusale si è manifestato in 16 pazienti (5%) ed è stato sintomatico in 3 di essi. Venti pazienti (7%) esperirono bradicardia sinusale; 4 di essi erano sintomatici. Il blocco AV di grado elevato fu documentato in 29 pazienti (10%), 8 dei quali presentavano sintomi in coincidenza dell'evento. Il numero complessivo degli episodi di blocco AV di grado elevato fu 124, corrispondente al 14% di tutte le aritmie, con 48 eventi (39%) verificatosi nelle ore diurne (7-23), ma solo 20 (42%) furono sintomatiche (Figura 2A). Tutte le bradicardie furono più frequenti nelle ore notturne. La figura 1B mostra il tempo di comparsa del primo evento tachiaritmico. A differenza delle bradiaritmie, gli eventi tachiaritmici furono egualmente distribuiti nelle 24 ore. Fibrillazione atriale di prima insorgenza (FA) con risposta ventricolare 125 bpm fu registrata in 82 pazienti (27%). Di tutti gli episodi di FA, l'88% fu asintomatico. Sessantaquattro episodi di TV non sostenuta ( 16 beats) furono rilevati in 39 pazienti (13%), di cui 92% asintomatici e senza preferenza circadiana. Vi furono 20 eventi di TV sostenuta in 9 pazienti con 1 episodio fatale. Cinque dei 9 pazienti non presentarono mai sintomi. Gli altri 4 pazienti ebbero 9 episodi sintomatici di TV nelle ore diurne. La fibrillazione ventricolare (FV) fu non fatale in 3 pazienti: 2 di essi furono risuscitati, e 1 evento si è auto esaurito (Figura 2B). TV sostenuta o FV furono rilevate dal monitor cardiaco impiantabile in 9 di 11 ICD impiantati per la prevenzione secondaria. 5
6 Figura 1 Figura 1. Grafici Kaplan-Meier che mostrano il tempo di comparsa della prima bradiaritmia o tachiaritmia. A, Kaplan-Meier ha stimato la probabilità della prima bradiaritmia: tempo (dall'infarto) al primo blocco AV di grado elevato, bradicardia sinusale, e arresto sinusale rilevate dal monitor cardiaco impiantabile. B, Kaplan-Meier ha stimato la probabilità della prima tachiaritmia. NsVT indica TV non sostenuta. (15) 6
7 Figura 2 7
8 Figura 2. Elettrogrammi di aritmie registrate con il monitor cardiaco impiantabile. A, Blocco AV parossistico di secondo e terzo grado. Al momento della registrazione, il paziente avvertì stordimento ma non attivò il monito cardiaco che si è attivato automaticamente in. Al paziente fu impiantato un pacemaker 5 giorni dopo. B, Questo paziente presentò un grave attacco sincopale e non riuscì a usare l'attivatore. Sono stati registrati due episodi di TV non sostenuta; il secondo episodio provoca TV polimorfa che degenera in FV. L'episodio è attivato automaticamente in. La FV si è riconvertita in TV polimorfa, che è terminata spontaneamenta (non mostrata). Il paziente ricevette poi un ICD. (15) In questo studio, il fattore predittivo più potente di morte cardiaca (10 casi) è risultato essere il blocco atrioventricolare di grado elevato che si è verificato nel 9% dei pazienti (n=29). Dopo la rilevazione del blocco atrioventricolare di grado elevato, 10 pazienti ricevettero un pacemaker, e 3 un cardioverter defibrillatore (ICD). Ciò nonostante, 5 dei 13 pazienti esperirono successivamente morte cardiaca, comprendenti 3 morti improvvise. Dei rimanenti 16 pazienti con blocco AV senza pacemaker o ICD, 5 esperirono morte cardiaca, ma solo 1 fu classificata come improvvisa. La relazione tra il blocco atrioventricolare di grado elevato e la successiva mortalità cardiaca non è chiara. La mancanza di un'associazione tra il tipo morte e il blocco AV limita la nostra capacità di prendere decisioni terapeutiche adeguate. D'altra parte sembra che in alcuni di questi pazienti né pacemaker né ICD costituiscano un provvedimento terapeutico sufficiente ma che dovrebbe essere considerata l'indicazione al trapianto del cuore. Bibliografia 1. McGovern PG, Jacobs DR, Jr, Shahar E, et al. Trends in acute coronary heart disease mortality, morbidity, and medical care from 1985 through 1997: the Minnesota Heart Survey. Circulation. 2001;104: Camm AJ, Pratt CM, Schwartz PJ, et al. Mortality in patients after a recent myocardial infarction: a randomized, placebo-controlled trial of azimilide using heart rate variability for risk stratification. Circulation. 2004;109: Solomon SD, Zelenkofske S, McMurray JJ, et al. Sudden death in patients with myocardial infarction and left ventricular dysfunction, heart failure, or both. N Engl J Med. 2005;352: Hohnloser SH, Kuck KH, Dorian P, et al. Prophylactic use of an implantable cardioverterdefibrillator after acute myocardial infarction. N Engl J Med. 2004;351: Huikuri HV, Castellanos A, Myerburg RJ. Sudden death due to cardiac arrhythmias. N Engl J Med. 2001;345: Yap YG, Duong T, Bland M, et al. Potential demographic and baselines variables for risk stratification of high-risk post-myocardial infarction patients in the era of implantable cardioverter-defibrillator: a prognostic indicator. Int J Cardiol. 2008;126: Mitchell LB, Pineda EA, Titus JL, et al. Sudden death in patients with implantable cardioverter defibrillators: the importance of post-shock electromechanical dissociation. J Am Coll Cardiol. 2002;39: Epstein AE, Carlson MD, Fogoros RN, et al. Classification of death in antiarrhythmia trials. J Am Coll Cardiol. 1996;27: Pratt CM, Greenway PS, Schoenfeld MH, et al. Exploration of the precision of classifying sudden cardiac death: implications for the interpretation of clinical trials. Circulation. 1996;93: Bigger J, Fleiss J, Kleiger R, Miller P, Rolnitzky L, the Multicenter Post-Infarction Research Group. The relationships among ventricular arrhythmias, left ventricular dysfunction, and mortality in the 2 years after myocardial infarction. Circulation. 1984;69: Mukharji J, Rude R, Poole K, et al. the MILIS Study Group. Risk factors for sudden death after acute myocardial infarction: two year follow-up. Am J Cardiol. 1984;54: Rouleau JL, Talajic M, Sussex B, et al. Myocardial infarction patients in the 1990s: their risk factors, stratification and survival in Canada: the Canadian Assessment of Myocardial Infarction (CAMI) Study. J Am Coll Cardiol. 1996;27: Adabag AS, Therneau TM, Gersh BJ, et al. Sudden death after myocardial infarction. JAMA. 2008;300:
9 14. Yap YG, Duong T, Bland M, et al. Temporal trends on the risk of arrhythmic vs. nonarrhythmic deaths in high-risk patients after myocardial infarction: a combined analysis from multicentre trials. Eur Heart J. 2005;26: Bloch Thomsen PE, Jons C, et al. for the Cardiac Arrhythmias and Risk Stratification After Acute Myocardial Infarction (CARISMA) Study Group. Long-term recording of cardiac arrhythmias with an implantable cardiac monitor in patients with reduced ejection fraction after acute myocardial infarction: The Cardiac Arrhythmias and Risk Stratification After Acute Myocardial Infarction (CARISMA) Study. Circulation. 2010;122: Huikuri HV, Raatikainen MJP, Moerch-Joergensen R, et al. for the Cardiac Arrhythmias Risk Stratification after Acute Myocardial Infarction (CARISMA) Study Group. Prediction of fatal or near-fatal cardiac arrhythmia events in patients with depressed left ventricular function after an acute myocardial infarction. Eur Heart J. 2009;30: Gang UJO, Jons C, Jorgensen RM, et al. on behalf of the CARISMA Investigators. Heart rhythm at the time of death documented by an implantable loop recorder. Europace. 2010;12: De Ferrari GM, Sanzo A, Bertoletti A, et al. Baroreflex sensitivity predicts long-term cardiovascular mortality after myocardial infarction even in patients with preserved left ventricular function. J Am Coll Cardiol. 2007;50: Huikuri HV, Tapanainen JM, Lindgren K, et al. Prediction of sudden cardiac death after myocardial infarction in the beta-blocking era. J Am Coll Cardiol. 2003;42: Gorgels APM, Gijsbers C, de Vreede-Swagemakers J, et al. Out-of-hospital cardiac arrest: the relevance of heart failure: the Maastricht Circulatory Arrest Registry. Eur Heart J. 2003;24: Prof. Paolo Rossi, primario cardiologo, Novara paolorossi_100@fastwebnet.it 9
10 SINDROME DELLA TACHICARDIA POSTURALE ORTOSTATICA Fu Q, VanGundy TB, Galbreath MM, PhD, et al. Postural Orthostatic Tachycardia Syndrome. J Am Coll Cardiol, 2010; 55: , doi: /j.jacc Introduzione E stata descritta la sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTS, Postural Orthostatic Tachycardia Syndrome ), altresì nota come intolleranza cronica all ortostatismo, che affligge più di americani ed è caratterizzata dall impossibilità di mantenere la stazione eretta a lungo a causa di sensazione di capogiro, debolezza e presincope intollerabili (1). Tale quadro clinico colpisce, in vasta maggioranza, soggetti di sesso femminile ed ha un impatto deleterio sulla qualità di vita, impedendo lo svolgimento delle comuni attività lavorative, di studio e ricreative. Il meccanismo fisiopatologico dell'intolleranza cronica all ortostatismo rimane in larga misura inspiegato, sebbene sia stata proposta una relazione con il decondizionamento e con il concomitante coesistere di ipovolemia e atrofia cardiaca (cuore piccolo e poco distensibile). A favore di questa interpretazione vi sono le osservazioni in ambiente di microgravità (effettuate su astronauti e volontari sani (2,3), che vedono ridurre la propria tolleranza alla stazione eretta dopo esposizione a gravità ridotta nonostante una adeguata performance fisica di partenza) e quelle sui pazienti costretti a prolungato allettamento. Altre ipotesi chiamano in causa, l alterazione della risposta al sistema nervoso autonomo o un alterato riflesso barorecettoriale. Non è d altra parte disponibile una terapia farmacologica in grado di risolvere la sintomatologia; spesso i farmaci devono essere sospesi per la presenza di effetti collaterali (4). Gli Autori del lavoro, ritenendo fondamentale chiarire le basi fisiopatologiche dell'intolleranza cronica all ortostatismo, sposano la tesi del decondizionamento e propongono una dimostrazione di questo meccanismo suggerendo un programma di allenamento fisico per migliorare la tolleranza dei pazienti alla stazione eretta. Gli obbiettivi dello studio sono stati dunque 1) dimostrare l ipotesi che l'intolleranza cronica all ortostatismo sia attribuibile alla concomitante presenza di cuore atrofico e ipovolemia (cioè, decondizionamento) 2) dimostrare che un adeguato programma di allenamento può migliorare o addirittura guarire la intolleranza cronica all ortostatismo agendo sulla fisiopatologia sottostante. POPOLAZIONE DELLO STUDIO (vedi anche tabella 1): sono stati considerati 54 pazienti consecutivi con intolleranza cronica all ortostatismo inviati alla Clinica di valutazione della Funzione Autonomica degli Autori tra dicembre 2004 e aprile 2008; 8 pazienti hanno rifiutato immediatamente l arruolamento (non erano interessati a partecipare ad un programma di 10
11 ricerca), altri 18 hanno rifiutato gli accertamenti previsti e l ipotesi di sospendere la terapia farmacologica in corso per partecipare allo studio. Sono dunque state arruolate 28 pazienti (27 donne ed 1 uomo; un ulteriore paziente è stato escluso dallo studio successivamente, dopo aver ricevuto diagnosi di sindrome di Ehlers Danlos, che può implicare rimodellamento cardiaco e vascolare), e confrontati con 16 controlli sani (15 donne ed 1 uomo). Dei 27 pazienti con intolleranza cronica all ortostatismo, il 55%, presentava una forma lieve (incremento ortostatico di 35 bpm), il 45%, una forma moderato-severa (incremento ortostatico >35 bpm). La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto in passato terapia beta-bloccante, farmaci che espandono la volemia, agonisti alfa1-adrenergici; tutti i farmaci con azione sul sistema nervoso autonomo sono stati sospesi 2 settimane o più prima dello studio. Tutti i soggetti arruolati erano non fumatori; nessuno era un atleta di resistenza allenato; tutti hanno effettuato una rigorosa anamnesi ed esame obbiettivo, un ECG e un test di ortostatismo della durata di 10 minuti; è stato ottenuto il consenso informato. VALUTAZIONE BASALE: tutti i partecipanti sono stati valutati con: 1) test di funzione autonomica e di volemia; 2) valutazione della regolazione neuroumorale durante ortostatismo di 2 ore; 3) risonanza magnetica cardiaca. ALLENAMENTO FISICO A BREVE TERMINE: 25 pazienti (24 donne, 1 uomo) hanno partecipato ad un programma di allenamento ottimizzato della durata di 3 mesi; 19 hanno completato il programma e sono stati rivalutati. TEST DI FUNZIONE AUTONOMICA: tutti i partecipanti hanno assunto una dieta isocalorica standard con assunzione libera di liquidi; a 2 ore di distanza da una leggera colazione, è stata effettuata una valutazione simultanea di elettrocardiogramma, pressione arteriosa, microneurografia (mediante elettrodo sottile nel nervo peroneo; registrazione dell attività di scarica e analisi computerizzata del numero di picchi e della loro frequenza, come indice dell attivazione ortosimpatica) (5,6) e frequenza respiratoria registrata dopo 30 minuti di riposo in posizione supina, dopo manovra di Valsalva (al momento di massimo calo della pressione diastolica) e dopo Handgrip sostenuto fino all esaurimento (sforzo compiuto al 40% dell intensità massima con l arto superiore dominante), quindi dopo tilting passivo a 30 per 6 minuti e a 60 per 45 minuti (o fino a presincope). Sono stati ricavati in maniera indiretta la portata cardiaca e le resistenze periferiche (7), la volemia (8,9), i volumi e la massa ventricolare sinistra (risonanza magnetica) (10). PROGRAMMA DI ALLENAMENTO: tutti i pazienti hanno effettuato sessioni di minuti 2-4 volte/settimana di attività di base (75% della fc massimale teorica), ovvero bicicletta, nuoto o rematore in posizione semirecombente per evitare i sintomi dell'ortostatismo. Man mano che l allenamento cresceva, venivano introdotte altre sedute settimanali e l allenamento coi pesi. Erano inoltre incoraggiati l incremento dell introito di sale e di liquidi e lo svolgimento di attività fisica anche dopo la conclusione dello studio. Veniva valutata la variazione di qualità di vita dei pazienti con apposito questionario (11) prima e dopo il programma di allenamento. Tabella 1 caratteristiche dei soggetti Variabili Pazienti con sindrome ortostatica (n = 26 donne, 1 uomo) Controlli (n = 15 donne, 1 uomo) Età (anni) 26 (21, 33) 28 (23, 35) Altezza (cm) 163 (161, 172) 166 (162, 172) Peso (kg) 64 (57, 70) 63 (56, 68) BMI (kg/m 2 ) 23 (22, 26) 22 (21, 24) 11
12 Frequenza cardiaca basale da supino (bpm) Frequenza dopo 10 di ortostatismo (bpm) Variazione di frequenza (beats/min) 88 (77, 93) * 72 (64, 77) 114 (108, 131) * 89 (77, 99) 32 (24, 38) * 17 (10, 22) Ematocrito (%) 39 (37, 40) 38 (36, 40) Volemia (ml/kg) 60 (54, 64) * 71 (65, 78) Volume plasmatico (ml/kg) 39 (36, 43) * 49 (44, 52) Massa ventricolare sinistra (g/kg) Volume telediastolico ventricolare sinistro (ml/m 2 ) 1.26 (1.12, 1.37) * 1.45 (1.34, 1.57) 60 (52, 65) 64 (57, 70) * p < 0.01 versus controlli sani. Valori presentati come mediana (25 e 75 percentile). RISULTATI FUNZIONE AUTONOMICA E RISPOSTA EMODINAMICA L attività simpatica muscolo scheletrica registrata con micro neurogramma (MSNA) è aumentata significativamente durante tilting a 30 e ulteriormente durante tilting a 60 in tutti i soggetti (pazienti e controlli); la pressione sistolica è aumentata significativamente nei pazienti ma non nei controlli, la pressione diastolica è aumentata significativamente nei pazienti e nei controlli. I pazienti presentavano una portata cardiaca e una gittata sistolica inferiore sia da supini che in ortostatismo, i pazienti presentavano maggiori resistenze periferiche. (figura 1). Questi risultati e la risposta dei parametri emodinamici durante handgrip fa pensare, a parere degli Autori, ad una conservata funzione autonomica e ad una normale risposta barorecettoriale nei pazienti con (risposte sovrapponibili ai controlli sani). Le differenze di portata e gittata sistolica, invece, evidenziano la presenza probabile di un cuore piccolo e rigido e di una ridotta volemia. 12
13 Figura 1 Figura 1: Attività ortosimpatica nei pazienti POTS e nei controlli sani, di base e durante tilting; in entrambi i gruppi si osserva analogo incremento durante ortostatismo. EFFETTI DEL PROGRAMMA D'ALLENAMENTO. Tutti i 25 pazienti hanno iniziato il programma di allenamento (la posizione semirecombente degli esercizi all inizio dell allenamento ha consentito di evitare l insorgenza dei sintomi legati all ortostatismo), 19 lo hanno completato. Le ragioni di abbandono sono state: 2 pazienti avevano impegni lavorativi incompatibili con gli esercizi, 2 pazienti hanno avuto infortuni non legati al programma (incidente domestico e incidente stradale), 1 paziente ha ricevuto diagnosi di epilessia oltre a POTS, 1 paziente ha sofferto di una aritmia non correlata all allenamento. Gli abbandoni non sembravano legati alla POTS o alla sua severità (i pazienti che hanno abbandonato presentavano caratteristiche basali analoghe agli altri). L allenamento aumentava il picco di consumo di ossigeno (26,8 ml/kg/min [24,1-29,0] pre-allenamento vs 28,9 ml/kg/min [26,7-32,7] post-allenamento), la volemia ed il volume plasmatico (39 ml/kg [34-42] preallenamento vs 41 ml/kg [37-43] postallenamento) e la massa ventricolare dei pazienti POTS (quest ultima diventava sovrapponibile a quella dei controlli sani). Alla fine del programma di allenamento 10 dei 19 pazienti POTS non presentavano più i criteri diagnostici di POTS (erano guariti ); la qualità di vita era significativamente migliorata in tutti i pazienti. L allenamento diminuiva significativamente la frequenza cardiaca in ortostatismo in tutti i pazienti (p=0,02), mentre non si evidenziavano variazioni assolute significative nell attività ortosimpatica. (figura 2) 13
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