INCERTEZZA, MOVIMENTO, CREATIVITÀ: LE AZIENDE DI FRONTE ALLA GESTIONE DELLE COMPETENZE
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- Feliciano Lupi
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1 Quaderno IUFFP n 4 i INCERTEZZA, MOVIMENTO, CREATIVITÀ: LE AZIENDE DI FRONTE ALLA GESTIONE DELLE COMPETENZE GECO Un indagine esplorativa delle questioni teoriche e dei problemi concreti che condizionano lo sviluppo e l applicazione del capitale di competenze nelle aziende con particolare riferimento alla realtà regionale del Canton Ticino Gianni Ghisla Filippo Bignami Carsten Küchler Fulvio Mulatero 4 i Ricerca e Sviluppo
2 Incertezza, movimento, creatività: le aziende di fronte alla gestione delle competenze GECO Un indagine esplorativa delle questioni teoriche e dei problemi concreti che condizionano lo sviluppo e l applicazione del capitale di competenze nelle aziende con particolare riferimento alla realtà regionale del Canton Ticino Gianni Ghisla Filippo Bignami Carsten Küchler Fulvio Mulatero
3 Ghisla, G., Bignami, F., Küchler, C., & Mulatero, F. (2009). Incertezza, movimento, creatività: le aziende di fronte alla gestione delle competenze. GECO Un indagine esplorativa delle questioni teoriche e dei problemi concreti che condizionano lo sviluppo e l applicazione del capitale di competenze nelle aziende con particolare riferimento alla realtà regionale del Canton Ticino (Quaderno IUFFP n 4 i). Zollikofen: Istituto universitario federale per la formazione professionale/eidgenössisches Hochschulinstitut für Berufsbildung. Editore Istituto universitario federale per la formazione professionale IUFFP/ Eidgenössisches Hochschulinstitut für Berufsbildung (EHB) Postfach 637 CH Zollikofen Copertina s+z:gutzumdruck, 3902 Brig-Glis Lettorato Dr. Lorenzo Bonoli, EHB Zollikofen Layout Büro CLIP, 3000 Bern 9 Stampa Kanisiusdruckerei AG, 1701 Fribourg Copyright IUFFP/EHB Edizione 600
4 Introduzione... 5 Capitolo 1. Giianni Ghisla. Economia della formazione: appunti introduttivi Capitolo 2. Filippo Bignami. Competitività aziendale e gestione delle competenze Capitolo 3. Filippo Bignami, Gianni Ghisla, Carsten Küchler. GECO: Metodologia, questionario e trattamento dati Capitolo 4. Gianni Ghisla, Filippo Bignami, Carsten Küchler, Fulvio Mulatero. La gestione delle competenze in azienda sguardi sulla realtà nel Canton Ticino, nella Svizzera tedesca e in Lombardia Capitolo 5. Gianni Ghisla Gestione delle competenze e capitale umano nell economia ticinese Capitolo 6. Gianni Ghisla. Ipotesi per un profilo professionale di Competence Manager Aziendale (CMA) Questionario Progetto GECO
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6 Introduzione Il progetto GECO è nato da un osservazione tanto scontata quanto essenziale: nelle aziende, e più in generale nelle organizzazioni, sono in atto trasformazioni profonde e di portata ancora incommensurabile che riguardano di per sé l insieme dei processi produttivi, ma in modo particolare il ruolo della conoscenza e delle competenze. Non è nemmeno indispensabile scomodare concetti come società della conoscenza oppure knowledge driven economy, coniati negli ultimi decenni, per inserire in un contesto di immediata evidenza questa osservazione, in quanto circa l importanza decisiva del sapere e delle competenze, per il funzionamento delle moderne organizzazioni sussiste un consenso che attraversa l universo della scienza, della politica e anche della cultura. I dubbi sulla centralità del sapere in quanto tale hanno ceduto il passo ad una ragionevole certezza. Non mancano tuttavia le voci critiche, giustamente sensibili al rischio di un uso strumentale della ragione e di un appiattimento della conoscenza sui bisogni dell immediatezza, della mera utilità e del grezzo calcolo costi-benefici. Forse mai come oggi l uomo si sta scordando del fatto che il proprio agire ha senso solo se dispone di un ampio respiro temporale e di un indispensabile profondità culturale ed esistenziale. Ricostruire e ridefinire il rapporto con il sapere diventa una sorta di imperativo per chi, come noi che ci occupiamo di formazione, vuole contribuire alla preparazione dei giovani per i nuovi compiti che si vanno profilando nel mondo del lavoro e in tutta la società. Certo si impone una limitazione di campo, perché sarebbe pretenzioso affrontare la questione nella sua ampiezza. Si è quindi trattato in questo lavoro di interrogarci circa quanto avviene nel mondo delle aziende, e di concentrare la nostra attenzione sull uso delle conoscenze, sulla loro continua rigenerazione, ma anche e in particolare sulla formazione di base e continua. L intento è stato dichiaratamente esplorativo. Consapevoli della complessità delle questioni affrontate, abbiamo volutamente pensato ad un progetto che ci aiutasse a tracciare una prima mappa, convinti che ciò ci avrebbe aiutati a definire il percorso da seguire in seguito. Così anche i risultati del lavoro svolto a partire dal 2004, hanno una valenza orientativa, si prestano al confronto critico e gettano le basi per scelte strategiche e programmatiche. Qualche punto di riferimento non è tuttavia mancato sin dall inizio. Così abbiamo per così dire aperto gli orizzonti verso nord e verso sud, coinvolgendo nel nostro cammino esplorativo aziende della Svizzera tedesca e della Lombardia. Poi abbiamo esplicitamente introdotto il concetto di competenza, mirando ad un modello di gestione delle competenze, da qui GECO, e non semplicemente di knowledge management o di management del capitale umano. Ben presto ci siamo tuttavia accorti di quanto arduo fosse il discorso, già per le sue premesse teorico-concettuali e poi per le sue possibili implicazioni pratiche. Ecco perché il presente volume consacra parecchio spazio proprio all introduzione di concetti e alla riflessione su teorie che affrontano il tema, prima di passare alla presentazione e discussione dei dati empirici raccolti e concludere con la parte, per così dire operativa, che fa esplicitamente riferimento alla realtà del Canton Ticino con le sue aperture regionali e transfrontaliere. Il lettore troverà pertanto in un primo capitolo una presentazione introduttiva sull economia della formazione. Ai più questa disciplina sarà poco familiare, ma già un rapido sguardo all intensificazione del rapporto tra conoscenza e lavoro, tra mondo della scuola e mondo produttivo, farà crescere la consapevolezza per la centralità di un discorso che sta diventando determinante. Anche il secondo capitolo risponde ad interessi più marcatamente teorici in quanto approfondisce, discutendo le teorie attualmente accreditate, la questione del rapporto tra competitività aziendale e gestione delle competenze, con particolare riferimento alla necessità di 5
7 considerare l azienda nella sua complessa realtà di organizzazione dinamica che sia adatta continuamente e apprende, in un certo senso, al pari delle persone che vi operano. Il terzo capitolo mette l accento sulle questioni metodologiche alla base del progetto e informa circa lo sviluppo del questionario e il trattamento dei dati. Per il lettore più interessato ai risultati concreti il quarto capitolo apre l orizzonte sui dati raccolti, ne appronta una sintesi e formula delle piste di lavoro, mentre il quinto capitolo costituisce il tentativo di problematizzare in modo mirato la realtà aziendale del Canton Ticino e di tracciare una serie di proposte che, espresse con l opportuna modestia, possono inserirsi in modo arricchente sia in una politica aziendale specifica sia in una politica formativa di più ampio respiro. Di queste proposte fa parte anche un ipotesi di percorso formativo a livello di Master of Advanced Studies (MAS) per una funzione di Competence Manager Aziendale (CMA) esposta nel sesto ed ultimo capitolo. Si tratta di una prima bozza di profilo professionale per una figura che si sta profilando e che comincia ad assumere una rilevanza non indifferente anche per le PMI. Queste proposte hanno vogliono essere intese non solo come contributo alla riflessione e all approfondimento delle questioni della conoscenza, delle competenze e del capitale umano nel contesto dell economia regionale, ma anche come apertura e come ricerca di forme di collaborazione con l amministrazione pubblica della formazione, con il mondo aziendale e, last but not least, con le altre istituzioni di formazione e di ricerca che operano sul territorio. Concludiamo ringraziando tutti coloro che hanno contribuito ha questo progetto, soprattutto le 30 aziende coinvolte nell inchiesta. Gianni Ghisla Responsabile R&S IUFFP Lugano 6
8 Sintesi Alcune basi concettuali e teoriche Nelle sue Linee direttive il Governo del Canton Ticino esordisce al capitolo sulle aree di intervento prioritario con un affermazione perentoria: Più competitività significa possedere più competenze. Ebbene, se dal lavoro esplorativo del progetto GECO possiamo ricavare un insegnamento, esso ci induce a relativizzare o meglio completare il dictum governativo nel modo seguente: Competitività significa possedere più competenze e gestirle con particolare oculatezza. L aver portato a termine il progetto GECO ci mette nella condizione di scrivere questa breve sintesi con la consapevolezza che sull importanza della conoscenza e delle competenze, non solo per l azienda, ma per l insieme della vita individuale e sociale, vi è un pressoché unanime consenso, un consenso che interessa lo sviluppo e la crescita del sapere, in tutte le sue forme, sia che tocchino la generazione di conoscenze spontanee, sia che mettano in gioco la ricerca scientifica e soprattutto la formazione di base e continua. Non è dunque un caso se in pari tempo il Parlamento svizzero, correggendo addirittura verso l alto le proposte del Governo confederale, ha stanziato per l educazione, la ricerca e l innovazione risorse finanziarie che, per il periodo , cresceranno con una media annuale complessiva del 6% e dell 8.7% per la formazione professionale. Di questi problemi si occupano molte discipline scientifiche. Ve n è tuttavia una, poco nota al grande pubblico, a cui compete di studiare proprio il nesso tra sapere, formazione ed economia, tra investimenti nel sapere e risultati ottenibili per la società. Si tratta dell economia della formazione, le cui forme moderne sono di recente costituzione nel mondo accademico, ma che sta occupando uno spazio sempre più significativo nella discussione delle questioni attinenti all uso del sapere e delle competenze e in special modo alla formazione, ovviamente non solo professionale. Le questioni affrontate da questa disciplina rispondono ad esigenze: teorico-esplicative, attinenti alla concezione di modelli in grado di spiegare il rapporto tra formazione e produttività del lavoro nelle diverse ottiche del singolo individuo, dell azienda e della collettività e capaci di chiarire il ruolo del mercato nell allocazione delle risorse formative; di legittimazione politico-culturale, nella misura in cui fornisce sapere e modelli esplicativi sia per un discorso educativo vieppiù orientato verso un orizzonte di efficienza e redditività (economizzazione della formazione), sia per l opportunità di investimenti pubblici e privati nella formazione; di supporto alla politica formativa, alla gestione e al pilotaggio dei sistemi formativi, nella misura in cui mette a disposizione dati e strategie per la pianificazione e per i relativi interventi. Sullo sfondo di questi compiti, l economia della formazione ha un campo d indagine al cui centro vi è il sistema formativo e che si vede delimitato da quattro prospettive, identificabili nell individuo. nell azienda, nello Stato e, infine come una delle istanze regolatrici, nel mercato. L economia della formazione moderna ha concentrato, a partire dalla sua nascita negli anni 60 del secolo scorso, la sua attenzione su due aspetti: in primo luogo, il sapere in quanto fattore produttivo che con l introduzione del concetto di capitale umano (CU) viene strettamente legato alla persona, in secondo luogo il sapere come bene d investimento che viene 1 Cfr. [ ] 7
9 così di per sé considerato alla stregua di qualsiasi altro bene e sottoposto ai meccanismi e alle logiche del mercato. Ma che la conoscenza sia difficilmente equiparabile ad una qualsiasi altra merce è evidenza difficilmente contestabile, il che mostra di primo acchito certi limiti della sua economizzazione, sviluppata nel paradigma classico dell economia della formazione attraverso la cosiddetta teoria del capitale umano. D altro canto l esigenza di andare oltre il paradigma classico si sta profilando anche grazie alle nuove concezioni della sociologia delle organizzazioni, dell apprendimento dei sistemi e dell innovazione che in parte già confluiscono sul cosiddetto knowledge management e che guardano economicamente al CU come una dimensione endogena del processo produttivo, vale a dire una dimensione di integrazione di fattori legati non solo alla persona, ma anche alle tecnologie e alle competenze dell organizzazione stessa. Le complesse condizioni della produzione e dell organizzazione aziendale, finora trascurate dall economia della formazione, possono così entrare in gioco, rendendo opportuna una ridefinizione del CU sullo sfondo, tra l altro, delle capacità dei sistemi di generare competenze e incrementare il potenziale produttivo. Se inquadriamo il problema nell ottica della competitività, cruciale per le aziende, allora constatiamo come si è fatta strada una visione che mette in gioco in modo sistematico le risorse interne dell impresa e più in generale delle organizzazioni. Essere competitivi è ormai solo possibile se, come detto in entrata, si dispone di competenze appropriate e se si gestiscono meglio della concorrenza. Un primo passo in questa direzione il mondo aziendale lo ha fatto accostando alla classica gestione delle risorse mane il cosiddetto knowledge management che, in buona parte, fa propri i dettami delle teorie del CU. Di recente si attira anche l attenzione sul fatto che l economia sia knowledge driven, quindi pilotabile e pilotata da e verso la conoscenza. Ci si rende però conto che un organizzazione e quindi anche qualsiasi azienda dispone di risorse che attengono alla sua cultura, al suo funzionamento interno, risorse che non sono statiche, ma che evolvono, crescono e possono essere decisive per la dinamicità aziendale. Riassumendo: l organizzazione apprende e rappresenta una sorta di capitale con le sue specificità, in particolare quelle di essere intangibile e dinamico. Di conseguenza al CU, sovente chiamato anche capitale intellettuale, si affianca il capitale organizzativo, dando forma, nella nostra concezione al capitale di competenze. Siamo pertanto convinti che per ogni organizzazione, piccola o grande che sia, vi sia un esigenza di gestione delle competenze, intendendo con ciò non solo le conoscenze incorporate nelle persone, ma l insieme del capitale conoscitivo e organizzativo. La gestione aziendale delle competenze in generale Andiamo ora oltre queste considerazioni di carattere teorico. GECO ci ha permesso di constatare, in parte a conferma di dati già disponibili nel merito, che in effetti le aziende, pur essendo molto eterogenee nei loro atteggiamenti individuali, stanno prendendo coscienza dell importanza del capitale di competenze ed iniziano ad incrementare la loro attenzione per la sua gestione, non da ultimo investendo di più nella formazione. Ciò comporta anche l apparizione di nuove funzioni che vengono in parte incorporate in ruoli già esistenti, come ad es. quello del responsabile delle risorse umane oppure del responsabile della formazione, ma che stanno dando adito pure alla configurazione di ruoli nuovi come quello di assistente di formazione, oppure di responsabile dell innovazione. Essenziale è sottolineare come questi processi non siano circoscrivibili alle grandi aziende, ma che toccano direttamente anche le PMI. L analisi dei risultati del nostro progetto ci porta a sintetizzare il contesto aziendale con tre parole chiave: incertezza, movimento, creatività. Le imprese sembrano dunque chiaramente
10 percepire l importanza delle competenze e del loro management per l insieme dei processi aziendali e quali risorse interne per poter competere sul mercato, ma l incertezza resta predominante. Ne è testimonianza la notevole varietà degli atteggiamenti e delle soluzioni adottati, difficilmente riconducibili ad un quadro concettuale coerente, ad orientamenti e ad indirizzi strategici chiari, trasparenti e fondati su esperienze condivise. Così le tecniche aziendali di gestione osservabili esprimono piuttosto un procedere per tentativi ed errori, alla ricerca di strade che possano dare risultati efficaci e siano nel contempo finanziariamente redditizie. Tutto ciò è segno, almeno per una buona parte delle aziende, di una certa consapevolezza sia per il ruolo strategico delle competenze sia per l assunzione di responsabilità dirigenziali nella loro gestione. Molte di esse assumono l iniziativa, affrontano le nuove sfide del competence management e cercano soluzioni proprie. Questo è il movimento che caratterizza il mondo aziendale e che denota una certa creatività. Non si tratta già più di un movimento casuale, anarchico, privo d indirizzi, ma di un movimento che si fonda sulle pietre miliari tradizionali dell azienda, vale a dire su quella razionalità economica che costituisce la logica dell agire imprenditoriale e che, quasi istintivamente, guida le scelte nella ricerca di soluzioni. Così anche la creatività a cui si allude rientra in questa logica. Ma così come ogni procedere a tastoni non può protrarsi ad oltranza, anche la situazione attuale delle imprese in rapporto alle questioni del competence management deve poter trovare degli sbocchi rassicuranti, in ogni modo tali da ridurre i rischi organizzativi e finanziari al minimo consentito e calcolabile dell iniziativa aziendale. Per quanto ci concerne tracciamo tre piste di lavoro che ci sembrano essere appropriate per definire una strategia come pure per mettere in atto misure operative concrete. 1 Valorizzazione del capitale organizzativo È evidente la difficoltà a concepire il capitale di competenze come un capitale che va oltre le competenze legate alle persone per coinvolgere tutti quegli aspetti di conoscenza, di capacità e di cultura che sono fondamentali per l azienda e che hanno carattere organizzativo e sistemico. D altronde queste competenze, pur essendo in buona parte implicite, hanno una loro dinamica che magari non necessita nemmeno di interventi di gestione particolarmente sviluppati. Ciò che però ci pare essenziale e che vengano utilizzate e inserite in una strategia aziendale. A questo scopo possono essere utili non solo un confronto con le aziende e all interno delle aziende, ma soprattutto lo sviluppo e la messa a disposizione di strumenti atti a capire e gestire attivamente l entità e la funzionalità del capitale organizzativo in particolare e del capitale di competenze in generale. 2 Sviluppo di ruoli e strutture istituzionali appropriate La gestione delle competenze comporta nuovi processi, nuove responsabilità e nuovi ruoli da integrare nella dinamica aziendale. Tutto ciò non è possibile senza investimenti e senza adattamenti dell organizzazione e anche della cultura aziendale stessa. Si tratta dunque di delineare dei profili atti a chiarire il campo d azione professionale di queste nuove figure che possono costituirsi ex-novo, ma che possono evidentemente anche essere l emanazione di figure già esistenti. Analogamente occorre tracciare strategie organizzative appropriate e, soprattutto per le PMI, possibilità di partenariati e reti di collaborazione tra le aziende stesse e con istituzioni che dispongono di risorse specialistiche. 9
11 3 Sviluppo di una cultura dell apprendimento delle competenze Ciò che si sta lentamente delineando, a fronte dei fenomeni di trasformazione della società attinenti al sapere, al suo apprendimento e alla sua utilizzazione, è una cultura dell apprendimento delle competenze in azienda, apprendimento in un contesto di utilizzazione attiva e di continua verifica da parte della produzione in linea come del mercato. Per fornire un contributo a questo sviluppo, un esplorazione approfondita di quanto avviene nelle PMI con strumenti di indagine appropriati ci pare essere una conditio sine qua non sia per le aziende stesse sia per le istituzioni, come lo IUFFP, che lavorano sistematicamente su questi temi. Formazione e gestione delle competenze nelle aziende ticinesi L economia ticinese non può non prendere atto di uno stato di difficoltà che si protrae nel tempo e che in buona parte ha carattere strutturale. Dal confronto con la realtà nazionale svizzera, messo a fuoco per gli ultimi decenni, appare una relativa debolezza, di per sé forse non di elevata gravità, ma costante e continua. Il fatto stesso che la spina dorsale dell economia regionale sia costituito da microaziende con pochi dipendenti e quindi con margini di manovra per gli investimenti assai limitati, costituisce un problema strutturale di non poco conto. L intensificazione del lavoro part-time non facilita dal canto suo il compito alle aziende che in generale si vedono confrontate con problemi di gestione in aumento che non sempre vengono compensati dai vantaggi che ne derivano. Lo spostamento verso un economia dei servizi è un ulteriore caratteristica che si va profilando ormai da qualche decennio. Se il terziario è senza dubbio latore di un attività economica profilata e consistente, va pur sottolineato come esso possa essere all origine di forti squilibri e di insicurezza, soprattutto quando ad essere determinante è un settore finanziario alimentato dal movimento internazionale dei capitali. In questo senso anche il frontalierato, pur essendo fonte di vantaggi non indifferenti, costituisce una reale tentazione a percorrere la via più facile e strutturalmente meno consistente per accedere alla manodopera. Il fatto, e ci sentiamo ormai legittimati a parlare di un fatto e non di un semplice segnale, il fatto dunque che dal nostro punto di vista suscita maggiore perplessità è legato alla scarsa importanza che ancora l economia ticinese attribuisce al capitale di competenze nei suoi molteplici aspetti. L intensità con cui ci si occupa della formazione, della gestione delle conoscenze e delle competenze in azienda resta ancora molto tenue, soprattutto se vista al confronto con la realtà nazionale e, parzialmente, anche con quella della vicina Lombardia. Ciò è ancor più problematico visto che il profilo identitario dell economia ticinese, così come si sta delineando, è imperniato su aziende con un tasso di conoscenze e di tecnologia abbastanza elevato. Il che significa che il capitale di competenze gioca un ruolo determinante o che in ogni modo per lo sviluppo futuro sta diventando una carta decisiva. Come abbiamo visto, la questione del capitale di competenze è ben lungi dal concernere solo la formazione. Essenziali stanno diventando il modo e la sistematicità con cui le aziende si preoccupano di creare competenze, di valorizzarle e di farne un elemento di innovazione continua, quale risorsa interna per poter competere sul mercato. La propensione all internazionalizzazio ne del mercato e quindi ad un orientamento verso l esportazione non fa che supportare la rilevanza del capitale di competenze per l economia regionale. Quanto detto non significa tuttavia che nella realtà aziendale ticinese non vi sia un potenziale di idee e di innovazione, si tratta piuttosto di riuscire circoscriverle per poi favorirne la valorizzazione e il potenziamento. Del resto la politica governativa sembra aver chiaramente avvertito il problema quando, nelle Linee direttive afferma che la qualità della formazi- 10
12 one, il sostegno alla ricerca, all innovazione e alla diffusione del sapere, sono la base per poter costruire un tessuto economico e sociale solido, in grado di confrontarsi con mercati più aperti e capace di essere attrattivo a livello internazionale per richiamare nuove attività e considera la formazione, la ricerca scientifica e l innovazione fra le aree di intervento prioritario (p. 10). Con la prospettiva programmatica appena tracciata, cerchiamo di mettere a fuoco alcune questioni meritevoli di attenzione in ordine sia all approfondimento analitico sia alla definizione di priorità operative. 1. Le informazioni e i dati disponibili sullo stato dell economia ticinese, relativamente al significato e al ruolo del capitale umano e di competenze come pure nel merito del rapporto tra struttura delle qualifiche prodotte dal sistema formativo e struttura occupazionale non sono ancora sufficienti per procedere ad analisi mirate e precise, atte a supportare decisioni inerenti a strategie e a misure di politica economica e in particolare di politica formativa per il settore professionale. Ci pare perciò opportuno procedere al rilevamento di indicatori significativi per l economia della formazione e alla realizzazione di studi specifici soprattutto per i settori con un potenziale evolutivo, per la relazione tra struttura delle qualifiche e struttura occupazionale e per la redditività degli investimenti della formazione e nel management delle competenze in azienda. 2. L economia regionale ticinese è dominata dalla preponderanza di microaziende le cui risorse per poter essere competitive sul mercato sono limitate. Come afferma Bianchi: disporre di un prodotto di valore non è sufficiente: bisogna saperlo innovare, venderlo e gestire i vari flussi che intercorrono tra l azienda e il mercato. Purtroppo una piccola e media azienda (sotto i 50 addetti) ben difficilmente è in grado di assolvere tutti i compiti necessari per mantenere inalterata la competitività nel tempo. (Bianchi 2007, 17) A questo problema probabilmente si può far fronte solo con delle aggregazioni di aziende, dei partenariati che assumano funzioni attinenti alla gestione del CU, alla ricerca e allo sviluppo, al marketing e alla gestione del commercio internazionale. D altra parte l economia ticinese sembra disporre di buone carte da giocare nel settore High Tech e ad alta densità conoscitiva, cosicché l attenzione dovrebbe concentrarsi sul capitale umano altamente qualificato. 3. Non si può dunque non attirare l attenzione sulla ancora scarsa o insufficiente attenzione delle aziende per gli aspetti attinenti al CU, sia che si tratti delle competenze specifiche dell azienda e della loro valorizzazione sistematica, sia che si tratti della formazione di base e continua. Presumibilmente occorre una sensibilizzazione del mondo imprenditoriale affinché investa maggiormente nelle relative attività. Sappiamo che la formazione può essere redditizia e che in generale investimenti del genere producono un return. Si tratta di un compito che può essere assunto prioritariamente dalle organizzazioni del mondo del lavoro, ma che può costituire anche un obiettivo per la politica economica. 4. Attiriamo poi l attenzione sull aspetto che ci interessa in modo particolare: la politica formativa, specificamente quella attinente alla formazione professionale. Fermo restando il principio di un sistema formativo aperto e libero da vincoli, soprattutto di dipendenza dal settore economico, ci pare indispensabile pensare ad una politica formativa del settore post-obbligatorio e superiore che sia maggiormente attenta alle potenzialità e alle prospettive dell economia e della società ticinese nel suo insieme. Ciò potrebbe significare che ad es. si concentrino gli sforzi attinenti alla formazione professionale di base e continua proprio su quei settori che dispongono di un potenziale di sviluppo significativo e che hanno un alto tasso tecnologico e conoscitivo. Inoltre, occorre cercare di adattare l offerta formativa alle presumibili esigenze proprio di questi settori che sono confrontati con esigenze di gestione del CU particolarmente intense. 11
13 5. Lo sviluppo di un offerta formativa specifica per un profilo professionale di rispondere ai complessi compiti del competence management e in grado di considerare non solo le differenti dimensioni dell azienda (processi principali e secondari con i relativi saperi impliciti, espliciti, organizzativi, ecc.), ma anche realtà strutturali dell economia su scala regionale, potrebbe essere una carta vincente per la formazione continua e per le aziende. Un master of advanced studies (MAS), concepito e realizzato nell ambito di una partnership degli istituti accademici regionali (EHB, SUPSI e USI), potrebbe trovare il supporto delle organizzazioni di categoria e rispondere in modo mirato alle esigenze delle aziende in generale, ma soprattutto di quelle piccole e medie. 6. Alla realtà aziendale andrebbe infine dedicata un attenzione particolare. Si tratta, tenendo conto di quanto già esplorato dalle inchieste sulle competenze, di gettare uno sguardo ravvicinato sulle pratiche e sulla cultura della gestione delle competenze e dell apprendimento delle PMI. Uno studio per capire abitudini, risorse, know how, carenze, disponibilità e consapevolezza per l importanza del capitale umano e intellettuale dell azienda, ci pare una conditio sine qua non per poi poter supportare le misure sia di politica formativa sia di politica economico-industriale. 12
14 Capitolo 1 Gianni Ghisla Economia della formazione: appunti introduttivi 1 Origini ed evoluzione dell economia della formazione Il contributo dell economia classica L economia della formazione nella versione moderna La teoria del capitale umano Il campo d analisi dell economia della formazione Excursus: informazione, conoscenza, competenze e capitale umano Capitale umano: un bene speciale Excursus II: I mutamenti strutturali dell economia Terziarizzazione Mobilità Nuova organizzazione del lavoro Individuo Azienda Stato Mercato Conclusione: la conoscenza è un bene speciale Bibliografia
15 Figure Fig. 1: Campo d indagine dell economia della formazione Fig. 2. Dal segno alla competenza Fig. 3: % occupati secondo il settore e la professione esercitata Fig. 4: % occupati secondo la classifica ISCO, , CH Fig. 5: Spese formazione professionale di base CH in % pubblico e privato Fig. 6: Spese formazione professionale di base in % spesa scolastica CH Fig. 7: Spese formazione prof. di base in % spesa scolastica secondo le grandi regioni CH, 2004 (Fonte: UFS) Tabelle Tab. 1: I saperi esplicito/implicito e dichiarativo/procedurale Tab. 2: Mobilità professionale degli occupati di anni secondo il livello di aggregazione professionale in %, Tab. 3: Partecipazione ad attività formative non formali in funzione della formazione acquisita, in % della popolazione residente di anni Tab. 4: Rendita formativa secondo il livello di formazione Tab. 5: Rendita formativa secondo il livello di formazione e le regioni svizzere Tab. 6: Tassi di occupazione secondo il livello formativo, in % dei 25-64enni, Tab. 7: Tassi di disoccupazione secondo il livello formativo, in % dei 25-64enni, Tab. 8: Spesa per la formazione in % del PIL, Tab. 9: Spesa CH per la formazione professionale in % del PIL, Tab. 10: Tasso di rendita statale in % per una persona che dispone di un certificato a livello di secondario 2 o di postsecondario non terziario Tab. 11: Rendite formative in % in Svizzera 2003, uomini, secondo il livello formativo
16 1 Origini ed evoluzione dell economia della formazione 1 Le questioni attinenti alla gestione delle competenze in azienda, al centro del progetto GECO, vanno per molti aspetti collocate nell alveo dell economia della formazione, ossia della disciplina che, in termini generali, affronta il ruolo della formazione e del cosiddetto capitale umano (CU) per la produttività economica in primis, ma anche sociale e culturale. Così l interesse volge necessariamente anche verso la ridefinizione del complesso rapporto tra sistema economico e sistema formativo, tra scuola e mondo del lavoro, una ridefinizione da annoverare fra le sfide decisive della società moderna. In gioco non vi è solo la relazione tra lavoro e apprendimento, quindi l importanza che il lavoro può assumere per l apprendimento e viceversa, ma più in generale la dinamica culturale che coinvolge lavoro e formazione, il sapere e la conoscenza da un lato e la creazione di ricchezza e l evoluzione sociale e culturale dall altro lato. Entrambi i sistemi si trovano in un processo di radicale e profonda trasformazione, quello produttivo in maniera più che manifesta, quello formativo in modo meno appariscente, essendo la scuola in generale un istituzione piuttosto restia ai cambiamenti. Vale la pena di chiedersi quali siano i fenomeni catalizzatori di questi cambiamenti, tali da provocare la messa in discussione e il radicale rinnovamento delle identità dei sistemi sociali e delle strutture che li determinano. Nell intento di catturare e rendere plausibili questi fenomeni, gli osservatori della società, sociologi, economisti, storici, ecc., hanno introdotto nuove categorie e parlano di società dell informazione, società della conoscenza oppure, in un ottica prettamente economica, di società del terziario e dei servizi oppure ancora di un passaggio dal sistema industriale fordista (e taylorista) ad un sistema postfordista, termine che tradisce, al pari della categoria sociologica della postmodernità, l indeterminatezza e l incertezza delle nuove realtà sociali ed economiche. Su un idea, di per sé nemmeno tanto nuova, pare tuttavia esserci un consenso, e cioè che la conoscenza e il sapere siano ormai diventati il motore della società e ciò anche con riferimento al lavoro e alla produzione della ricchezza. Come suggerisce Rullani, è la mente umana, almeno in potenza, la risorsa produttiva primaria, l accesso alle facoltà della mente l immaginare, il desiderare, il progettare, il riconoscersi a consentire la generazione di valore economico e di vantaggi competitivi (Rullani, 2004, 42), il che incrementa il significato del lavoro intellettuale e di tutti quei sistemi sociali e quelle tecnologie che creano, trasformano, veicolano e rendono accessibile il sapere. Nell ambito scientifico, delle complesse interdipendenze tra sistema economico e sistema formativo si occupano diverse discipline, in particolare economia, pedagogia, sociologia e storia; anche all interno delle stesse discipline si osserva un elevata eterogeneità nella scelta dei punti nodali da analizzare rispetto alle nuove interrelazioni tra formazione e sistema produttivo e negli approcci teorici utilizzati a tal fine. Tra quelli che maggiormente si rifanno a teorie e riflessioni di carattere economico assume un importanza primaria l economia della formazione, la quale, in tempi recenti, ha ritrovato un ruolo di primo piano. Scrivere di economia della formazione per catturare strumenti di migliore comprensione delle profonde trasformazioni appena sommariamente delineate, esige ad ogni modo dei chiarimenti. Al di fuori di un contesto scientifico infatti, il senso stesso dell accostamento di economia e formazione non risulta verosimilmente immediato: se l economia viene di solito identificata piuttosto con il lavoro, il danaro e tutto quanto è di mera utilità, la formazione, invece, è associata prevalentemente alla cultura, al diletto ed in definitiva a tutto quanto è ricollegabile con una visione umanistica dell esistenza. D altra parte è però altrettanto verosimile che vi sia tra le due realtà una particolare attrazione. Per chiarire che cosa si intenda per economia della formazione 1 Questo capitolo è l adattamento di un saggio già pubblicato dall autore (Ghisla, 2008). 15
17 e più specificamente di economia della formazione professionale, rivolgiamo un breve e selettivo sguardo alla storia 2. Con questo intento non ci si propone unicamente di fornire elementi di ricostruzione e comprensione storiografica, ma di favorire una storicizzazione dell economia della formazione e dei fenomeni da essa analizzati. Come dire che, per evitare derive di stampo scientistico e positivista, l economia della formazione, come qualsiasi disciplina, andrebbe vista criticamente quale espressione della sua epoca e come tale, assieme ai suoi approcci metodologici, contestualizzata e relativizzata. I riferimenti storici ci permetteranno di procedere ad un tentativo di delimitazione dell oggetto e quindi in un qualche modo anche dell identità epistemologica dell economia della formazione in quanto disciplina, sempre cercando di intessere il discorso con un filo derivante dalla realtà della società attuale, fortemente condizionata non solo dai mutamenti strutturali dell economia, ma in particolare anche dalle trasformazioni della conoscenza e della sua utilizzazione. La messa a fuoco del campo di analisi e di ricerca della disciplina avverrà sulla scorta di una serie di dati empirici che, oltre ad illustrare ed esemplificare il discorso, forniranno, nel limite del possibile, elementi di confronto tra la Svizzera e l Italia e anche i paesi dell OCSE, e facendo riferimento ai diversi contributi pubblicati in questo volume. 2 Il contributo dell economia classica Le radici dell economia della formazione vanno cercate nei classici del pensiero economico 3 che ne hanno sviluppato i primi elementi a partire dal 700. In seguito il rapporto tra economia 2 Per una ricostruzione del percorso storico dell economia della formazione si vedano Immel, 1994; Zacher, Per una presentazione sintetica della teoria, dei problemi e dei contenuti si vedano Grin, 2005; Timmermann, 2002; Weiss & Timmermann, 2004; S. Wolter, Il pensiero economico moderno, che fa seguito al mercantilismo e alla fisiocrazia seicenteschi e settecenteschi, viene di regola suddiviso a grandi linee nei due periodi classico e neoclassico. La teoria economica classica, concepita prevalentemente in termini di economia politica, si rifà soprattutto ai lavori di Adam Smith, David Ricardo, ma anche Karl Marx e John S. Mill. L interesse predominante del pensiero classico è rivolto alla produzione e all offerta delle merci. Particolarmente interessante è la teoria del valore: un bene, scambiato sul mercato, deriva il suo valore oggettivo dal lavoro necessario per produrlo ed è definibile in termini cardinali. Alla base dell economia neoclassica invece vi è uno spostamento dalla produzione verso il consumo, dal valore oggettivo verso quello soggettivo, determinato dall utilità di un bene e dalla domanda dello stesso sul mercato. Questa concezione del valore, peraltro non nuova, considera i due criteri dell utilità e della rarità di un bene. Il valore di un bene dipende dunque dal grado di utilità e di disponibilità ed è un valore ordinale o marginale: più un bene è utile e meno è disponibile, maggiore sarà il suo valore. Benché questo meccanismo fosse come detto già ben noto, diventa paradigma determinante con gli studi svolti nella seconda metà dell 800, in contemporanea dall inglese William Jevons, dall austriaco Carl Menger e dallo svizzero Leon Walras. Considerando la distinzione tra valore d uso e valore di scambio, l incremento del primo stabilisce il livello del secondo. L abbondanza di cioccolata ne fa diminuire il valore: in termini formali, l ultima cioccolata disponibile determina il valore di scambio del cioccolato sul mercato, a parità di consumo o utilizzo degli altri beni (ceteris paribus). Questa teoria del valore viene applicata anche ai fattori produttivi, introducendo il concetto di produttività marginale e equiparando l atteggiamento del consumatore con quello dell imprenditore. E facilmente intuibile come la teoria del valore sia importante per la formazione, nel senso che alla conoscenza va pure in un qualche modo assegnato un valore specifico. In un altra ottica, per la formazione e la conoscenza ha un importanza rilevante anche la teoria della produzione e della crescita. L economia neoclassica spiega la produzione e la crescita con riferimento ai fattori terra, capitale e lavoro. In realtà l evoluzione delle economie moderne mostra come questi fattori non siano sufficienti e occorra fare riferimento ad ulteriori fattori come appunto la conoscenza e l innovazione tecnologica. Da un punto di vista epistemologico, diversi sono gli assunti che contraddistinguono il paradigma neoclassico (cfr. Hofmann, 19712, 120 e 180 sgg). Il primo assunto attiene all equiparazione delle leggi economiche alle leggi fisiche. Ne consegue un analoga formalizzazione con gli strumenti analitici della matematica e l attribuzione di 16
18 e formazione ed economia e conoscenza è passato a lungo in secondo piano per riemergere con prepotenza negli anni 50 e 60 del secolo scorso. A questa prima rinascita ha fatto seguito di nuovo una fase di parziale eclissi, da cui l economia della formazione sta riapparendo con decisione ormai da una decina d anni. È già nel periodo cosiddetto mercantilista del 600 che il ragionare a margine del ruolo della formazione 4 per l economia e l industria, e più in generale dell utilità dell educazione per la società, si fa strada con un attenzione marcata tanto per l ottica del singolo individuo quanto per quella sociale e collettiva. I primi tentativi di quantificazione di quello che sarebbe poi diventato il capitale umano (CU) di un economia vengono attribuiti a William Petty ( ) che, per ragioni contabili, iniziò a stimare il valore monetario dell uomo tenendo conto del salario, della durata media di conseguimento del salario e del tasso d interesse di mercato. Ma è con gli economisti classici che la questione comincia a godere di un interesse più sistematico. Adam Smith ( ) inizia a leggere l educazione in ottica strettamente economica, attribuendo al grado di preparazione (formazione) del lavoratore un ruolo nella determinazione del valore di un prodotto. Sarebbe invero la destrezza del lavoratore (Smith, 1975 [1776], 83 sg.) a permettere in primis l incremento della quantità di una merce prodotta in un sistema di produzione basato sulla divisione del lavoro e sulla specializzazione. L abilità del lavoratore può essere vista in analogia ad una macchina che è in grado di ridurre il tempo di lavoro per produrre una merce o migliorarne la qualità. In questo modo comincia a farsi strada anche l idea che la formazione possa avere carattere d investimento e, al tempo stesso, l idea che fra grado di qualifica e salario ci sia una relazione. È questa l origine dell ipotesi che attribuisce alla formazione un ruolo produttivo 5. Smith, oltre che ragionare attorno alla relazione tra il grado di istruzione dei lavoratori e la possibilità di innovare tecnologicamente il processo produttivo, attribuisce all educazione un valore sociale quale misura e deterrente contro la criminalità e in favore degli equilibri sociali. Assume in altri termini quello che con una dizione moderna viene definito come un impatto esterno (esternalità) rispetto alla produzione. Una posizione analoga la difende Jeremy Bentham ( ), quando sostiene che un investimento pubblico nell educazione verrebbe compensato dai risparmi dello Stato in particolare nel settore delle pene detentive. L analisi del valore della formazione, svolta attraverso il confronto del prodotto ottenuto dal lavoro di due lavoratori con formazione diversa, induce anche Heinrich von Thünen (1783- un valore di oggettività nel senso positivista ai risultati della scienza economica. Non a caso buona parte degli economisti neoclassici erano matematici o disponevano di una formazione nelle scienze naturali. Il secondo sta nell applicazione della logica individuale alla logica collettiva, dall economia definita sulla base degli atteggiamenti supposti nell individuo (la metafora utilizzata è quella di Robinson), si generalizza all economia della società. Questa logica presuppone che l individuo si comporti in modo razionale, ad es. nella scelta delle risorse disponili, così da poter ottenere l utile massimo. Di conseguenza la somma delle scelte razionali, guidata dal mercato, produce anche il massimo dell utilità comune e induce al principio del laissez-faire. Questo assunto è alla base della razionalità economica, definita anche come razionalità strumentale, legata appunto all ottimizzazione del rapporto mezzi-fini e costi-benefici. Il cosiddetto homo economicus sintetizza questa visione dell essere umano. 4 La nozioni di formazione e di educazione comportano sempre un doppio significato in quanto si riferiscono sia al processo formativo sia al risultato di tale processo. Quale dei due significati sia prevalente dipende dal contesto del discorso, fermo restando che nell ottica dell economia della formazione è piuttosto il risultato ad essere preso in considerazione. 5 Jedoch erkennt Smith Arbeit nur dann als produktiv an, wenn sie materielle Güter schafft. Da geistige Arbeit wie die des Lehrers oder Wissenschaftlers keine marktfähige Produkte hervorbringt, ist sie unproduktiv, ein ökonomischer Beitrag zum Volkswohlstand somit nicht gegeben. (Zacher, 2005, 45). 17
19 1850) ad annoverare le capacità umane tra il capitale produttivo di una nazione e a confermare l esistenza di una relazione tra formazione e produttività da un lato e formazione e salario dall altro lato. Von Thünen spezza pure una lancia in favore della considerazione del valore delle capacità umane quale capitale di un economia, cercando così di superare le diffuse riserve morali esistenti al riguardo già all epoca. In quanto CU la formazione tende quindi a venir concepita economicamente come una forma di capitale a sé stante e quindi ad assumere l entità di una merce scambiabile sul mercato. Resta qui tuttavia ancora ferma l idea dei classici secondo cui il valore di una merce viene determinato dal valore dei diversi capitali utilizzati per produrla. Una nota critica sul ruolo economico del CU la apporta dapprima John Stuart Mill ( ), proprio con riferimento alla problematicità di equiparare la formazione ad una merce, quando sottolinea i limiti del mercato in materia di educazione, poiché l istruzione sarebbe una merce non in grado di rispondere alle condizioni necessarie per un mercato che funziona secondo le regole della concorrenza 6 e dovrebbe pertanto essere una delle necessarie deroghe al laissez-faire cui si richiamava come principio generale (cfr. Besomi, 2001, 20). Alfred Marshall ( ), uno degli economisti che più hanno condizionato l evoluzione del pensiero economico nel 900, assume poi un atteggiamento marcatamente critico nei confronti del concetto di CU, considerandolo irrealistico e preferendo l idea secondo cui il valore monetario e contabile dell uomo si definisce attraverso ciò che consuma, vale a dire le spese necessarie per la sua esistenza, formazione compresa. Così, se gli economisti classici avevano iniziato ad intessere teoricamente la relazione tra economia e formazione sulla base di una visione della formazione come fattore produttivo, come capitale a sé stante e come oggetto di investimento, di seguito l interesse si attenuò a favore di una concezione della formazione vista esclusivamente come bene di consumo. 3 L economia della formazione nella versione moderna Una certa attenzione degli economisti per l importanza della formazione ha continuato a mantenersi 7, ma l interesse torna a ravvivarsi come detto negli anni 50 del secolo scorso. Il boom economico del dopoguerra nei paesi occidentali ne è una delle cause principali e, in particolare nel contesto delle teorie della crescita, porta ad un intensificazione della riflessione teorica. Di fronte alla difficoltà di ricondurre compiutamente la crescita economica ai fattori produttivi classici (capitale, lavoro), la teoria neoclassica individua un fattore per così dire residuale, dapprima nell innovazione tecnologica e poi, con l aggiunta della conoscenza intesa in senso lato, del CU. Detto in altri termini: gli economisti constatano statisticamente che l incremento del 6 Il consumatore ad esempio non può fare una scelta consapevole, non conoscendo tutte le caratteristiche della merce. 7 Così ad es. l economista inglese Pigou: There is such a thing as investment in human capital as well as investment in material capital. So soon as this is recognised, the distinction between economy in consumption and economy in investment becomes blurred. For, up to a point, consumption is investment in personal productive capacity. This is specially important in connection with children: to reduce unduly expenditure on their consumption may greatly lower their efficiency in after-life. Even for adults, after we have descended a certain distance along the scale of wealth, so that we are beyond the region of luxuries and unnecessary comforts, a check to personal consumption is also a check to investment (Pigou, 1928, A Study in Public Finance, Macmillan, London, p. 29). Inoltre va ricordato che già Josef Schumpeter ( ) ha concepito la teoria dello sviluppo economico attribuendo all innovazione il ruolo determinante per capire l evoluzione del capitalismo moderno. 18
20 prodotto di una nazione non è spiegabile solo con il valore dei fattori produttivi utilizzati. La somma delle risorse, in termini di forza lavoro (costo della manodopera) e dei fattori materiali (materie prime, energia, macchinari, terra, ecc.), è decisamente inferiore al valore del prodotto realizzato, il che rende plausibile l esistenza di un fattore residuale. Il ruolo dell innovazione, soprattutto tecnologica, assurge a manifesta importanza, affiancando gli altri fattori produttivi, verso la fine degli anni 50, quando nel dibattito appare una componente dalle forti connotazioni politiche che mette in gioco lo status e il grado di potenza delle nazioni nel concerto internazionale. Nel clima esasperato di guerra fredda, la rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica legittima ulteriormente il fattore tecnologico: ne è ragione immediata il ben noto Sputnik shock che nel 1957 alimentò una sorta di panico nazionale negli Stati Uniti, provocato dal gap tecnologico emerso nei confronti dei Russi, primi a mettere una navicella in orbita attorno alla terra. Questo evento più o meno traumatico diventò motivo per rilanciare, attraverso forti investimenti nella formazione, le sorti di una nazione che, considerandosi vessillifera del mondo libero, non poteva concedersi una posizione di subalternità nei confronti della Unione Sovietica. In questo modo non viene riaccreditata solo l idea degli economisti classici, secondo cui un elevata istruzione può favorire la produttività sia individuale sia del sistema economico nel suo insieme, ma si rafforza anche la convinzione di un importanza generale della formazione in relazione al ruolo che una nazione può avere nel gioco delle forze internazionali. Il discorso dell economia della formazione acquisisce anche un significato socio-politico e macroeconomico e motiva lo Stato ad assumere un ruolo particolarmente attivo e ad investire nella formazione con aspettative parecchio elevate: oltre al miglioramento delle capacità tecnologiche, un incremento della produttività, il rafforzamento del prestigio, anche un effetto ridistributivo della spesa pubblica effettuata nella scuola. Qualche anno più tardi, qualcosa di analogo succederà in Germania dove un analisi svolta da Georg Picht porterà a parlare di una Bildungskatastrophe (Picht, 1964), di una catastrofe della formazione e del suo impatto sull economia e sulla società tedesca, mettendo in moto anche in Europa processi analoghi a quelli osservati negli Stati Uniti. Tutto ciò non fa che alimentare il ruolo che l economia della formazione comincia ad avere per le politiche formative e per la pianificazione della formazione di un sistema formativo che nei decenni a venire dovrà far fronte ad una massa di studenti letteralmente impressionante. Decisivo è per l evoluzione del discorso teorico e politico anche l impegno, sin dall inizio degli anni 60, delle organizzazioni internazionali, prime fra tutte l OCSE per i paesi occidentali, e la banca mondiale per i paesi in via di sviluppo. Queste organizzazioni forniscono al tempo stesso legittimazione e imponenti risorse per gli studi empirici sul ruolo della formazione, in particolare per la crescita economica (cfr. Weiss & Timmermann, 2004, 241 sg). Questo è il clima propizio a quegli economisti le cui intuizioni gravitano attorno al rapporto tra formazione e sistema produttivo e tra formazione e crescita economica. Sul primo aspetto si profilano gli appartenenti alla scuola di Chicago. Il capofila di questa scuola è Theodore W. Schulz ( ) che assieme a Gary Becker (1930*) verrà in seguito insignito del premio Nobel. Con il suo testo Investment in Human Capital (1961), egli getta le basi della disciplina che, quale parte della corrente economica dominante, la teoria neoclassica, a pieno titolo potrà chiamarsi economia della formazione e il cui nucleo concettuale sarà rappresentato dalla teoria del CU. Gli assunti fondamentali della teoria del CU sono strettamente legati all analisi 19
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