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1 Introduzione di Alberto Brugnoli Tornare alla crescita. Questo è il monito lanciato dal governatore della Banca d Italia nelle sue prime Considerazioni finali e poi ribadito con decisione in quelle successive 1. Tornare alla crescita. Questo è l imperativo più volte evocato nel corso degli ultimi anni da economisti, personalità del panorama scientifico, culturale e sociale, politici di diversi schieramenti. Tornare alla crescita. Non perché la crescita sia automaticamente la panacea di ogni male o perché si confidi in meccanici circoli virtuosi centrati su di essa. Tornare alla crescita perché non saranno altrimenti possibili per gli Italiani ulteriori miglioramenti del welfare compatibili con il riequilibrio dei conti pubblici. E perché l Italia, in quanto economia dotata di un rilevante patrimonio di risorse, soprattutto umane, ha un insostituibile responsabilità anche nei confronti dell Europa allargata che si va costituendo. La teoria economica fin dagli anni 50 2 sottolinea come la possibilità di crescita di lungo periodo non sia garantita dalla semplice accumulazione di fattori di produzione. Ciò che nel lungo periodo consente una crescita sostenuta è l aumento della produttività, cioè la capacità di usare in modo sempre più efficiente le risorse a disposizione 3. E, in un mondo caratterizzato da una sempre maggiore concorrenza internazionale, anche la competitività internazionale dipende ultimamente dalla produttività. Un rapido sguardo ai dati consente di cogliere come proprio la produttività sia il fattore cruciale sul quale il sistema Italia deve indirizzare i propri sforzi, se realmente intende tornare a crescere e continuare a competere a livello internazionale. La Tab. 1, elaborata sui 1 Banca d Italia (2006, 2007, 2008). 2 Si veda il contributo pionieristico di Solow (1956). 3 Si definisce produttività il rapporto tra il volume dell output ottenuto dal processo produttivo e il volume dei fattori impiegati. Più precisamente, si può distinguere tra produttività totale, misurata rapportando l output prodotto al complesso degli input impiegati, e produttività parziale, determinata dal rapporto tra quantità di output e ogni singolo fattore utilizzato.

2 XIV INTRODUZIONE Tabella 1 Tasso di crescita della produttività totale dei fattori, media annua (%) Paese Australia 1,7 0,8 Austria 1,0 0,6 Belgio 0,8 1,7 Canada 1,0 0,5 Danimarca 0,2 0,6 Finlandia 2,1 1,6 Francia 1,2 1,0 Germania 1,1 0,9 Giappone 0,9 1,8 Grecia.... Irlanda 4,5 2,4 Italia 0,2 0,5 Nuova Zelanda 0,9 0,3 Olanda 0,4 0,6 Portogallo 1,5 0,2 Regno Unito 1,3 1,4 Spagna 0,1 0,2 Svezia 1,6 1,7 Svizzera 0,5 0,2 Stati Uniti (USA) 1,5 1,7 Fonte: OECD Factbook (2008) dati forniti nel Factbook 2008 dell Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) 4, consente una visione sintetica del fenomeno. Nel periodo l Italia ha registrato una diminuzione media annua della produttività totale dei fattori (tfp) pari allo 0,2%, costituendo con la Spagna caratterizzata anch essa da una cre- 4 Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea del Sud, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, Stati Uniti (USA).

3 INTRODUZIONE XV scita negativa un eccezione tra i Paesi OCSE. In Irlanda, nello stesso periodo, la tfp è aumentata a un tasso medio annuo del 4,5%, in Finlandia del 2,1%, negli Stati Uniti dell 1,5% e nel Regno Unito dell 1,3%. E per l Italia i dati relativi al periodo sono ancora più preoccupanti ( 0,5%, la peggiore performance tra i Paesi OCSE). L esame dell andamento della produttività può considerare differenti aspetti. Un recente contributo di Daveri 5, per esempio, osserva come esso possa celare dinamiche settoriali assai differenziate. L autore suddivide l andamento aggregato della produttività del lavoro in Italia nel 2006 in due componenti: la variazione di produttività riferita ai settori industriali (+1,9%) e quella riferita ai settori dei servizi privati ( 0,2%). Si può quindi osservare che nel 2006 il contenuto tasso di crescita della produttività è stato in gran parte motivato dalla sua stagnazione nel settore dei servizi (in particolare assicurazioni, intermediazione finanziaria e settore dell attività immobiliare). L analisi svolta da Daveri può essere completata riferendosi ai dati Tabella 2 Tasso di crescita settoriale produttività del lavoro in Italia, media annua (%) Settore Agricoltura, silvicoltura e pesca 4,9 6,8 2,4 2,3 Industria in senso stretto 2,1 3,4 0,4 0,9 Costruzioni 0,3 0,5 0,1 0,5 Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 1,4 1,5 1,2 2,3 Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali 2,7 3,5 1,7 2,6 Altre attività di servizi 0,1 0,4 0,8 0,3 Totale 1,4 2,2 0,4 0,5 Fonte: Istat (2007) 5 Daveri (2007).

4 XVI INTRODUZIONE di più lungo periodo presentati nella Tab Essi confermano che la variazione della produttività totale del lavoro è il frutto di dinamiche settoriali alquanto differenziate, tra le quali la performance peggiore in media in Italia negli ultimi 25 anni viene registrata per il settore dei servizi, in particolar modo proprio nei comparti dell intermediazione monetaria e finanziaria e dell attività immobiliare. In una diversa prospettiva di analisi può essere utile considerare l andamento delle componenti della produttività del lavoro: il capitale per ora lavorata e la tfp 7. La Tab. 3 mostra la sostanziale equivalenza di peso delle due componenti negli ultimi 25 anni ( ) e la loro variazione nel tempo. A questo riguardo, si può notare nell ultimo periodo ( ), anche a integrazione di quanto riportato in Tab. 1, un ritorno alla crescita, seppur modesta, della componente tfp, dopo alcuni anni di variazione percentuale negativa, a fronte di una tendenzialmente continua diminuzione della crescita percentuale annua del capitale per unità di lavoro. Tabella 3 Tasso di crescita delle componenti della produttività del lavoro in Italia, media annua (%) Crescita della produttività del lavoro 1,5 2,2 0,4 0,8 0,5 Capitale per ora lavorata 0,7 1,0 0,4 0,5 0,2 Produttività totale dei fattori 0,8 1,2 0,0 1,3 0,3 Fonte: Istat (2007) 6 Va infatti considerato che le variazioni di produttività totale nel breve periodo non possono essere interpretate come variazioni dovute solo al progresso tecnico, in quanto catturano anche quella parte di contributo alla crescita generato da una maggiore o minore intensità di utilizzo dei fattori. Le misure dei volumi di input infatti non incorporano le variazioni dell intensità di utilizzo. Ne segue che durante fasi di espansione la produttività totale è sovrastimata, mentre quella dei singoli fattori è sottostimata (maggiore intensità di utilizzo). Viceversa, durante le fasi di recessione (minor intensità di utilizzo), la produttività totale è sottostimata mentre quella degli input è sovrastimata. 7 Per un approfondimento sul ruolo delle due componenti nel recente passato italiano, si veda il contributo di Saltari e Travaglini (2006).

5 INTRODUZIONE XVII Numerosi sono i contributi che tentano di indagare le cause della deludente performance della produttività in Italia 8. Non interessa in questa sede procedere a una loro rivisitazione puntuale, ma solo segnalare, se ancora occorresse, quanto anche la sempre più vivace letteratura in materia confermi la crucialità della questione per il futuro italiano. La rilevanza del tema motiva il presente lavoro, realizzato allo scopo di analizzare dettagliatamente due decisive leve per la crescita della produttività: l integrazione economica e le liberalizzazioni nel settore dei servizi. Benché altre variabili siano altrettanto importanti, siamo certi che un approfondimento delle due da noi privilegiate, ancora poco investigate, possa portare un significativo contributo a quella che potrebbe essere definita la sfida italiana per la produttività. L integrazione economica è un fenomeno complesso, parte di quell inarrestabile processo conosciuto come globalizzazione. In questa sede, la identificheremo principalmente con l incremento di flussi di commercio e di investimenti diretti esteri (IDE) che ha interessato la scena mondiale negli ultimi decenni. La Tab. 4, tratta dalla pubblicazione dell OCSE sopra citata, evidenzia come la quota del commercio estero in percentuale del prodotto interno lordo (PIL) 9 sia aumentata progressivamente a partire dagli anni 70 nella quasi totalità dei Paesi OCSE. La media OCSE di questo indice di apertura è passata dal 12,7% nel 1970 al 26,3% nel L Italia registra un aumento dell indice dal 15,7% del 1970 al 28,2% del 2006, ponendosi in una posizione intermedia tra alcune grandi economie dell area OCSE, caratterizzate da un tasso di apertura fisiologicamente più basso (soprattutto Stati Uniti e Giappone), e le piccole economie aperte (Lussemburgo, Repubblica Slovacca, Belgio, Ungheria, Irlanda, Repubblica Ceca, Olanda, Austria, Danimarca), caratterizzate da tassi di apertura superiori al 50%. Ampio è senz altro lo spazio ancora possibile di incremento del peso dei flussi commerciali sul PIL nel caso dell Italia, soprattutto se rapportato a due importanti attori, quali Canada (35%) 8 Tra i più recenti, si veda lo studio di Foresti et al. (2006), che individua tra i principali fattori l inefficienza dei servizi alle imprese, l eccessiva burocrazia, la ridotta percentuale di investimenti in R&S e il basso utilizzo di tecnologie ICT da parte delle imprese, e i contributi di Nicoletti e Scarpetta (2003 e 2005), che offrono invece dettagliate analisi comparative dell impatto di liberalizzazioni e privatizzazioni sulla produttività totale. 9 L indice riportato è calcolato come media delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi, a prezzi correnti, in percentuale del PIL.

6 XVIII INTRODUZIONE Tabella 4 Quota del commercio estero in % del PIL (beni e servizi) Paese Australia 13,0 16,1 16,3 22,5 22,3 Austria 29,0 35,1 37,3 44,7 53,3 Belgio 49,5 58,1 68,5 83,2 86,1 Canada 21,0 27,2 25,7 42,7 35,0 Corea del Sud 18,7 36,0 28,5 39,2 42,7 Danimarca 29,9 34,0 34,9 43,6 50,5 Finlandia 25,0 31,8 23,2 38,4 41,9 Francia 15,5 22,0 22,0 28,1 27,6 Germania 17,2 22,7 24,8 33,2 42,3 Giappone 10,2 14,2 10,0 10,3 15,5 Grecia 11,7 22,6 20,3 27,2 28,2 Islanda 44,1 35,5 33,0 37,5 41,5 Irlanda 38,4 52,8 54,2 91,6 74,6 Italia 15,7 22,4 19,1 26,6 28,2 Lussemburgo 81,3 87,4 94,9 139,5 151,3 Messico 9,6 14,2 19,2 32,0 32,6 Norvegia 36,8 40,0 37,2 38,0 37,5 Nuova Zelanda 23,0 29,9 26,7 34,7 30,0 Olanda 46,8 54,1 54,6 67,3 69,5 Polonia ,9 30,3 40,8 Portogallo 22,9 28,8 34,5 35,2 35,0 Regno Unito 21,9 26,0 25,3 29,1 30,2 Repubblica Ceca ,5 64,9 74,2 Repubblica Slovacca ,5 71,5 88,0 Spagna 12,9 15,8 17,8 30,6 29,1 Svezia 24,0 30,3 29,7 43,0 47,3 Svizzera 31,5 36,1 35,1 42,8 48,7 Turchia 5,1 8,6 15,4 27,8 32,0 Ungheria ,9 77,5 Stati Uniti (USA) 5,6 10,4 10,3 13,2 14,1 Media UE15 20,1 26,6 26,5 35,4 38,3 Media OCSE12 12,7 19,4 18,3 22,3 26,3 Fonte: OECD Factbook (2008) e Germania (42,3%), o a tutte le economie scandinave. Significativo potrebbe essere, di conseguenza, l incremento di produttività favorito attraverso tale via.

7 INTRODUZIONE XIX La Tab. 5 permette di cogliere invece l evoluzione degli stock di IDE in entrata in percentuale del PIL. Come la tabella evidenzia, gli anni 90 sono stati caratterizzati da un progressivo aumento dell importanza di tali investimenti nella totalità dei Paesi considerati. In Italia l indice è passato dal 5,3% del 1990 al 15,9% del Un buon risultato, che tuttavia è ridimensionato da quelli ottenuti dagli altri Paesi riportati in tabella. Ampio è quindi, anche in questo caso, lo spazio per una maggiore integrazione economica e un possibile aumento di produttività 10. Tabella 5 Quota degli stock di IDE in entrata in % del PIL Unione Europea 10,5 26,0 38,0 Francia 7,0 19,6 35,0 Germania 6,5 14,3 17,4 Irlanda 79,4 131,9 81,2 Italia 5,3 11,0 15,9 Regno Unito 20,6 30,4 47,8 Spagna 12,5 26,9 36,2 Canada 19,7 29,8 30,4 Stati Uniti (USA) 6,8 12,8 13,5 Fonte: Unctad, WIR (2007) Un ulteriore direttrice di policy è rappresentata dalle liberalizzazioni, invocate a lungo e da più parti quale possibile stimolo forte all economia e in parte attuate negli ultimi anni, principalmente attraverso i due pacchetti Bersani (Legge 248/2006, Legge 40/2007). In questo campo è ancora l OCSE che fornisce un analisi dettagliata del processo di liberalizzazione percorso nei Paesi membri in sette settori chiave dei servizi: trasporto aereo, ferroviario e su gomma, telecomunicazioni, fornitura di servizi energetici come elettricità e gas, servizi postali. La costruzione 10 A questo proposito, vale forse la pena menzionare che, per quanto riguarda gli IDE, il World Investment Report 2007 dell UNCTAD attribuisce un 112 posto all Italia in termini di Inward FDI performance nel 2005, ma le riconosce un 29 posto in termini di Inward FDI potential. Per un analisi puntuale delle partecipazioni italiane all estero ed estere in Italia, si veda Mariotti e Mutinelli (2007).

8 XX INTRODUZIONE degli indici OCSE, che verrà spiegata più in dettaglio nel terzo capitolo, consente di giungere anche a un indicatore sintetico di liberalizzazione, che assume valori da 0 (massima liberalizzazione) a 6 (massima regolamentazione). La Tab. 6 riporta i valori proposti dall OCSE per diversi Paesi per il primo e l ultimo anno disponibili (1975 e 2003). Il percorso compiuto dall Italia appare virtuoso, con una riduzione dell indice da 5,8 (il più alto dopo Francia e Portogallo nel 1975) a 2,6 (migliore dei valori registrati da Svizzera, Francia, Irlanda e Grecia). La strada delle libe- Tabella 6 Processi di liberalizzazione in alcuni servizi (numeri indice da 0 a 6. 0: massima liberalizzazione) Paese Regno Unito 4,8 1,0 Stati Uniti 3,7 1,4 Australia 4,0 1,5 Danimarca 5,5 1,6 Olanda 5,6 1,6 Germania 5,2 1,7 Canada 4,3 1,9 Svezia 4,5 1,9 Spagna 5,1 2,0 Belgio 5,5 2,1 Nuova Zelanda 4,9 2,1 Giappone 5,1 2,2 Norvegia 5,5 2,3 Austria 5,2 2,4 Finlandia 5,5 2,4 Italia 5,8 2,6 Portogallo 5,9 2,6 Svizzera 4,1 2,8 Francia 6,0 3,0 Irlanda 5,7 3,2 Grecia 5,7 4,1 Fonte: OCSE (2006)

9 INTRODUZIONE XXI ralizzazioni è tuttavia ancora lunga, come emerge dal confronto con Paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti o l Australia. Tali indicazioni sono state peraltro recentemente confermate da un ulteriore studio sulle liberalizzazioni dei servizi a cura dell Istituto Bruno Leoni (IBL), che ripropone un esperimento già effettuato con successo nel 2007 (IBL, 2008). La metodologia adottata dall IBL consiste nel determinare la posizione relativa dell Italia nei diversi settori (elettricità, gas, telecomunicazioni, ecc.) rispetto a un benchmark europeo. Il risultato medio ottenuto nel 2007 era uno stato di liberalizzazione in Italia pari al 52% rispetto ai benchmark considerati (essenzialmente Regno Unito, Svezia e Irlanda); nel 2008 si registra un ancor più sconfortante 47% 11. Il contesto italiano è quindi senz altro passibile di ampi margini di sviluppo nella direzione verso cui convergono tutti i sistemi moderni: liberalizzare l economia, aprendo settori e mercati a nuovi concorrenti. Il presente lavoro si compone quindi di due parti. Inizialmente viene affrontato il tema della relazione tra integrazione economica e produttività. Il primo capitolo presenta una rassegna della letteratura teorica ed empirica in materia, con particolare riferimento ai principali canali legati al commercio e agli IDE attraverso i quali l integrazione economica può favorire la crescita della produttività. Il secondo capitolo propone una verifica econometrica dell impatto dell integrazione economica sulla produttività. Gli autori testano l impatto sulla produttività della penetrazione delle importazioni usando un campione di circa imprese manifatturiere italiane per il periodo Nello spirito del lavoro di Amiti e Konings (2005), essi considerano l impatto sulla produttività sia della penetrazione delle importazioni nella stessa industria dell impresa considerata, sia di quella nelle industrie a monte. La seconda parte del volume è invece dedicata alla relazione tra 11 In realtà il peggioramento effettivo dal 2007 al 2008 è di un solo punto percentuale. Infatti, nell indice 2008 sono stati inclusi nuovi settori (servizi idrici, trasporto pubblico locale, fisco e pubblica amministrazione), poi ricalcolati anche per il 2007: con l aggiunta di questi, il valore dell indice del 2007 sarebbe 48%. A livello metodologico, invece, corre l obbligo di osservare come la scelta di un benchmark europeo, per quanto comprensibilmente motivata dalla sempre crescente rilevanza della dimensione comunitaria nella disciplina dei servizi, potrebbe rischiare di risultare fuorviante, se il Paese più avanzato in Europa accusasse un ritardo sensibile nei confronti del benchmark mondiale. Questa considerazione non toglie comunque certo rilevanza al lavoro dell IBL, che fornisce un quadro assai più dettagliato dello stato dell arte rispetto a quello fornito dall OCSE, i cui dati permettono però una valutazione dell evoluzione del processo di liberalizzazione nel corso degli anni che la natura dello studio IBL, relativo ai soli , non consente.

10 XXII INTRODUZIONE liberalizzazioni nel settore dei servizi e produttività. Il terzo capitolo presenta l impatto delle politiche di liberalizzazione, intraprese nel periodo in sette settori dei servizi, sulla produttività dei fattori e sui processi di crescita economica in alcuni Paesi che aderiscono all OCSE. A tal fine, sono stati utilizzati alcuni indicatori numerici strutturali, elaborati dai ricercatori dell OCSE, che descrivono il grado di liberalizzazione conseguito in ciascuno Stato membro per settore economico e annualità. Il quarto capitolo propone una rassegna della recente letteratura riguardante l impatto della liberalizzazione sulla produttività, per poi passare dapprima a un analisi di correlazione tra indici di liberalizzazione descritti nel capitolo terzo e proxy della produttività e, in seguito, a una verifica econometrica, sul campione di Paesi OCSE considerato, dell impatto della liberalizzazione nel settore dei servizi sulla produttività del lavoro. Il capitolo quinto presenta una verifica dell impatto della liberalizzazione dei servizi sulla produttività di un campione di circa imprese manifatturiere italiane nel periodo e un indagine volta a quantificare i possibili effetti di alcune operazioni strategiche di liberalizzazione nel settore dei servizi dell economia italiana. Tale indagine permette di evidenziare priorità concrete di policy e di indicarne possibili effetti sulla produttività aggregata nel settore manifatturiero. Nel capitolo conclusivo, infine, viene fornita una serie di spunti di policy di potenziale interesse per l agenda di governo. Nota di edizione. Al fine di permettere la lettura del testo anche dal pubblico non specializzato, le parti più tecniche sono state inserite in appositi box.

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