Mangiare da "Romani", M.G.Persiani

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1 Mangiare da "Romani", M.G.Persiani La cucina è senza dubbio uno dei tanti aspetti della cultura di un popolo. Nazioni a noi lontane, pensiamo a quelle dell Estremo Oriente, ci fanno subito pensare a cibi e a gusti molto diversi dai nostri. Chissà perché si è portati a considerare la differenza in termini di tempo non così rilevante rispetto a quella in termini di spazio, credendo che gli antichi Romani avrebbero, bene o male, dovuto avere la nostra stessa sensibilità d Italiani o mediterranei, ed il nostro stesso gusto riguardo ai cibi e alle bevande. Niente di più sbagliato. Tanto per cominciare dobbiamo considerare che i Romani non conoscevano ancora il caffè, il tè, lo zucchero, liquori, patate, fagioli, riso, peperoni, granoturco e pomodori; rarissimi erano gli agrumi e, in ogni caso, non nostrani. A questo punto cominciamo ad intravedere come possano essere stati diversi i gusti dei nostri antenati. Testimonianze Non che si conosca tutto della Cucina degli antichi ma, grazie ad una serie di autori, primo fra tutti Apicius (ma anche tanti altri tra cui Columella) con la sua raccolta di ricette culinarie, siamo in grado si saperne abbastanza e descrivere come si svolgesse e cosa si mangiasse e bevesse, in una cena dell età imperiale in casa di facoltosi del tempo. Di seguito alcune delle più famose fonti a riguardo. Uno dei pranzi più famosi dell antichità, poiché raccontato così doviziosamente da Petronio prima (nel suo Satyricon) e ripreso secoli dopo da Macrobio (nei suoi Saturnalia,II,9), è il cosiddetto festino del liberto Trimalcione. Si tratta evidentemente di un pranzo da burla, famoso per la stolidità del padrone di casa nell infantilismo delle sue invenzioni e nella bizzarria del vasellame. Era comunque una divertente abitudine dei vari capocuochi preparare i piatti in modo tale di non far indovinare gli ingredienti. In particolare, nel banchetto di Trimalcione, si narra, tra le altre portate spettacolari, di un arrosto di cinghialessa, pieno di tordi vivi e circondato da finti cinghialetti di pasta nell atto di succhiare il latte materno; o ancora di una lepre con le ali in modo da raffigurare Pegaso, il cavallo alato di Bellerofonte. Altre buone descrizioni le troviamo negli Epigrammi di Marco Valerio Marziale (vedi libro I). Oppure ancora la cena a casa di Eutrapelo descritta da Cicerone (Ad Fam. IX, 26), o la cena di Nasidieno, da Orazio (SAT.,II, 8-20 e segg.). Un altra famosa testimonianza, non sui cibi, ma del buon comportarsi a casa altrui durante il convivio, la ritroviamo sui muri di una domus a Pompei; un verso dei tre che la compongono, recita: Utere blandiis odiosasque iurga differ si potes, aut gressus ad tua tecta refer ( fa uso di amabili parole, rimanda gli odiosi litigi se puoi, oppure ritornatene a casa tua ). Gli ambienti La sala da pranzo era

2 chiamata triclinium, il locale più bello della casa, decorato e arredato anche sfarzosamente (marmi, mosaici, affreschi, fontane, vasche con pesci, tavoli con intarsi d'argento e fiori). Vitruvio (VI, 5) ci informa che solitamente la lunghezza del triclinium è doppia della larghezza. Erano presenti tre grandi recipienti nel vano: l oenophorus, ovvero il recipiente per il vino, il caldarium, quello con l acqua calda, ed un cratere (craterra) per la mescita. E cosa risaputa l abitudine dei Romani di mangiare sdraiati: scomodo si, ma segno di eleganza e superiorità sociale: donne, ragazzi e meno abbienti in genere mangiavano seduti sugli stessi triclinia (dal greco klinai, letto). Questi erano divani lunghi, generalmente nel numero di tre, disposti a ferro di cavallo intorno ad una tavola a tre piedi solitamente tonda (cilliba) ma talvolta anche quadrata. Il lato del tavolo che era sprovvisto di triclinio era destinato al servizio. Il letto d onore era quello che non aveva appunto nessuno di fronte (lectus medius); su di questo il posto migliore era quello all estrema sinistra (locus consolaris) a fianco del sostegno, chiamato fulcrum. Fra gli altri due letti, il più importante era quello di destra (lectus summus) e poi l altro (lectus imus). Il padrone di casa (dominus) si posizionava solitamente nel lucus summus in imus. Il magister cenae, in ogni caso, poteva stabilire l ordine degli invitati ad occupare detti posti secondo una sua preferenza gerarchica (l album). Gli ultimi di detta lista era le cosiddette umbre, ovvero quei personaggi di importanza secondaria, se non addirittura nulla. Ogni letto era occupato, come detto, da tre posti, ma lo zoticone che non voleva incomodarsi per i suoi ospiti occupava da solo il letto di mezzo, o al massimo con un solo altro ospite, come ci dice Giovenale (VI,13-17). Altre volte era possibile trovare un unico letto (a forma di sigma anulare) chiamato stidadium, come un arco intorno ad una tavola (che in questo caso era sempre tonda). Letti di questo genere portavano dalle sette alle otto persone (Marziale, X, 41, 5-6) invece delle nove dei tre letti separati. Qualora gli invitati superassero questi numeri, si provvedeva a disporre altri triclinia o stibadia nella stessa stanza fino ad un numero massimo di trentasei convitati. Riti ed usanze Tipica per l antico Romano, la suddivisione della giornata nei tre pasti canonici: alzatosi dal letto all'alba, faceva colazione (ientaculum) con gli avanzi della sera, oppure con cibi come formaggio, olive, pane, miele, latte fresco e focaccette. Intorno a mezzogiorno si faceva un pranzetto (prandium) veloce, dato che si era al lavoro in città. Spesso si mangiava qualcosa dai venditori ambulanti e, comunque, cibi caldi d'inverno, freschi d'estate. Non era inusuale che venisse saltato, comunque, uno dei due pasti appena descritti, anche su consiglio degli igienisti dell epoca; Marziale (XI, 103,3-4) dice che in loro vece si trangugiava un bicchier

3 d acqua. La cena era legata al tramonto del sole e si faceva alla presenza di tutta la famiglia con un pasto abbondante. Si cenava quindi dopo l ora ottava in inverno e la nona d estate, in genere dopo il bagno alle terme. Quando a cena c'erano ospiti, il pasto era chiamato convivium, con antipasti (gustum), piatti forti (mensa prima) e dessert (mensa secunda). Il cibo poteva essere preso da un piatto di portata o servito da uno schiavo in un piatto personale che si teneva con la mano sinistra, appoggiata; con la destra si portava il cibo alla bocca in piccole quantità, attenti a non sporcarsi. I piatti (patinae, o, se fondi, catini) e le coppe (poculae) erano solitamente di terracotta sigillata italica (perché presentava un sigillum). Tra le posate usate mancava solitamente il coltello, poiché sarebbe stato molto scomodo da usare stando recumbenti (ovvero sdraiati). Per questo motivo i cibi venivano serviti già tagliati da appositi servi chiamati scissores. Posate usate erano invece i cucchiai (ligulae) ed uno in particolare, chiamato coglea, che presentava una punta, utilissimo per sgusciare le lumache, di cui i Romani erano ghiottissimi. Ma i Romani mangiavano generalmente con le mani,elegante addirittura portare il cibo alla bocca con la punta delle dita, come ci ricorda Ovidio nella sua Ars Amatoria (III, ): Carpe cibo digitis, est quiddam gestus edendi; ora nec immunda tota perunge mani. Erano perciò costretti a parecchie abluzioni, prima del pasto e dopo ogni portata. Come salviettino usavano la cosiddetta mappa, ma usata anche per raccogliere parte dei manicaretti serviti, passarli avvolti ad un servitore predisposto (puer ad pedes) e messo a disposizione apposta dal dominus, allo scopo di portarseli a casa. Cosa che evidentemente non era di cattivo gusto (come peraltro non lo è il molti paesi oggi, come negli Stati Uniti). E come presso gli Arabi, il rutto era atto di civiltà, giustificato anche da Cicerone (Ad Fam., XI,22) perché seguire la natura era l ultima parola della saggezza. Un altra abitudine, che ai nostri occhi potrebbe sembrare anche questa maleducazione, era quella di gettare gli avanzi del cibo mangiato per terra. In effetti, si trattava solo di un segno d apprezzamento e una dimostrazione d abbondanza. A questo riguardo ricordiamo i mosaici di Soros, del tipo cosiddetto stanza non spazzata (in greco che riproducono proprio dei pavimenti romani a fine pasto. )ζοχιο ζοτωρασα Infine, continuando con le maleducazioni, forse questa però ritenuta tale, non era raro, vedere il vomito insudiciare il pavimento (Giovenale, XI, ). Durante la cena era comune vedere dei balletti, in special modo quelli lascivi delle danzatrici di Gades (Cadice) a suon di nacchere. A fine cena, ci si puliva i denti con lo stuzzicadenti (pinna), che poteva essere d'argento. I cibi Agli inizi della civiltà di Roma la cucina degli antichi romani era certamente frugale, come era

4 consuetudine per un popolo sviluppatosi da un piccolo villaggio di agricoltori. Furono i contatti con la Magna Grecia a far iniziare l'evoluzione di nuove coltivazioni e quindi di nuove preparazioni. All'inizio erano soprattutto polente a base di cereali, primi tra tutti l'orzo, il miglio, e poi il farro, la base dell'alimentazione. Il sale era usato pochissimo perché bene assai prezioso e costoso e a volte si usava addirittura l'acqua di mare per bollire. Le polente potevano essere arricchite con formaggi, miele oppure uova. La carne era poca, soprattutto di maiale, e si preparava nei giorni di festa. Progressivamente, con le conquiste e la possibilità di conoscere nuovi prodotti dell'agricoltura, nuove spezie e nuove abitudini alimentari, la cucina romana si trasformò fino a comprendere centinaia di ingredienti. Ben presto ci si rese conto che gli eccessi alimentari erano fonte di un gran numero di malattie. Così, accanto ai primi trattati di gastronomia, nacquero alcuni rudimentali trattati di dietetica, i cui principi rimasero in voga fino al Medioevo. Ma ovviamente questi erano i problemi dei pasti dei ricchi, di cui ci occupiamo in questa breve relazione, essendo il cibo diverso a seconda della classe sociale di appartenenza. Ad esempio gli schiavi mangiavano cibo che non variava molto durante l'anno: era sempre costituito da grano, che variava da quattro moggi d'inverno a quattro moggi e mezzo d'estate. Esso veniva chiamato triticum. Agli schiavi spettava una razione giornaliera di vino non molto buono. Ai soldati venivano distribuiti o un chilo e trecento grammi di pane al giorno o fichi e 262 litri di vino all'anno; a tale nutrimento si aggiungevano bulbi di piante, cipolle, rape ed altre radici, leguminose e verdure fresche a seconda della stagione. Anche i contadini allo stato libero avevano lo stesso nutrimento degli schiavi. Tornando ai pasti più ricchi, due erano le caratteristiche principali nelle preparazioni dei Romani: l'introduzione delle salse, che avevano inizialmente il compito di "coprire" il gusto dei cibi mal conservati, ma che in seguito divennero elementi distintivi delle ricette, e la cottura dei pesci che venivano, infatti, bolliti prima di essere fritti o arrostiti. Le tecniche della conservazione, messe in atto per combattere l azione del caldo, erano diverse; si poteva affumicare (di solito usato per i formaggi), deidratare (diffuso su molte cibarie, specie carni), spalmare miele (per la frutta fresca) o, ancora, metter sotto sale. Il sale veniva adoperato sia per la conservazione sia per usi dietetici, ad esempio per allontanare la peste o il raffreddore o per la digestione (il termine salute viene da sal). A tavola era conservato nel penus ed era integrale, poiché solo quello integrale ha delle esalazioni ( da ex sal) benefiche. Serviva per le offerte agli dei, per il nutrimento, e, come detto, per la conservazione di alcuni alimenti, per preparare il vino e per impedire che l'olio diventasse spesso. I

5 Romani lo mangiavano da solo con il pane. Come oggi il pane era un alimento di base. Prima di conoscerlo i Romani mangiavano la polta, cioè una zuppa di cereali. Il primo frumento usato per fare il pane era il farro e veniva chiamato spelta. Il grano invece serviva a preparare la puls (una pappa di frumento). In seguito vi furono molte varietà di pane: alcuni tipi erano scadenti (del tipo nero di farina stracciata rada e confezionato, come il panis acerus o il plebeius rusticus); altri erano pani preparati con miele, vino, latte, olio, frutti canditi e pepe. Altri ancora di lusso (come il panis candidus, evidentemente meno nero dei precedenti. Anticamente il pane veniva fabbricato in casa; poi vennero aperte le panetterie da cuochi e artigiani specializzati che avevano mulini e forni. I pistores dulciarii erano gli artigiani specializzati nella preparazione dei dolci. La prima focaccia romana era guarnita con formaggio, olive, uova e funghi. Poiché il pane era molto duro, veniva mangiato intinto nel vino, nell'olio, nelle minestre o con le salse. I Romani, fin dai tempi più antichi, consumarono alimenti d origine animale. Per questo allevavano animali, dai quali ottenevano uova, formaggi, latte e carne. Tipico dei Romani era la tendenza a mescolare il dolce con il salato. Nei vari impasti si mescolavano la carne di pollo, di porco e il pesce con gli uccelli selvatici. L'uovo era molto usato, per un loro equilibrio alimentare, e questo spiega il rispetto per i volatili. Venivano preparate come oggi, alla coque, al tegamino, sode oppure strapazzate. Questo un elenco delle verdure predilette: radici, rape, barbabietole, carote, ravanelli, bulbi, cipolle, aglio, porri, asparagi, funghi, cavoli, lattuga, cicoria o indivia, carciofi, cetrioli, fave, lenticchie e piselli. E questa la frutta che si trovava sulle tavole dei ricchi: nocciole, prugne, ciliegie, more, fragole, sorbe nere, mirtilli, pinoli, castagne, ghiande, mele, uva, fichi, olive, pesche, albicocche, datteri, melone, cocomero e zucca. Il latte inizialmente era un alimento indispensabile per i Romani in tutti i pasti ed era impiegato in vari prodotti. Veniva utilizzato il latte di capra, di vacca, di asina e di cavalla. Era bevuto fresco oppure aromatizzato. Inizialmente era usato anche per zuppe e minestre; poi il brodo di carne sostituì il latte. Il formaggio diventò presto una pietanza completa: veniva ottenuto amalgamando il latte con un succo ottenuto dal rigurgito di un vitellino o di un bambino non ancora svezzato. I formaggi avevano diversi sapori: quello affumicato era ottenuto facendo assorbire il fumo alla forma di formaggio che era tenuta nelle fiscellae (dei contenitori forati); quello salato era pressato a mano e poi immerso in salamoia (muria). Il formaggio era utilizzato per fare la polenta taragna e veniva usato come condimento. I formaggi più famosi arrivavano da Trebula Mutuesca (Monteleone, Rieti) nella Sabina e quello dei

6 Vestini. La carne viene introdotta nella vita romana quando subentra l'urbanizzazione: i Romani la sostituirono ai vegetali, poiché, abitando in città, non coltivavano più l'orto. La carne più utilizzata era quella di suino, perché del suino si mangiava tutto. La carne dei montoni e delle capre era la meno pregiata, venduta al mercato per pochi soldi, mentre quella dell'agnello e del capretto erano le più pregiate per la loro morbidezza. Carni decisamente di lusso erano quella di pavone e di ghiro (quest ultimo allevati nei gliraria). Il bue, invece, inizialmente non veniva utilizzato per la gastronomia, ma nel lavoro dei campi. Infatti esso non poteva essere mangiato poiché ritenuto sacro. Più tardi venne usato per i bolliti, a causa della sua carne che poteva essere conservata più a lungo e condita con salsine piccanti. Inoltre questa carne veniva utilizzata durante i banchetti in onore degli dei. Altre carni erano quella dell asino selvatico (onager). Un contributo a tavola era la selvaggina: c'erano delle riserve chiamate vivaria dove era allevata quella di grossa taglia, come il cinghiale, la cui carne era anch essa tra le più ricercate. Tra la selvaggina di piccola taglia troviamo ancora la lepre, l'oca, l'anatra e la lumaca. Importante è notare che la selvaggina non veniva sacrificata. La selvaggina arrivava principalmente dalle foreste laurentine e dal Cimino. Molto più tardi arrivò nell'alimentazione romana il pesce. Tra i pesci più mangiati troviamo l'orata, la triglia, la sogliola e il luccio. Tutti questi pesci erano accompagnati da verdure bollite, carni o fegati. I frutti di mare anticamente erano mangiati durante il periodo della carestia, ma vennero ben presto considerati piatti pregiati e prelibati. Venivano mangiati cotti o crudi, conservai in giare con sale e insaporiti con salse. Venivano consumati datteri di mare, ostriche, polipi, seppie, astici, scampi, gamberi e rane. Il vino aveva soprattutto un carattere sacro, carattere che si è conservato nella religione cristiana. Gli uomini non potevano berlo prima di aver compiuto trent'anni, anno in cui si passava alla maggiore età (alcuni sostengono trentacinque) ed era proibito alle donne; esisteva, infatti, una prova, chiamata ius osculi (diritto del bacio), che permetteva al marito di dare un bacio alla moglie sulla bocca per vedere se aveva rispettato questa regola. I Romani conoscevano il vino rosso, che però chiamavano nero, e il vino bianco, ma non quello secco. I vini erano pesanti, acidi o amari. Bevuto in coppe molto larghe e quasi piatte, si beveva anche se non era buono ed era usato come condimento. Era conservato fino a 15 anni in anfore con tappi di sughero o argilla, e, come oggi, più era vecchio più era costoso. Il pittacium, l etichetta, indicava origine ed annata. Le anfore erano stappate al banchetto; con un passino (colum) filtrate e versate in nel cratere da dove si attingevano le coppe. Il vino era poi miscelato o con acqua raffreddata dalla neve o

7 riscaldata in precedenza, con un rapporto mai inferiore ad un terzo. Il vino più famoso è senza dubbio il vinum mulsum, ovvero miscelato col miele, inizialmente adibito a rituale sacro nel versarlo per terra come sacrifico ai Lares (gli antenati) nell Atrium. Successivamente divenne vino da pasto, talmente popolare poiché permetteva di aggirare, da parte di donne e uomini sotto i trent anni, quel divieto suddetto, in essere durante tutta la Repubblica, di bere vino puro. Altri tipi di vino erano quelli pepati. Una bevanda molto consumata dai Romani poveri e dai Barbari era la birra. Dall aceto invece si traevano molti condimenti: per legare le salse si usavano la fecola. Gli altri tipi di condimenti erano ridotti allo strutto (grasso di maiale) e all'olio. Ma nella cucina romana fondamentali erano le salse, che venivano usate per la maggior parte dei cibi. Nel corso della preparazione si pensa addirittura che i cibi perdessero il loro sapore originale per la cottura (la carne veniva cotta almeno due volte: la prima nel latte e la seconda o con le verdure o arrostita) e per i condimenti eccessivi; nelle ricette non compaiono mai i dosaggi. E, a proposito di salse, una squisitezza che compare in tutti i trattati di cucina era il garum o liquamen che veniva usato anche quando il cibo era dolce. Un menu (da Habemus in cena di Magna Roma) Si descrive di seguito un possibile menu romano, come ho avuto occasione di gustare nel suddetto ristorante a tema. Cominciamo con l appena citato Garum, (dal greco garon che era la specie di pesce utilizzata) che stando alla ricetta di Marziale, risalente al III secolo, era così composto: due cucchiai di pasta d'acciughe stemperate in succo d'uva ristretto (bollito fino a ridurlo a 1/10). Bisognava poi mescolare poi con un pizzico di origano. Che il garum avesse un odore ed un sapore nauseabondo, anche per i personaggi dell'epoca, ce lo testimonia sempre Marziale, per descrivere un certo Papilo, un individuo repellente, in uno dei suoi "Epigrammi" (VII, 91) dice: "Unguentum fuerat, quod onyx modo parua gerebat: olfecit postquam Papylus, ecce, garum est"(era un unguento profumato quello contenuto fino a poco fa in un vasetto di onice; dopo che l'ha annusato Papilo, ecco, è garum). La ricetta che ci arriva da un testo in greco (Geoponica, XX, 46, 1) parla di un altra preparazione per il garum, come derivato del liquamen. Questo si preparava da una poltiglia di interiora di pesce e pezzettini di pesce stesso. Il tutto veniva sbattuto, rivoltato ed esposto al sole fino alla fermentazione e riduzione del liquido; a questo punto, ciò che filtrava attraverso un cesto era il garum; il resto, la feccia, era anch essa usata come salsa col nome di allec. Gustaticium (il rito d iniziazione alla cena) I tradizionali cibi sacrali comprendevano: l ovo, l uovo, che era il primo cibo ad essere mangiato poiché simbolo dell inizio, della rinascita, della fecondità; è presente per questo motivo anche nelle rappresentazioni

8 della Grande Madre Cibele. Celebre la frase di Orazio nei Saturnalia (I, 3, 6-7) ab ovo usque mala (dall uovo alla mela) per indicare dal principio alla fine. Le nuces erano i frutti della terra ricoperti da uno strato legnoso, come i pistacchi, le carrube, ecc. I fruges erano gli ortaggi in genere, ma anche le castagne che, eccezionalmente, contravvenivano alla suddetta regola. Da fruges deriva l italiano frugale, che indica un pasto semplice e sano. Il Libum era costituito da una focaccia di formaggio e farina cotti su letto d alloro, mentre il Moretum, anch esso d origine sacra, era composto di un po di grano impastato ad acqua, formaggio, aglio ed altre erbe dell orto. Primae Mensae (le portate) La Lagana, una lasagna antica con tractae, ottenute lavorando gli impasti di farina in modo che risultassero ben schiacciati e pressati e così lievitassero meglio. Minutal ex citris, ovvero minuta di maiale al cedro, uno dei pochi agrumi allora conosciuti. Pulmentaria (i contorni) Misto di contorni vari tra i quali: Betae Elixae, bietole alla salsa di senape; Thyrsos, ovvero fusti di piante, nel caso specifico di funghi; Carotae Frictae, dischetti di carota all aenogarum, una salsa a base di garum e vino; Cucumeres, cetrioli all aenogarum; Cucurbitas, cubetti di zucchine all aenogarum. Secundae Mansae (dessert) Nives citrata, ovvero, come intuibile, granita al cedro. Alla fine della cena i brindisi, la commissatio, che consisteva in una serie di coppe bevute tutte di un fiato, come ci informa Plinio (N.H., XIV,22). Cosa si esclamava nei brindisi? Si gridava l incitazione bacchica Evoè o un ancora più attuale prosit. Fonti: Spiegazioni del Dott. Franco Nicastro, Magister Caena (presidente del banchetto) di Magna Roma Vita Romana, Usi, costumi, istituzioni, tradizioni; Ugo Enrico Paoli,Ed.Oscar Mondadori 1990 La vita quotidiana a Roma, Carcopino Biblioteca Universale LaTerza, 1982 Corriere della Sera, CD "I Romani" Articolo "L alimentazione dei Romani" Sito ristorante Magna Roma, Roma

9 Sito dell A.R.I.F. di Brescia Capitolium, sito del comune di Roma Sito ww.sussidiario.it Sito di Archeo Empoli

10 L'ALIMENTAZIONE DEI ROMANI I frutti della terra. I prodotti alimentari e gli ingredienti usati nella cucina romana erano numerosi, anche se molti erano riservati a pochi privilegiati. Rilievo con banco di venditore di frutta, I sec. d.c Città del Vaticano, Museo gregoriano profano I mercati e l'annona. I ricchi facevano venire i prodotti dai loro domini, mentre le classi più povere si recavano ai mercati della città. I negozi erano vicino al Foro, cioè nel centro della città. Un esempio famoso è il mercato di Traiano a Roma, formato da due terrazze di negozi e magazzini. Vi si vendevano prodotti alimentari, dell'artigianato e vasellame. A Roma c'erano anche mercati del pesce, del bestiame e delle verdure. L'annona era il servizio che assicurava la distribuzione e il controllo sulla vendita del raccolto dell'anno sopratutto del grano e del vino. L'annona salaria era il prezzo del sale. Il penus familiare e il focolare. Il penus era la riserva familiare delle provviste per i membri della famiglia, i servitori e gli schiavi. La nicchia del penus era accanto al focolare. Il primo elemento del focolare, centro della vita, era la legna. Le carbonariae tabernae erano imprese di legname e depositi di carbone.il carbone era usato per la cottura di certi alimenti e per il riscaldamento.le ceneri venivano utilizzate per il candeggio della biancheria e come fertilizzante per i campi. L'acqua. L'acqua era importante nell'alimentazione e nell'igiene quotidiana; serviva inoltre per l'irrigazione dei giardini. L'impluvium era la cisterna che nelle case raccoglieva l'acqua piovana. Poiché quest'acqua imputridiva, veniva fatta bollire e si beveva calda o raffreddata. A Roma vennero costruiti 14 acquedotti. Avere l'acqua in casa era però una vera rarità. Essa era un dono pubblico, alla portata di tutti. I romani la raffreddavano con la neve: così gli alimenti troppo caldi erano accompagnati da bevande molto fredde. C'erano diversi tipi di bevande: la posca, formata da acqua e aceto, l'acqua mulsa, formata da acqua e miele, l'idromele, formato da acqua piovana e miele.

11 Il sale. Era conservato nel penus. Serviva per le offerte agli dei, per il nutrimento, per la conservazione di alcuni alimenti, per preparare il vino e per impedire che l'olio diventasse spesso. 1 Romani lo mangiavano da solo con il pane. Il pane. Era un alimento di base. Prima di conoscere il pane i Romani mangiavano la polta, cioè una zuppa di cereali. Il primo frumento usato per fare il pane era chiamato farro o spelta. La prima focaccia romana era guarnita con formaggio, olive, uova e funghi. Poiché il pane era molto duro, veniva mangiato intinto nel vino, nell'olio, nelle minestre o con le salse. Cerano molte varietà di pane: alcuni tipi erano scadenti, altri erano pani preparati con miele, vino, latte, olio, frutti canditi e pepe. Affresco da Pompei con bottega di panettiere. Napoli, Museo Archeologico nazionale Anticamente il pane veniva fabbricato in casa; poi vennero aperte le panetterie da cuochi e artigiani specializzati che avevano mulini e forni. I pistores dulciarii erano gli artigiani specializzati nella preparazione dei dolci. Le verdure. I Romani mangiavano diversi tipi di verdure: radici, rape, barbabietole, carote, ravanelli, maceroni, bulbi, cipolle, aglio, porri, asparagi, funghi, cavoli, lattuga, cicoria o indivia, carciofi, cetrioli, fave, lenticchie e piselli. La frutta. 1 Romani mangiavano diversi tipi di frutta: nocciole, prugne, ciliegie, more, fragole, sorbe nere, mirtilli, pinoli, castagne, ghiande, mele, uva, fichi, olive, pesche, albicocche, datteri, melone, cocomero e zucca. I prodotti animali. I Romani, fin dai tempi più antichi, consumarono alimenti di origine animale. Per questo allevavano animali, dai quali ottenevano uova, formaggi, latte e carne.

12 Le uova. I Romani mangiavano le uova per un loro equilibrio alimentare e questo spiega il loro rispetto per i volatili. Venivano preparate come oggi, alla coque, al tegamino, sode oppure strapazzate. Il latte e il formaggio. Il latte inizialmente era un alimento indispensabile per i Romani in tutti i pasti e veniva impiegato in vari prodotti. Veniva utilizzato il latte di capra, di vacca, di asina e di cavalla. Era bevuto fresco oppure aromatizzato. Inizialmente era usato anche per zuppe e minestre; poi il brodo di carne sostituì il latte. Trovò un impiego fondamentale nelle pasticcerie. Il burro era usato raramente, in quanto non era conosciuta la tecnica per conservarlo. Lo yogurt era fatto con latte, aceto e cipolla. Il formaggio diventò presto una pietanza completa: veniva ottenuto amalgamando il latte con un succo ottenuto dal rigurgito di un vitellino o di un bambino non ancora svezzato. I formaggi avevano diversi sapori: quello affumicato era ottenuto facendo assorbire il fumo alla forma di formaggio che era tenuta nelle fiscellae (contenitori forati); quello salato era pressato a mano e poi immerso in salamoia. Il formaggio era utilizzato per fare la polenta taragna e veniva usato come condimento. La carne, il pollame e la selvaggina. La carne viene introdotta nella vita romana quando subentra l'urbanizzazione: i Romani la sostituirono ai vegetali, poiché, abitando in città, non coltivavano più l'orto. La carne più utilizzata dai Romani era quella di suino, perché del suino si mangiava tutto. La carne dei montoni e delle capre era la meno pregiata - infatti veniva venduta al mercato per pochi soldi - mentre quella dell'agnello e del capretto erano le più pregiate per la loro morbidezza. Il bue, invece, inizialmente non veniva utilizzato per la gastronomia, ma nel lavoro dei campi. Infatti esso non poteva essere mangiato poiché ritenuto sacro. Più tardi venne usato per i bolliti, a causa della sua carne che poteva essere conservata più a lungo e condita con salsine piccanti. Inoltre questa carne veniva utilizzata durante i banchetti in onore degli dei. Un contributo a tavola era la selvaggina che veniva cacciata. C'erano delle riserve chiamate vivaria dove veniva allevata la selvaggina di grossa taglia, come il cinghiale, la cui carne era la più ricercata e la più costosa. Tra la selvaggina di piccola taglia troviamo la lepre, il ghiro, l'oca, l'anatra e la lumaca. Importante è notare che la selvaggina non veniva sacrificata. Il pesce e i frutti di mare. Molto più tardi arrivò nell'alimentazione romana il pesce. Tra i pesci più mangiati troviamo l'orata, la triglia, la sogliola e il luccio. Tutti questi pesci erano accompagnati da verdure bollite, carni o fegati.

13 Particolare di mosaico. II-I se. a.c. Napoli, Museo Archeologico Nazionale I frutti di mare anticamente erano mangiati durante il periodo della carestia, ma vennero ben presto considerati piatti pregiati e prelibati. Venivano mangiati cotti o crudi, conservai in giare con sale e insaporiti con salsine. Venivano consumati datteri di mare, ostriche, polipi, seppie, astici, scampi, gamberi e rane. Il vino. Questa bevanda aveva soprattutto un carattere sacro - carattere che si è conservato nella religione cristiana. Gli uomini non potevano berlo prima di aver compiuto trent'anni ed era proibito alle donne;esisteva infatti una prova, chiamata "ius osculi" (diritto del bacio), che permetteva al marito di dare un bacio alla moglie sulla bocca per vedere se aveva rispettato questa regola. 1 Romani conoscevano il vino rosso, che però chiamavano nero, e il vino bianco, ma non quello secco. I vini erano pesanti, acidi o amari. Il vino era bevuto in coppe molto larghe e quasi piatte. Esso si beveva anche se non era buono e veniva usato come condimento. Era conservato fino a 15 anni e più era vecchio più era costoso. Altri tipi di vino erano quelli mielati - con il miele - e quelli pepati. Una bevanda molto consumata dai Romani poveri e dai Barbari era la birra.

14 I Romani in cucina L'arte culinaria. Ogni cittadino romano ricco possedeva una cucina vera e propria e aveva al suo servizio almeno due o tre schiavi capeggiati dai migliori cuochi, che gli preparavano i pasti. Per le grandi occasioni venivano addirittura messi a disposizione dei cuochi con tutta la loro squadra di cucina; insieme a loro si potevano anche affittare suonatori di flauto, artisti e acrobati. Il cuoco spesso faceva suoi i gusti del padrone per soddisfare al meglio i suoi desideri in cucina. Dei cibi venivano osservate prima di tutto le virtù dietetiche e medicinali. La culla della gastronomia europea è stata la Sicilia, punto d'incontro di varie influenze. Nella cucina romana fondamentali erano i condimenti, che venivano usati per la maggior parte dei cibi. Nel corso della preparazione si pensa addirittura che i cibi perdessero il loro sapore originale per la cottura (la carne veniva cotta almeno due volte: la prima nel latte e la seconda o con le verdure o arrostita) e per i condimenti eccessivi; nelle ricette non compaiono mai i dosaggi. Le spezie indispensabili in cucina erano: lo zafferano, il pepe, lo zenzero, ecc. Il sale veniva adoperato sia per la conservazione sia per usi dietetici, ad esempio per allontanare la peste o il raffreddore o per la digestione. I Romani traevano molti condimenti dall'aceto; per legare le salse usavano la fecola e, non conoscendo lo zucchero, utilizzavano il miele come dolcificante. I Romani condivano il cibo con lo strutto (grasso di maiale) e con l'olio. Essi avevano la tendenza a mescolare il dolce con il salato. Nei vari impasti si mescolavano la carne di pollo, di porco e il pesce con gli uccelli selvatici. L'uovo era molto usato. Molto comune era una focaccia salata alle erbe e al formaggio, chiamata moretum. A conclusione del pasto c'era frutta e qualche stuzzichino. Nei condimenti facevano sempre la loro comparsa il miele e il garum, un condimento quest'ultimo fatto con scarti di pesce conservati col sale; il garum veniva usato anche quando il cibo era dolce. I brodi di verdura facevano bene al ventre, perciò la loro preparazione era considerata a metà strada tra la medicina e l'arte culinaria. Ad esempio, il brodo di cavolo, mescolato alla farina d'orzo, era considerato molto efficace per curare piaghe ed ulcere. Anche a quel tempo si facevano tisane, ma esse non erano decotti di foglie e di fiori, bensì una specie di crema intermedia tra la minestra e una salsa vera e propria. I cuochi romani erano bravissimi nell'imitare, in quanto sapevano far credere a chi mangiava i loro piatti di stare mangiando pesce al posto di anatra: ad esempio Nicodemo, il re di Britannia, una sera aveva desiderato acciughe pur trovandosi a grande distanza dal mare; il suo cuoco gliene servì un'imitazione consistente in una rapa tagliata a lunghe fettine bollite con olio, sale e semi di papavero. Il cibo era però diverso a seconda della classe sociale di appartenenza. Gli schiavi mangiavano cibo che non variava molto durante l'anno; era sempre costituito da grano, che variava da 4 moggi d'inverno a 4 moggi e mezzo d'estate. Esso veniva chiamato triticum. Agli schiavi spettava una razione giornaliera di vino non molto buono. Agli schiavi incatenati e ai soldati romani venivano distribuiti o 1 kg e 300 g di pane al giorno o fichi e 262 litri di vino all'anno; a tale nutrimento si aggiungevano bulbi di piante, cipolle, rape ed altre radici, leguminose e verdure fresche a seconda della

15 stagione. Anche i contadini allo stato libero avevano lo stesso nutrimento degli schiavi. La tavola è lo specchio della civiltà e della cultura sia per quanto riguarda la coltivazione del suolo, sia per la trasformazione dei frutti della terra. Cosa mangiavano i Romani? Le fonti di allora (Apicio, Giovenale, Petronio, Columella) ci raccontano i dettagli degli ingredienti e della loro preparazione, compreso il galateo e i riti. Eccovi alcuni dettagli, ricette e metodologie usati in cucina: Gli ingredienti Occorre pensare a una dieta mediterranea priva di alcuni ingredienti arrivati in Europa solo dopo la scoperta dell'america: pomodori, peperoni, patate, riso, granoturco e alcuni tipi di agrumi erano infatti inesistenti allora. Persino la pasta non esisteva, dato che il grano serviva come legante (amido) e non per fare gli spaghetti o le tagliatelle. Ma carne, pesce, legumi, uova, cereali, formaggi non impedirono a Lucullo, per esempio, di far allestire banchetti di grande qualità e quantità. Tre pasti giornalieri Alzatosi dal letto all'alba, l'antico Romano faceva colazione ("ientaculum") con gli avanzi della sera (formaggio, olive, pane, miele), latte fresco e focaccette. Il pasto era sostanzioso. Intorno a mezzogiorno si faceva un pranzetto ("prandium") veloce, dato che si era al lavoro in città. Spesso si mangiava qualcosa dai venditori ambulanti e, con l'uso delle terme, dopo il bagno. Cibi caldi d'inverno, freschi d'estate. La cena ("cena") era legata al tramonto del sole e si faceva in presenza di tutta la famiglia un pasto abbondante. Nei tempi antichissimi si mangiava una zuppa di legumi, latte, formaggi, frutta fresca e secca, lardo. In tempi più evoluti, il pane fece il suo debutto e la carne presenziava anche sulle tavole dei più poveri. Quando a cena c'erano ospiti, il pasto era un "convivium", con antipasti ("gustum"), piatti forti ("caput cenae") e dessert ("mensa secunda"). Non mancava il tartufo, il fois gras (ideato da Plinio), le polpette di aragosta, le ostriche. La carne bovina era scarsissima per via dell'utilizzo delle bestie nel lavoro contadino. In compenso, tutta la selvaggina, le rane e le lumache erano cibi sopraffini, come oggi. Sempre presenti, le salse erano l'aggiunta a tutto: pepe, chiodi di garofano, zafferano, senape, semi di finocchio e di anici, bacche di ginepro e alloro, pesce, olio, aceto e vino. Nei pranzi di notabili i cuochi erano diretti da uno chef ("archimagirus") e gli ospiti arrivavano in tenuta di gala ("vestis cenatoria"), dopo il bagno alle Terme. La cucina Era un ambiente piccolo, spesso senza finestra, con un forno per il pane e le focacce, un acquaio e una sorta di fornelli in pietra a legna o carbonella. I cibi venivano cotti in pentole di argilla o bronzo. La tavola La sala da pranzo era chiamata "triclinio", il locale più bello della casa, decorato e arredato anche sfarzosamente (marmi, mosaici, affreschi, fontane, vasche con pesci, tavoli con intarsi d'argento e fiori). Nel triclinio si entrava col piede destro e ci si accomodava al proprio posto, un lettino per 3 persone dove mangiare distesi (il popolo mangiava seduto però) come i Greci. Il cibo poteva essere preso da un piatto di portata o servito da uno schiavo in un piatto personale che si teneva con la mano sinistra, appoggiata; con la destra si portava il cibo alla bocca in piccole quantità, attenti a non sporcarsi.

16 A fine cena, ci si puliva i denti con lo stuzzicadenti ("pinna"), che poteva essere d'argento. La conservazione dei cibi Dato il clima mite e, nei mesi estivi, caldo di Roma, il problema della conservazione dei cibi era quotidiano. Le soluzioni erano diverse: - affumicare, di solito usato per i formaggi; - deidratare, diffuso su molte cibarie, specie carni; - spalmare miele, per la frutta fresca; - metter sotto sale, dopo che Tiberio costruì le "salinae". Alcune ricette antiche Salsa Garum di Gargilio Marziale - III secolo (fattibile oggi): 2 cucchiai di pasta d'acciughe stemperate in succo d'uva ristretto (bollito fino a ridurlo a 1/10). Mescolate con un pizzico di origano. Salsa per scaloppine di Apicio d.c. (per 4 persone): lasciare a riposo una notte 200 g di pinoli e 200 g di noci sgusciate nel Garum; schiacciarli poi ammorbidendoli con altro garum. Aggiungere sale, pepe, timo, olio e aceto quanto serve. Sufflé di asparagi di Apicio d.c. (per 4 persone): spezzettare 2 kg di asparagi e passarli; mescolare a parte pepe, garum, un bicchier di vino e 3 cucchiai d'olio e farli soffriggere. Aggiungere 6 uova e la crema di asparagi. Spalmare una casseruola con il composto e disporre 4 petti di pollo cosparsi di pepe abbondante. Far cuocere quanto serve. Polpette di carne di Apicio - 48 d.c. (per 4 persone): amalgamare 5 etti di carne tritata di maiale (o di manzo) con 1 etto e mezzo di mollica di pane ammorbidito nel vino. Unire con pepe, un cucchiao di garum e 500 g di pinoli. Fare tante polpette e cuocerle in un bicchiere di vino.

17 Nell'antica Roma Dalla frugalità all'abbondanza Agli inizi della civiltà di Roma la cucina degli antichi romani era certamente frugale. Non bisogna dimenticare che la civiltà romana si sviluppò da un piccolo villaggio di agricoltori. Furono i contatti con la Magna Grecia a far iniziare l'evoluzione di nuove coltivazioni e quindi di nuove preparazioni. All'inizio erano soprattutto polente a base di cereali, primi tra tutti l'orzo, il miglio, e poi il farro, la base dell'alimentazione. Il sale era usato pochissimo perchè bene assai prezioso e costoso e a volte il cereale veniva fatto bollire nell'acqua di mare. La carne era poca, soprattutto di maiale e si preparava nei giorni di festa. Le polente potevano essere arricchite con formaggi, miele oppure uova. Progressivamente, con le conquiste e la possibilità di conoscere nuovi prodotti dell'agricoltura, nuove spezie e nuove abitudini alimentari, la cucina romana si trasformò con un'abbondanza di ingredienti e preparazioni da far tremare i dietologi. Salse e cottura Dietologi veri e propri tra i Romani non esistevano, ma ben presto ci si rese conto che gli eccessi alimentari erano fonte di un gran numero di malattie. Così, accanto ai primi trattati di gastronomia, nacquero alcuni rudimentali trattati di dietetica, i cui principi rimasero in voga fino al Medioevo. ed erano ben giustificati, se si pensa che i banchetti del periodo imperiale potevano annoverare fino a cento e più portate. Due le caratteristiche principali nelle preparazioni dei Romani: l'introduzione delle salse, che avevano il compito di "coprire" il gusto dei cibi mal conservati, ma che in seguito divennero elementi distintivi delle ricette, e la cottura dei pesci che venivano, infatti, bolliti prima di essere fritti o arrostiti. Lentamente il pane sostituì le polente di cereali. Dal pane alla pasticceria, anche se primitiva, il passo fu breve: bastò aggiungere miele, uvetta e noci e nocciole. Peccati di gola Quali erano i cibi più ricercati tra gli antichi? Come ai giorni nostri, era la scarsità a decretare il successo di un particolare alimento. Così anche tra i Greci e i Romani i tartufi e i funghi erano prelibatezza riservata ai ricchi. Alcune verdure, come gli asparagi o i fichi, erano oggetto di alcune leggi speciali. I Romani impararono le tecniche della conservazione delle carni e della produzione dei salumi, che poichè erano lavorati con il sale e le spezie, beni preziosi, erano una vera prelibatezza. Ostriche e aragoste erano i più apprezzati tra i prodotti ittici. E, a proposito di salse, una squisitezza che compare in tutti i trattati di cucina era il garum o liquamen. Era un condimento ricavato da interiora di pesce impastate con sale e con erbe odorose. Lasciamo alla fantasia del lettore immaginare quali caratteristiche di gusto e profumo avesse... Suppellettili recuperate nella Casa di Caius Julius a Pompei

18 Con queste pagine farete un primo passo nel mondo ormai dimenticato della cucina ai tempi dell' antica Roma, conoscerete cosa mangiavano i nostri antenati, i riti della cena, e alcune ricette tramandateci dallo chef dell'epoca Marco Gavio Apicio. INTRODUZIONE La tradizione colloca noi Italiani, fra i popoli di questo pianeta che più amano la cultura della buona cucina; ciò è confermato dal fatto che molti dei piatti classici del nostro paese hanno fatto il giro del mondo, conquistandosi una buona fetta della cucina internazionale. Il nostro paese, come ogni altra nazione ha un suo proprio tipo di alimentazione, e di conseguenza il nostro palato è portato a recepire con preferenza determinati sapori rispetto ad altri. Non ci deve stupire, sapere che presso alcuni popoli la carne dei serpenti è considerata un cibo prelibato, che mentre noi condiamo prevalentemente con olio di oliva, nei paesi del nord Europa il principale condimento è il grasso animale e che alcuni popoli si nutrono di insetti come ragni e cavallette. Si deve puntualizzare che in un individuo, il gusto del buono e del cattivo non è una caratteristica innata ma è sviluppato attraverso una serie di fattori che potremmo così suddividere: fattori ambientali, come l'abbondanza di determinati prodotti rispetto ad altri; fattori culturali, quali il passaggio tra le varie generazioni di ricette tradizionali; e fattori di tipo religioso, come ad esempio il divieto di mangiare carne di suino presso i popoli islamici. Quanto sinora detto vale non solo da popolo a popolo ma anche da un tempo all'altro; gia agli inizi del nostro secolo l'alimentazione dei nostri nonni non era la stessa dei giorni d'oggi, sia per la mancanza di alcuni alimenti successivamente importati nel nostro paese sia per la recente creazione di alcuni piatti che corrispondono ad una sempre più crescente richiesta di sapori internazionali. Prendendo in esame questa diversità di alimentazione attraverso il tempo, immaginiamoci quindi di fare un bel salto indietro nel tempo e di ritrovarci nello stesso luogo da dove siamo partiti, ospiti di un banchetto all'interno di una domus romana. Quali saranno i piatti che ci saranno serviti? Avranno sapori ed aromi a cui siamo abituati oppure resteremo inorriditi soltanto alla loro vista? Sicuramente dipenderà dal tipo di occasione per cui saremo invitati a partecipare alla mensa del nostro ospite; in effetti, pensando all'epoca romana si è portati a pensare erroneamente, che i Romani fossero dediti a continue orge e a monumentali banchetti come vengono descritti quelli di Nerone e di Trimalcione. In primo luogo occorre puntualizzare che gran parte della popolazione non avendo a disposizione tutte le comodità di cui disponevano le famiglie dei ricchi, per mangiare doveva arrangiarsi e molto spesso i pasti venivano consumati per strada; molto diffuse erano le taverne (caupona) e i venditori ambulanti, i quali vendevano un po di tutto e per lo più olive, pesci in salamoia, pezzetti di carne arrosto, uccelli allo spiedo, polpi in umido, frutta, dolci e formaggio. Di solito il pasto medio di un povero era composto da un pezzo di pane e da piccoli pesci in salamoia accompagnati da un bicchiere d'acqua o di vino tra i più scadenti. I momenti della giornata dediti al soddisfacimento dei bisogni della gola erano in linea di massima tre: il Jentaculum o prima colazione; il prandium, o pranzo di mezza giornata e la cena, ovvero il pranzo di fine giornata.. Il Jentaculum e il prandium di solito erano ridotti a un misero spuntino consumato in fretta e furia durante le varie attività che caratterizzavano la giornata lavorativa e la loro importanza era

19 talmente minima che frequentemente uno dei due veniva addirittura saltato. Il pasto più importante della giornata era la cena; era in questa occasione che l'uomo romano poteva assaporare i vari piatti più o meno elaborati, comodamente disteso sul triclinae e conversare con i suoi convitati. Alla cena ci si recava di solito dopo aver fatto il bagno alle terme, dove, tra l'altro si aveva l'occasione di incontrare i propri conoscenti e invitarli alla propria mensa, infatti le terme erano anche il ritrovo di molti sfaccendati che vi si recavano con la speranza di ricevere un invito da qualche amico. Schema di disposizione di un triclinium: Plinio e Marziale ci descrivono l'inizio della cena dopo l'ora ottava in inverno (circa le ore due del pomeriggio) e dopo l'ora nona in estate e aveva fine (a seconda delle proporzioni della cena) prima che fosse notte fonda. Il pasto era consumato in un luogo ben preciso della casa, chiamato triclinium, nome dovuto alla presenza in questa stanza di alcuni letti a tre posti (triclinia, dal greco Klinai, letto) sui quali si stendevano i convitati. I triclinia erano delle superfici in legno o in muratura, leggermente inclinate verso la parte esterna della mensa, sulle quali venivano distesi materassi, coperte e cuscini. I convitati vi prendevano posto, tre per ogni letto, distesi su un fianco, uno accanto all'altro in modo da avere di fronte il tavolo; stavano appoggiati sul gomito sinistro e con il braccio destro portavano i cibi alla bocca. Il primo letto da sinistra verso destra era chiamato summus, il secondo, cioè quello centrale e d'onore era chiamato medium e l'ultimo, quello di destra era l'imus, il posto dove di solito era disteso il padrone di casa ; stessi nomi erano dati ai tre posti che componevano il letto: locus summus, locus medium e locus imus, fatta eccezione per il posto dell'ospite d'onore, chiamato locus consularis. Appena lo schiavo che annunciava gli invitati (nomenclator) aveva sistemato comodamente i partecipanti alla cena, i servitori (ministratores) iniziavano a portare i piatti, che potevano essere piani (patina o patella) o fondi (catinus), i bicchieri senza manico o poculum o le coppe e altri strumenti come coltelli, stuzzicadenti ecc. I convitati alle cenae mangiavano con le mani e non utilizzavano le posate; soltanto in caso di pietanze liquide o cremose, erano muniti di cucchiai di varie forme fra i quali i più utilizzati erano la ligula, o cucchiaio classico e la trulla, o mestolo. Proprio in conseguenza del maggiore utilizzo delle mani, alla fine di ogni portata i servi provvedevano al loro lavaggio prima di passare al piatto successivo. Molti convitati usavano portare da casa alcuni tovaglioli che oltre a essere usati come tovaglia, servivano per portare a casa gli avanzi del pasto o i doni (apophoreta) a volte distribuiti dal padrone di casa.la cena iniziava con gli antipasti o gustatio, i quali erano formati da cibi leggeri come le olive, le immancabili uova, porri, funghi, ostriche e varie verdure, accompagnate da vino con miele (mulsum); proseguiva con la cena vera e propria, composta di varie portate, chiamate ferculum. Dopo le libagioni in onore dei Lari la fase conclusiva della cena era formata da dessert (secundae mensae) e dal rito tradizionale della commissatio, diffusa più frequentemente nei grandi banchetti, che consisteva in

20 una grande bevuta generale di vino sottoposta a regole ferree, durante la quale si assisteva anche a piccoli spettacoli, concerti o letture. Triclinium (Pompei) I CIBI Dopo aver descritto sommariamente i tre momenti che caratterizzavano i pasti durante la giornata dell'uomo romano, occupiamoci più in particolare dei cibi e di come venivano preparati. La cucina degli antichi romani era assai semplice e con pasti molto frugali. Il nutrimento essenziale era rappresentato dalla polenta di frumento (puls o pulmentus), da legumi (fave, ceci, lenticchie), da farro e da ortaggi. Nella preparazione della polenta, veniva utilizzato principalmente il farro (far) che era in linea di massima il cereale più coltivato in quel periodo; più tardi vennero utilizzati anche miglio, panico, orzo, la farina di fave o di ceci. In ogni caso il prodotto più utilizzato restava il farro che poteva essere cotto sia in grani interi, sia macinato o frantumato nel mortaio e ridotto in polvere assumendo l'aspetto di ciò che noi chiamiamo farina (da far, farro). La polenta era preparata in un contenitore di terracotta detto pultarium dove al farro trattato si aggiungeva acqua, sale e un po di latte e a seconda dei gusti veniva arricchito con fave (puls fabata), cavoli, cipolle, formaggio (puls caseata) ed anche con alcuni pezzi di carne o di pesce; tutto ciò per darle un sapore più ricco, fino ad arrivare ad un vero e proprio miscuglio che conteneva un'infinità di ingredienti chiamato satura o satira ( da cui l'utilizzo moderno di queste due parole: saturazione e satira nel senso di battute o scherzi pesanti), che portava in breve tempo alla sazietà di chi lo mangiava. Con l'arrivo del pane sulle tavole, la polenta, che era stata l'alimento base per molto tempo, vide diminuire la sua importanza. Vi erano tre tipi di pane: il pane nero o pane dei poveri (panis plebeius o rusticus), il pane bianco anche se poco migliore del primo (panis secundarius) e il pane bianco di farina finissima o pane dei ricchi (panis candidus o mundus); il grano con cui era fatto arrivò ad avere un'importanza primaria, e i Romani arrivarono perfino alla promulgazione di leggi che regolavano la corretta distribuzione di questo prodotto ( cura annonae, lex Clodia, lex Sempronia frumentaria); furono organizzati speciali servizi di approvvigionamento, facendo arrivare il grano via mare da zone lontane, depositandolo in magazzini speciali per la successiva distribuzione alla popolazione sotto forma di grano in chicchi oppure come avvenne in un secondo momento, direttamente in pani già cotti. Il pesce era un cibo molto diffuso, sia di fiume che di mare, sia quello allevato in grandi vivai (vivaria). I pesci utilizzati nella cucina romana erano di circa 150 specie, si andava da quelli delle tavole dei ricchi (orate, triglie, sogliole, dentici, trote ecc.) a quelli delle

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