Sintesi di sequenze peptidiche di enterovirus Coxsackie e hgad per lo studio di una possibile correlazione tra agenti infettivi e diabete di tipo 1

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1 Scuola di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze Chimiche Sintesi di sequenze peptidiche di enterovirus Coxsackie e hgad per lo studio di una possibile correlazione tra agenti infettivi e diabete di tipo 1 Synthesis of peptide sequences of enterovirus Coxsackie and hgad for the study of a possible correlation between infectious agents and type 1 diabetes Relatore Prof. Anna Maria Papini Correlatore Prof. Chiara Azzari Candidato Lorenzo Altamore Anno Accademico 2013/2014

2 Abstract Candidato: Lorenzo Altamore Relatore: Anna Maria Papini Correlatore: Chiara Azzari Controrelatore: Antonella Capperucci Il diabete mellito di tipo 1, sia nella sua forma giovanile (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM) che negli adulti (Latent Autoimmune Diabetes in Adults, LADA) è una patologia sulla quale sono stati effettuati, negli ultimi decenni numerosi studi, al fine di comprenderne i meccanismi molecolari e soprattutto le cause scatenanti, che accettate essere di natura genetica e/o ambientale. Fra gli agenti ambientali più probabili, legati allo scatenamento e allo sviluppo di questa patologia è sempre più accettato il ruolo di un infezione virale precoce causata dall enterovirus Coxsackie B4. Il meccanismo che lega i due eventi rimane però ancora ignoto. Una delle ipotesi più probabili al riguardo suggerisce un meccanismo di mimicry verso una porzione, denominata P2C, di una proteina genomica del virus rispetto a frammenti delle due isoforme della Glutamic Acid Decarboxylase (GAD65 e GAD67), un enzima coinvolto nella regolazione del glucagone. La P2C condivide infatti con GAD65 e GAD67 un possibile epitopo, il frammento peptidico PEVKEK (J.- C. Tong et al. Ann.N.Y.Acad.Sci. 2002). Questo mimetismo potrebbe generare una cross-reattività degli anticorpi anti-coxsackie verso le due isoforme della GAD e portare al riconoscimento di neo-epitopi nella GAD stessa. Ne conseguirebbe un danno all enzima da parte del sistema immunitario e una conseguente disregolazione dei livelli di glucagone, con possibile scatenamento della patologia. La GAD è infatti riconosciuta ad oggi come uno dei più significativi autoantigeni legati al diabete di tipo I e gli anticorpi anti-gad sono accettati a livello clinico come uno dei biomarker più caratteristici di questa patologia non solo a livello diagnostico, ma anche predittivo. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di porre le basi per un approfondimento mirato ad avvalorare questa ipotesi. Sono stati perciò selezionati e sintetizzati tramite strategia di sintesi di peptidi su fase solida Fmoc/tBu assistita da microonde, i tre frammenti peptidici: 2

3 hgad65: 250AMMIARFKMFPEVKEKGMAALPRL 273, hgad67: 258SIMAARYKYFPEVKTKGMAAVPKL 281 e CVB4 P2C: 28FIEWLKVKILPEVKEKHEFLSRL 50. I peptidi sono stati sintetizzati sia in forma non acetilata all estremità N-terminale (I-III), che acetilata (IV-VI). Il motivo di tale scelta è legato ad introdurre un ulteriore legame ammidico in posizione N-terminale, mimando un frammento interno alla putativa proteina antigenica e favorire l interazione con anticorpi specifici eventualmente presenti nel siero dei pazienti. I peptidi I, II e III sono stati utilizzati per studi di immunoaffinità mediante Risonanza Plasmonica di Superficie (BIACORE), mentre i peptidi IV, V e VI sono stati utilizzati in test immunoenzimatici su fase solida SP-ELISA. In entrambi i casi sono stati utilizzati sieri di pazienti diabetici e controlli provenienti sia dall Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze (sieri IDDM) che dall Università di Padova (sieri LADA). Nei sieri si pazienti IDDM è stato possibile rivelare, tramite SP-ELISA, anticorpi solo di classe IgM. In particolare nel caso dei sieri 15 e 43 è stata osservata una netta positività al test contro tutti e tre i peptidi IV, V e VI, mentre i sieri 1 e 37A hanno dato risultati positivi nei confronti dei peptidi hgad67 ( ) e CVB4 P2C (28-50) e dei peptidi hgad65 ( ) e CVB4 P2C (28-50) rispettivamente. Inoltre sono stati ricercati gli stessi anticorpi anche in una coorte ridotta di sieri appartenenti a pazienti LADA, al fine di verificare se questi fossero presenti anche in soggetti adulti. Anche in questo caso non sono stati ritrovati anticorpi IgG, ma solo IgM con valori di assorbanza elevati verso le tre sonde peptidiche IV, V e VI. Essendo le IgM la prima classe di anticorpi prodotta in seguito a infezione, la loro presenza può essere un indice di reminiscenza dell infezione stessa. Possiamo perciò affermare che anche se in un numero esiguo di pazienti, abbiamo una prima dimostrazione dell effetto di mimicry ipotizzato tra hgad 65, hgad 67 e la porzione P2C della sequenza della proteina genomica virale del Coxsackievirus B4.. Gli studi di binding effettuati con i peptidi I, II e III mediante BIACORE T100, ottimizzati ad oggi per il riconoscimento di anticorpi IgG, hanno dato come atteso risultati negativi sia nei sieri dei pazienti diabetici che nei controlli. Misure d interazione tra le IgM identificate per la prima volta in questo lavoro di tesi e le nuove sonde peptidiche I, II e III sono attualmente in corso. 3

4 INDICE 1. INTRODUZIONE LA RISPOSTA IMMUNITARIA Regio ni variabili: caratteristiche strutturali e legame con l antigene Regioni costanti: caratteristiche strutturali e funzioni effettrici Legame anticorpo-antigene PATOLOGIE AUTOIMMUNI Diabete mellito di tipo 1 (T1D) Ruolo metabolico della GAD Coxsackie Virus PRESUPPOSTI DELLA RICERCA CORRELAZIONE FRA DIABETE MELLITO DI TIPO 1 ED INFEZIONE DA COXSACKIE VIRUS: MIMETISMO Danneggiamento diretto e distruzione delle β-cellule delle isole pancreatiche Reazione autoimmune: danneggiamento del procedimento chimico metabolico di regolazione del glucosio nel sangue Anticorpi anti-gad SVILUPPO DELLA RICERCA 32 4

5 3.1. SPPS Teoria e applicazioni delle microonde in SPPS Microonde in sintesi peptidica Reazioni collaterali Liberty Blue TM CEM SINTESI DEI PEPTIDI hgad65 ( ) (I), hgad67 ( ) (II) e CVB4 P2C (28-50) (III) SINTESI DEI PEPTIDI hgad65 Ac-( ) (I), hgad67 Ac-( ) (II) e CVB4 P2C Ac-(28-50) (III) Reazione di Acetilazione PURIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI PEPTIDI RILEVAZIONE E QUANTIFICAZIONE DI ANTICORPI TRAMITE TECNICA BIACORE E TECNICA IMMUNOENZIMATICA ELISA Biacore Risonanza Plasmonica di Superficie La superficie del biosensore Procedura di ph-scouting Immobilizzazione del ligando sul chip Risultati dei test al BIACORE Tecnica immunoenzimatica ELISA Risultati dei test SP ELISA 71 5

6 4. CONCLUSIONI PARTE SPERIMENTALE SPPS MATERIALI E METODI Sintesi automatica di peptidi su fase solida Cleavage dalla resina Acetilazione dell estremità N-terminale Purificazione dei peptidi Pre-purificazione HPLC semi-praparativa Caratterizzazione dei peptidi TEST DI IMMUNOAFFINITA BIACORE MATERIALI E METODI Immobilizzazione dei peptidi sul chip Studi di binding TEST IMMUNOENZIMATICI IN FASE SOLIDA (SP-ELISA) MATERIALI E METODI Test SP-ELISA Fasi sperimentali BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI 94 6

7 1 INTRODUZIONE 1.1 LA RISPOSTA IMMUNITARIA Si definisce antigene (Ag) una qualunque sostanza in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario, avente la caratteristica di combinarsi con i prodotti di una reazione immunitaria (anticorpi o cellule T). Possono essere suddivisi in due macrocategorie: self, generalmente tollerati dal sistema immunitario e spesso di natura endogena, e non-self, in genere identificati come invasori e attaccati dal sistema immunitario (spesso di natura esogena). Spesso si fa riferimento, erroneamente, agli antigeni come generatori di anticorpi [1]. Si definisce invece immunogeno una sostanza che provoca in un organismo suscettibile una risposta immunitaria (e quindi la produzione di molecole di anticorpi specifici). Un immunogeno è un tipo specifico di antigene. Gli immunogeni possono essere composti semplici (monomerici) o complessi (polimerici). Generalmente però sono caratterizzati da un peso molecolare relativamente alto e sono di natura proteica o polisaccaridica. Molecole di piccole dimensioni non sono in grado, di per sé, di attivare i linfociti B, ossia non funzionano da immunogeni. Per generare anticorpi diretti verso queste piccole molecole è necessario coniugarle a macromolecola prima di procedere all immunizzazione: in questo caso la molecola piccola viene definita aptene, mentre la macromolecola è chiamata carrier. Il complesso aptene-carrier, diversamente dall aptene da solo, è in grado di comportarsi da immunogeno. Riassumendo, si definisce quindi immunogenicità la capacità di una sostanza di indurre in un organismo una risposta umorale e/o cellulo-mediata di tipo immune; l'antigenicità è invece la capacità di combinarsi specificamente con i prodotti finali della risposta immunitaria (cioè gli anticorpi secreti e/o i recettori di superficie presenti sulle cellule T). Anche se tutte le molecole che hanno proprietà immunogene hanno anche proprietà antigeniche, non è vero il contrario [2]. Un anticorpo (o Ab, anche conosciuto come immunoglobulina) è invece un substrato di natura proteica con una peculiare struttura quaternaria a forma di Y. Gli anticorpi sono presenti nel sangue e in tutti gli altri fluidi degli organismi 7

8 vertebrati. Sono prodotti dal sistema immunitario in seguito al contatto con un determinato antigene e la loro funzione è quella di identificarlo e neutralizzarlo [3]. Gli anticorpi hanno la capacità di legarsi in maniera specifica agli antigeni (microorganismi infettivi come batteri, tossine o qualunque macromolecola estranea che provochi la formazione di anticorpi). Negli organismi a sangue caldo vengono prodotti dai linfociti B, trasformati per adempiere a questo compito, in seguito a stimoli specifici, in plasmacellule. Le immunoglobuline, insieme ai recettori dei linfociti T, TCR (T Cell Receptors), e alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità, MHC (Major Histocompatibility Complex), sono le uniche molecole capaci di legare l'antigene. La porzione strutturale dell antigene che viene riconosciuta e legata dall anticorpo viene definita epitopo o determinante (Fig. 1). Epitopo Figura 1 Interazione Antigene-Anticorpo Le macromolecole solitamente contengono molteplici epitopi, alcuni dei quali possono essere ripetuti: ognuno di essi può ovviamente essere legato da un anticorpo. Quando in uno stesso antigene sono presenti epitopi multipli identici si parla di polivalenza o multivalenza. La maggior parte delle proteine globulari non 8

9 contengono epitopi identici ripetuti, e non sono quindi polivalenti, a meno che la proteina non sia in forma aggregata. Esistono tre diverse tipologie di epitopi: Epitopi lineari: sono definiti così quegli epitopi formati da una semplice sequenza di residui amminoacidici. Di solito, il sito di legame per una molecola anticorpale può alloggiare un determinante antigenico composto da circa 6 amminoacidi. Gli epitopi lineari possono essere accessibili agli anticorpi se sono esposti sulla superficie esterna dell antigene, o in una regione conformazionale estesa nella proteina nativa ripiegata; più spesso invece gli epitopi lineari sono inaccessibili nella conformazione nativa della proteina, e compaiono solo quando essa viene denaturata. Epitopi conformazionali: sono costituiti da amminoacidi non in sequenza e si creano per avvicinamento spaziale, dovuto al ripiegamento della proteina, di regioni distanti tra loro. Epitopi neo-antigenici: vengono generati in seguito a modifiche posttraduzionali aberranti, quali fosforilazione o proteolisi, che, alterandone la struttura covalente, possono generare nuovi epitopi. In Figura 2 sono raffigurati i diversi tipi di epitopi. Figura 2 Tipologie di determinanti o epitopi antigenici 9

10 Tutte le interazioni di legame, generalmente non covalenti quali i legami a idrogeno, le interazioni di Van der Waals ecc., avvengono quindi fra i siti di legame specifici presenti sull anticorpo/recettore e questa porzione del peptide antigenico (epitopo). La restante parte della sequenza amminoacidica può quindi eventualmente giocare un ruolo prettamente strutturale, ovvero permettere l esistenza stessa dell epitopo (nel caso di epitopi conformazionali) o coadiuvare l avvicinamento dell antigene all anticorpo. L approccio sintetico generalmente utilizzato per lo studio delle interazioni antigene-anticorpo prevede quindi la sintesi non dell intera proteina antigenica, ma esclusivamente della sequenza che teoricamente rappresenta l epitopo. Come evidenziato in Figura 1, tutte le molecole anticorpali posseggono identiche caratteristiche strutturali (regione costante), ma mostrano una variabilità notevolissima nelle regioni che legano l antigene (regione variabile). Questa variabilità spiega la capacità delle diverse molecole anticorpali di legarsi ad un numero enorme di antigeni strutturalmente differenti; ogni specie anticorpale è dotata nel sito di combinazione con l antigene di una sequenza amminoacidica assolutamente unica, diversa da quella di tutti gli altri tipi di anticorpo. Le caratteristiche chimico-fisiche e le funzioni effettrici delle Ig sono legate alla porzione anticorpale che non lega l antigene, che mostra una variabilità relativamente bassa tra i diversi anticorpi. Ogni anticorpo è costituito da un nucleo strutturale simmetrico, composto da due catene leggere identiche tra loro (ciascuna del peso di circa 24 KD) e due catene pesanti anch esse identiche tra loro (ciascuna del peso di circa 55 o 70 KD). Ognuna delle due catene leggere è legata attraverso un legame covalente ad una delle due catene pesanti da un ponte disolfuro; le due catene pesanti sono a loro volta legate da ponti disolfuro. Sia le catene leggere che quelle pesanti contengono una serie di unità omologhe, della lunghezza di circa 110 amminoacidi ciascuna, che prendono il nome di dominio immunoglobulinico. Un dominio Ig contiene due strati di foglietto planare, ciascuno dei quali composto da 3-5 nastri polipeptidici ad andamento antiparallelo (Fig. 3) 10

11 Figura 3 Domini immunoglobulinici della catena leggera degli anticorpi Sia le catene pesanti che quelle leggere sono composte da una regione variabile (rispettivamente V H e V L ) N-terminale e da una regione costante (rispettivamente C H e C L ) C-terminale. Le regioni V sono definite tali in quanto contengono regioni di variabilità della sequenza amminoacidica che differenziano gli anticorpi prodotti da un clone di linfociti B da quelli prodotti da un clone diverso. Dal momento che il nucleo strutturale di ogni molecola di anticorpo è costituito da due catene pesanti e due catene leggere, ogni molecola Ig avrà due siti di legame per l antigene. I domini della regione C sono spazialmente separati dal sito di legame per l antigene e non partecipano al riconoscimento di quest ultimo; tali domini possono tuttavia interagire con molecole e cellule effettrici del sistema immunitario, mediando così gran parte degli effetti biologici svolti dagli anticorpi. L estremità C-terminale delle catene pesanti serve, inoltre, ad ancorare gli anticorpi sulla membrana dei linfociti B, dove svolgono le funzioni di recettore antigenico. D altra parte la regione C delle catene leggere non svolge alcuna funzione effettrice, né funge da ancora per la membrana cellulare Regioni variabili: caratteristiche strutturali e legame con l antigene La maggior parte delle differenze strutturali tra le diverse molecole di anticorpo si concentra in tre brevi tratti situati nella regione V delle catene leggere e delle catene pesanti, denominati segmenti ipervariabili. Ciascuna di queste regioni 11

12 altamente diversificate ha una lunghezza di circa 10 amminoacidi; i tre segmenti ipervariabili sono tenuti assieme da regioni dette cornice. Dal momento che queste sequenze possiedono una conformazione complementare alla struttura tridimensionale dell antigene che ad esse si lega, le regioni ipervariabili sono spesso denominate anche CDR (Complementary-Determining Regions) (Fig. 4) Figura 4 Regioni ipervariabili delle molecole di immunoglobuline Queste regioni sono chiamate rispettivamente CDR1, CDR2 e CDR3. Sia nella regione V H che in quella V L, il segmento più variabile delle tre sequenze è CDR3. L analisi cristallografica degli anticorpi ha rivelato che le CDR formano delle anse esposte sulla superficie degli anticorpi e quindi disponibili ad interagire con l antigene Regioni costanti: caratteristiche strutturali e funzioni effettrici Le molecole anticorpali possono essere divise in classi in base a differenze nella struttura delle regioni C delle catene pesanti. Queste classi sono chiamate anche isotipi, e sono denominate IgA, IgD, IgE, IgG ed IgM (Tab. 1). 12

13 Tabella 1 Isotipi delle immunoglobuline Ognuna di queste classi possiede una specifica sottoclasse di catene pesanti, che sono denominate rispettivamente α, δ, ε, γ, µ; sono invece noti due diversi tipi di catena corta, denominati k e l. Le IgG, o gammaglobuline, rappresentano la frazione più abbondante (70-75%) delle immunoglobuline presenti nel sangue, svolgono un ruolo importante nella difesa dalle infezioni: si legano ai macrofagi e ai leucociti permettendo loro di individuare efficacemente il bersaglio da fagocitare. Le IgG sono anche capaci di scatenare una serie di reazioni biochimiche, detta cascata del complemento, che si conclude con l eliminazione del microorganismo. Inoltre, le IgG sono l unica classe anticorpale efficace contro le tossine batteriche. Sono gli anticorpi maggiormente impiegati durante la risposta immunitaria secondaria, cioè sono prodotte tardivamente e in maniera massiva dai linfociti B differenziatisi in plasmacellule. In questo esse si contrappongono alle IgM, che sono prodotte invece nelle fasi più precoci dell'infiammazione, ma che hanno un'efficacia decisamente minore. Le gammaglobuline hanno un'importantissima funzione nel proteggere il neonato durante i primi mesi di vita, quando ancora non è in grado di produrre anticorpi da solo. Le IgG sono infatti in grado di passare la barriera placentare, immettendosi nel sangue del feto: questi possiede dunque lo stesso repertorio anticorpale della madre per circa sei mesi, finché gli anticorpi ormai vecchi vengono degradati, ed è quindi in grado di difendersi nei confronti di tutti quei patogeni con cui la madre è 13

14 venuta a contatto (anche solo per vaccinazione). Dopo la nascita, la madre continua comunque a passare immunoglobuline al neonato mediante l'allattamento: il latte materno contiene infatti grandi quantità di IgG ed IgA, che passano nell'apparato digerente del neonato. Mentre le IgA si fermano nel canale digerente, le IgG vengono assorbite dall'epitelio intestinale del lattante mediante uno specifico recettore neonatale per le Fc, ed immesse nel torrente circolatorio. Le IgM rappresentano circa il 10% delle immunoglobuline del sangue e sono costituite dall aggregazione di cinque, più raramente sei, monomeri di immunoglobulina. La loro produzione è caratteristica delle risposte primarie agli organismi infettivi. È sufficiente una sola molecola di IgM legata all antigene per attivare la cascata del complemento. L'emivita delle IgM nel siero è di 5-6 giorni, circa tre volte inferiore a quella delle IgG. Possono essere sintetizzate dai linfociti B in due forme: monomerica e pentamerica. Nel primo caso si ritrovano (insieme alle IgD) sulla membrana del linfocita B immaturo e la loro funzione principale è quella di captare gli antigeni circolanti per i quali sono specifiche e di trasmettere all'interno del linfocita il segnale di attivazione, che lo porterà a differenziarsi in una plasmacellula secernente anticorpi. Le IgM vengono prodotte già in uno stadio molto precoce della maturazione dei linfociti B: catene μ possono essere ritrovate già nel citoplasma dei linfociti pre-b, dove vengono assemblate con una catena leggera sostitutiva e permettono la formazione del recettore pre-b, utilissimo ai fini della selezione positiva. Dopo l'attivazione del linfocita per il contatto con l'antigene ed il suo differenziamento in cellula secernente anticorpi, le IgM subiscono un processo di maturazione dell'affinità per l'antigene, per cui vengono prodotte IgM ad alta affinità non più in forma di membrana ma in forma secretoria. Nel secondo caso la principale funzione è l'opsonizzazione (potenziamento del processo di fagocitosi dei batteri): essendo pentameriche, esse dispongono infatti del quintuplo di siti di legame rispetto a tutte le altre immunoglobuline, e perciò sono opsonine molto efficaci. Contrariamente alla maggior parte delle opsonine, la funzione principale delle IgM non è però quella di favorire la fagocitosi della particella opsonizzata da parte delle cellule immunitarie: pochissimi fagociti possiedono, infatti, un recettore specifico per la porzione Fc delle IgM (Fig. 5). 14

15 Frammenti Fab o frammenti leganti l antigene Frammento Fc o frammento cristallizzabile Figura 5 Le due porzioni derivanti dal clivaggio di un anticorpo La loro funzione principale è invece quella di attivare il complemento: le IgM sono infatti i migliori iniziatori della via classica dell'attivazione del complemento, meglio ancora delle IgG. Il sistema del complemento, insieme agli anticorpi, è un elemento essenziale del sistema immunitario nei meccanismi di difesa umorale contro gli agenti infettivi. Esso è costituito da una ventina di proteine circolanti e di membrana, capaci di interagire reciprocamente e con le membrane cellulari. L'attivazione a cascata delle sue proteine solubili, che convenzionalmente vengono chiamate componenti, è alla base di attività biologiche varie come la lisi cellulare, batterica o virale. Queste si introducono nelle membrane degli agenti patogeni provocando su di esse pori che portano alla lisi. Durante l'attivazione del complemento si ha inoltre il reclutamento di varie cellule immunocompetenti, quali le cellule fagocitarie (monociti, macrofagi, polinucleati), i linfociti B e i linfociti T. Le IgA sono gli anticorpi più rappresentati nelle secrezioni: saliva, latte, lacrime e secrezioni respiratorie, digerenti e genitourinarie. Possono esistere sia in singola unità (monomeri), sia aggregate in coppia (dimeri). Costituiscono un vero e proprio sistema difensivo nelle mucose, rappresentando la prima barriera specifica che si oppone alla penetrazione del materiale antigenico nell organismo. Le IgD rappresentano meno dell 1% delle immunoglobuline totali del plasma, ma sono presenti in grande quantità sulla membrana di molti linfociti B circolanti. Esse sembrerebbero svolgere un importante ruolo di recettori per l antigene dei linfociti B. 15

16 Le IgE, pur trovandosi in piccolissime quantità nel siero plasmatico, sono presenti sulla superficie dei basofili e dei mastociti di tutti gli individui, agendo come recettori per gli antigeni. L avvenuto legame stimola la degranulazione di queste cellule che, liberando istamina e altri mediatori, provocano le manifestazioni cliniche tipiche delle reazioni allergiche (asma, orticaria, febbre da fieno). Le IgE svolgono inoltre un importante ruolo nella difesa dai parassiti, in particolar modo dai vermi [4] Legame antigene-anticorpo Il legame tra l antigene e l anticorpo coinvolge diversi tipi di interazioni non covalenti, tra cui forze elettrostatiche, ponti a idrogeno, interazioni di van der Waals ed interazioni idrofobiche. La forza di legame tra un singolo sito combinatorio di un anticorpo ed un epitopo antigenico, viene definita affinità dell anticorpo. L affinità è solitamente espressa come costante di dissociazione (K d ), che definisce la concentrazione di antigene necessaria per occupare i siti combinatori di metà delle molecole di Ig presenti in una data soluzione di anticorpi. Una K d bassa indica un affinità di interazione elevata, poiché significa che è necessaria una concentrazione minore di antigeni per saturare la metà dei siti combinatori. Per gli anticorpi rivolti verso antigeni d interesse biologico, la K d di solito oscilla tra 10-7 M e M. Dal momento che la regione cerniera conferisce agli anticorpi una certa flessibilità, una molecola di anticorpo può legarsi ad un antigene multivalente con più di un sito combinatorio. Per le IgG e per le IgE questo legame può coinvolgere al massimo due siti combinatori, situata su ognuno dei due F ab (cioè la coppia di domini V L e V H, ognuno dei quali mantiene la capacità di legare l antigene); per le Ig pentameriche come le IgM, una singola molecola di anticorpo può legare fino a 10 molecole di epitopi. Sebbene l affinità di un sito combinatorio sia la stessa nei confronti di ogni epitopo di un antigene polivalente, la forza di legame dell antigene all anticorpo deve tener in conto il legame di tutti i siti combinatori a tutti gli epitopi disponibili: questa forza complessiva di legame tra antigene ed anticorpo è chiamata avidità, ed è ovviamente molto maggiore dell affinità di ogni singolo sito combinatorio. Il valore dell avidità cresce in modo quasi geometrico per ogni sito combinatorio occupato: pertanto, una molecola di 16

17 IgM a bassa affinità può legarsi in maniera molto forte ad un antigene polivalente, poiché molte interazioni a bassa affinità possono produrre un interazione complessiva ad avidità elevata. 1.2 PATOLOGIE AUTOIMMUNI Con il termine malattia autoimmune, in medicina, si indica l'alterazione del sistema immunitario che dà origine a risposte immuni anomale o autoimmuni, cioè dirette contro componenti dell'organismo umano in grado di determinare un'alterazione funzionale o anatomica del distretto colpito [5]. L autoimmunità consiste quindi in una risposta immunitaria contro antigeni self (autologhi) e rappresenta un importante causa di malattia. È importante sottolineare che non sempre il verificarsi di una risposta autoimmunitaria implica il successivo sviluppo di una patologia autoimmune. Sono noti molti casi, legati soprattutto ad infezioni, in cui è presente una risposta autoimmunitaria (transiente) che non sfocia in nessuna malattia autoimmune. La malattia autoimmune è quindi una condizione patologica in cui è avvenuta una rottura della tolleranza immunologica verso uno o più antigeni self. Il risultato della scomparsa di questa tolleranza è la formazione di autoanticorpi e/o linfociti T autoreattivi che determinano/inducono un danno tissutale e la malattia. Si stima che l 1-2% degli individui soffra di malattie autoimmuni, sebbene si debba ammettere che molte malattie associate a risposte immunitarie dirette contro antigeni ignoti (e quindi non necessariamente self) vengano semplicisticamente incluse tra le malattie autoimmuni. Le malattie autoimmuni vengono convenzionalmente suddivise in due categorie: organo-specifiche e non-organo-specifiche (o sistemiche). Nelle prime la risposta autoimmunitaria è diretta verso antigeni multipli di un organo. Tipicamente coinvolgono le ghiandole endocrine e gli autoantigeni sono spesso recettori ormonali o enzimi intracellulari tipici dell organo interessato (es. diabete di tipo 1). Le seconde colpiscono invece più organi e sono associate ad una risposta immunitaria diretta contro molecole self largamente distribuite nell organismo, in particolare molecole intracellulari coinvolte nella trascrizione del DNA (es. artrite reumatoide). 17

18 I principali fattori che contribuiscono allo sviluppo dell autoimmunità sono di origine genetica (ereditarietà di geni predisponenti che contribuiscono alla mancata tolleranza verso antigeni self) o di origine ambientale (come le infezioni che possono attivare in modo patologico linfociti reattivi verso antigeni self) (Fig. 6). Figura 6 Meccanismi ipotizzati per lo sviluppo dell autoimmunità Diabete mellito di tipo 1 (T1D) Il diabete mellito di tipo 1 è una forma di diabete che si configura come malattia autoimmune caratterizzata dalla distruzione delle cellule β pancreatiche e conseguente insulino-deficienza [6]. La forma più comune di T1D è conosciuta come Insulin-Dependent Diabetes Mellitus (IDDM) o diabete giovanile. La velocità con cui le cellule β vengono distrutte è variabile; è stata infatti osservata una maggiore velocità di distruzione cellulare nei bambini, che risulta invece più lenta negli adulti. In quest ultimo caso si parla di Latent Autoimmune Diabetes in Adults (LADA) [7]. 18

19 Alcuni pazienti, specialmente bambini ed adolescenti, possono presentare una rapida chetoacidosi come prima manifestazione della patologia. Altri mostrano invece una più lenta iperglicemia, che assume rapidamente importanza in presenza di infezioni o stress. Negli adulti, in alcuni casi, si è osservata una conservazione di un attività residua delle β cellule, sufficiente a prevenire la chetoacidosi [8]. Le cause scatenanti sono un insieme di fattori che riguardano la genetica, l'ambiente e l'immunologia. Ad una predisposizione genetica di base si unisce uno stimolo immunologico che, con il passare del tempo, porta alla distruzione delle cellule β. L'insorgenza ha variazione stagionale e può seguire, tra l'altro, quella di diverse patologie virali quali il morbillo, l'epatite o infezioni da Coxsackie Virus. Si teorizza che tali infezioni realizzino una risposta autoimmunitaria, portando infine alla comparsa di linfociti T citotossici che completino la distruzione delle cellule β del pancreas, producenti insulina. Per quanto riguarda i fattori ambientali, sembra che, come altre malattie autoimmuni, il T1D sia correlato a particolari combinazioni di alleli HLA (Human Leukocyte Antigen). La presenza di HLA del cromosoma 6 fu il primo locus ad essere sospettato di una correlazione col diabete di tipo 1 mentre i B8 o B15 aumentano di circa tre volte il rischio di sviluppare T1D [9]. L'eziologia genica è però ancora incerta. Inoltre non c'è prevalenza nella trasmissione verticale. Non esistono invece ancora prove certe riguardo al coinvolgimento dei fattori ambientali nello sviluppo del T1D. Una recente ipotesi prende in considerazione fenomeni di mimetismo con antigeni del Mycobacterium avium subspecie paratuberculosis, già chiamato in causa per la patogenesi della malattia di Crohn [10]. Infezioni croniche subcliniche di tale micobatterio, contratto durante l'infanzia, comporterebbero, in individui suscettibili, interazioni crociate di stampo autoimmunitario, come rilevato in alcuni studi [11]. Inerentemente invece alle infezioni da Coxackie, il sierotipo B4 è stato correlato all'insorgenza di diabete insulino-dipendente (vedi paragrafo Correlazione fra T1D ed infezione da Coxsackie Virus B4: mimetismo nella sezione Presupposti della Ricerca ). 19

20 Ruolo metabolico della GAD La GAD (Glutamic Acid Decarboxylase) è un enzima il cui ruolo primario è la decarbossilazione del glutammato (1) (Glu, E) a GABA (2) e CO 2 (Schema 1). GAD + CO 2 (1) (2) Schema 1 Sintesi del GABA Esiste nell organismo umano in due isoforme denominate hgad65 (65 kda) e hgad67 (67 kda) (Fig. 7). GAD65 (88-584) GAD67 (93 593) Figura 7 GAD65 e GAD67 Queste sono espresse da due geni diversi, denominati rispettivamente GAD2 e GAD1, prevalentemente a livello cerebrale e pancreatico. La GAD67 è caratterizzata da una distribuzione uniforme all interno della cellula, mentre la GAD65 è localizzata esclusivamente nelle terminazioni nervose e a livello della membrana; questa caratteristica riflette una differenza funzionale delle due 20

21 isoforme. La GAD67 infatti ha il compito di sintetizzare il GABA per l attività neuronale non legata alla neurotrasmissione, some la sinaptogenesi e la protezione da danni neurali, funzione che richiede una distribuzione ubiquitaria del GABA; la GAD65 invece sintetizza il GABA specificatamente per la neurotrasmissione, che di conseguenza è necessario solo a livello delle terminazioni nervose. La GAD67 viene di conseguenza sviluppata per prima dall organismo durante la fase iniziale di sviluppo, mentre la GAD65 viene trascritta solo più tardi [12]. Ancora una volta questo riflette la differente funzione delle due forme nell organismo, la prima necessaria durante lo sviluppo per il normale funzionamento della cellula, la secondo necessaria solo quando l inibizione sinaptica è più diffusa. Entrambe le isoforme sono regolate tramite reazioni di fosforilazione [13], anche se in modo diametralmente opposto; mentre la GAD65 è attivata dalla fosforilazione, la GAD67 viene inibita da essa. La GAD67 viene fosforilata sulla treonina in posizione 91 ad opera della protein kinasi A (PKA); la GAD65 invece viene fosforilata dalla protein kinasi C (PKC). Esiste poi un ulteriore regolatore comune, denominato piridossal-5-fosfato (PLP). La GAD risulta attiva solo se legata al PLP [14] ; mentre, per gli stessi motivi già elencati precedentemente, la GAD67 risulta sempre legata al PLP, la GAD65 si lega ad esso, attivandosi, solo in caso di necessità. Come già accennato, la GAD, nelle sue 2 isoforme 65 e 67, e di conseguenza il GABA, sono espressi anche nelle cellule β delle isole di Langerhans, in quantità paragonabili a quelle incontrate nel SNC. Il GABA è un γ-amminoacido, principale neurotrasmettitore inibitorio nei mammiferi del sistema nervoso centrale, responsabile della regolazione dell'eccitabilità neuronale in tutto il sistema nervoso. Negli esseri umani GABA è anche direttamente responsabile della regolazione del tono muscolare. Viene rilasciato da neuroni dei circuiti locali presenti nel cervello (neuroni gabaergici). La loro funzione fisiologica però rimane ad oggi ancora poco chiara. Alcune ipotesi suggeriscono che il GABA prodotto nelle β-cellule possa servire da regolatore del rilascio degli ormoni pancreatici oppure come molecola di segnalazione paracrina 21

22 per la comunicazione tra le suddette β-cellule e le altre cellule endocrine delle isole di Langerhans. La comunicazione paracrina si verifica quando la molecola segnale agisce a brevissima distanza su cellule bersaglio diverse poste presso la cellula di segnalazione. La velocità di questo segnale dipende dalla distanza delle cellule bersaglio e dalla risposta generata che può avvenire in frazioni di secondo, qualora sia finalizzata a cambiare la conformazione di una proteina, ma può richiedere anche minuti o ore quando modifica l'espressione genica. Ci sono inoltre prove convincenti a supporto del fatto che il GABA potrebbe avere un effetto inibitorio sul rilascio del glucagone (in vitro), anche se non è ancora chiaro come il GABA agisca da molecola segnale nell inibizione della secrezione del glucagone [15]. Il glucagone (Fig. 8) è un ormone peptidico secreto dal pancreas, più precisamente dalle cellule α delle isole di Langerhans, che ha come bersaglio principale alcune cellule del fegato; esso permette il controllo dei livelli di glucosio nel sangue, affinché rimangano entro certi limiti: se il livello ematico di glucosio scende sotto una soglia di circa mg/dl (= 0,8-1 g/l), le cellule α cominciano a secernere glucagone. Figura 8 Glucagone Di seguito è riportata la sequenza completa del glucagone umano ( MKSIYFVAGL FVMLVQGSWQ RSLQDTEEKS RSFSASQADP LSDPDQMNED KRHSQGTFTS DYSKYLDSRR AQDFVQWLMN TKRNRNNIAK RHDEFERHAE GTFTSDVSSY LEGQAAKEFI AWLVKGRGRR DFPEEVAIVE ELGRRHADGS FSDEMNTILD NLAARDFINW LIQTKITDRK 22

23 Questo si lega immediatamente ai suoi recettori presenti principalmente sugli epatociti, attivando la degradazione del glicogeno (glicogenolisi) ed un conseguente rilascio di glucosio nel sangue. Sebbene venga in genere considerato antagonista dell'insulina per il suo compito di contrastare l'ipoglicemia, insulina e glucagone intervengono in sinergia in seguito all'introduzione di proteine/amminoacidi, poiché il primo determina lo stivaggio degli amminoacidi (proteosintesi) nei tessuti, mentre il secondo previene l'ipoglicemia causata dall'insulina [16]. In Figura 9 è rappresentato schematicamente il ciclo dell insulina e del glucagone, a seconda che l organismo si trovi in condizioni di alta o bassa glicemia. Figura 9 Schema del ciclo dell insulina e del glucagone Coxsackie Virus I Coxsackie sono virus citolitici della famiglia dei Picornaviridae, degli Enterovirus. Ci sono 61 Enterovirus non poliomielitici che possono causare malattie umane, di questi 23 sono Coxsackie A e 6 sono Coxsackie B. Gli Enterovirus sono il secondo più comune agente infettante virale nella specie umana (dopo i Rhinovirus). La classificazione moderna non prevede più che il genere Enterovirus abbia come uno dei suoi gruppi i Coxsackievirus, ma che sia diviso, più rigorosamente, in varie specie fra cui i Poliovirus, gli Enterovirus umani A (con vari Coxsackie A), gli Enterovirus umani B (con i Coxsackie B), gli Enterovirus umani C (con altri Coxsackie 23

24 A), ecc. Inoltre due Coxsakie (A4 e A6) non sono ancora stati assegnati a nessuna delle precedenti specie. Tra le malattie causate dai sierotipi Coxsackie A, la più famosa è la malattia manopiede-bocca, ma anche congiuntivite emorragica, herpangina, e meningite asettica (per i sierotipi sia A che B). Il Coxsackie B causa anche miocardite e pericardite infettive e pleurodinia (malattia di Bornholm). Secondo recenti ipotesi, i virus Coxsackie produrrebbero alterazioni a carico delle cellule β del pancreas, fenomeno che quindi li chiama in causa come possibile fattore eziologico del T1D insulinodipendente. Tuttavia la sua virulenza è strettamente correlata alla funzionalità del sistema immunitario: tale agente infettivo ha maggior facilità a manifestare determinate patologie in un soggetto molto giovane o molto anziano o comunque immunocompromesso piuttosto che in individui adulti e sani. In Figura 10 è riportato a titolo esemplificativo il sottogruppo Coxsackie B3. Figura 10 Coxsackie Virus B3 24

25 2 PRESUPPOSTI DELLA RICERCA 2.1 CORRELAZIONE FRA T1D ED INFEZIONE DA COXSACKIE VIRUS: IPOTESI DEL MIMETISMO Negli ultimi anni è risultato sempre più evidente il coinvolgimento dei fattori ambientali, in particolar modo le infezioni di tipo virale, nello sviluppo del T1D. Fra gli agenti patogeni più comunemente associati a questa patologia si ritrovano soprattutto virus appartenenti al genere degli enterovirus, e nello specifico il sottogruppo B4 del Coxsackie Virus, appartenente alla specie degli enterovirus umani B. A partire dalla fine degli anni 90, numerosi studi hanno cercato di comprendere quale fosse la correlazione fra l infezione e l insorgere della patologia. I danni evidenti riscontrati nei soggetti affetti da T1D e risultati positivi ad infezione da Coxsackie sono fondamentalmente due: danneggiamento diretto e distruzione delle β-cellule delle isole pancreatiche [17] reazione autoimmune con danneggiamento del processo chimico/metabolico di regolazione del glucosio nel sangue [18] Danneggiamento diretto e distruzione delle β-cellule delle isole pancreatiche In caso di infezione particolarmente aggressiva, le β-cellule delle isole pancreatiche infette possono essere direttamente distrutte dalla citolisi, ovvero dalla rottura della membrana cellulare, indotta dal virus. La distruzione diretta delle isole implica ovviamente una cessazione della produzione di insulina ed un conseguente aumento dei livelli di glucosio nel sangue, che sfocia poi nelle complicanze già descritte precedentemente. Un infezione meno aggressiva potrebbe invece causare una reazione infiammatoria nelle isole, generando una distruzione delle cellule β a livello subclinico ed un conseguente rilascio di antigeni normalmente sequestrati, che quindi attivano la risposta di cellule T, autoreattive patogene [17][19]. 25

26 2.1.2 Reazione autoimmune: danneggiamento del processo chimico/metabolico di regolazione del glucosio nel sangue Tutte le ipotesi gravitano intorno ad un evidente fattore comune, ovvero la possibile omologia (Fig. 12) tra una porzione della sequenza amminoacidica della proteina virale genomica del Coxsackie Virus B4, denominata protein 2C o P2C ( ) (Fig. 11), e due porzioni delle due isoforme, 65 ( ) e 67 ( ), della glutammico decarbossilasi umana, o GAD, espressa nelle cellule β del pancreas da un unico gene. Figura 11 CVB4 genome polyprotein ( 26

27 Figura 12 Omologia nelle sequenze di GAD e P2C virale [18] Di seguito sono riportate le sequenze complete delle due isoforme della GAD e della P2C, nelle quali sono stati evidenziati i frammenti ipotizzati quali mimetici e sintetizzati in questo lavoro di tesi ( GAD MASSTPSSSA TSSNAGADPN TTNLRPTTYD TWCGVAHGCT RKLGLKICGF LQRTNSLEEK SRLVSAFKER QSSKNLLSCE NSDRDARFRR TETDFSNLFA RDLLPAKNGE EQTVQFLLEV VDILLNYVRK TFDRSTKVLD FHHPHQLLEG MEGFNLELSD HPESLEQILV DCRDTLKYGV RTGHPRFFNQ LSTGLDIIGL AGEWLTSTAN TNMFTYEIAP VFVLMEQITL KKMREIVGWS SKDGDGIFSP GGAISNMYSI MAARYKYFPE VKTKGMAAVP KLVLFTSEQS HYSIKKAGAA LGFGTDNVIL IKCNERGKII PADFEAKILE AKQKGYVPFY VNATAGTTVY GAFDPIQEIA DICEKYNLWL HVDAAWGGGL LMSRKHRHKL NGIERANSVT WNPHKMMGVL LQCSAILVKE KGILQGCNQM CAGYLFQPDK QYDVSYDTGD KAIQCGRHVD IFKFWLMWKA KGTVGFENQI NKCLELAEYL YAKIKNREEF EMVFNGEPEH TNVCFWYIPQ SLRGVPDSPQ RREKLHKVAP KIKALMMESG TTMVGYQPQG DKANFFRMVI SNPAATQSDI DFLIEEIERL GQDL Il frammento evidenziato ( ) è caratterizzato strutturalmente da: Helix ( ) Helix ( ) Helix ( ) Beta strand ( ) 27

28 GAD MASPGSGFWS FGSEDGSGDS ENPGTARAWC QVAQKFTGGI GNKLCALLYG DAEKPAESGG SQPPRAAARK AACACDQKPC SCSKVDVNYA FLHATDLLPA CDGERPTLAF LQDVMNILLQ YVVKSFDRST KVIDFHYPNE LLQEYNWELA DQPQNLEEIL MHCQTTLKYA IKTGHPRYFN QLSTGLDMVG LAADWLTSTA NTNMFTYEIA PVFVLLEYVT LKKMREIIGW PGGSGDGIFS PGGAISNMYA MMIARFKMFP EVKEKGMAAL PRLIAFTSEH SHFSLKKGAA ALGIGTDSVI LIKCDERGKM IPSDLERRIL EAKQKGFVPF LVSATAGTTV YGAFDPLLAV ADICKKYKIW MHVDAAWGGG LLMSRKHKWK LSGVERANSV TWNPHKMMGV PLQCSALLVR EEGLMQNCNQ MHASYLFQQD KHYDLSYDTG DKALQCGRHV DVFKLWLMWR AKGTTGFEAH VDKCLELAEY LYNIIKNREG YEMVFDGKPQ HTNVCFWYIP PSLRTLEDNE ERMSRLSKVA PVIKARMMEY GTTMVSYQPL GDKVNFFRMV ISNPAATHQD IDFLIEEIER LGQDL Il frammento evidenziato ( ) è caratterizzato strutturalmente da: Helix ( ) Helix ( ) Helix ( ) Beta strand ( ) Recentemente sono state individuate due subunità della GAD65 denominate α e β, aventi differente mobilità in elettroforesi su gel di SDS-poliacrilammide ed aventi differente comportamento nei confronti di reazioni come la fosforilazione (solo la subunità α viene fosforilata, sia in vivo che in vitro), fondamentale al fine di regolare la funzione della proteina delle membrane vescicolari sinaptiche [20]. 28

29 CVB4 P2C 1100 NN NWLKKFTEMT NACKGMEWIA VKIQKFIEWL KVKILPEVKE KHEFLNRLKQ LPLLESQIAT IEQSAPSQSD QEQLFSNVQY FAHYCRKYAP LYAAEAKRVF SLEKKMSNYI QFKSKCRIEP VCLLLHGSPG AGKSVATNLI GRSLAEKLNS SVYSLPPDPD HFDGYKQQAV VIMDDLCQNP DGKDVSLFCQ MVSSVDFVPP MAALEEKGIL FTSPFVLAST NAGSINAPTV SDSRALARRF HFDMNIEVIS MYSQNGKINM PMSVKTCDEE CCPVNFKKCC PLVCGKAIQF IDRRTQVRYS LDMLVTEMFR EYNHRHSVGA TLEALFQ La P2C ha diversi ruoli, fra cui la morfogenesi del virione e l incapsidazione dell RNA virale per interazione con la proteina VP3 del capside (per similarità [21] ). La similarità di due sequenze è una quantità misurabile che può essere espressa come, ad esempio, percentuale di identità. Confrontando infatti le tre sequenze a coppie tramite algoritmi di BLAST, si ottiene: hgad65 ( ) / hgad67 ( ) = 91% di sovrapposizione, 16 amminoacidi identici hgad65 ( ) / CVB4 P2C (28-50) = 37% di sovrapposizione, 7 amminoacidi identici, rispettivamente tutti nella regione ( ) / (39-44) hgad67 ( ) / CVB4 P2C (28-50) = 26% di sovrapposizione, 5 amminoacidi identici, rispettivamente tutti nella regione ( ) / (39-44) Si evidenzia quindi in particolare la presenza di un frammento identico nelle sequenze di hgad65 e CVB4 P2C, ovvero PEVKEK, leggermente diverso invece nella hgad67 (PEVKTK). L importanza di questo frammento come epitopo è stata dimostrata in alcuni recenti studi, nei quali viene mostrato come mutazioni indotte in questa regione riducono di circa l 80% la reattività di anticorpi monoclonali specifici contro le due isoforme della GAD, rispetto alle forme intatte [22]. Questa omologia nei suddetti frammenti fra la GAD e la P2C del Coxsackie Virus, teoricamente, può condurre ad una cross-reattività con esito di autoimmunità, che 29

30 inizialmente si manifesta come blocco della prima fase di secrezione dell insulina, quindi degenera in un vero e proprio danneggiamento delle isole di Langerhans [17]. In seguito all infezione da Coxsackie, il sistema immunitario produce naturalmente degli anticorpi specifici (principalmente IgM prima ed IgG dopo), contro le proteine virali, come la P2C in questo caso. È stato quindi ipotizzato che, a causa della similitudine di alcune porzioni delle suddette sequenze, gli anticorpi prodotti contro le proteine virali non riescano a differenziare queste ultime dalle due isoforme della GAD, attaccando indiscriminatamente sia l una che le altre. In altre parole, si può verificare una cross-reattività anticorpo-antigeni quando antigeni virali e antigeni self condividono gli stessi determinanti antigenici. Come già accennato precedentemente, la GAD ha la funzione biologica di produrre il GABA per decarbossilazione dell acido glutammico. Ci sono prove convincenti a supporto del fatto che il GABA potrebbe avere un effetto inibitorio sul rilascio del glucagone (in vitro), anche se non è ancora chiaro come il GABA agisca da molecola segnale nell inibizione della secrezione del glucagone [15]. L attacco quindi da parte degli anticorpi anti-coxsackie sulle isoforme della GAD potrebbe conseguentemente portare ad uno squilibrio nel sistema di gestione e regolazione dei livelli di glucosio nel sangue, degenerando poi nella patologia oggetto del nostro studio. A supporto di tale ipotesi, è stato dimostrato che topi NOD giovani trattati per via endovenosa con GAD65 o GAD67 ricombinante sono stati significativamente protetti da T1D. L effetto antidiabetogenico è stato riscontrato anche somministrando GAD65 per altre vie (intraperitoneale, intranasale, orale) [23]. Da segnalare è anche la presenza di specifici anticorpi anti-gad nella quasi totalità dei sieri provenienti da pazienti diabetici in caso di diabete giovanile, a conferma comunque del ruolo, per quanto ancora ignoto, di questo enzima nello sviluppo e nel meccanismo di questa patologia. La maggior parte della letteratura disponibile a riguardo, risalente all ultimo decennio, concentra i propri sforzi nel cercare di evidenziare un eventuale correlazione o riconoscimento degli antigeni self (GAD) e di quelli virali (P2C) da parte di cellule T. Solo recentemente l attenzione della ricerca è stata posta anche su molecole anticorpali di tipo IgM ed IgG, purtroppo con risultati spesso discordanti o deludenti. 30

31 Anticorpi anti-gad La letteratura relativa gli studi effettuati finora in merito all insorgenza ed allo sviluppo del T1D riporta la proteina GAD come uno dei più importanti autoantigeni legati a questa patologia [18][24][25][26]. A livello clinico il test per la rilevazione di tali anticorpi è commercialmente disponibile ed effettuato di routine sui pazienti diabetici. Viene considerato un marker predittivo importante, associato ad un alto rischio di sviluppo della patologia [26]. Gli anticorpi anti-gad rilevati attraverso questo test appartengono alla classe delle IgG. Si ritrovano nel % dei pazienti affetti da IDDM e nel % dei pazienti affetti da LADA, generalmente in concentrazioni inferiori a 100 U/mL. I valori standard per uomini donne o bambini stanno in un range fra 0 e 1 U/mL. Sotto le 10 U/ml il test viene comunque dichiarato negativo. Il test in questione è un test SP-ELISA quantitativo in vitro (Fig. 13). Come antigene viene utilizzato hgad65 ricombinante. Figura 13 Test SP-ELISA per la rilevazione di IgG anti-gad. 31

32 3 SVILUPPO DELLA RICERCA Il diabete mellito di tipo 1 (T1D) viene classificato all interno delle patologie autoimmuni e può presentarsi in due forme: giovanile (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus o IDDM) nei primi anni di vita dell individuo, o adulto (Latent Autoimmune Diabetes in Adult o LADA). Fra i più importanti autoantigeni legati a questa patologia viene riportata la proteina acido glutammico decarbossilasi o GAD. Questa esiste in due isoforme, GAD65 e GAD67. Negli ultimi anni è stata evidenziata un omologia fra le sequenze già molto simili delle due isoforme della GAD con quella di una porzione, denominata P2C, della poliproteina genomica di un virus appartenente al genere degli enterovirus, il Coxsackie B4 (CVB4). Il legame esistente fra l infezione da CVB4 e lo sviluppo dell IDDM è sempre più evidente, nonostante i meccanismi che determinano tale legame siano ancora ignoti. In particolare, è stato individuato un sequone (PEVKEK) identico in tutte e tre le sequenze. Sono state avanzate quindi numerose ipotesi, finora mai del tutto verificate, riguardanti un possibile effetto di mimetismo nei confronti delle sequenze in esame. L esistenza di questo fenomeno porterebbe quindi ad una mancata differenziazione, da parte degli anticorpi sviluppati per contrastare l infezione, della sequenza virale rispetto a quelle autoantigeniche. Avendo la GAD un ruolo di regolazione nei confronti del glucagone, il suo danneggiamento e la sua distruzione da parte di questi anticorpi porterebbero ad uno squilibrio nell intero sistema di regolazione del metabolismo del glucosio che sfocerebbe infine nella patologia. In base a questi presupposti, l obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di porre le basi per cominciare a verificare l esistenza di questo fenomeno di mimetismo, così da poter cominciare a fare chiarezza sul reale conivolgimento del CVB4 nello sviluppo del T1D giovanile. A tal proposito sono quindi stati identificati e sintetizzati i tre frammenti peptidici contenenti il sequone comune: hgad65 ( ) 250 AMMIARFKMFPEVKEKGMAALPRL 273 hgad67 ( ) 258 SIMAARYKYFPEVKTKGMAAVPKL 281 CVB4 P2C (28-50) 28 FIEWLKVKILPEVKEKHEFLSRL 50 32

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