USCIRE DALLA CRISI Roma, 9 maggio 2013

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1 USCIRE DALLA CRISI Roma, 9 maggio 2013

2 INDICE LA CONTABILITÁ DELLA CRISI pag. 3 La recessione in corso e la perdita di prodotto 3 Il confronto storico 5 La trappola della depressione 7 Rischio occupazione 8 LA VIA DELLO SVILUPPO 11 Un obiettivo da perseguire 11 Stimolare maggiori investimenti delle imprese 12 Eliminare il drenaggio fiscale 14 Il ruolo della PA 16 ALLEGATO: I FATTORI DELLA CRISI 20 A. Il credito 20 B. Il fisco 27 C. Il lavoro 32 2

3 LA CONTABILITÁ DELLA CRISI La recessione in corso e la perdita di prodotto La recessione dell economia italiana continua ad approfondirsi. Il Pil è diminuito nel 2012 del 2,4% e le previsioni di consenso indicano per quest anno una flessione dell 1,5%. La perdita di prodotto cumulata dal 2007 ha ormai raggiunto dimensioni di portata storica. Proponiamo di questa perdita una doppia misura: la prima (che definiamo statica) è riferita allo scostamento che a fine 2013 si registrerà rispetto ai valori di Pil del 2007; la seconda (a cui ci riferiamo come dinamica) è derivata dal confronto con il livello che sarebbe stato possibile raggiungere sotto l ipotesi di prosecuzione delle dinamiche di crescita pre-crisi. La tendenza naturale di un sistema economico è infatti quella di crescere. Episodi esterni o squilibri interni possono determinare interruzioni momentanee del processo di crescita, così come fattori strutturali possono indurre un rallentamento delle dinamiche di lungo periodo; ma l assunto che regola il comportamento degli operatori economici è che il livello futuro di attività sia, di norma, superiore al valore corrente. Presupposto sul quale si basano, in particolare, le decisioni di investimento delle imprese. Prima dell episodio corrente, le regolarità storiche del ciclo economico giustificavano questo approccio. Negli ultimi settant anni, gli episodi recessivi hanno sempre avuto breve durata e sono stati seguiti da periodi di espansione che hanno rapidamente ripristinato i precedenti livelli di Pil. Non è cosi nella recessione odierna che si segnala per la sua profondità e ancor più per la sua durata. In queste condizioni, del tutto eccezionali, considerare la perdita solo rispetto a un singolo punto del passato è esercizio limitante, perché non dà conto del costo connesso all improvviso venir meno di qualsivoglia tendenza di crescita. Le due misure di perdita di prodotto da noi proposte sono illustrate nel grafico 1, che utilizza a tale scopo: i dati storici Istat fino al 2012; le stime di crescita adottate dal Governo nel recente Def (DEF 2013) fino al 2017, 3

4 che consentono di verificare quando si prevede che possa essere chiuso l attuale vuoto di prodotto; le previsioni di crescita proposte dal Governo in avvio di legislatura (DPEF 2008), con le quali si dà conto del punto a cui sarebbe arrivata l economia nel 2013 se non fosse scoppiata la crisi. Scegliamo di utilizzare i dati contenuti nei documenti programmatici per avere un termine di confronto ufficiale e disponibile a tutti. Le stime del DPEF 2008 e del DEF 2013 sono peraltro in linea con le previsione elaborate all epoca e all oggi dai principali Istituti indipendenti, per cui il loro utilizzo non comporta distorsioni rilevanti. L evidenza riportata nel grafico 1 mostra come: la perdita di prodotto reale rispetto al 2007 sia attesa raggiungere, a fine 2013, i 121 miliardi di euro (-8.1%); al 2017 si preveda di raggiungere un livello del prodotto reale ancora molto inferiore ai valori del 2007 (-2.9%); Grafico 1 Perdita di prodotto reale: effettiva e stimata Dati storici Istat Previsione Dpef 2008 Previsione DEF

5 Il confronto storico Queste cifre non trovano riscontro nella recente storia economica italiana. La tavola 1 riporta un confronto fra i principali episodi recessivi del dopoguerra, distinguendo la contrazione in corso da quella del Tavola 1 Confronto fra le principali recessioni italiane dal dopoguerra Contrazione media Contrazione cumulata Durata Trimestri necessari per recuperare la crisi var. % annua var. % annua trimestri in var. % Crisi del Crisi del Crisi del Crisi del Pil -1,3-0,3-1,4-0,6-3,8-1,9-6,8-3,7 3,0 6,0 5,0 6,0 6,0 9,0 nr nr valore aggiunto: - industria in senso stretto -5,1-0,8-4,2-1,1-14,4-4,7-19,2-6,3 3,0 6,0 5,0 4,0 9,0 9,0 nr nr - costruzioni -0,8-1,3-1,6-1,4-5,9-13,0 10,9-8,3 8,0 11,0 7,0 4,0 21,0 40,0 nr nr - servizi -0,4-0,8-0,7-0,3-0,9-0,8-3,5-1,7 2,0 1,0 5,0 4,0 4,0 5,0 nr nr nr nr consumi -0,7-1,1-0,5-1,0-1,4-4,4-3,2-6,1 2,0 4,0 6,0 7,0 4,0 19,0 nr nr investimenti fissi lordi -0,9-2,5-2,2-1,9-8,5-16,0-16,5-10,7 10,0 7,0 8,0 7,0 22,0 23,0 nr nr di cui: - macc. e att. -2,7-3,5-6,2-2,4-15,1-22,1-22,7-13,5 6,0 7,0 7,0 6,0 14,0 15,0 nr nr importazioni (a) -2,4-4,2-1,7-13,8-18,4-9,9 6,0 5,0 8,0 10,0 nr nr in in esportazioni -6,1 crescita -5,5-1,9-6,1 crescita -24,6-10,7 1,0 crescita 5,0 7,0 5,0 5,0 nr nr in in in in occupazione (a) crescita -0,4-0,3-0,1 crescita -1,6-1,4-0,5 crescita 9,0 9,0 5,0 crescita 30,0 nr nr Nota: nr= non recuperato. (a) Elaborazioni CER su dati Istat. Fonte: Fino al A Bassanetti e altri, Le principali recessioni italiane: un confronto retrospettivo Politica economica, luglio/settembre 2010/2011; per il elaborazioni CER su dati Istat in Da un punto di vista meramente tecnico-statistico, i due fenomeni sono infatti separabili, perché intervallati a un breve periodo di espansione. Anche mantenendo questa distinzione, possiamo comunque rilevare l eccezionalità del periodo attuale. Nei precedenti episodi recessivi il livello di partenza del Pil fu infatti recuperato in un arco massimo di 9 trimestri mentre, come detto, non basteranno oggi dieci anni per recuperare i livelli pre-recessivi. Inoltre, nessuna delle variabili considerate è ancora tornata sui valori del

6 Da un punto di vista sostanziale, quella corrente può essere in realtà considerata come una fase recessiva unica, perché provocata da due shock distinti ma non indipendenti: il primo, del 2009, cha ha colpito le esportazioni e, di riflesso, gli investimenti, provocandone contrazioni cumulate pari, rispettivamente, al 24.6 e 16.5%; il secondo, del 2011, che ha interessato soprattutto i consumi delle famiglie determinandone a oggi (ma la flessione sta proseguendo) una contrazione del 6.1%, anche questa di dimensioni mai sperimentate in precedenza Particolarmente colpite sono inoltre, nella successione dei due shock, l industria manifatturiera e le costruzioni, mentre il settore del commercio soffre sempre più la scomparsa dei consumi delle famiglie. Se consideriamo in termini cumulati gli andamenti successivi al 2007 (grafico 2) anche la Grande Depressione degli anni Trenta appare meno grave della crisi di oggi. La contrazione del Pil è infatti più profonda di allora, quando furono sufficienti 6 anni per ripristinare i livelli di partenza. Netta è poi la differenza rispetto alle recessioni del 1975 e del 1992: nello stesso arco di tempo trascorso dall avvio della recessione corrente (6 anni) il Pil aveva già registrato aumenti di oltre 20 punti nel 1975 e di quasi 10 punti nel Grafico 2 Contrazione cumulata del Pil nel corso delle recessioni (numero indice, anno di avvio della recessione= 100) t t+1 t+2 t+3 t+4 t+5 t+6 t=1929 t=1974 t=1992 t=2007 t=2007 (previsione DEF 2013) Fonte: fino al 1992: A. Baffigi, Quaderni di Storia Economica n.18, dati Italian National Accounts, n.18 (2011), Banca d Italia; dal : elaborazioni CER su dati Istat, Conti Nazionali; 2013: elaborazioni CER su dati DEF

7 Anche se non ha assunto i tratti drammatici degli anni Trenta (quando non esisteva il welfare state) e sperabilmente senza le conseguenze belliche di allora, la recessione che stiamo vivendo è quindi diventata più profonda e lunga di quelle del secolo scorso. La trappola della depressione Il fattore che avvita la situazione odierna, di fatto saldando in un unico episodio le recessioni del e del , è il passaggio senza soluzione di continuità fra la componente esterna (lo shock finanziario internazionale) e quella domestica (lo shock fiscale legato alla grande restrizione del bilancio pubblico). Questa combinazione di shock esclude l innesco di dinamiche compensative (la domanda interna che assorbe lo shock sulla domanda estera e viceversa) e sta provocando una vera e propria trappola della depressione. Secondo le stime del CER, il protrarsi di condizioni di output gap riduce infatti il prodotto potenziale (ossia, meno si cresce oggi, meno si crescerà in futuro) perché l assenza di domanda disincentiva l investimento e l accumulazione di capitale. La relazione econometrica indica in particolare che nel periodo della moneta unica ( ) ad ogni punto cumulato di output gap corrisponde una riduzione della crescita di lungo periodo di oltre tre decimi di punto (grafico 3). 0,00 Grafico 3 La trappola della depressione: impatto di un aumento dell output gap sul prodotto potenziale -0,05-0,10-0,15-0,20-0,25-0,30-0,35-0, Fonte: elaborazioni CER. 7

8 Dal momento che le stime del DEF quantificano pari a -4,8 l output gap 2013, se ne ricava che in questi anni il Pil potenziale ha subito riduzioni pari all 1,6%. In sostanza, senza un impulso addizionale, l economia italiana è destinata a un futuro di crescita zero. Il grafico 4 riporta a tal riguardo due diverse stime del prodotto potenziale, di fonte DEF e CER; entrambe evidenziano come le variazioni di quest ultimo siano scese in territorio negativo. Ciò significa che le prospettive di sviluppo futuro si stanno riducendo, allontanando ulteriormente il momento di recupero dei valori pre-crisi. 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0,0-0,1-0,2-0,3-0,4-0,5-0,6 Grafico 4 Variazioni del prodotto potenziale in Italia Stime DEF Stime CER Fonte: DEF 2013 ed elaborazioni CER. Rischio occupazione Come ha cominciato a evidenziarsi lo scorso anno, l elemento di massima criticità sta diventando l occupazione. Hanno fin qui agito due forze contrapposte: da una parte il tentativo delle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione che, ritenendo la recessione determinata da fattori esogeni e in attesa di un miglioramento del clima congiunturale, hanno cercato in ogni modo di preservare i posi di lavoro; dall altra parte, l esigenza di avviare processi di ristrutturazione ed efficientamento delle produzioni, che è divenuto sempre più pressante al prolungarsi della crisi. 8

9 Il 2012 ha probabilmente segnato il punto in cui la seconda forza ha preso il sopravvento sulla prima. Se dunque nel confronto storico il periodo di crisi si è fino a oggi caratterizzato per una maggiore tenuta dell occupazione, il rischio è che nel 2013 proprio sul mercato del lavoro si concentrino le tensioni più elevate (vedi in Allegato il Tema 3 L occupazione). D altronde, se ripetiamo per l occupazione l elaborazione grafica con cui abbiamo misurato la perdita di prodotto, possiamo immediatamente verificare come il mercato del lavoro abbia registrato una caduta meno pronunciata di quella del Pil (grafico 5). Nel 2013, secondo le stime del governo, il numero di occupati sarà inferiore di 1.350mila unità rispetto al 2007, con una contrazione del 5.4%, più contenuta di tre punti nel confronto con quella del prodotto. Questa linea di resistenza potrebbe ora crollare a causa del prolungarsi della recessione, che impone alle imprese un recupero di produttività (grafico 6), senza il quale la crisi si tramuterebbe in un permanente perdita di competitività. Si può osservare a tal riguardo come, sulla base dei dati riportati nel grafico 4, rispetto ai valori di produttività del 2007 si sia determinato un eccesso di occupazione di 445mila unità nel 2012; questo eccesso è destinato a raggiungere le 650mila unità a fine In assenza di una sensibile accelerazione della crescita, le imprese potrebbero trovarsi nella necessità di operare severi tagli di occupazione Grafico 5 Perdita di occupazione: effettiva e stimata Dati storici Istat Previsione Dpef 2008 Previsione DEF

10 62 Grafico 6 Perdita di produttività: effettiva e stimata Dati storici Istat Previsione Dpef 2008 Previsione DEF 2013 Grafico 7. Indicatore CER competitività, con Italia e Germania 1,15 competitività inferiore alla media europea 1,10 1,05 1,00 0,95 0,90 0,85 competitività superiore alla media europea Fonte: CER. Italia Germania Va altresì sottolineato che il tema del recupero di competitività è oramai imprescindibile. L argomento è stato portato all attenzione già da diverso tempo, con l avvio del dibattito sul declino dell economia italiana. A questo dibattito possiamo ora aggiungere un dato ulteriore. Secondo le elaborazioni del CER, infatti, si è oramai completamente esaurito quel margine di competitività che, per ragioni diverse, era presente prima dello scoppio della crisi. L indicatore CER di competitività, che misurava per l Italia 97 nel 2007 (valori inferiori a 1 indicano competitività superiore 10

11 alla media europea e viceversa), è ora arrivato a 1.02 (grafico 7). In sei anni la competitività italiana è dunque diminuita del 5.2% (quasi un punto all anno). Nello stesso periodo, in Germania è migliorata di oltre il 6%. LA VIA DELLO SVILUPPO Un obiettivo da perseguire Abbiamo visto come le previsioni ufficiali delineino un percorso di uscita dalla recessione di tipo inerziale, con bassi tassi di crescita, insufficienti a recuperare i livelli di prodotto pre-crisi in un arco di tempo ragionevole. Abbiamo anche evidenziato come questa inerzia abbia già trasformato quella corrente nella peggiore recessione del secolo, superando per intensità e durata l episodio degli anni Trenta. La prospettiva di registrare, dopo una crisi di tali dimensioni, saggi di crescita contenuti - inferiori a quelli prevalenti prima del non può essere considerata soddisfacente. Non verrebbero infatti scongiurati i tre maggiori rischi che fronteggia oggi l economia italiana: di restar invischiata nella trappola della depressione, con conseguente depauperamento del tessuto produttivo; di dover procedere, a una riduzione ulteriore di manodopera compresa fra le 400mila e le 650mila unità, necessaria per recuperare quantomeno i livelli di produttività pre-crisi; di continuare a perdere competitività nel confronto del resto d Europa. Si pone dunque la questione di fissare obiettivi più ambiziosi di quelli contemplati dal DEF Un obiettivo minimo potrebbe essere l aumento di almeno lo 0,5% del tasso medio di crescita del Pil, nel periodo , portandolo dall 1,4% stimato dal DEF in prossimità del 2% consentendo, così di recuperare il valore Questa è la via dello sviluppo che bisognerebbe provare a percorrere. Stimolare maggiori investimenti delle imprese 11

12 Una nuova via dello sviluppo passa in primo luogo per un rafforzamento della dinamica di accumulazione, ossia per un aumento degli investimenti delle imprese. Questo è tanto più vero se si considera che nel confronto con le recessioni passate proprio gli investimenti (sia in macchinari, sia in costruzioni) costituiscono la variabile che ha registrato il maggiore calo e per la quale più netto è lo scostamento anche dagli andamenti degli anni Trenta (grafico 8). Grafico 8 Contrazione cumulata degli investimenti nel corso delle recessioni (numero indice, anno di inizio della recessione= 100) t t+1 t+2 t+3 t+4 t+5 t+6 t=1929 t=1974 t=1992 t=2007 t=2007 (previsione DEF 2013) Fonte: vedi grafico 2. Le relazioni econometri del modello CER che ci dicono che per ottenere un aumento del Pil dello 0,7% occorrerebbe un impulso addizionale sugli investimenti di quasi il 3%. Il modello CER mostra inoltre come sia forte la sensibilità degli investimenti rispetto ai livelli dei tassi di interesse reali sui prestiti bancari, dell aliquota IRAP, del rapporto IRES/Pil. Nello specifico, una riduzione dell 1% del tasso d interesse reale sui prestiti bancari produrrebbe un incremento degli investimenti di poco più dell 1% (per i dati sulla restrizione creditizia si veda l Allegato, Tema 2 Il credito), mentre la riduzione di un punto percentuale dell aliquota implicita dell IRAP e dell IRES determinerebbe un incremento degli investimenti dello 0.9 e dell 1.7% rispettivamente. Tenendo conto anche degli effetti di retroazione sulle altre variabili, un pacchetto di interventi che incorporasse queste tre misure potrebbe portare a 12

13 realizzare un aumento degli investimenti del 2,6%. In valori assoluti, il Pil reale risulterebbe più elevato, al termine di un triennio, di 33 miliardi. L impulso sugli investimenti determinerebbe anche un iniziale aumento della produttività dello 0,5%, per metà riassorbito nel successivo biennio, associato a una riduzione a regime di cinque decimi di punto del tasso di disoccupazione. Diverrebbe cioè possibile recuperare competitività senza per questo dover diminuire il numero degli occupati, invertendo gli andamenti correnti. Dal lato del bilancio pubblico, un simile intervento necessiterebbe, a regime, di un finanziamento pari allo 0,8% del Pil, senza il quale il debito aumenterebbe di circa un punto. Tavola 2 Effetti stimati di un impulso degli investimenti fissi lordi tempo t (impulso) tempo t+1 tempo t+2 Ipotesi della simulazione: Tasso reale sui prestiti (punti base) Aliquota implicita IRAP -1% - - Aliquota implicita IRES -1% - - Impulso diretto su: Investimenti fissi lordi Impulsi indiretti su: Pil reale (variazioni) Pil reale (miliardi, cumulato) Consumi delle famiglie Esportazioni Tasso di disoccupazione Produttività Indebitamento netto (% del Pil, valore negativo indica peggioramento) Debito pubblico (% del Pil) Fonte: simulazione modello econometrico CER. 13

14 Eliminare il drenaggio fiscale Al di là delle scelte di investimento delle imprese, la caduta del reddito disponibile e del potere di acquisto delle famiglie sono espressione e insieme veicolo di amplificazione della crisi. Anche per questa componente della domanda, il confronto storico evidenzia la maggiore contrazione rispetto agli episodi recessivi del dopoguerra, mentre la situazione sarebbe in linea con gli anni Trenta (grafico 9). All origine della caduta dei consumi esiste un problema di dinamica cedente dei redditi primari. Ma su tale fenomeno si innesta, accentuandone le dimensioni, una distribuzione secondaria dominata da un eccesso di pressione fiscale (vedi Allegato, tema 2, Il Fisco), che si concentra essenzialmente sui redditi da lavoro e di impresa: su questi versanti, come su quello della pressione fiscale complessiva, il nostro paese si colloca ai primi posti delle classifiche mondiali. Un intervento inteso a ridurre il livello potrebbe, nei limiti della sostenibilità delle finanze pubbliche, risultare decisivo per arrestare e invertire il circolo vizioso che avvolge l economia italiana; a partire dalle aspettative che sarebbe in grado di generare. Grafico 9 La contrazione dei consumi delle famiglie nel corso delle recessioni (numero indice, anno di inizio della recessione= 100) Fonte: vedi grafico 2. t t+1 t+2 t+3 t+4 t+5 t+6 t=1929 t=1974 t=1992 t=2007 t=2007 (previsione DEF 2013) In particolare, un intervento incentrato sull Irpef poggerebbe su validi presupposti e sarebbe in grado di diffondere i propri benefici effetti sull intero sistema economico. 14

15 Infatti: l Irpef presenta dei parametri (aliquote, scaglioni, deduzioni e detrazioni) fermi, quasi del tutto, al I cinque anni della crisi coincidono, insomma, con la stasi della struttura Irpef, un imposta che dovrebbe essere invece naturalmente deputata a svolgere un azione anticiclica; in assenza di un azione di manutenzione intesa a correggere i guasti della combinazione progressività/inflazione, i soggetti Irpef sono stati abbandonati ai colpi del drenaggio fiscale (fiscal drag), che ha determinato un innalzamento della curva delle aliquote (vedi l Allegato) e generato maggior prelievo ingiustificato complessivamente quantificabile a fine 2012 in oltre 10 miliardi; in concomitanza con l aumento del fiscal drag si è registrato nell ultimo quinquennio una forte crescita delle addizionali comunale e regionale, venendo meno alla promessa di neutralità fiscale della riforma federalista. In considerazione di questi argomenti, il CER ha stimato gli effetti di una riduzione del prelievo Ire di 10 miliardi una tantum (restituzione del drenaggio fiscale cumulato dal 2001 al 2012), a cui si aggiungono riduzioni di 3 miliardi per ogni anno successivo al primo (3 miliardi è la stima del valore annuo del fiscal drag a partire dal 2013). Una riduzione di imposte di queste dimensioni porterebbe a una crescita aggiuntiva del Pil di mezzo punto percentuale (circa 23 miliardi di euro) con benefici prevalenti sulla domanda interna. Già nel primo anno i consumi privati beneficerebbero di un aumento di sette decimi di punto rispetto allo scenario base. Un impatto positivo di cinque decimi di punto è atteso anche sugli investimenti. Sulla produttività si avrebbero effetti positivi il primo anno, che verrebbero parzialmente riassorbiti nel successivo biennio. La rinuncia al drenaggio fiscale determinerebbe peraltro un aumento dell indebitamento pubblico che anche in questo caso stimiamo pari a 0,8 decimi di punto a regime. L intervento necessiterebbe pertanto di un apposita copertura. Nel complesso, una restituzione del drenaggio fiscale porterebbe a risultati lievemente inferiori a quelli connessi a misure di stimolo degli investimenti Un intervento di tal fatta assumerebbe però significato ben più ampio se finalizzato non solo a restituire una immediata disponibilità finanziaria alle famiglie, ma anche a costruire un rapporto più equo fra fisco e contribuenti, alimentando un circuito di 15

16 fiducia che costituirebbe di per sé un fattore di stimolo per gli investimenti e quindi di crescita aggiuntiva, attraverso cui evitare l aumento dell indebitamento. Tavola 3 Effetti stimati di una restituzione del drenaggio fiscale tempo t (impulso) tempo t+1 tempo t+2 Ipotesi della simulazione: Riduzione IRE (miliardi di euro) Impulso diretto su: Consumi delle famiglie Impulsi indiretti su: Pil reale (variazioni) Pil reale (miliardi, cumulato) Investimenti fissi lordi Esportazioni Tasso di disoccupazione Produttività Indebitamento netto (% del Pil, valore negativo indica peggioramento) Debito pubblico (% del Pil) Fonte: simulazione modello econometrico CER. Il ruolo della PA Oltre che per un rilancio di consumi e investimenti, la via dello sviluppo passa per un recupero di efficienza della Pubblica Amministrazione, un campo di riconosciuta carenza del nostro paese e uno degli elementi che frenano gli andamenti della competitività. L indicatore di government effectiveness elaborato dalla Banca mondiale e illustrato nel grafico 10 mostra il netto distacco dell Italia dalla media dei paesi avanzati. Il valore italiano si colloca attorno a 0,5, contro valori intorno a di 1,5 dei paesi con la performance migliore (Germania, Regno Unito, USA e la media dei paesi OCSE). L efficienza del settore pubblico in Italia è considerata più bassa anche di quella di un paese da poco rientrato nel circuito dell economia di mercato, come la Polonia. 16

17 1,6 Grafico 10 Indicatore di Government Effectiveness (anno 2011) 1,4 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 Italia Polonia Germania Regno Unito USA media OCSE Fonte: World Bank. Questi dati indicano la presenza di grandi margini di miglioramento del settore pubblico italiano rispetto alla panoramica internazionale. La modernizzazione della PA è uno dei campi di riforma strutturale sul quale il nostro paese dovrebbe essere impegnato in adempimento all agenda europea. Come si riconosce nel Piano nazionale di riforma (PNR 2013, p. 63) la PA svolge un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle attività produttive, ma spesso impone oneri e procedure eccessive che ostacolano l iniziativa imprenditoriale e facilitano la corruzione. Per evitare che questa situazione ristagni, è importante potenziare l opera di semplificazione amministrativa con una cospicua riduzione delle procedure inutili,mantenendo una verifica costante dell effettività delle misure adottate. Dal PNR 2012 è invece possibile trarre una stima sia dei maggiori oneri amministrativi che gravano su cittadini e imprese del nostro paese (tavola 4), sia dei guadagni di prodotti associabili a un efficientamento della macchia amministrativa (tavola 5). 17

18 Tavola 4 Misure di inefficienza amministrativa dell Italia Italia Ue - 27 Differenza Numero di procedure per ottenere l'adempimento dei contratti Numero di procedure per registrare la proprietà Numero di pagamenti fiscali Numero di anni necessari per chiuder eun'impresa 1,8 2-0,2 Uso dell'e-government da parte dei soggetti Fonte: PNR Tavola 5 Effetti macroeconomici stimati di un efficientamento della PA (scostamenti % rispetto al base line) Pil 0,1 0,1 0,2 0,2 0,5 Consumi 0,3 0,4 0,4 0,5 0,6 Investimenti 0,0 0,0 0,0 0,0 0,2 Occupazione 0,1 0,1 0,1 0,0-0,1 Fonte: PNR Una simulazione alternativa è stata svolta dal CER, valutando gli effetti macroeconomici di una riduzione del prezzo dei servizi pubblici, a sua volta riconducibile a una maggiore efficienza degli stessi. Come si mostra nella tavola 6 un abbassamento di due punti della variazione del prezzo dei servizi pubblici potrebbe portare a un incremento del saggio di crescita dello 0,5%. A differenza di quanto contemplato dalle stime ufficiali, l impulso maggiore passerebbe per gli investimenti (+0,5%) e per la produttività (+0,4%), risultando quindi in linea con gli auspici espressi nel paragrafo che abbiamo dedicato al tema dell accumulazione. Non si avrebbero aggravi sulle finanze pubbliche con un impatto iniziale neutro sull indebitamento/pil. Nel complesso, l azione della Pa su sé stessa, una sorta di autoriforma, si conferma un elemento centrale di una strategia di rilancio dell economia italiana dopo la crisi, rappresentando un fondamentale stimolo per la ripresa degli investimenti delle imprese. 18

19 Tavola 6 Effetti stimati di una riduzione del prezzo dei servizi pubblici tempo t (impulso) tempo t+1 tempo t+2 Ipotesi della simulazione: Riduzione variazione del deflatore PA (var. %) Impulso diretto su: Investimenti fissi lordi Impulsi indiretti su: Pil reale (variazioni) Pil reale (miliardi, cumulato) Consumi delel famiglie Esportazioni Tasso di disoccupazione Produttività Indebitamento netto (% del Pil, valore negativo indica peggioramento) Debito pubblico (% del Pil) Fonte: simulazioni modello econometrico CER. 19

20 ALLEGATO I FATTORI DELLA CRISI A Il credito Il peso delle micro imprese, le aziende con meno di 10 addetti, in Italia è molto maggiore rispetto ad altri paesi avanzati: nel 2007, prima della crisi, queste aziende realizzavano il 30% del valore aggiunto, contro il 21% in Germania e il 16% in Francia. Sommando anche le piccole imprese (fino a 50 addetti), si arriva al 49% in Italia, contro il 43% in Germania e il 32% in Francia. Si tratta di un dato strutturale, che non è cambiato molto durante gli anni di crisi. Nel 2010 in Italia le quote sul valore aggiunto delle micro e delle piccole imprese si sono ridotte solo di un punto rispetto al 2007, ed è salita la quota delle grandi. La maggiore presenza di micro e piccole imprese espone di più l Italia alla crisi finanziaria ed economica in atto. Le imprese piccole e medie italiane, infatti, sono più dipendenti dalle banche. Dal confronto internazionale risulta poi che le piccole imprese italiane sono più esposte verso il mondo bancario, rispetto a quanto osservato in Germania, Francia e Spagna, e allo stesso tempo hanno una minore dotazione di capitale proprio (grafico A1). Grafico A1 Indebitamento e capitale delle piccole imprese* (dati relativi al in % del totale attivo) * Fatturato fino a 10 mln di. Fonte: Bach database. 20

21 La riduzione in atto dei prestiti bancari sta quindi esponendo le PMI a difficoltà accentuate. Analizzando nel dettaglio la situazione italiana si può rilevare come la contrazione degli impieghi alle imprese abbia riguardato soprattutto le aziende di piccola dimensione. Solo nella fase più recente la flessione si è intensificata anche sulle imprese medio-grandi. Secondo i dati più recenti, relativi allo scorso febbraio, aggiustati anche per tener conto dell effetto delle cartolarizzazioni, il credito alle imprese è diminuiti complessivamente del 5,5% su base annua, mentre quello destinato alle sole piccole imprese ha visto una flessione del 6%, solo in lieve miglioramento rispetto al dato di inizio anno (-6,1% - grafico A2). Ancor più rarefatto è il credito destinato alle imprese di piccola dimensione del Mezzogiorno, che sempre nel mese di febbraio ha registrato una flessione del 7,3%, la peggiore performance degli ultimi anni. 15 Grafico A2 Variazione percentuale su base annua dei prestiti bancari* mar-08 set-08 mar-09 set-09 mar-10 set-10 mar-11 set-11 mar-12 set-12 Totale imprese Medio-grandi Piccole * Escludono i pronti contro termine e le sofferenze. le variazioni percentuali sono corrette per tenere conto dell effetto contabile di cartolarizzazioni e riclassificazioni. Le imprese piccole includono le società in accomandita semplice, in nome collettivo, semplici, di fatto e le imprese individuali con numero di addetti inferiori a 20. Fonte: Banca d Italia (Bollettino Economico). Un evidenza del grado di tensione esistente sul mercato del credito è riscontrabile anche dall andamento dei tassi d interesse sui nuovi prestiti erogati alle imprese, classificati in base all ammontare del finanziamento, proxy della dimensione 21

22 dell azienda (fino a un milione di euro possono essere considerate imprese di piccola e media dimensione). Le ultime informazioni relative a febbraio indicano per l Italia un tasso pari al 4,4%, contro il 3,8% della media dell Area euro (tavola A1). Alle PMI francesi e tedeschi viene applicato un tasso di quasi un punto e mezzo più basso di quello italiano. Tra i principali paesi dell Eurozona solo le PMI spagnole sono soggette ad un costo più elevato di quello osservato in Italia (5,2%). Considerando i soli prestiti a breve termine (il cosiddetto scoperto di conto corrente), fonte di approvvigionamento molto importante nella fase più recente caratterizzata dal depauperarsi dell autofinanziamento, il divario dei tassi italiani è ancor più rilevante: a fronte di un livello del 5,2% pagato dalle imprese italiane nello scorso febbraio, la media dell Area euro si attesta al 4%, mentre la Spagna fa anche meglio della media europea attestandosi al 3,5% (tavola A2). Tavola A1 Tasso sui prestiti alle imprese Area euro Italia Germania Francia Spagna dic-11 3,49 4,18 3,19 3,29 3,81 giu-12 2,97 3,53 2,65 2,68 3,68 dic-12 2,68 3,65 2,17 2,30 3,35 gen-13 2,66 3,62 2,15 2,21 3,48 feb-13 2,64 3,48 2,10 2,35 3,59 fino a 1 milione di euro dic-11 4,43 4,98 3,98 3,94 5,02 giu-12 4,10 4,61 3,45 3,56 5,24 dic-12 3,77 4,43 3,01 3,03 4,93 gen-13 3,77 4,39 2,94 2,96 5,15 feb-13 3,81 4,38 3,01 2,98 5,20 oltre 1 milione di euro dic-11 3,20 3,80 3,05 3,02 3,36 giu-12 2,62 2,97 2,49 2,32 3,16 dic-12 2,35 3,15 2,05 2,02 2,72 gen-13 2,28 3,10 1,99 1,91 2,67 feb-13 2,22 2,90 1,90 2,00 2,84 (*) MFI interest rate, loans other than revolving loans and overdrafts, convenience and extended credit card debt, original maturity: total, new business. Fonte: Bce. 22

23 Tavola A2 Tasso su altre tipologie di prestiti alle imprese Area euro Italia Germania Francia Spagna dic-11 4,47 5,27 4,88 2,64 4,14 giu-12 4,19 5,22 4,53 2,37 3,67 dic-12 3,94 5,15 4,35 1,90 3,51 gen-13 3,97 5,27 4,19 1,88 3,59 feb-13 3,97 5,22 4,22 1,99 3,53 (*) MFI interest rate, Revolving loans and overdrafts, convenience and extended credit card debt, original maturity: total, new business Fonte: Bce. Grafico A3 Condizioni di offerta del credito alle PMI nell ultimo trimestre (indice di diffusione) restrizione del credito allentamento del credito -30 giu-07 dic-07 giu-08 dic-08 giu-09 dic-09 giu-10 dic-10 giu-11 dic-11 giu-12 dic-12 Germania Italia Spagna Area euro * 100= massimo restringimento nell erogazione del credito; -100= massimo allentamento. Fonte: Elaborazioni CER su dati Bce. Per determinare quanto queste dinamiche siano influenzate da fattori di offerta e/o di domanda si possono in primo luogo osservare le indicazioni offerte dalla Bank Lending Survey (BLS), l indagine condotta dalle singole banche centrali dell Area Euro. Con specifico riferimento alle PMI, si osserva dal grafico A3 come le condizioni di offerta applicate in Italia siano state generalmente restrittive dalla fine del 2007, con maggiori rigidità rispetto alla media dell area euro soprattutto a partire 23

24 In % dalla seconda metà del Nel primo trimestre dell anno in corso si è registrato un leggero miglioramento delle condizioni, che in ogni caso continuano ad essere restrittive. 10 Grafico A4 Indicatore di razionamento al credito delle PMI Saldo netto delle risposte tra chi ha registrato un incremento rispetto alla riduzione del credito bancario giu-09 ott-09 feb-10 giu-10 ott-10 feb-11 giu-11 ott-11 feb-12 giu-12 Germania Francia Italia Spagna media PIGS Fonte: Elaborazioni CER su dati Bce e Commissione europea. Sul fronte della domanda di credito, si può trovare un riscontro dall'indagine sull'accesso al credito delle PMI condotta dalla Bce e dalla Commissione Europea. In questa survey viene domandato alle imprese se sono riuscite a ottenere, nell'ultimo semestre di riferimento, l ammontare di credito richiesto. Il saldo tra le risposte di chi ha registrato un incremento del credito bancario rispetto a chi invece ha osservato una sua diminuzione offre delle indicazioni su quale è il livello di domanda di credito rimasta inevasa. Dal grafico A4 si osserva che la domanda di credito in Italia non è stata interamente soddisfatta a partire dalla fine del Una tendenza simile si è registrata in Spagna, mentre in Germania non si osservano particolari tensioni sul fronte dell'accesso al credito. Se l offerta di credito mostra quindi evidenti segnali di restringimento, la domanda, pur in un contesto di forte rallentamento macroeconomico, si mantiene comunque 24

25 su livelli sufficientemente elevati. Il fabbisogno finanziario delle imprese per gli investimenti e l'accumulazione delle scorte è in diminuzione, ma ancor più in diminuzione risulta essere il supporto bancario offerto a questa importante fase della vita di un impresa. In particolare, le erogazioni nette di impieghi bancari non riescono a offrire un adeguato supporto finanziario: se prima della crisi i finanziamenti bancari costituivano oltre il 70 per cento del fabbisogno finanziario delle imprese per investimenti, nel sono stati pari a poco più del 20 per cento (grafico A5) (1). Importanti sono poi le esigenze finanziarie di breve termine delle imprese. Il difficile contesto macroeconomico ha determinato una generalizzata difficoltà di incasso dai clienti, determinando così delle tensioni sulla liquidità delle aziende (la durata media effettiva dei tempi di pagamento dei crediti commerciali ha superato i 140 giorni nel 2010). Il recente intervento del Governo volto a rimborsare una parte dei debiti della PA verso le imprese potrà migliorare solo parzialmente questo quadro. Grafico A5 Fabbisogno finanziario per investimenti e flussi di credito (*) (*) I dati si riferiscono al settore delle società non finanziarie. I dati delle erogazioni nette sono corretti per la riclassificazione e le cartolarizzazioni. Fonte: Albareto e Finaldi Russo (2012). (1 ) Albareto G. e P.Finaldi Russo, 2012, Fragilità finanziaria e prospettive di crescita: il razionamento del credito alle imprese durante la crisi, Banca d Italia, Questioni di Economia e Finanza. 25

26 Infine, come evidenziato da un analisi condotta da due economisti della Banca d Italia, la difficoltà di accesso al credito durante la crisi ha colpito le imprese a prescindere dalle loro potenzialità di crescita, determinando quindi anche dei problemi sulle capacità di sviluppo futuro dell economia italiana. 26

27 B. Il fisco Alla fine del 2013 la pressione fiscale risulterà aumentata del 4% rispetto ai livelli del L aumento si scompone in un incremento di 2 punti della pressione tributaria (ma l incremento è di 5 punti se riferito al 2011, ossia prima della grande restrizione con cui si è ritenuto di dover contrastare la crisi dei debiti sovrani) e in una variazione di quasi 7 punti della pressione contributiva Grafico B1 La dinamica della pressione fiscale (numeri indice (2007= 100) Pressione tributaria Pressione contributiva Pressione fiscale All aumento della pressione fiscale non ha però contribuito la sola restrizione del Almeno due elementi specifici hanno penalizzato i contribuenti italiani: il drenaggio fiscale e le imposte levate a livello locale. Secondo le stime del CER, fra il 2007 e il 2013, la combinazione fra inflazione e progressività dell imposta è stata la prima causa di aumento del gettito Irpef (grafico B1), con ricadute annuali che in alcuni casi (2009 e 2010) hanno sfiorato i due miliardi e che nel 2013 finiranno per superarli. Da ciò l accumularsi, nel periodo seguito all ultimo intervento organico sulla struttura dell Irpef (2007), di un maggior prelievo ingiustificato che alla fine del 2012 ha quasi toccato gli otto miliardi e che a fine 2013 si collocherà oltre i dieci. 27

28 variazione dell'aliquota media Grafico B2 Fattori di variazione dell Irpef - Periodo Progressività Fiscal drag Politica tributaria Totale Dip. senza carichi Dip. con carichi familiari In sostanza, si è venuta a creare una significativa spaccatura fra lo scenario che si sarebbe prodotto in presenza di una struttura Irpef pienamente indicizzata e quello effettivamente determinatosi. Una spaccatura che nel caso del contribuente single ha significato l assoggettamento nel 2013 ad un aliquota superiore di 1,2 punti a quella giustificata, con un maggiore esborso a titolo di Irpef pari a circa 315 euro. E che nel caso del coniugato è stata ancora più pronunciata: +1,6 punti di aliquota Irpef, con una maggiore imposta per quasi 420 euro (grafico B2). Nel grafico B3 è riportato l andamento della variazione dell aliquota media effettiva riconducibile all operare del fiscal drag. Ad eccezione delle classi con reddito imponibile più basso, in cui agisce l esenzione (fino ai 20 mila euro), il lavoratore dipendente con familiari a carico subisce il maggior incremento, ma questa differenza va gradualmente assottigliandosi all aumentare del livello di imponibile, dato il minor peso che assumono le detrazioni per le classi con un imponibile elevato. 28

29 Variazione aliquota media effettiva (differenza punti %) Grafico B3 Il fiscal drag fra il 2007 e il 2013 (escluse addizionali Irpef) 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0, Reddito imponibile (prezzi costanti 2013) Lavoratore dip. senza carichi familiari Lavoratore dip. con coniuge e 2 figli a carico Per quanto riguarda l imposizione locale, dalla tavola B1, in cui si riassumono tutti gli interventi di politica tributaria succedutisi fra il 2007 e il 2013, è possibile rilevare che le manovre sulle addizionali locali (2): hanno riguardato tre annualità, una delle quali già interessata da modifiche Irpef; l effetto della politica tributaria di Regioni e Comuni si è rivelato particolarmente pesante nel periodo in analisi, considerato che si è andato ad aggiungere al fiscal drag dell Irpef maturato nello stesso arco di tempo. L aumento complessivo delle aliquote medie effettive determinate dall aggravio dell imposizione locale sono rappresentate nei grafici B4 e B5 per le varie classi di reddito. Il confronto tra i due grafici permette di evidenziare che l aumento dell aliquota media effettiva tra il 2007 ed il 2013 si è verificato in misura più consistente per il lavoratore dipendente con familiari a carico per tutte le classi di reddito, in particolare, fino alla fascia (2) Si tenga presente che le addizionali (non essendo previste differenziazioni in base alle condizioni familiari del contribuente) incidono in egual modo sul single e sul contribuente coniugato di famiglia (a parità, s intende di reddito imponibile). 29

30 Aliquota media (%) Tavola B1 Il ruolo della politica tributaria fra fisco centrale fisco locale IRPEF Addizionale regionale Totale e comunale single coniugato single coniugato single coniugato ,3-1,4 0,3 0,3 0,0-1, ,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0, ,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0, ,0 0,0 0,3 0,3 0,3 0, ,0 0,0 0,4 0,4 0,4 0, ,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0, ,0-0,9 0,0 0,0 0,0-0,9 Nella tavola sono sintetizzati gli effetti prodotti sulla retribuzione del lavoratore (single e con carici di famiglia) dalle variazioni apportate alla struttura dell Irpef e alle aliquote delle addizionali regionale e comunale. Il segno (-) indica una riduzione dell aliquota media effettiva. Fonte: elaborazione CER. Grafico B4 Aliquote medie effettive per un lavoratore dipendente celibe (comprese addizionali all Irpef) Reddito imponibile (prezzi costanti 2013) 30

31 Aliquota media (%) Grafico B5 Aliquote medie effettive per un lavoratore dipendente con coniuge e 2 figli a carico (comprese addizionali all Irpef) Reddito imponibile (prezzi costanti 2013) 31

32 C. Il lavoro Nel 2012 il tasso di disoccupazione italiano è salito al 10,6%, con un incremento di 2,3 punti, il massimo mai registrato nella storia economica dell Italia repubblicana. La fase di aumento sta proseguendo: nel 2013, secondo la valutazione del governo si toccherà l 11,6%; secondo molte stime indipendenti sarà superata la soglia del 12% Grafico C1 Tasso di disoccupazione in Italia: livelli e variazioni Variazioni Livelli Questo dato generale riflette l interagire di diversi fenomeni, riconducibili sia alle condizioni avverse del ciclo economico, sia alle conseguenze delle le riforme varate dal precedente esecutivo in tema di pensioni e mercato del lavoro. Tre elementi, in particolare, si stanno combinando in senso negativo, generando il rischio di un vero e proprio inceppamento del mercato del lavoro italiano: le esigenze di ristrutturazione delle imprese a fonte della caduta permanente di domanda; l innalzamento della partecipazione delle generazioni più anziane, che hanno visto posticiparsi i tempi del pensionamento; il venir meno delle convenienze delle forme di lavoro flessibile che per quasi un ventennio che avevano rafforzato le dinamiche occupazionali. 32

33 In una struttura economica dominata dalla Pmi, l espulsione di manodopera costituisce un costo particolarmente rilevante, perché implica la perdita di competenze maturate direttamente attraverso una lunga esperienza sui posti di lavoro e non facilmente sostituibili. Questa ragione è alla base della forte resistenza mostrata dalle imprese nell avviare processi di riduzione dell occupazione proporzionali alla caduta del prodotto. Il prolungarsi della fase recessive e il progressivo venir meno della fiducia sui tempi di recupero della domanda stanno ora inducendo le imprese ad avviare processi di ristrutturazione basati anche, quando non prevalentemente sulla riduzione della forza lavoro. Nel corso del 2012 si è così interrotta quella asimmetria che associava, all interno della fase ciclica negativa, riduzioni del prodotto da una parte e stabilità dell occupazione dall altra. Il numero di occupati è diminuito lo scorso anno dello 0,3% in termini di forza lavoro e dello 0.4% in termini di Unità di lavoro di contabilità nazionale (grafico C2). Particolarmente colpiti sono stati i lavoratori maschi, gli indipendenti e i lavoratori stranieri (grafici C3 e C4).. Grafico C2 Rilevazione forse lavoro variazioni percentuali occupati 15 anni e oltre 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0-0,5-1,0-1,5-2,0-2, Totale Maschi Femmine 33

34 Grafico C3 Unità di lavoro dipendenti, indipendenti e totali (variazioni percentuali) 1,0 0,5 0,0-0,5-1,0-1,5-2,0-2,5-3,0-3, Totale Dipendenti Indipendenti Grafico C4 Rilevazione forze lavoro variazioni percentuali occupati 18,0 16,0 14,0 12,0 10,0 8,0 6,0 4,0 2,0 0, Stranieri Italiani 0,0-0,5-1,0-1,5-2,0-2,5-3,0 Su questo sfondo non favorevole per gli andamenti dell occupazione si innescano i due fenomeni collegabili alle riforme del governo Monti. Il primo è relativo all aumento del tasso di partecipazione della classe di età anni, che nel 2012 è 34

35 aumentato di 3 punti (grafico C5), balzando dal 39.4 al 42.6%. In parte questo aumento riflette una tendenza di più lungo periodo (il tasso di attività di questa classe era inferiore al 35% nel 2007) con la quale il mercato del lavoro italiano si sta lentamente riallineando alle medie europee. L incremento particolarmente accentuato registrato lo scorso anno è però da associare all inasprimento dei criteri di pensionamento, che mirano a prolungare la lunghezza delle carriere lavorative. Ovviamente, inserito nell attuale contesto depressivo, questo obiettivo teso a preservare la stabilità delle finanze pubbliche produce l effetto perverso di impedire il ricambio generazionale sul mercato del lavoro, abbassando così l efficienza delle produzioni italiane. Queste conseguenze indirette della riforma pensionistica non sono state fino ad ora adeguatamente valutate e dovranno essere al più presto affrontate per restituire fluidità al mercato del lavoro. Grafico C5 Variazioni tassi di attività anni 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0, Maschi Femmine Totale Conseguenze non attese sembra stiano avendo anche le misure tese a modificare la flessibilità in entrata sul mercato del lavoro. In un assetto di equilibrio, la ratio di questo intervento risiede nella volontà di stabilizzare il maggior numero possibile di lavoratori e di valorizzarne la produttività. La fase di transizione all equilibrio coincide tuttavia con la più grave recessione degli ultimi cento anni e si sta quindi 35

36 traducendo in una vera e propria frenata nell utilizzo delle forme di lavoro più flessibile, senza che si inneschi la sperata sostituzione con modalità di impiego più stabili. Anzi, l effetto a cui stiamo assistendo è che l immissione di lavoratori flessibili ha cessato di compensare l espulsione di manodopera a tempo indeterminato (grafico C6). Grafico C6 Rapporti di lavoro attivati in Italia per tipologia di contratto (saldo attivazioni-cessazioni, variazioni) Tempo indeterminato Tempo determinato Apprendistato Contratti di collaborazione Altri flessibili L impatto sull impiego di forme di lavoro flessibile è ancora più evidente se si considerano le variazioni seconde, che danno conto di come si modificano le dinamiche sottostanti nel corso del tempo. Come si osserva dal grafico C7, nel 2012 il saldo relativo ai contratti di collaborazione è diminuito di otre 24mila unità, quello delle altre forme di lavoro flessibile è sceso di quasi 40mila unità (3). (3) Ricordiamo che come specificato nel titolo del grafico si tratta di rapporti di lavoro e non di singoli lavoratori. Di conseguenza un lavoratore che in un singolo trimestre venisse assunto e licenziato più di una volta (ad esempio nel lavoro stagionale), viene registrato più di una volta. 36

37 Grafico C7 Rapporti di lavoro attivati in Italia per tipologia di contratti (saldo attivazioni-cessazioni, variazioni seconde) Tempo indeterminato Tempo determinato Apprendistato Contratti di collaborazione Altri flessibili In assenza di significati rafforzamenti dei saggi di crescita dell economia, non è remoto il rischio che l insieme dei fattori sopra analizzati porti a uno strutturale ridimensionamento del mercato del lavoro italiano e a un permanente innalzamento del tasso di disoccupazione. 37

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