Sociologia Giuridica della devianza e del mutamento sociale. Indice

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1 INSEGNAMENTO DI SOCIOLOGIA GIURIDICA DELLA DEVIANZA E DEL MUTAMENTO SOCIALE LEZIONE V TEORIE DELLA SUBCULTURA E CONTROLLO SOCIALE PROF. ALFREDO GRADO

2 Indice 1 Le teorie della subcultura Il controllo sociale di 13

3 1 Le Teorie della subcultura Proseguendo sull orda delle teorie sociologiche che hanno integrato prospettive teoriche diverse, quella della sottocultura delinquenziale di Cohen sembra necessitare di una attenzione particolare. Infatti, come lo stesso Cohen afferma in Delinquent Boys (1955), «vi sono certi tipi di comportamento che vanno spiegati e che il concetto di subcultura è lo strumento adatto alla loro comprensione». Tuttavia, va detto che molti hanno considerato il lavoro di Cohen come una fusione tra la teoria dell anomia e la tradizione della Scuola di Chicago, ma per quanto corretta possa essere tale ipotesi, resta il fatto che in Delinquent Boys è contenuta solo una citazione all opera di Merton, ed in una nota a piè pagina. Detto ciò, andiamo a conoscere il pensiero di Albert K. Cohen(1955). Egli crede che la società americana sia caratterizzata al suo interno da trasformazioni sociali che pongono le basi per una netta contrapposizione tra la cultura dominante, quella borghese, portatrice dei valori dominanti e la cultura deviante, quella che predomina tra i ceti sociali meno abbietti. Ebbene, una struttura sociale così definita quali conseguenze può generare? Quali reazioni può provocare negli individui che fanno parte dei ceti più svantaggiati, separati economicamente e culturalmente dal resto della società? E ipotizzabile una pacifica cooperazione tra i soggetti dell intero sistema sociale, unita ad una mesta accettazione del proprio essere e dei valori dominanti o è più verosimile l ipotesi di un netto rifiuto degli standard di vita della classe media? Una convivenza tranquilla tra culture diverse non è assolutamente possibile per Cohen, anzi la cultura deviante nasce proprio dal conflitto tra classi agiate e classi povere, tra chi ha tutto, compresi i mezzi e le possibilità per arrivare ove si desidera e chi invece vive in condizioni disagiate, sempre alla ricerca di mezzi per raggiungere efficacemente mete sociali tanto ambite, spinti essenzialmente dal desiderio di mutare il proprio status sociale. Per Cohen queste ineguaglianze sociali, fonti di disagio, costituiscono i motivi per cui molti giovani, appartenenti alle classi sociali inferiori scelgono di entrare a far parte di una sottocultura poco o per nulla ligia alla legge. Parliamo di individui il cui stato d animo è caratterizzato da una molteplicità di sentimenti negativi poiché essi si sentono esclusi dalla cultura di massa dominante e dai meccanismi che portano al successo economico e sociale; si sentono umiliati, frustrati, incapaci di raggiungere determinate mete culturali, insoddisfatti per quello che si è. Tutto ciò porta i membri della subcultura deviante, più i giovani maschi che le femmine, a sviluppare una reazione negativa verso i 3 di 13

4 valori che non possono raggiungere. L insoddisfazione la si avverte già da piccoli, quando si è costretti a frequentare scuole pubbliche giudicate poco adatte a fornire un adeguata istruzione per tentare la cosiddetta scalata sociale, e continua da grandi. Questo miscuglio di sentimenti, al limite dell accettazione, induce i soggetti ad optare per quelle che gli stessi giudicano delle scorciatoie legittime: come l ingresso in una sottocultura delinquenziale. Quello che non può essere ottenuto per nascita, fortuna, destino, sacrificio o temperamento, lo si può ottenere con la trasgressione. I devianti arrivano addirittura a provare soddisfazione e piacere nel causare disagio a chi è più fortunato di loro. Non disdegnano neppure il tentativo di calpestare e schernire i valori della classe media attraverso pratiche umilianti e violente. Prediligendo specifiche forme di violenza, la loro condotta diventa un mezzo attraverso cui catturare l attenzione di quel mondo a loro ostile, rifiutato e disprezzato; un mondo rappresentato ed avvertito come ingiusto, disuguale in quanto non garante delle medesime opportunità di crescita economica e sociale. A tale proposito, Cohen introduce il concetto di formazione reattiva, per indicare il rifiuto e il rovesciamento dei valori e delle norme giuridiche dominanti con il relativo emergere di fenomeni quali la formazione di bande delinquenziali, l emergere del teppismo e di atti di vandalismo, più in generale il profilarsi di atteggiamenti distruttivi. Di fatto, la sottocultura criminale tende a legittimare la propria aggressività ravvisabile sotto le più svariate forme: violenza negli stadi, negli istituti scolastici, atti di vandalismo nei confronti di opere d arte, di beni pubblici, come muri, cabine telefoniche, treni, autobus ecc. E per questo motivo che le sottoculture delinquenziali, che costituiscono oramai un fenomeno ampiamente noto e diffuso, suscitano nell opinione pubblica rammarico e profonda preoccupazione. Quest ultima, riguarda principalmente quella violenza ostentata senza nessun timore di subire adeguati provvedimenti sanzionatori, una violenza che rischia di diventare un abitudine. Nel 1960, riprendendo e sviluppando le interpretazioni di Cohen circa la natura delle bande delinquenziali, R. Cloward e L. Ohlin ribadiscono, nella loro teoria delle opportunità differenziali, che la struttura sociale non è omogenea in termini di opportunità, non conferisce le stesse possibilità di autoaffermazione e di promozione socio-culturale. La loro analisi del contesto sociale americano li porta ad asserire che l esistenza di una sottocultura deviante dipende fondamentalmente dal grado di integrazione degli individui all interno della società stessa. Se manca l integrazione tra gli uomini le possibilità di successo si riducono ulteriormente e si è maggiormente propensi ad intraprendere strade illegali. Essi interpretano il fenomeno della 4 di 13

5 devianza essenzialmente in termini di determinismo economico, portando avanti l ipotesi che a scatenare un comportamento antisociale vi siano motivazioni di carattere economico. Infatti, secondo R. Cloward e L. Ohlin, chi vive in zone più svantaggiate dal punto di vista economico ha maggiori difficoltà nel raggiungere le proprie mete, trova più ostacoli nel soddisfare le proprie ambizioni rispetto a chi vive in zone più all avanguardia, più attrezzate in termini di risorse e strumenti. Questo dislivello economico pregiudica il successo sociale, successo che è ancor più compromesso se si tiene conto della razza. Significativa è poi l immagine che R. Cloward e L. Ohlin elaborano delle bande criminali. Nel loro immaginario la banda può essere concepita come un guscio protettivo, un guscio in cui i membri, che vivono ai margini della società, ricercano una risposta ai propri bisogni di aggregazione e di riconoscimento reciproco, arrivando persino a giustificare e ad avvalorare la loro condotta antigiuridica. A questo punto, pur ammettendo l esistenza di più bande criminali che minano l ordine sociale, è opportuno interrogarsi su cosa contraddistingue una banda criminale da un altra. E chiedersi inoltre se i reati commessi rientrano tutti nella stessa categoria o se esiste una sorta di gerarchia del crimine. In Delinquency and Apportunity: A Theory of Delinquente Gangs (1960), i due studiosi sostengono che per i giovani la realizzazione delle loro aspirazioni passa attraverso diverse modalità. Le possibilità di autoaffermazione e di promozione socio-culturale non sono equamente distribuite all interno delle varie classi sociali : chi vive in zone economicamente meno sviluppate ha molti più problemi nel raggiungere le mete delle proprie ambizioni, rispetto a coloro che invece risiedono in zone più ricche di risorse e di strumenti adatti. Questi fattori rappresentano una limitazione delle opportunità obiettive di riuscita sociale, dove la razza, il ceto, la classe sociale costituiscono i principali elementi di tale impedimento. I due studiosi sostengono così che il concetto di attività criminale nelle classi inferiori crea una forma di sub-cultura delinquenziale la cui esistenza dipende dal grado di integrazione presente nella comunità e senza la quale ( struttura criminale instabile ) avrebbero meno possibilità di successo utilizzando canali criminali rispetto a quelle che avrebbero utilizzandone di legittimi. Le bande criminali nascerebbero allora come risposta ai bisogni di aggregazione e di riconoscimento reciproco di questi giovani devianti, costretti al margine dalla società. Sulla base dell esistenza di un abuso di sostanze stupefacenti, del ricorso alla violenza o della modalità di esercitare la loro delinquenza, i due autori distinguono tre diversi modelli di banda: 5 di 13

6 a) "Le bande criminali, costituite da soggetti inizialmente dediti alle più comuni attività appropriative illecite, quali furti e rapine, che poi, con l inserimento nella sottocultura della delinquenza abituale, amplificano e perfezionano la loro attività criminale con l estorsione, il racket, lo sfruttamento della prostituzione, il gioco clandestino etc. Questi giovani diventano in tal modo criminali professionisti, realizzando una più facile acquisizione degli status symbol proposti dalla cultura della classe media. Queste bande presentano un grado elevato di integrazione sociale. b) le bande conflittuali sono invece dedite alla violenza e al vandalismo sistematico, senza finalità primariamente appropriative, mirando a distruggere i simboli irraggiungibili e ad esprimere così irrazionalmente, con la violenza gratuita appunto, la protesta per esserne esclusi. Effettuano così in tal modo un aggressione violenta nei confronti del sistema: con l associazione in queste bande infatti i giovani esprimono una ribellione e un opportunità che combatte, ancorché secondo modalità del tutto acritiche e irrazionali, gli emblemi e le mete che la società propone. Questa banda è una Comunità disgregata poco organica e composta spesso da criminali falliti. c) le bande astensionistiche, infine, sono composte da quei giovani nei quali la frustrazione ha provocato una fuga che si esprime attraverso il rifiuto globale della cultura stessa, dalla quale cercano di evadere mediante la tossicomania o l alcolismo. Tali bande sono costituite da emarginati sociali o da soggetti che vengono definiti: doppiamente falliti. Robert Merton, nella sua teoria della devianza, definisce questi soggetti rinunciatari. Essi commettono reati per procurasi droga e alcol di cui non riescono a fare a meno. A seconda delle possibilità di accesso a questi differenti realtà, l individuo risolverà il suo conflitto tra mete e mezzi, adattandosi ad una delle tre sottoculture. In generale, per Cloword e Ohlin esiste più di un modo attraverso il quale i giovani possono realizzare le loro aspirazioni. Nelle aree urbane abitate da classi inferiori, dove le opportunità legittime sono poche, se ne trovano altre; ma, a loro volta, queste sono limitate nell'accesso, come nel caso della struttura legittima. Così, la posizione sociale determina la capacità di utilizzare sia i canali legittimi che quelli illegittimi verso il successo. Il lettore avrà compreso che la teoria delle opportunità differenziali amplia l approccio anomico di Merton, e include le osservazioni sulla comunità della Scuola di Chicago. Inoltre, sostiene che sono i modelli subculturali a determinare le forme di comportamento delinquenti. Cloward e Ohlin sostengono che il vero problema nel definire la devianza consiste nella spiegazione del mondo in cui avvengono le differenti reazioni alle tensioni, e nel delineare il contesto in cui queste compaiono. La teoria delle opportunità differenziali, quindi, ritiene che le tensioni all interno 6 di 13

7 delle classi inferiori siano un dato di fatto, e tenta di spiegare l esistenza di varie forme di delinquenza come forme di adattamento ad esse, basate sulla stabilità delle comunità e sulla presenza di modelli adulti. Prima di concludere, è mia intenzione riportare l ultima delle principali teorie della subcultura, sviluppata nel 1967 da Marvin Wolfgang e Franco Ferracuti. Il loro lavoro differisce in maniera sostanziale dagli altri approcci, forse perché elaborato diversi anni dopo che le teorie della subcultura delinquenziale e la criminologia avevano sviluppato nuovi concetti. In generale, gli autori ha messo in evidenza come la sottocultura della violenza in gruppi delinquenziali contenga specifici atteggiamenti e comportamenti violenti che sono considerati criteri costitutivi ed espressivi dell'appartenenza al gruppo, del riconoscimento reciproco, dell'assunzione di status, ruoli, di conferma degli obiettivi del gruppo e di affermazione dell'esistenza e dell'identità stessa del gruppo. Da parte sua, la leadership del gruppo adolescenziale va qui intesa non nel senso riduttivo delle caratteristiche di personalità del leader ma, secondo l'ottica più complessa degli approcci situazionali e contingenti, come funzione interattiva fra il leader, i suoi comportamenti "efficaci" negli specifici contesti, le caratteristiche emergenti del gruppo, le caratteristiche degli obiettivi/compiti che il gruppo persegue e realizza. In tale prospettiva, i gruppi adolescenziali dovrebbero costituire bersagli cruciali di ogni politica di prevenzione della devianza minorile almeno in due ambiti sociali: a) il quartiere, la strada, lo spazio di vita quotidiana informale degli adolescenti, dove si formano le aggregazioni "naturali" più o meno stabili, articolate e dove si svolgono le basilari esperienze di socializzazione sia alla prosocialità che alle varie forme di rischio; b) la scuola come primo e basilare ambito di socializzazione istituzionale, dove nascono forme di gruppalità e reti di relazioni fra pari, parallele al percorso scolastico istituzionale, ma capaci di produrre propri valori culturali, criteri regolativi comportamentali, sempre diversi e spesso conflittuali rispetto a quelli istituzionali, talvolta contrapposti, alternativi o ostativi rispetto ad essi, come nel caso del bullismo (Olweus, 1996; Fonzi, 1997). Nelle recenti e importanti ricerche su quest'ultimo tema, viene fatto riferimento alla dimensione gruppale come fattore di possibile deindividuazione dei soggetti e di deresponsabilizzazione dei partecipanti agli episodi di bullismo (Olweus, 1996), ma non sono state analizzate in modo specifico le modalità attraverso le quali il gruppo svolge importanti funzioni di mediazione e di regolazione delle interazioni e delle dinamiche che fanno emergere il bullo, la vittima, i vari ruoli di gregari, la qualità e la gravità delle vittimizzazioni, operando come una sorta di organizzatore che seleziona e ricombina le differenti caratteristiche e potenzialità personali degli individui all'interno del processo gruppale. 7 di 13

8 2 Il controllo sociale Alla teoria della subcultura si contrappone l'approccio alla devianza basato sul concetto di controllo sociale. Ma prima di accostarci alle teorie che hanno dato lustro a tale orientamento, va detto con forza che ogni società è retta da regole di comportamento, parte non codificate, parte tradotte in norme legali (fra le quali quelle penali) al fine di assicurare coesione fra i suoi membri e stabilità sociale: senza regole, infatti, qualsiasi contesto, dl più arcaico al più evoluto, non può esistere. Questi obiettivi sono assicurati dalla esistenza di sistemi di controllo che hanno lo scopo, appunto, di assicurare la coesione e la salvaguardia di ogni dato contesto sociale. Il termine controllo sociale va pertanto spogliato dal pensiero che si tratti di qualcosa di opprimente e va inteso, invece, in modo neutrale, avendo la consapevolezza che nessun sistema sociale può esistere senza l osservanza di regole. Isaiah Berli, uno dei maggiori rappresentanti del liberalismo europeo, scriveva, giustamente, che la libertà è l area entro cui una persona può agire senza esser ostacolata dagli altri ma per fruire di questo bene fondamentale necessario che la libertà dei singoli sia garantita appunto dai sistemi di controllo che, senza per ciò essere necessariamente oppressivi, ne assicurano la salvaguardia. Fra gli strumenti di controllo sociale distinguiamo: quelli istituzionalizzati o di controllo formale - che sono cioè organizzati e regolamentati da specifici organismi. Controllo formale è il controllo esercitato dagli organi pubblici in base a norme giuridiche che ne prevedono esplicitamente le competenze e le procedure. I controllo formale è quello esercitato dalle forze di polizia, dalle sanzioni detentive e pecuniarie, dalle misure di sicurezza, ecc.; Quelli di controllo informale istituzionalizzato sono organismi fondamenti che, pur avendo diversi fini istituzionali, rappresentano anche importantissime fondi di informazione normativa e canali di comunicazione dei valori fondamentali, e che quindi fungono anche da agenzie di controllo del comportamento. Il controllo informale è rappresentato dall azione di strutture riconosciute dal diritto per finalità diverse dalla lotta alla criminalità (ad esempio, la famiglia, la scuola, la chiesa, il sindacato) o anche indifferenti al diritto (es: le comunità abitative e le associazioni spontanee) che, intenzionalmente o meno, concorrono a determinare l adattamento degli individui agli schemi delle società in cui vivono o anche a correggere situazioni, comportamenti e abitudini di vita che fanno temere un esposizione al rischio di divenire delinquenti o una inclinazione in tal senso; Quelli di controllo informale non istituzionalizzato (o di gruppo) Si tratta di un sistema di controllo che non si 8 di 13

9 esercita mediante le istituzioni ma da persona a persona nel contesto stesso dei vari gruppi sociali Il vicinato, le persone che si frequentano, gli amici e i colleghi, l ambiente di studio e di lavoro). Ciascun individuo è infatti costantemente sottoposto al giudizio di coloro con i quali vive a contatto e, attraverso una fitta rete di messaggi, constata continuamente il grado di accettazione ovvero di critica e di riprovazione che la sua condotta suscita. Questo tipo di controllo viene esercitato con l approvazione o l elogio pubblico ovvero con la riprovazione: quest ultima si manifesta attraverso una gradualità di atteggiamenti proporzionali alla gravità con cui viene giudicata la condotta (riprovazione verbale in privato; rimprovero pubblico; severa censura; derisione; temporaneo allontanamento dal gruppo; isolamento; emarginazione; stigmatizzazione). In sintesi, dunque, il controllo sociale consiste nell azione di tutti i meccanismi che controbilanciano le tendenze devianti, o impedendo del tutto la deviazione o, cosa più importante, controllando/capovolgendo quegli elementi della motivazione che tendono a produrre il comportamento deviante. La nostra analisi, ai fini del raggiungimento dei nostri obiettivi, partirà proprio da qui: come è possibile spiegare la delinquenza dal punto di vista del controllo sociale? Colui che ha anticipato la grande mole delle teorie del controllo sociale è senz altro Albert J. Reiss Jr (1951). Malgrado egli usasse la teoria psicoanalitica e scrivesse a lungo sulla importanza della personalità, la prospettiva da lui adottata spiegava la delinquenza attraverso tra componenti del controllo sociale: il mancato sviluppo di un adeguato auto controllo; allentarsi di questo autocontrollo; assenza di quelle regole sociali introiettate mediante l influenza dei gruppi sociali importanti. L approccio successivo venne sviluppato da Walter Reckless (1961). Questa teoria, definita come teoria dei contenitori, mira a spiegare in generale il comportamento sociale identificando quei fattori che favoriscono il contenimento della condotta nell ambito della legalità: viceversa la carenza di questi fattori di contenimento (cioè dei contenitori, da cui prende il nome la teoria) costituisce elemento significativo nel favorire la scelta criminale. Reckless distinse: contenitori interni rappresentati da quegli aspetti della struttura psicologica più significativi per favorire l integrazione sociale. Essi consistono in : buon autocontrollo, buon concetto di sé, forza di volontà, buon sviluppo delle istanza etiche, buona socializzazioni, forte resistenza agli stimoli disturbanti, senso di responsabilità, orientamento verso fini ben chiari. Contenitori esterni rappresentati dall insieme delle caratteristiche dell ambiente nel quale il singolo soggetto si trova a vivere. Le variabili psicologiche non sono infatti di per sé sufficienti a render conto, da sole, del comportamento socialmente conforme (ovvero di quello 9 di 13

10 criminoso) perché esse agiscono in modo differenziale a seconda dello status del soggetto e delle caratteristiche peculiari del suo ambiente. I contenitori esterni rappresentano i freni strutturali che, operanti nell immediato contesto sociale di una persona, o agenti in senso più lato nella società, gli permettono di non oltrepassare i limiti normativi. Detti contenitori sono rappresentati da fattori molteplici: da un ragionevole insieme di aspettative di successo sociale, nel senso che quanto maggiori sono le prospettive di successo legate al ceto, alle relazioni, alle qualificazioni professionali, tanto più agevole sarà mantenersi nella conformità e non usare mezzi illegittimi per affermarsi; l opportunità di incontrare consensi nel proprio ambiente, il disporre di figure capaci di offrire coerenti modelli di identificazione e una salda guida di condotta morale. Si rende dunque necessario considerare contemporaneamente l integrazione e la correlazione tra le variabili psicologiche e quelle ambientali. Esiste cioè tutto un complesso sistema di correlazioni fra i vari contenitori che consente di comprendere come l accentuata carenza di taluni di essi renda proporzionalmente meno rilevante la mancanza degli altri : in genere, quanto più difettano i contenitori esterni, tanto minore importanza nel condurre alla criminalità viene ad assumere la carenza di quelli interni e viceversa. Ma il concetto di controllo sociale esterno assume un ruolo primario grazie al lavoro di David Matza (1964), il quale critica l'assunto centrale della teoria della subcultura, in quanto «la devianza dà luogo ad un mondo indipendente regolato da norme autonome e l'individuo che viola la legge - ovvero le norme dell'ordine legittimo - è totalmente estraneo a questo ordine». Per Matza, in sostanza, la definizione sociale della devianza discende dal conflitto fra il senso attribuito all'atto deviante dai devianti e il senso dato allo stesso atto dagli altri soggetti. Nel suo studio sui giovani delinquenti Matza vede nel deviante un individuo che partecipa al sistema dei valori legittimo e si pone il problema di spiegare perché il deviante è tale, pur conoscendo e condividendo le regole di comportamento degli altri membri della società. Sykes e Matza (1957) sostengono che, in un contesto in cui i valori e le norme rappresentano delle guide per l'azione di carattere flessibile, il deviante può elaborare delle giustificazioni della propria azione, adducendo motivazioni che legittimano dal suo punto di vista la sospensione di una norma morale o legale e gli consentono di sentirsi autorizzato a trasgredire. In quest'ottica l'ingresso nella devianza non implica l'interiorizzazione dei valori di una sottocultura contrapposta all'ordine sociale dominante, ma l'apprendimento delle tecniche di neutralizzazione che consentono all'individuo di continuare a considerare legittime le regole che sta violando. Le tecniche di neutralizzazione individuate sono cinque: 10 di 13

11 la negazione della responsabilità la negazione del danno la negazione della vittima la condanna di chi condanna il richiamo a lealtà di ordine più elevato La neutralizzazione spiegherebbe l'inclinazione di un individuo a compiere atti devianti in quanto la sospensione della fedeltà ai valori sociali libera l'individuo e lo pone alla deriva. La condizione di deriva è aperta sia al reingresso nella conformità sia al proseguimento sulla strada della devianza. Al centro di tale teoria, a differenza delle precedenti, c è l individuo, un soggetto capace di orientarsi, di scegliere e decidere, un soggetto che costruisce la propria realtà, che si confronta con i propri condizionamenti, elaborandoli cognitivamente senza subirli. La devianza, come diceva Matza, fa sempre succedere qualcosa, ha il vantaggio selettivo di amplificare la comunicazione, di aumentarne la portata. Per l autore del comportamento, infatti, la scelta della devianza è una modalità per rendere più evidente il suo messaggio, per aumentare la probabilità di diffondere i significati, ma anche per affermare e difendere la propria identità. Come viene messo in evidenza dalle teorie che inquadrano la devianza all interno di un processo di comunicazione, i comportamenti devianti richiamano inevitabilmente l attenzione dei sistemi di controllo istituzionali ed hanno la capacità di sollecitare risposte di reazione sociale. Anche il controllo sociale può essere inteso come una forma di comunicazione, e parte di questa ritorna al soggetto deviante attraverso un processo circolare: il soggetto ha provato a mandare dei messaggi e riceve a sua volta, da parte del controllo sociale, dei messaggi che riguardano la sua azione, messaggi che riguardano lui e il significato sociale di se stesso Il soggetto che mette in atto il comportamento deviante cerca di affermare messaggi e altri effetti comunicativi pragmatici e simbolici, ma il feed back che riceve dalle interazioni sociali può restituirgli un interpretazione in termini di disturbo senza senso. Infatti, il controllo sociale tende a ridimensionare la comunicazione entro il confine della definizione negativa, la svalutazione, costringendo l attore e l azione devianti in una rete di significati che ne impediscono la comprensione e favoriscono interventi paradossali. A volte può succede di fatto che il controllo sociale, invece di scoraggiare la devianza, paradossalmente finisce per amplificarla, mantenendo 11 di 13

12 un attenzione privilegiata su certe categorie sociali, orientando lo sguardo su certe caratteristiche culturali. La versione più recente della corrente sociologica che legge la devianza in termini di controllo sociale è la teoria del legame sociale di Hirschi (1969). Similmente a Durkheim, Hirschi pone i comportamenti su di una scala che va dalla conformità alla devianza. Il comportamento convenzionale è il frutto dell'influenza delle norme interiorizzate, della coscienza e del desiderio di approvazione. L'individuo è libero di accedere alla devianza, ma, mentre Sykes e Matza spiegano l'orientamento alla devianza con il ricorso da parte dell'individuo alle tecniche di neutralizzazione, Hirschi chiama in causa la natura dei legami sociali e associa la devianza al loro indebolimento o alla rottura. Un individuo compie un reato quando i vincoli che lo legano alla società perdono di forza e di efficacia nel trattenerlo dal seguire le proprie inclinazioni e i propri interessi. I legami sociali sono costituiti da quattro elementi: l'attaccamento, il coinvolgimento, l'impegno e la convinzione. L'attaccamento è dato dalla forza dei legami verso altri significativi (i genitori, gli amici, i modelli di ruolo) o verso le istituzioni (la scuola, l'associazione); il coinvolgimento è espresso dal tempo e dalle risorse dedicate alla partecipazione ad attività convenzionali (tanto più tempo è dedicato allo studio, allo svago, ecc. tanto meno ne resta per compiere atti devianti); l'impegno è costituito dall'investimento sotto forma di istruzione, reputazione, posizione economica; la convinzione, infine, consiste nel riconoscimento della validità delle norme vigenti. La libertà di adottare comportamenti devianti si riduce o si estende a seconda della presenza e dell'intensità degli elementi costitutivi dei legami sociali. La teoria del controllo sociale pone, dunque, in relazione l'aumento dei comportamenti devianti con l'indebolimento della coesione sociale. La devianza è assunta come un dato naturale in una società. Gli individui agiscono spinti dalla ricerca dell'autoconservazione e della gratificazione; il vivere sociale è reso possibile dall'ordine morale formato dalle regole, che gli individui interiorizzano nel corso della socializzazione; il legame con l'ordine sociale, imperniato sui quattro elementi individuati, è la condizione per il mantenimento della conformità. In quest'approccio, che si fonda su di una concezione pessimistica della natura umana, ritenuta moralmente fragile e bisognosa di freni e di controlli, è proprio la conformità a dover essere spiegata, piuttosto che la devianza. Una versione più recente della teoria del controllo sociale è stata elaborata da Gottfredson e Hirschi (1990) con la denominazione di Teoria generale della criminalità o Teoria del basso autocontrollo. Il crimine non nasce da motivazioni o bisogni specifici ma dalle pulsioni di tipo 12 di 13

13 egoistico quando vi è un basso grado di autocontrollo. I tratti della personalità individuale - come l'impulsività, l'insensibilità, l'egocentrismo e le capacità intellettive - assunti in età precoce durante il processo di socializzazione influenzano la capacità di autocontrollo degli individui. Se le caratteristiche potenzialmente criminali sono parte costitutiva della natura umana, la possibilità di intraprendere una carriera deviante viene a dipendere dal successo o dal fallimento del processo di socializzazione. All'interno della loro teoria gli autori ricomprendono anche gli assunti di altre correnti teoriche; l'atto deviante, da un lato, è compiuto dal soggetto sulla base di un'aspettativa di gratificazione e del calcolo dei costi e dei benefici che ne scaturiscono, che configurano una disposizione razionale da parte del deviante, e, dall'altro, presuppone delle condizioni favorevoli esterne e interne al soggetto. Secondo Gottfredson e Hirschi il crimine esercita una attrazione sugli individui che ne sono protesi, di conseguenza la propensione al crimine tenta gli individui e promette loro piacere. Pertanto, qualunque misura presa per aumentare l autocontrollo non solo influenza il crimine, ma ha anche l effetto di ridurre altri comportamenti sociali indesiderati. 13 di 13

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