Appunti sulla Leadership Educativa di Andrea De Dominicis. Introduzione

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1 Appunti sulla Leadership Educativa di Andrea De Dominicis Introduzione Devo riconoscere che il compito richiesto dal predisporre questo Modulo, non è stato facile. La letteratura sul tema della leadership è smisurata, spesso ripetitiva, così come lo è la letteratura divulgativa o le migliaia, centinaia di migliaia di pagine web dedicate al tema. Lo stesso si può dire per il tema dei gruppi. Una giungla di informazioni, di cui alcune suggestive altre meno, spesso suadenti, tentatrici, con ricette ben confezionate che inducono a leggere. Non è stata facile la scelta, se fornire una dignitosa rassegna della letteratura, seguire tentazioni prescrittive o fornire stimoli per la riflessione. Non è stato facile nemmeno rispondere alla domanda, se sia possibile acquisire competenze di leadership attraverso un modulo didattico. Ci sono troppe domande a cui rispondere prima ancora di questa. Forse la più importante è quella alla base di ogni discorso sulla leadership, ovvero: leader si nasce o si diventa? E poi, da dove si origina tanto interesse per questo fenomeno? Che rapporto esiste tra leadership e potere? La ledership è un fenomeno dipendente dal contesto? Esistono leadership diverse per diverse organizzazioni? Per chi, come me, è abituato a lavorare con la leadership, piuttosto che a parlare di leadership, non risulta facile tradurre nell ordinato linguaggio della scrittura (che richiede la sua sintassi lineare) il mondo paludoso delle percezioni, delle scelte e delle decisioni che contraddistinguono la leadership. Henry Mintzberg 1 ha affrontato questa difficoltà, andando a studiare sul campo quello che fanno veramente i dirigenti, scoprendo quanto siano lontane le prescrizioni della teoria dalla realtà dei fatti. Il suo Management tra mito e realtà 2 rimane una pietra miliare (anche se troppo spesso dimenticata) dello studio del comportamento dei dirigenti. La tentazione delle prescrizioni è sempre forte. Forse dipende dal fascino di una realtà ordinata e comprensibile, o dal desiderio di conoscere e controllare, o di trasformare in modello un sapere che si esprime nella pratica quotidiana dell agire e del decidere. Agire e decidere intesi non solamente come verbi mascolini (come l immaginario collettivo della leadership ci porterebbe a credere). Agire e decidere (anche passivamente) come espressioni dell agente umano 3, sempre e comunque intenzionale (proattivamente o retrospettivamente). Il tema della leadership è antico come il mondo. Condottieri, santi, profeti, eroi, tiranni, rivoluzionari o tessitori di intrighi si sono avvicendati sulla scena, colpendo spesso la nostra immaginazione. Spesso la storia è stata raccontata come storia di leader, come se questi individui speciali avessero potuto fare qualcosa se non ci fossero stati altri a chiederlo? farglielo fare? aspettarsi che lo facciano? Ci sono davvero individui speciali? Ed in cosa sono speciali? Come se la storia non fosse storia di relazioni, sempre (o quasi sempre) asimmetriche, spesso caotiche e casuali, cui poi il sensemaking 4 umano fornisce la coerenza Mintzberg La Human Agency intenzionale che da Tolman a Bandura ha portato sempre più sulla scena l uomo cognitivo 4 Weick

2 Devo aggiungere, poi, la difficoltà di una situazione come questa, dove io non so dove si trova chi legge, cosa stia facendo nel frattempo, con quali occhiali legge queste pagine, e lui o lei non sanno dove mi trovo io, da quale prospettiva parlo, con quali conoscenze ed esperienze (e punti di vista) mi dispongo a discutere. Mi si potrebbe dire che sarebbe ragionevole affrontare la questione come si affronta la scrittura di un libro e, quindi, utilizzare le regole della saggistica. Ma, per questo, sarebbe allora sufficiente fornire un robusta bibliografia senza dover realizzare alcuna forma di comunicazione a due vie. Non sono convinto appieno che questa sia la strada migliore, trattandosi non di un saggio sulla leadership ma di una situazione di insegnamento/apprendimento intorno alla leadership, in cui la relazione è per certi versi fatto fondante. Allora come affrontare l argomento? Cosa selezionare e privilegiare per fornire un quadro coerente, stimolante ed utile alle diverse ragioni che giustificano l esistenza di questo Modulo? Come affrontarlo? Presentando un ordinata serie di contributi che permetta a chi legge di farsi un quadro degli studi e delle principali teorie? O fornendo una serie di stimoli che provochino domande e riflessioni per costruirsi una propria risposta sull argomento? Senza indugiare oltre nelle domande, quella che segue è la proposta che faccio a chi si appresta a studiare questo Modulo, consapevole di non esaurire l argomento. La bibliografia potrà rappresentare un supporto a chi intende misurarsi con l approfondimento di questo tema affascinante. La nostra Road Map Esiste un problema di Direzione? Ma cos è la leadership? Tra stili, orientamenti e situazioni Il tema della Leadership Educativa Lavorare sul confine La leadership e il Gruppo di Lavoro Perché i contenuti del modulo possano permettere una qualche forma di interazione, consiglio a tutti di contattarmi (dedomi@scuolaiad.it) per chiedere chiarimenti o semplicemente per farmi avere commenti. Le esercitazioni conclusive dovrebbero permettere a ciascuno di rivedere il percorso e fare il punto di dove si è arrivati A tutti, buon lavoro! 2

3 1. Esiste un problema di Direzione? E difficile discutere del tanto interesse nei confronti della leadership educativa senza tener conto della sua importanza in quanto leva di trasformazione dei cambiamenti in atto nei sistemi globali. Se la produzione di ricerca e di letteratura (più o meno scientifica) riflette l importanza di un determinato tema nelle collettività, è certo allora che la smisurata produzione in materia di leadership (non solo educativa) ci segnala la cogenza di questa nell orientare, sostenere o eventualmente contrapporsi e limitare, lo sviluppo delle organizzazioni nel senso in cui se lo attendono i sistemi sociali più ampi in cui sono inserite. Ma non è solo il settore dell Istruzione ad essere interessato da questi fenomeni. Se è possibile affermare che esiste un problema di leadership in generale questo è ancora più evidente in alcuni specifici settori della vita sociale. Il mondo della produzione guarda con sempre maggiore interesse a questo tema (che peraltro ha occupato da sempre un ruolo centrale nelle scienze dell organizzazione), considerandolo uno dei principali fattori di vantaggio competitivo. La questione è di immediata comprensione: in un mondo in cui l accesso alle risorse e alla tecnologia si è distribuito in forma sicuramente più omogenea rispetto ad alcuni anni fa, è il fattore umano (conoscenza, creatività, leadership, appunto) a diventare l elemento critico per la competizione. Il mondo delle organizzazioni di servizi (sociali, cooperativi, educativi, del tempo libero) ha visto fiorire negli ultimi anni un gran numero di percorsi formativi e di specializzazione tutti centrati su problemi e questioni manageriali. Lo stesso è avvenuto per la Sanità, per le Forze Armate, per i corpi di pace e per le organizzazioni internazionali. E evidente una preoccupazione generalizzata ed una grande attenzione ai problemi di coordinamento, guida e direzione di diverse tipologie organizzative che in passato sono state prerogativa di ambiti molto più ristretti (dapprima l ambito militare cui ancora si attinge in molti casi per trarre ispirazione 5 e poi, indubbiamente, il mondo della produzione industriale). Certamente anche il mondo delle Istituzioni ha una lunga e nobile tradizione: i lavori di Max Weber, di Michel Crozier e di Henry Fayol sono pietre miliari nello sviluppo di una Scienza dell Amministrazione Pubblica, così come anche la Chiesa Cattolica può contare su veri e propri testi di strategia organizzativa 6. Eppure queste produzioni memorabili sono rimaste fino a pochi anni fa all interno di circoli relativamente ristretti di studiosi ed addetti ai lavori mentre oggi sono studiati fin dai primi anni di Università e sono diventati oggetto di una crescente attenzione ( e fioritura) di lauree magistrali, master e percorsi di alta formazione. Esiste quindi un problema di Direzione? E diventato oggettivamente più difficile dirigere? Esiste una maggior richiesta di coordinamento e autorità nel senso di un vero e proprio bisogno espresso socialmente? Apparentemente dovremmo rispondere affermativamente. Un po tutti i ruoli di autorità sono entrati in crisi e le ragioni sono molte. Essere genitori è oggi fortemente problematico per la mancanza di modelli stabili, per la complessità dei rapporti di socializzazione, per l anomia che caratterizza significativamente la convivenza nelle città, per le tensioni (e i desideri) contrastanti cui gli adulti sono sottoposti. Insegnare (e ottenere l autorità per farlo) è diventata una vera e propria sfida nei confronti delle motivazioni, delle circostanze ambientali e delle crescenti implicazioni che stili di vita e processi di socializzazione avvenuti altrove hanno sugli allievi. L autorità del docente si è andata sgretolando in mancanza di quei regimi di convenzione sociale che le erano utili per sostenersi. 5 Basti pensare a quante volte viene utilizzato il memorabile lavoro di Von Clausewitz o il meno noto Sun Tzu 6 Lowney

4 Guidare gruppi ed organizzazioni è sempre stato oggetto di ambizione 7 e lo rimane tuttora. Eppure per evitare di arroccarsi all interno di cittadelle di ruolo, chiunque diriga deve continuamente rivedere, mettere alla prova e articolare meglio le competenze e i comportamenti di cui è capace. Non si riesce più a mantenere un ruolo di autorità per inerzia, anche se a seguito di un investimento iniziale. L autorità è continuamente messa alla prova, in un processo di revisione permanente. Sfuggire a queste revisioni utilizzando stratagemmi sta diventando sempre meno possibile e, soprattutto, sempre più stressante. Queste e molte altre considerazioni possono portarci a concludere che esiste un problema di direzione ovvero che la Direzione è diventato un problema! Probabilmente non è cresciuta significativamente la domanda di direzione. Al contrario: uno dei fenomeni sociali di maggior rilievo è proprio il generalizzato appiattimento gerarchico cui assistiamo. Famiglie sempre meno gerarchizzate in cui i genitori hanno dovuto apprendere a diventare amici dei propri figli. Classi sempre più interpretate come insiemi e gruppi in cui l insegnante deve far ricorso a tecniche di gestione delle dinamiche di gruppo piuttosto che costruire rapporti individualizzati. Organizzazioni in cui la tendenza all appiattimento (la lean organisation) è un processo in atto da molto tempo. E così via, in una tendenza generalizzata all acefalia organizzativa 8 che sembra rendere, oggettivamente, il bisogno di coordinamento sempre meno dipendente dalle qualità di una singola persona. Eppure l esigenza di coordinamento rimane, permane e attraversa la storia stessa dell umanità, meta-struttura apparentemente necessaria per l esistenza stessa di un insieme sociale, con buona pace dell anarchismo utopista. I sistemici spiegano questa esigenza attraverso le caratteristiche intrinseche del sistema, ovvero l esigenza strutturale di coordinamento tra le parti per ottenere la migliore cooperazione funzionale possibile (con finalità adattative). Spiegazioni di tipo socio-culturale o antropologico ci porterebbero a discutere concetti quali legami, cura, socializzazione, educazione, per spiegare la necessità di costruire, ricostruire e rivedere continuamente (adattandole al tempo) le strutture sociali attraverso cui esprimiamo (e creiamo l esigenza) di forme accettabili di coordinamento. Ma perché, dirigere è diventato un problema? Perché non è più sufficiente la motivazione innata alla ricerca di autorità (quella che David Mc Clelland chiamava motivazione al potere 9 )? Perché questa motivazione, questo bisogno, si è dovuto trasformare in competenza, spogliandosi di ogni alone emotivo e quasi sterilizzandosi nel linguaggio delle scienze dell organizzazione? Esistono, probabilmente, diversi ordini di ragioni e diverse modalità di lettura. Ci interesserebbe un discorso più approfondito, che riprenderemo più oltre. Non ci soddisfa, infatti, una spiegazione di tipo sistemico anche se in questa prima fase può esserci utile. Questa tendenza a rivestire di competenza un fenomeno più inerente alla stessa natura umana (la ricerca e il bisogno di autorità) può rispondere a mutate esigenze del contesto, a nuove aspettative nei confronti delle organizzazioni (anche quelle pubbliche). La maggiore accelerazione si è avuta nel corso degli ultimi venti anni, quando, sulla scia delle riforme sociali di tipo neo-laburista è avvenuta una generale rivisitazione del ruolo delle Istituzioni con la creazione di specifiche istituzioni dedicate alla formazione dei leader della Scuola D altronde avere autorità non rappresenta una delle principali molle del comportamento umano? 8 Brafman, Beckstrom Mc Clelland, Ci riferiamo ad esempio al National College for School Leadership inglese. E interessante notare che alla data in cui si scrive il College sta discutendo se aggiungere alla sua denominazione la parola for children s a significare che non si intende puntare solo sulla leadership d Istituto ma ad una leadership diffusa che coinvolga anche gli alunni 4

5 Nella fattispecie italiana, questa centralità è stata anche causata dalle riforme in senso dell autonomia scolastica, che hanno inevitabilmente indirizzato verso la dirigenza il focus dell attenzione. Questa attenzione si pone in continuità con la riforma della dirigenza nella Pubblica Amministrazione che Fedele 11 sintetizza così: Il punto di arrivo che meglio degli altri riassume la logica del cambiamento in corso resta forse rappresentato dalla fioritura di «carte dei servizi» che un po in tutti i paesi sono state approvate a partire dagli anni Novanta, lasciando in tal modo emergere quello che oggi viene considerato il problema di fondo delle burocrazie tradizionali, e cioè la capacita di trasformarsi da amministrazioni di regole che producono leggi e procedure peraltro spesso non applicate, in amministrazioni di risultato in grado di rispondere della qualità dei servizi offerti e dei costi necessari per produrli. La crescita di poli istituzionali dotati di maggiore autonomia operativa e finanziaria rappresenta un esempio dei nuovi modelli culturali ed organizzativi che caratterizzano il ruolo dello Stato e il suo rapporto con i cittadini nelle attuali società ipercomplesse. La riflessione di Atkinson 12 sul Welfare State ci può essere d aiuto per comprendere anche quello che è avvenuto nel mondo dell Istruzione. Il ruolo dello Stato è da molti anni al centro del dibattito. In misura differenziata tutti i paesi europei sono attraversati da continue discussioni ed analisi in cui gli economisti giocano un ruolo preponderante. L origine di tale dibattito si può ritrovare negli shock economici (recessioni e stagnazioni economiche che rappresentano una minaccia per la crescita indefinita della produzione di ricchezza) e demografici (in particolare l invecchiamento della popolazione, la scarsa natalità e i flussi migratori) degli ultimi anni che hanno posto al centro del dibattito due questioni fondamentali: 1. I costi del Welfare non sono sostenibili (in quanto aggravano il finanziamento pubblico) 2. Un Welfare troppo protettivo riduce la capacità di crescita di un paese (riducendo con logiche protettive la vivacità dei mercati) Sulla prima questione si potrebbe facilmente obiettare che la riduzione di altri capitoli di spesa (ad esempio quello sugli armamenti) permetterebbero anch essi un risparmio. E quindi evidente che si tratta di un argomentazione debole. Sulla seconda questione, invece, i risultati della ricerca sono controversi, soprattutto se si evidenzia l andamento dei tassi di crescita economica di quei paesi in cui è tradizionalmente forte l intervento di protezione sociale dello Stato (nord Europa e paesi scandinavi). In estrema sintesi si deve concludere che più che su constatazioni e dati obiettivi, la necessità di riduzione del Welfare è una questione squisitamente politica ed un occasione per riscrivere le regole dei patti di solidarietà intra ed inter generazionali. Seguendo l analisi di Atkinson si possono identificare alcune dei fattori che operano da propulsivo per il dibattito sul Welfare: la pressione di nuovi gruppi di interessi il valore culturale che ha assunto la cosiddetta sfida all incertezza (mentre il Welfare nasce come strumento per la riduzione dell incertezza) 13 la cultura del managerialismo di Stato i cambiamenti nei modelli di governance. Gli aspetti più interessanti per il nostro contesto sono gli ultimi due: lo sviluppo di una cultura del managerialismo di Stato e i cambiamenti nei modelli di governance. Cercheremo di declinare questi due aspetti non tanto nel più generale cambiamento dei modelli organizzativi delle Istituzioni Pubbliche quanto nelle sue ricadute sul tema della leadership. 11 Fedele Atkinson Havemas, cit. in Atkinson

6 A livello più generale i processi di cambiamento nella cultura e nell operatività del settore pubblico si muovono nel senso indicato da Fedele, ovvero da Amministrazioni di regole (cioè custodi delle procedure e delle norme) ad Amministrazioni di risultato (orientate al prodotto, nel caso specifico un cittadino soddisfatto). Sono evidenti in moltissimi campi i cambiamenti nel rapporto Istituzione/cittadino (chiamato oggi cliente), nei meccanismi di rappresentanza (il ruolo della concertazione e il maggior peso assunto dalle organizzazioni di consumatori), nelle politiche di comunicazione (dalle carte dei servizi ai bilanci sociali) nonché nel moltiplicarsi dei programmi di misura e miglioramento della qualità. Tutto ciò riflette il nuovo ruolo assunto dagli stakeholders 14 (cioè i nuovi gruppi e portatori di interessi nel senso di Atkinson) che nel caso delle politiche sociali ed educative sono molteplici e a differenti livelli (dagli utenti ai loro familiari, alle comunità locali che vogliono veder risolti i problemi fino al comune cittadino che, pagando le tasse, vuole ricevere un servizio adeguato). Gli stakeholders stanno ai responsabili delle politiche come gli azionisti stanno al management di un impresa. Questo è ormai un assunto culturale condiviso dalla maggior parte degli amministratori 15. Nel nostro caso questa cultura del servizio pubblico è uno dei drivers più potenti alla base dei processi di autonomia, di una maggiore decentralizzazione del potere, della ricerca di strutture organizzative più snelle ed efficaci. Questo pone un problema di Direzione ovvero quello ben noto dell autonomia operativa della Dirigenza e del suo rapporto con il potere politico 16. Dal punto di vista organizzativo pone problemi di metodo, competenze e, perché no, di caratteristiche personali, su cui dovremo ritornare. Pur concordando con molte delle argomentazioni di Serpieri 17, che include il managerialismo pubblico tra i principali approcci che influenzano la leadership educativa (d altronde come potrebbe essere diversamente?), non ne condividiamo le conclusioni, per la loro scarsa traducibilità in pratiche organizzative 18. Indubbiamente la democrazia è un valore e deve informare in quanto tale i comportamenti. E imprescindibile, però, fornire suggestioni per le pratiche di direzione (necessarie psicologicamente e socialmente, come avremo modo di argomentare altrove) e contestualizzare il comportamento nelle situazioni. E altrettanto importante collegare i valori sociali e culturali condivisi, con le esigenze e i fenomeni psicologici che caratterizzano la leadership e con il ruolo che svolgono le aspettative dei sistemi sociali più ampi in cui le organizzazioni sono inserite. Ed in ultimo (ma non per importanza) esiste una retorica della democrazia che sembra dimenticare che la libertà proviene dall espulsione del padrone interno, malgrado le sue proteste 19. Per quanto riguarda la questione della governance può essere utile dapprima intenderci sul significato del termine 20. Con governance si intende l insieme dei meccanismi con cui vengono prese le decisioni rilevanti in una determinata materia e si differenzia dal governo che definisce invece le strutture dotate di autorità formale per prendere quelle decisioni. 14 Per una trattazione sistematica della Teoria degli stakeholders si veda Freeman R. E. (Ed.), Anche se è opportuno distinguere le pratiche di stakeholders management dalla gestione del consenso, che interessa in modo particolare i politici. Nel caso dell Amministratore l influenza dello stakeholder è un fatto gestionale che deve essere tenuto in considerazioni per ragioni etiche e strumentali 16 Per una trattazione approfondita si veda D Alessio Serpieri Su questi temi è raro trovare un buon equilibrio tra pars destruens e pars costruens. A noi sembra che una delle sintesi più felici si trovi in Sennett Sennett, op. cit., pag Il tema della governance, per le sue implicazioni sulle caratteristiche e sulle competenze della leadership, verrà ripreso più oltre 6

7 In altre parole quando parliamo di governance noi ci riferiamo ai processi (più o meno partecipativi, consultativi, negoziali, ecc.) che portano alla presa di decisione politica ed istituzionale. Il dibattito sulla governance ha radici nei processi di globalizzazione e nell accresciuta competenza che i cittadini, in forma individuale ma più spesso in forma associata, hanno raggiunto. Maggior competenza che si traduce nell esercizio della cittadinanza attiva, cioè nell agire direttamente in difesa dei propri interessi (non necessariamente in una dimensione individualista e riduttiva ma molto più spesso rispetto a problematiche di portata planetaria quali l ambiente, lo sviluppo, il clima, l energia). Un esempio emblematico può essere considerata la consultazione che l Unione Europea ha avviato nel 2001 per riscrivere le regole di governo dell Unione nell ottica di un rinnovato rapporto con i cittadini. Questi linguaggi hanno avuto un forte impatto anche nel mondo aziendale, con l introduzione di termini quali cittadinanza organizzativa 21 Sarebbe un errore, quindi, considerare la governance come una nuova etichetta con cui definire processi di gestione la cui natura (fondamentalmente autoritaria anche se travestita da partecipativa) è sostanzialmente identica alle piramidi gestionali gerarchizzate. Essa indica, almeno in via teorica, un processo di maggior distribuzione del decision making, che nella fattispecie del nostro tema, ha forti implicazioni sulla leadership. Gli effetti di questi processi sui modelli di governo delle Istituzioni sono principalmente di tre tipi 22 : 1. Una concezione strategica dello Stato che passa da erogatore a pianificatore 2. La necessità di condividere il potere formale con nuovi attori 3. Nuovi meccanismi di gestione delle politiche che si rifletteranno in impianti legislativi quali la legge sul federalismo in discussione. Il nostro interesse si concentrerà inevitabilmente sui primi due effetti, che chiamano direttamente in causa l identità ed il comportamento dei leader. Capacità strategica e condivisione del potere formale rappresentano quindi due caratteristiche necessarie all esercizio della leadership. Questo è almeno appare come una precisa richiesta proveniente dai processi di cambiamento delle politiche e degli ambienti sociali ed economici in cui le organizzazioni operano. Si apre qui il problema del rapporto tra organizzazioni ed ambiente, i reciproci influenzamenti ed il ruolo (inteso come aspettativa) che svolgono. Questione annosa e di grande spessore. Ancora una volta (in questa fase) ci attesteremo su una prospettiva sistemico-funzionalista 23 per poi problematizzarla utilizzando le suggestioni di Senge 24 e la sua distinzione tra apprendimento adattivo e apprendimento generativo. Ciò non ci sembra contraddire il modello critico che nella 21 Il concetto di cittadinanza organizzativa è stato proposto da Bateman e Organ (1983): per indicare quei comportamenti e quei gesti utili all organizzazione che non possono né venire imposti sulla base dei doveri di ruolo né indotti dalla garanzia di una ricompensa contrattuale. Il comportamento di cittadinanza organizzativa consiste nel contributo informale che i partecipanti possono decidere di dare o rifiutare senza tener conto di sanzioni o incentivi formali. 22 Fedele M L approccio sistemico- funzionalista considera al centro della propria riflessione la questione degli obiettivi, o scopi, dell organizzazione. Tra questi obiettivi si postula l esistenza di un compito primario (primary task) la cui origine non è da ricercarsi all interno delle organizzazioni, bensì dalle aspettative dei sistemi più ampi all interno dei quali le organizzazioni operano. Ad esempio, una scuola fa parte del sistema educativo che a sua volta fa parte del sistema sociale più ampio. Ne consegue che i suoi obiettivi vengono generati all interno di un sistema di aspettative la cui fonte è esterna alla singola organizzazione. Ne derivano due constatazione. La prima è che l obiettivo primario per un organizzazione è la sopravvivenza e, secondo, che la possibilità di sopravvivenza dipenderà dalla capacità di adattamento alle richiesta dei sistemi più ampi. 24 Senge

8 passiva riproduzione dei modelli sociali all interno delle organizzazione, fonda proprio una delle sue principali critiche. 8

9 2. Ma cos è la leadership? Tra stili, orientamenti e situazioni Pochi temi hanno ricevuto tanta attenzione, anche a causa dell importanza che la leadership riveste nelle culture organizzative occidentali, fortemente caratterizzate da una prospettiva individualista e dalla pressione crescente della competizione. In altre culture questo tema ha un minor appeal a favore di un maggior interesse per il lavoro di squadra e comunque collettivo 25 (come nella cultura giapponese). Anche nel campo delle ricerche sulla leadership è avvenuto qualcosa di molto simile a quanto successo per altri fenomeni cui la psicologia ha dedicato attenzione: la questione natura-cultura. I primi studi sulla leadership, infatti, cercavano di rintracciare nell'individuo quelle caratteristiche che lo rendevano diverso e, in un certo senso, superiore agli altri, in particolare per quanto riguardava il riuscire ad influenzare i subordinati. Questi primi studi, classificabili all'interno di un approccio innatista, ricercarono le caratteristiche del grande uomo, cercando di scoprire che cosa avesse caratterizzato dal punto di vista psicologico, persone come Napoleone o Hitler, se cioè si potevano identificare tratti psicologici (intelligenza, abilità, energia) che li rendevano speciali. Questo tipo di ricerche non riuscirono mai ad andare oltre la definizione generica di carisma: nello studiare le caratteristiche di individui speciali, infatti, era possibile rintracciare solamente un leggero margine di scostamento rispetto alla media (per quanto concerne il QI, e non sempre) mentre per il resto non sembrava ci fossero differenze così significative da giustificare le definizione di individuo speciale. Questo modello di ricerca, che fu caratteristico dei primi decenni del '900, venne presto abbandonato prima a favore di una prospettiva comportamentista (i cosiddetti approcci allo stile di leadership) e successivamente in senso situazionista, laddove la leadership rappresenta una caratteristica emergente da una particolare situazione. Il leader sarebbe quindi colui che in determinata situazione possiede le caratteristiche di personalità che gli permettono di emergere e di assumere un ruolo di guida. Questo ultimo approccio si è dimostrato estremamente fecondo nell'ispirare una quantità di ricerche sul comportamento dei gruppi e delle organizzazioni che hanno accresciuto in maniera determinante la nostra comprensione della leadership. Ed infine, come per moltissimi altri temi della psicologia, venne abbandonato il tentativo di costruire teorie esplicative generali del fenomeno leadership a favore di micro-teorie o prospettive specifiche che illuminassero alcuni degli aspetti che la caratterizzano. Anche il rinnovato interesse per le strategie di apprendimento della leadership, riflette non più solamente la curiosità scientifica ma, forse soprattutto, l esigenza sempre più cogente delle organizzazioni di rafforzare i propri strumenti di guida. Le prime ricerche Le prime ricerche hanno cercato di rispondere alla domanda se l autorità esercitata dal leader fosse fondata su talenti naturali 26. Al prevalere una concezione tutto o nulla del fenomeno leadership, si 25 L Teoria Z di Ouchi. Il segreto del successo giapponese, secondo Ouchi, non è la tecnologia, ma un modo di gestire le persone. "Si tratta di uno stile di gestione basato su una forte cultura aziendale, la sua chiara distinzione dalle altre, una visione dello sviluppo del personale a lungo termine e il consenso nelle decisioni" (Ouchi, 1982) 26 In particolare le diverse teorie dei tratti hanno contribuito a coltivare questa prospettiva. Lo studio relativo alla leadership è stato caratterizzato da un lungo cammino evolutivo durante il quale sono stati presi in considerazione e criticati diversi modelli. Agli inizi del 900 era prevalsa l impostazione dell approccio caratterologico del leader: gli autori di questo filone percepivano la leadership come una qualità posseduta solo da particolari soggetti, i quali si distinguevano dall uomo comune per alcuni tratti che li rendevano più efficienti degli altri. Le ricerche quindi erano volte ad individuare tali aspetti della personalità che potevano essere l intelligenza o abilità personali, in modo che questi potessero risultare utili ad una migliore comprensione del fenomeno leadership. Ci sono delle teorie che in parte si rifanno a tale approccio note come great man theories le quali riconoscono l importanza del background ereditario e quindi la leadership è spiegata sulla base della ereditarietà dei tratti della personalità. Bingham (1927), ad esempio, spiegava la leadership in termini esclusivamente di tratti e personalità. 9

10 trattava di scoprire quali caratteristiche di personalità distinguessero i capi e si riscontrassero tra loro con maggior frequenza. L obiettivo di questo tipo di ricerche è semplice: Se si possono determinare in modo incontestabile le caratteristiche individuali di successo, si sarà in grado di realizzare strumenti che permettano di selezionare leader efficaci (Rembert 1993) La mentalità che appare sullo sfondo di queste prime ricerche è quella del motto tayloristico la persona giusta al posto giusto. Spesso questo tipo di ricerche venivano realizzate sui quadri dirigenti delle organizzazioni, ritenuti i più dotati per il successo che avevano raggiunto. In questi studi sono stati identificati pochi tratti comuni e spesso le interpretazioni erano molto diverse, quando non opposte: l intelligenza, misurata con i tradizionali test, risultava leggermente superiore alla media ma senza raggiungere punteggi molto elevati l iniziativa si manifestava in modo marcato ma, essendo correlata all età, era difficile isolarla come fattore di spiegazione la fiducia in se stessi poteva essere considerata come il risultato dell esperienza come pure una dote che aveva permesso l accesso alla posizione. Inoltre queste ed altre doti (socievolezza, popolarità, perseveranza, responsabilità, ) erano possedute in larga misura anche da altri membri dei gruppi, rendendo ancor meno efficaci questo tipo di ipotesi. L unico risultato convincente sembrava essere il riconoscimento che il leader, in un certo settore variabile da situazione a situazione, tende a possedere conoscenze ed abilità superiori agli altri e, soprattutto, un alta motivazione a riuscire (il need for achievement di Mc Clelland) 27. Quest ultima però dipende dalla valutazione che l individuo fa della situazione ( la sensibilità agli effetti della sua azione e la valutazione delle possibilità di riuscita) e, quindi, in un certo senso più che sottolineare qualità stabili dell individuo segnala l esigenza di collegare le costellazioni motivazionali alle specifiche situazioni. Questa concezione innatista della leadership ha delle innegabili limitazioni. La diversità interindividuale non può essere spiegata con questo approccio, così come la differenza nell efficacia di un leader in situazioni diverse. L esempio classico di queste limitazioni è stato Winston Churchill. Come Primo Ministro della Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale fu un autentico leone, sostenendo mirabilmente il morale della nazione e mostrandosi coraggiosissimo. Eppure nella primavera del 1945, proprio alla fine di quella guerra tremenda che si concludeva con la sconfitta totale del nemico, fu a sua volta battuto alle elezioni politiche da un oscuro avversario. Fu proprio agli inizi degli anni 50 che questa tradizione di ricerca perse il suo appeal a favore dello studio del comportamento di leadership nel quale cominciavano a trovare posto differenti fattori e, soprattutto, i seguaci (followers). Le teorie degli stili di leadership Il primo passo per il superamento degli approcci innatisti fu quindi lo studio degli stili di comportamento adottati dai leader. Fu soprattutto negli Stati Uniti che prese corpo un considerevole sforzo di ricerca, utilizzando i metodi dell osservazione diretta, delle interviste e del self-report (la costruzione di biografie). Lo scopo era quello di ottenere una mole adeguata di dati per descrivere gli eventuali prototipi di leadership ma anche dare forma ad alcune intuizioni e concetti psicologici già da tempo presenti. 27 Va precisato che Mc Clelland ha poi distinto la relazione tra motivazione e leadership, identificando un rapporto più diretto tra motivazione al potere ( e non achievement) e leadership. L achievement (motivazione a riuscire) sarebbe in condizione di spiegare meglio il comportamento dei followers efficaci mentre la motivazione al potere, seppure limitata dall esistenza di forti inibizioni al suo uso per finalità esclusivamente personali, spiegherebbe meglio l emergere del leader (Mc Clelland, 1989) 10

11 Infatti Lewin, Lippit e White già nel avevano identificato tre tipologie di comportamento del leader dall osservazione nei gruppi terapeutici con adolescenti. Questi autori chiamarono i tre stili autoritario, democratico e lassista. Il leader autoritario mira ad una dipendenza assoluta dei suoi membri da se stesso, instaura una rete di comunicazione estremamente centralizzata, utilizza spesso sanzioni e punizioni esemplari, è molto rigido e diffidente. E il tipo che prende le decisioni riguardanti il gruppo, senza consultare nessun altro membro, limitandosi a comunicarle e farle seguire. In genere non dà spiegazioni. Il leader democratico si comporta in modo contrario al precedente: instaura, all interno del gruppo, una struttura comunicativa completamente aperta, preoccupandosi che tutti i membri partecipino alla vita di gruppo in maniera attiva; cerca di convincere, piuttosto che imporsi con idee preconfezionate. In genere, questi leader ripongono molta fiducia nelle persone e cercano di diventare uno del gruppo. I leader lassisti sono dei leader-non-leader; la loro presenza o la loro assenza non determinano differenze significative. Nei gruppi guidati da questi leader, vengono svolte le funzioni minimali per la sopravvivenza del gruppo senza enfasi per l obiettivo o per le persone. E a Rensis Likert 29 che si deve l approfondimento di questa classificazione attraverso l individuazione di una serie di variabili che determinano il comportamento di direzione: la confidenza e la fiducia del leader nei confronti dei subalterni, il tipo di motivazione utilizzata, l intensità delle interazioni, lo stile di leadership, la comunicazione, il processo decisionale e la formulazione degli obiettivi. Attraverso l analisi di queste variabili, Likert postulò l esistenza di quattro sistemi di direzione: Autoritario. I subordinati vengono raramente coinvolti nelle decisioni; ne consegue scarsa fiducia e confidenza; il vertice assume le decisioni e queste passano a cascata ai livelli inferiori; la motivazione è basata sul timore di punizioni più che sull attesa di gratificazione; l interazione si fonda sulla paura e si formano linee di pensiero in opposizione agli obiettivi dell organizzazione. Paternalistico. E un approccio del tipo padrone-servitore dove il superiore nutre una fiducia compiacente nei confronti dei subordinati; le decisioni vengono prese dal vertice ma i sottoposti hanno un certo margine di scelta all interno di schemi prefissati; la motivazione è basata più sui premi che sulle punizioni e questo crea un certo timore reverenziale nei confronti del capo che si comporta in maniera paternalistica. A livello informale si creano dei gruppi che però possono soddisfare i bisogni di appartenenza più che coagulare opposizione nei confronti dell organizzazione. Consultivo. La fiducia del leader è elevata ma non completa; le decisioni cui i subordinati possono partecipare sono determinanti ma non fondamentali; la motivazione deriva, oltre che dal sistema premi-punizioni, soprattutto dal coinvolgimento nel processo decisionale; la comunicazione e le interazioni sono fluide spesso caratterizzate da lealtà e confidenza; i gruppi informali condividono gli interessi dell organizzazione e quando vi si oppongono lo fanno lealmente e apertamente. Democratico. I membri dell organizzazione hanno fiducia reciproca completa; il processo decisionale è ampiamente distribuito tra i membri; la motivazione deriva dalla partecipazione e dal coinvolgimento; i rapporti tra superiore e subalterni sono leali e amichevoli; i gruppi informali coincidono con quelli formali. Molte ricerche si sono ispirate ai lavori di Likert ed al concetto di stile di leadership, costruendo continuum del comportamento di direzione dall autoritarismo alla partecipazione democratica. Nel 1958 la Harvard Business Review pubblicò un articolo di Tannenbaum R. e Schmidt W.R. intitolato How to choose a leadership pattern che ebbe un accoglienza estremamente favorevole, tanto da essere ripubblicato nel 1973 come classico della letteratura sulla leadership Lewin K., Lippit R., White R.K Likert R L articolo originale si può trovare all indirizzo: 11

12 Il favore derivava dal fatto che quegli autori prendevano in considerazione uno spettro alquanto ampio del comportamento di direzione, anziché la solita coppia antitetica (autoritario/democratico). Tannenbaum e Schmidt presentarono la leadership secondo una scala continua collegata alla cosiddetta legge della situazione 31 secondo la quale i leader possono decidere fra diverse alternative di comportamento a seconda dei fattori riferiti a loro stessi, ai loro subordinati o alla situazione. I fattori riferiti al leader riguardano il suo sistema di valori, la sua fiducia nei subordinati, le sue propensioni in fatto di leadership, il suo senso di sicurezza o insicurezza. I fattori riferiti ai subordinati riguardano il loro bisogno di indipendenza, il loro bisogno di responsabilità, le loro attitudini alla risoluzione di problemi, le loro aspettative di partecipazione al processo decisionale. I fattori riferiti alla situazione riguardano il tipo di organizzazione, il grado di efficacia del gruppo, l urgenza e la natura del problema da affrontare Questi autori operano un collegamento forte con il contesto, discostandosi dal quasi unanime coro di sostenitori del modello democratico- partecipativo, che riconoscono applicabile a condizione che il leader non soffra troppo delle ambiguità, abbia fiducia nei subordinati, possa contare sul sostegno dei superiori mentre è necessario che i dipendenti abbiano esperienza, competenza, un forte bisogno di indipendenza ed una forte motivazione a riuscire. Fig. 1: Il continuum del comportamento di leadership (adattamento da Tannenbaum & Schmidt 1958) Un altro contributo originale e rilevante si deve a Blake e Mouton, gli autori della Managerial Grid 32. Già altri lavori avevano dimostrato l'esistenza di due tendenze di fondo nel comportamento del leader, che erano state descritte come orientamento al compito o alle relazioni. Nel primo caso (orientamento al compito) il leader è maggiormente rivolto al raggiungimento dell'obiettivo, 31 Mary Park Follett, R.R. Blake, J.S. Mouton

13 caratterizzato tecnicamente e basato sulla competenza. Il leader riceve conferma attraverso il riconoscimento delle sua capacità e infonde per questo sicurezza. Nel secondo caso (orientamento alle relazioni), il leader è principalmente orientato alla coesione del gruppo, stimola la comunicazione e la partecipazione, al fine di creare un clima di fiducia e corresponsabilità. Blake e Mouton non collocarono questi due orientamenti su un continuum, ma su assi cartesiani, ottenendo così un quadrante su cui collocare i diversi stili di leadership (vedi fig. 2). Si ottengono in questo modo una varietà di combinazioni che rappresentano in maniera più flessibile la varietà del comportamento del leader. Blake e Mouton identificano 5 modelli che rappresentano le combinazioni dei 4 vertici del quadrante e del punto centrale. Lo stile autoritario, caratterizzato da estremo orientamento al compito e minimo orientamento alle relazioni, dove il leader focalizza la sua attenzione quasi esclusivamente sull'obiettivo da raggiungere. Lo stile partecipativo, caratterizzato da massimo orientamento alle relazioni e minimo al compito, caratteristico del leader democratico, sempre attento ai bisogni sociali del gruppo. Lo stile lassista,dove c'è disinteresse da parte del leader sia per il compito che per le relazioni ed in cui svolge il minimo lavoro indispensabile per il mantenimento del suo ruolo. Lo stile metà strada, caratterizzato da un livello intermedio di ambedue gli orientamenti. Lo stile di team in cui l'orientamento è massimo verso il compito e verso le relazioni. Secondo gli autori è con questo stile che un gruppo raggiunge la sua massima performance. Così come le ricerche ispirate dalla prospettiva innatista rispondevano alle esigenze del taylorismo, quelle sugli stili di leadership sottolineavano l'importanza del fattore umano e dei bisogni sociali, elementi centrali negli approcci psicosociali. Da questa linea di ricerca emergeva però la necessità di contestualizzare stile e comportamento di direzione nella specificità delle situazioni, aprendo così la strada alle ricerche sulla leadership situazionale. 13

14 Fig. 2: La Managerial Grid di Blake & Mouton (1964) Sempre nel campo degli approcci stile di leadership può essere inclusa la cosiddetta teoria Z di William Ouchi 33 che mette a confronto i modelli di industria americano e giapponese. Ouchi ritiene che il successo giapponese sia basato su modelli di gestione particolarmente efficaci, ispirati appunto alla cosiddetta teoria Z. Gli elementi che la costituiscono sono la pianificazione a lungo termine, la volontà di basare il processo decisionale sul consenso e l importanza fondamentale dei vincoli di fedeltà tra dipendenti e azienda. I circoli di qualità 34 rappresentano lo strumento organizzativo attraverso cui si esplica la teoria e il luogo in cui i suoi principi trovano applicazione. Lo stile di leadership che caratterizza questo approccio è fortemente orientato al consenso, alla fidelizzazione del dipendente, alla costruzione di una cultura comune dove l individuo possa identificarsi con l organizzazione. Per certi versi, Ouchi anticipa le tendenze allo studio antropologico-culturale delle organizzazioni, da cui deriveranno modelli sempre più organici, in cui la leadership si caratterizzerà per funzioni educative e di servizio (vedi più oltre la discussione sul contributo di P. Senge). Nel campo delle teorie sugli stili di leadership hanno trovato attenzione anche gli studi sulla followership (cioè il comportamento dei seguaci), che hanno cercato di identificare gli stili più efficaci degli esecutori cui i leader si dirigono. In questo campo la miglior classificazione si deve a Robert Kelley 35 (1992) che ha descritto i migliori esecutori come adulti equilibrati e responsabili che possono riuscire egregiamente anche 33 Vedi nota Si tratta di piccoli gruppi di dipendenti, relativamente autonomi, guidati da un quadro intermedio o da un lavoratore più esperto. I circoli cercano di ridurre i difetti, gli scarti, i tempi morti della produzione ma possono operare anche su questioni organizzative più generali, quali il morale o il clima. I circoli in pratica operano come problem solvers e contribuiscono alla significativa riduzione dello staff. 35 Kelley R

15 senza una guida particolarmente forte. Al contempo Kelley ha descritto anche i followers meno bravi, distinguendoli in: pecore, incapaci di pensiero critico, privi di iniziativa e di senso di responsabilità; si limitano ad eseguire i compiti assegnati e niente di più; semplici esecutori, che pensano ma in modo acritico, più attivi delle pecore ma altrettanto privi di iniziativa; dipendono dai superiori per l ispirazione; sono i cosiddetti yes men, particolarmente graditi ai capi insicuri; esecutori accorti, moderatamente indipendenti di pensiero ed attivi, bravi ad eseguire compiti e a seguire il cambiamento, adattandovisi prontamente; followers alienati, capaci di pensiero indipendente ma passivi, sono stati spenti da qualcosa in qualche momento; spesso disillusi contrastano difficilmente gli sforzi del leader; followers efficaci, capaci di pensiero indipendente e di iniziativa, eseguono i compiti con energia; sono sicuri di loro e possono riuscire anche senza una guida particolarmente forte. In un approccio behaviourista, il comportamento dei followers è visto come fortemente influenzato dallo stile di direzione praticato e ne deriva che se fossero di più i leader che utilizzano la teoria Y di Mc Gregor, lo stile di team di Blake e Mouton o la teoria Z di Ouchi, si avrebbero molti più followers efficaci e meno pecore, semplici esecutori, esecutori accorti o followers alienati. L esistenza o meno di uno stile di leadership ideale è una questione ancora aperta. Esistono ricerche ed argomentazioni a favore dell una e dell altra posizione. La maggior parte dei sostenitori della sua esistenza identificano nel modello partecipativo lo stile ideale di direzione e alcune ricerche sembrano confermare questa conclusione. L approccio partecipativo è senz altro un modello di grande dignità morale e di spessore intellettuale, soprattutto nelle società dell abbondanza. Allo stesso tempo, alcuni studi classici hanno confutato questa conclusione, dimostrando come esistano situazioni in cui uno stile autocratico può dare risultati migliori di quello partecipativo 36. Ancora una volta va sottolineata la complessità del fenomeno ledaership e la molteplicità di fattori e delle interdipendenze che di volta in volta la regolano. E a questa complessità che si sono rivolti i cosiddetti approcci situazionali (o della contingenza), cercando di districare la matassa delle variabili che costituiscono il comportamento di leadership. Le teorie situazionali In questo filone di studi l obiettivo principale è la comprensione di come lo stile di leadership vari la sua efficacia in relazione alla situazione in cui si esplica. Le principali teorie che afferiscono a questo modello sono la teoria della contingenza di Fiedler 37, la teoria dei modelli decisionali di Vroom e Yetton, la Path goal theory di House e la teoria della ledership situazionale di Hersey e Blanchard 38. Fiedler definì la sua teoria della leadership della contingenza per mettere in evidenza il concetto di modificabilità dei comportamenti e degli atteggiamenti del leader secondo le circostanze che caratterizzano il lavoro del suo gruppo. Fiedler ha l indubbio merito di aver posto l attenzione sull incidenza della variabile situazione nell analisi dell efficacia degli stili di leadership. Le tre dimensioni del cubo che rappresenta il modello di Fiedler (vedi Fig. 3) sono le relazioni tra leader e membri del gruppo, la struttura del compito e la posizione di potere del leader. 36 ad esempio situazioni di emergenza in cui è necessario prendere decisioni rapide 37 Fiedler F. E Blanchard & Hersey

16 Fig. 3: Il modello per la classificazione delle situazioni di Fiedler (1967) Le relazioni tra il leader e i membri all'interno del gruppo dipende dal grado con cui i leader è accettato, amato e stimato personalmente dai membri. Questa situazione personale del leader si può misurare in diversi modi ( ad esempio con il metodo del scelte sociometriche) da parte dei membri oppure con lo studio della percezione dell'atmosfera di gruppo da parte del leader (attraverso metodi di rilevazione e misura delle percezioni reciproche dei membri del gruppo). La struttura del compito è un altro elemento importante, poiché il leader può controllare agevolmente, nel caso di compiti molto strutturati, le diverse fasi dell'esecuzione del lavoro affidato ai membri del gruppo, mentre nel caso di un compito non strutturato ciò può divenire una difficoltà. Quanto al potere di posizione, tale variabile riguarda la possibilità o meno, da parte del leader, di avere potere di influenza sul gruppo in virtù della posizione, grazie al grado più elevato rispetto ai membri (in termini di gerarchie, piuttosto che di anzianità di ruolo, di posizione burocratica, ecc.). È chiaro perché, ad esempio, il leader informale di una squadra di pallacanestro ha una posizione di potere meno forte rispetto ad un ufficiale dell'esercito che, grazie al suo grado, può dare ordini al suo battaglione. Fiedler ha diviso ciascuna delle sue tre dimensioni in due, in modo da poter costruire uno schema basato su 8 tipi di situazioni di gruppo; egli ottiene così una divisione del cubo in otto parti che identificano le varie situazioni, da quella più favorevole (ottante 1) a quella meno favorevole (ottante 8). I gruppi che si possono classificare nel primo ottante, hanno infatti contemporaneamente una buona relazione tra leader e membri del gruppo, un compito con un elevato grado di strutturazione e un leader con una posizione di forte potere; al contrario i gruppi dell'ottante 8 hanno una relazione leader-membri povera, un compito non ben strutturato e un leader che si trova in una posizione povera di potere. Ciò rappresenta un continuum che va dalle situazioni di compiti di gruppo che sono presumibilmente molto favorevoli al leader, che sono cioè molto facili da gestire, a quelle che sono molto difficili per il leader. È ovviamente più facile essere un leader ben accettato e dotato di poteri, nonché con un compito che può essere svolto per tappe, piuttosto che essere un leader poco gradito, con un compito vago e non strutturato. La prima importante implicazione del modello di Fiedler si riferisce al processo di selezione e assegnazione del ruolo di leader. Il reclutamento e selezione del leader è possibile solo quando si può specificare la situazione per cui è stato reclutato. Non c'è ragione di credere che questo non si possa fare e che si debba fare in situazioni specifiche. Le difficoltà sorgono perché le situazioni di leadership cambiano nel tempo. Qualsiasi organizzazione deve avere coscienza del tipo di situazioni di leadership in cui si dovrà dibattere un individuo nei successivi momenti e ciò può non essere molto diverso dall'ottenere che, per esempio, un ingegnere elettronico non venga assegnato al reparto contabilità (Fiedler 1967). 16

17 Una seconda implicazione del modello corrisponde a quella che viene spesso chiamata ingegneria organizzativa (organisational engineering). Essa si riferisce alla possibilità di modificare opportunamente la situazione di lavoro in funzione delle caratteristiche di personalità del leader. In lavori più recenti il nostro autore ha riconosciuto che un programma di addestramento può essere efficace non tanto nel modificare i modelli di leadership in senso personale, ma piuttosto nel cambiare il modo di porsi nelle situazioni, dandogli più possibilità di controllo delle situazioni ovvero del rapporto con i membri del gruppo. È molto promettente insegnare agli individui a riconoscere le condizioni in cui possono lavorare al meglio e modificare le situazioni in modo da esaltare il proprio stile di leadership. Il modello della contingenza rappresenta uno sforzo ambizioso per andare oltre la corretta ma ovvia affermazione che la leadership dipende dalla situazione. Evidenzia anche da quali proprietà della situazione e delle persone deve partire l analisi. Fiedler pone in evidenza il limite delle teorie sugli stili di leadership che puntavano alla ricerca dello stile migliore senza considerare il contesto in cui quella leadership si esplica. Il suo contributo risulta importante in quanto è stato il primo a porre in evidenza l'importanza del fattore situazionale; d'altra parte, altre teorie della contingenza hanno analizzato in modo più dettagliato la variabile situazione e considerato un numero maggiore di stili di leadership al fine di proporre una teoria più dettagliata e completa nello spiegare l'efficienza della leadership. Un ulteriore modello di leadership di tipo situazionale è quello di Vroom e Yetton (1973) dove l'attenzione è focalizzata sull'analisi del processo decisionale del leader. Questa teoria è conosciuta anche con il nome di Teoria della Decisione Normativa. Considerando che il processo di presa di decisione è solo una delle funzioni del leader i risultati cui giungono questi autori non sono estendibili agli stili di leadership ma sono limitati al processo di decision making, ovvero al modo in cui un leader sceglie di adottare una determinata decisione. Gli autori prendono in considerazione 5 stili decisionali: 1. autoritario 2. autoritario informativo 3. consultivo individuale 4. consultivo di gruppo 5. gruppale. Lo stile autoritario implica la mancanza di comunicazione al gruppo sulla scelta che si deve compiere, in quello autoritario informativo invece il leader ha bisogno di informazioni dal gruppo con cui si consulta ma a cui non esplicita l'obiettivo della decisione. È qui che si distingue lo stile autoritario informativo da quello consultivo individuale in cui il leader invece informa i membri del gruppo contattati singolarmente sulla decisione e raccoglie opinioni. Lo stile consultivo di gruppo è attuato dal leader quando, prima di prendere una decisione, espone il problema e accetta la discussione con il gruppo. Ma solamente nell'ultimo stile (quello gruppale) è il gruppo a prendere decisioni di cui il team leader è semplicemente portavoce. Anche in questo modello non esiste uno stile di direzione adatto ad ogni situazione: se ci pensiamo bene sarebbe inverosimile che in ogni tipo di situazione si convocasse una riunione per prendere una decisione o che, viceversa, non si fornissero mai informazioni al proprio gruppo di lavoro. Gli autori evidenziano come la scelta dello stile decisionale più efficace dipenda dalla situazione ed in particolare: Le decisioni individuali risultano essere più rapide Per avere un'alta qualità della decisione è necessario raccogliere una grande mole di informazioni Le scelte di gruppo consentono il coinvolgimento di tutti i partecipanti. Il modello di presa di decisione di Vroom e Yetton utilizza un diagramma ad albero per l'analisi della situazione e la scelta del modello di leadership più appropriato alla situazione. Nell'analisi sono considerate 7 variabili situazionali: qualità della decisione, importanza della collaborazione da 17

18 parte dei membri del gruppo nel raggiungimento dell'obiettivo, quantità di informazioni di cui il leader è in possesso, natura e strutturazione del compito, grado di accettazione da parte dei subordinati di decisioni non condivise, grado di condivisione da parte dei collaboratori degli obiettivi dell'organizzazione, possibilità di generare conflitto tra i collaboratori. In anni più recenti il modello di analisi della situazione ha subito un perfezionamento superando l'assetto originale che prevedeva risposte del tipo si/no alle sette variabili e proponendo un modello più articolato in cui le risposte si collocano su una scala a 5 intervalli di tipo Likert. La maggior importanza di questa teoria è senza dubbio l'aver fornito uno strumento normativo attraverso cui il leader può analizzare la situazione e scegliere il comportamento più appropriato. Il limite più evidente è il suo essere circoscritta al processo di presa di decisione con la conseguente difficoltà a trasformarla in una vera e propria teoria sulla leadership. Un'altra teoria che appartiene alla famiglia degli approcci situazionali è la cosiddetta teoria della via alla meta o Path Goal Theory 39. Questa teoria si differenzia dalle altre per sottolineare il ruolo che il leader ha nel motivare i collaboratori. In questo approccio il leader è definito come colui che conduce il gruppo e viene evidenziato il suo ruolo di accompagnamento. Le variabili che caratterizzano la situazione sono: caratteristiche personali dei collaboratori, loro abilità lavorative, natura e caratteristiche del compito. In questa teoria risultano innovativi gli indicatori con cui viene misurato l'efficacia della leadership: i suoi autori infatti sottolineano l'importanza di includere il grado di soddisfazione dei componenti del gruppo nella misurazione dell'efficacia della leadership, senza limitare l'analisi al grado di raggiungimento degli obiettivi tecnici. In questo approccio si delineano quelle che saranno le caratteristiche delle nuove teorie sulla leadership, fortemente caratterizzate dal ruolo di ispirazione assegnato al leader. Una delle teoria sulla leadership maggiormente conosciuta è la cosiddetta teoria del ciclo di vita di Hersey e Blanchard. Il principale concetto in questo approccio è quello che le strategie di comportamento del leader devono regolarsi sul grado di maturità dei followers (ovvero i subordinati) e sulla natura del compito da eseguire. Il modello propone un processo di crescita del gruppo passando da uno stile direttivo a quello di delega che viene associato in questo caso al momento di maggiore maturità dei collaboratori. Hersey e Blanchard riprendono la griglia manageriale di Blake e Mouton in cui venivano identificati due orientamenti: quello verso il compito e quello verso le relazioni e mettono in luce quattro stili leadership: Lo stile direttivo, dove è forte l'orientamento al compito è minimo quello alle relazioni Lo stile di vendita, in cui si deve massimizzare sia l'attenzione al compito che alle relazioni Lo stile partecipativo, dove è massimo l'orientamento alle relazioni e minimo al compito Lo stile di delega, dove è minima l'intensità in entrambi gli orientamenti. Contrariamente a Blake e Mouton questi autori considerano questo lo stile più adatto a quelle situazioni in cui i collaboratori sono maturi, quindi a conclusione del processo di crescita del gruppo. La variabile situazionale in questo modello è il grado di maturità dei collaboratori cioè la capacità di individui e gruppi a stabilire obiettivi impegnativi ma non impossibili e accettarne a ragion veduta la responsabilità. La maturità è frutto di molteplici fattori, come l'istruzione e l'esperienza, che vanno però valutati in riferimento al compito specifico da eseguire. Gli autori identificano 4 situazioni in relazione al livello di maturità dei collaboratori. Nella prima i collaboratori non sanno svolgere il loro compito, hanno bisogno di supporto tecnico ed il leader deve, innanzitutto, insegnare, e quindi uno stile di leadership orientato al compito è considerato il 39 House

19 più adatto. Sin dal momento in cui i collaboratori cominciano a familiarizzare con il compito da svolgere e ad acquisire un certo grado di maturità tecnica sarà più appropriato uno stile di leadership di tipo supportivo che includa un sostegno emotivo. In una tale situazione i collaboratori avranno la possibilità di migliorare le loro competenze e acquisire un maggior grado di maturità psicologica. Fig. 4: Il modello di leadership situazionale di Hersey e Blanchard Quando i collaboratori hanno acquisito la completa padronanza tecnica e saranno in condizioni di svolgere bene il loro lavoro non sarà più necessaria l'attenzione del leader dei confronti del compito e il suo comportamento potrà essere finalizzato solamente al raggiungimento di una completa maturità psicologica. Di conseguenza lo stile più appropriato sarà quello partecipativo. Ma solamente quando i collaboratori saranno messi in grado di prendersi la responsabilità completa del loro operato, essi raggiungeranno il livello massimo di autorità e il leader passerà dallo stile partecipativo a quello di delega, lasciando che i propri collaboratori realizzino il compito loro assegnato in modo autonomo. Un esempio spesso citato da Hersey e Blanchard per spiegare la loro teoria della leadership è quello dei rapporti fra genitori e figli, dove si possono avere conseguenze negative se i primi applicano sempre il medesimo stile di leadership anche quando i figli crescono. Questi ha un certo punto finiscono magari per fuggire da casa o per diventare contestatari, ribelli o antisociali, reagendo a genitori troppo autoritari (cioè con forte orientamento al compito e debole orientamento alla relazione personale). D'altra parte se i genitori applicano uno stile di leadership permissivo, e solo quello, i figli rischiano di crescere come asociali che non riconoscono nessuna regola, nessuna autorità e nessun diritto altrui. 19

20 Alla luce di queste considerazioni la condotta migliore, per il leader, è quella di applicare un comportamento piuttosto autoritario all'inizio, attenuandolo man mano che i dipendenti maturano. Questa teoria risulta innovativa per la visione della leadership come processo dinamico piuttosto che statico. Il leader per questi autori conduce un gruppo in un processo di crescita e di sviluppo della maturità lavorativa, costituita sì dal saper fare, ma anche dal saper essere responsabili del proprio lavoro. Lo studio psicodinamico della leadership I contributi della psicoanalisi alla psicologia delle organizzazioni hanno la caratteristica di occupare un territorio per certi versi periferico rispetto alle correnti dei principali interessi della psicoanalisi. Tali contributi hanno comunque avuto un'influenza molto significativa in ambito intellettuale e scientifico soprattutto nel campo dell'intervento sulle organizzazioni. Il tema della leadership ha trovato forse ancora meno attenzione rispetto a quanto non abbiano trovato ad esempio i gruppi o le istituzioni. Come è noto la teoria psicoanalitica è articolata e complessa e una pur semplice e superficiale trattazione supererebbe di gran lunga lo spazio a disposizione in questo Modulo. Di conseguenza ci si limiterà ad alcuni concetti chiave che possono risultare di utilità per la comprensione del fenomeno della leadership. La prima traccia della problematicità, quando non dell'irrazionalità, del rapporto che lega particolari individui a collettività e gruppi, possiamo ritrovarla nel fondamentale lavoro di Freud Psicologia delle masse e analisi dell'io 40. Il padre della psicoanalisi non dedicò particolare attenzione al fenomeno della leadership, in quanto il suo interesse era concentrato sull'analisi dei fenomeni psicologici collettivi e sulla loro spiegazione attraverso la psicologia dell'io appena perfezionata. Nel prendere in considerazione due tipologie organizzative particolari, la Chiesa e l'esercito, Freud indicò nell'identificazione il processo psicologico fondamentale che lega leader e gregari. La natura della leadership sembra quasi relegata a funzione simbolica, rappresentando il figlio più giovane del padre simbolicamente ucciso 41. Il processo di identificazione con il leader, così come la funzione gregaria, vengono trattate da Freud come manifestazioni del processo di identificazione dell Io con l Io ideale. Wilfred Bion fu l autore che maggiormente contribuì alla comprensione psicodinamica della vita dei gruppi e al ruolo della leadership. La sua teoria dei gruppi identifica due modelli di funzionamento fondamentali: il gruppo in assunto di base e il gruppo di lavoro. Nel primo, il gruppo opera secondo schemi di funzionamento primitivi, inconsci e irrazionali e la leadership è funzionale a questo stato. Nel secondo invece, gli aspetti più primitivi sono controllati e il gruppo può operare per il raggiungimento degli scopi prefissati. Il leader in questa seconda situazione è maturo e competente, ben compensato nei confronti della sua vita inconscia e capace di operare sul livello della razionalità strumentale. All affermare la sostanziale identità tra leadership razionale e maturità personale, Bion scivola in una certa definizione grandiosa della leadership (la persona speciale che definisce il mistico) con cui probabilmente si identificava (sulle caratteristiche speciali della personalità di Bion esistono ben pochi dubbi!). Per Kenneth Rice 42 la leadership è quella funzione necessaria a garantire il funzionamento del sistema stesso ed il cui collasso provoca una regressione generalizzata (a livello individuale, di gruppo ed istituzionale). A Rice va il merito di aver studiato gli aspetti regressivi e disfunzionali della leadership ed aver messo a punto un metodo diagnostico che permetta di identificarli. 40 Freud S Il suo fondamentale lavoro ha radici ancora più lontane ovvero nella critica dell opera di Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, del 1895 cui si fa convenzionalmente risalire la fondazione della psicologia sociale. 41 Freud analizza fiabe e miti classici e popolari, in cui il riscatto avviene ad opera del membro più giovane della famiglia o della comunità, spesso il più fragile o inerme, ed in cui vengono riposte le attese di salvezza. 42 Rice A. K

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