Le manifestazioni extraepatiche dell infezione da virus dell epatite C nel periodo pre- e post-trapianto

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1 extraepatiche dell infezione da virus dell epatite C nel periodo pre- e post-trapianto 3/ 2005 RIASSUNTO Gli autori descrivono le manifestazioni da virus dell epatite C (HCV) nel, con particolare riferimento alla crioglobulinemia mista di tipo II, ed illustrano le più rilevanti teorie eziopatogenetiche ed i principi terapeutici. Parole chiave HCV, crioglobulinemia, glomerulonefrite, porfiria cutanea tarda, autoimmunità, trapianto di fegato. Pre- and post-trasplant extrahepatic manifestations of HCV infection Paolo De Simone Paola Carrai Stefania Petruccelli Franco Filipponi Unità Operativa Complessa di Trapiantologia Epatica Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Ospedale Cisanello, Pisa SUMMARY The authors describe the pre- and post-transplant extrahepatic manifestations of hepatitis C virus (HCV) infection, with special focus on type II mixed cryoglobulinemia, and illustrate their pathogenetic mechanisms and treatment options. Key words HCV, cryoglobulinemia, glomerulonephritis, porphyria cutanea tarda, autoimmunity, liver transplantation. 114

2 Introduzione La rilevanza clinica dell infezione da virus dell epatite C (hepatitis C virus, HCV) non è semplicemente legata alla dimensione epidemiologica che essa riveste nei paesi occidentali, ma anche alla varietà e complessità delle sue manifestazioni cliniche. A seguito dello sviluppo di metodiche di diagnosi sierologica per l HCV a partire dalla fine degli anni Ottanta, l elenco delle patologie extraepatiche correlate all infezione HCV si è andato sempre più allungando, per comprendere alcune associazioni di comprovata evidenza clinico-epidemiologica ed altre di carattere semplicemente speculativo (tabella I). La recidiva di infezione o di epatite cronica HCV-correlata nel periodo post-trapianto di fegato (liver transplantation, LT) ha riacceso l interesse per le manifestazioni extraepatiche da HCV ed i meccanismi eziopatogenetici che ne sono responsabili. In linea generale, è possibile ipotizzare che il regime immunosoppressivo proprio del periodo post-trapianto, contribuendo a sostenere la reinfezione endogena HCV, possa indurre un incremento della prevalenza delle manifestazioni extraepatiche rispetto al periodo pre-trapianto. Per tali ragioni, la conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici veri o presunti alla base delle manifestazioni extraepatiche da infezione HCV gioca un ruolo assai importante al fine di chiarire le modalità d infezione virale e di risposta dell ospite, nonché per ottenere informazioni prognostiche sul decorso della malattia, sia nel paziente epatopatico, sia in quello affetto da recidiva post-trapianto. Sulla base dell esperienza clinica e delle evidenze della letteratura internazionale è possibile suddividere le manifestazioni extraepatiche da infezione HCV in due gruppi, a seconda del ruolo eziopatogenetico svolto dalle crioglobuline. Un primo gruppo di patologie extraepatiche HCV-correlate riconosce, infatti, quale meccanismo patogenetico principale la comparsa di crioglobuline sieriche, nella forma della crioglobulinemia mista essenziale (essential mixed cryoglobulinemia, EMC) di tipo II e IIII. Tali patologie includono la porpora cutanea benigna, la glomerulonefrite membranoproliferativa (membranoproliferative glomerulonephritis, MPGN) e, in misura assai meno rilevante, la neuropatia periferica (tabella I). Esse costituiscono, peraltro, le manifestazioni cliniche extraepatiche la cui associazione con l infezione HCV è supportata da 115 Tipo Crioglobulinemia mista Glomerulonefrite membranoproliferativa Scialoadenite Porfiria cutanea tarda Glomerulonefrite membranosa Sindrome di Sjögren Lichen planus Tiroidite autoimmune Sindrome da antifosfolipidi Porpora idiopatica trombocitopenica Fibrosi polmonare idiomatica Ulcere corneali di Mooren Uveite Artrite reumatoide Lupus eritematoso sistemico Dermatomiosite Polimiosite Sindrome CREST Fibromialgia Poliarterite nodosa Macroglobulinemia di Waldenström Linfoma non-hodgkin Diabete mellito Anemia aplastica Sindrome di Guillain-Barré Sindrome di Behcet Cardiomiopatia ipertrofica Deficienza di IgA Tabella I. Manifestazioni extraepatiche di infezione HCV. Dati epidemiologici e clinici a supporto di una relazione causale esistono solo per la crioglobulinemia mista, la glomerulonefrite membranoproliferativa, la scialoadenite e la porfiria cutanea tarda. Negli altri casi l associazione è basata su studi non controllati e deve essere considerata ancora putativa.

3 un numero considerevole di evidenze sperimentali, epidemiologiche e cliniche. Il secondo gruppo di manifestazioni extraepatiche da infezione HCV comprende patologie di tipo prevalentemente autoimmunitario, come la scialoadenite, la sindrome di Sjögren, il lupus eritematoso sistemico, la polimiosite, la dermatomiosite o la tiroidite autoimmune, la cui severità clinica appare inferiore rispetto alle corrispondenti patologie insorte al di fuori del contesto HCV. Un meccanismo eziopatogenetico a parte è responsabile della porfiria cutanea tarda (PCT) e delle alterazioni del sistema linfopiotetico a tipo linfoma a basso grado di malignità che sono descritte nei pazienti HCV-positivi. extraepatiche da infezione HCV correlate alla crioglobulinemia La crioglobulinemia mista Con il termine di crioglobulinemia mista si indica una vasculite sistemica le cui manifestazioni cliniche comprendono la porpora e/o vasculiti viscerali con interessamento prevalentemente renale. Le crioglobuline sono globuline sieriche che precipitano reversibilmente in condizioni di raffreddamento. Furono descritte per la prima volta da Wintrobe e Buell nel 1933 in un paziente affetto da mieloma multiplo 1 e vennero definite crioglobuline da Lerner e Watson nel Nel 1962 Lospalluto et al. caratterizzarono le crioglobuline come complessi costituiti da molecole di IgM del fattore reumatoide (FR) e molecole di IgG 3. Nel 1966 Meltzer et al. impiegarono per primi il termine di crioglobulinemia mista per definire i complessi tra IgG e IgM-FR, e descrissero la sindrome clinica costituita da porpora, artralgia ed astenia ad essa associata 4. Il quadro clinico che così prese nome sindrome di Meltzer-Franklin fu anche denominato crioglobulinemia mista essenziale (essential mixed cryoglobulinemia, EMC) per distinguerlo dalle forme di crioglobulinemia mista secondarie a patologie di natura infettiva, neoplastica ed autoimmunitaria. Sin dagli anni Sessanta l osservazione di un elevata prevalenza di patologie epatiche nei pazienti affetti da EMC suggerì che virus epatotropi potessero essere implicati nell eziopatogenesi della crioglobulinemia. Studi condotti negli anni Settanta implicarono dapprima una partecipazione del virus dell epatite B (hepatitis B virus, HBV) nella formazione delle crioglobuline, ma risulta oramai chiaro che l HBV è presente in una percentuale estremamente bassa di pazienti affetti da EMC 5. Lo sviluppo di metodiche di diagnosi sierologica dell HCV a partire dalla fine degli anni Ottanta ha consentito di mettere in luce il rapporto eziologico esistente tra HCV e EMC. A seguito della segnalazione da parte di Pascual et al. nel , l associazione tra HCV e EMC è stata confermata in numerosi studi epidemiologici provenienti dall Europa e dagli Stati Uniti e la prevalenza di infezio- 116

4 ne HCV nei pazienti affetti da EMC appare compresa tra il 30 ed il 98% 7. La classificazione delle crioglobulinemie attualmente in uso è stata introdotta da Brouet et al. nel 1974 e definisce tre tipi di crioglobuline sulla base dei dati clinici e di laboratorio ottenuti in un gruppo originario di 86 pazienti, di cui la maggior parte affetta da malattie da immunocomplessi (tabella II) 8. La crioglobulinemia di tipo I consiste in un singolo isotipo di immunoglobuline monoclonali o catene leggere κ o λ. Il tipo II consiste nella presenza contemporanea di immunoglobuline policlonali IgG e di una componente monoclonale IgM di tipo FR con attività specifica contro le IgG policlonali. Il tipo III consiste in immunoglobuline policlonali di vari isotipi, tra cui complessi costituiti da IgG policlonali e IgM policlonali FR (tabella II). La prevalenza della EMC varia ampiamente nelle casistiche internazionali in virtù della mancanza di standardizzazione nella misurazione delle crioglobuline e del metodo di selezione dei pazienti oggetto di studio. La prevalenza della crioglobulinemia di tipo II appare più elevata nei pazienti con porpora clinicamente evidente 5, mentre tassi di prevalenza inferiori sono riportati quando i criteri utilizzati per la selezione dei pazienti sono la presenza di crioglobuline miste o di epatopatia 9. Ad oggi, l effettiva prevalenza di EMC in pazienti HCV-positivi non selezionati non è stata ancora determinata. Uno studio francese riporta un tasso di prevalenza di EMC del 54% tra pazienti con epatite cronica HCV-correlata 10, mentre in Italia la prevalenza di crioglobulinemia di tipo II è riferita essere del 34% tra i pazienti affetti da epatite cronica HCV 5 e dell 81-91% tra i pazienti portatori di EMC 11. Le ragioni della più alta prevalenza di EMC nei pazienti dell Europa meridionale è oggetto di speculazione e secondo alcuni autori sarebbe da mettere in relazione con un epidemia di infezione HCV avvenuta nell immediato dopoguerra 12. cliniche della criglobulinemia mista essenziale Sin dalle prime descrizioni della sindrome di Meltzer-Franklin 4 è apparso chiaramente come le manifestazioni cliniche della EMC fossero proteiformi e che potessero scomparire spontaneamente. La prevalenza delle differenti manifestazioni cliniche di EMC è stata descritta da Agnello nel 1997 in una revisione della letteratura comprendente 1033 pazienti 13, di cui 654 appartenenti allo studio multicentrico italiano GISC (Gruppo Italiano per lo Studio delle Crioglobulinemia) ed HCV-positivi nell 80% dei casi 5. La porpora è la manifestazione clinica più rilevante della EMC, interessando l 82% dei pazienti della revisione di Agnello; tuttavia la classica triade descrit- 117 Tipo I II III Caratteristiche bioumorali Presenza di un singolo isotipo di immunoglobuline monoclonali Presenza di IgG policlonali e di IgM monoclonali dotate di attività fattore reumatoide (FR) Presenza di IgG policlonali e di IgM policlonali dotate di attività fattore reumatoide (FR) Tabella II. Classificazione delle crioglobulinemie secondo Brouet et al. 2.

5 ta da Meltzer e Franklin porpora, artralgia ed astenia è presente solo nel 50% dei pazienti della letteratura 13 e nel 28% di quelli dello studio GISC 5. Analogamente, manifestazioni renali sono riferite nel 34% dei pazienti della revisione di Agnello 13 e solo nel 22% di quelli dello studio GISC 5. La vasculite associata alla EMC comprende sia forme cutanee benigne come la porpora, sia forme più severe con interessamento viscerale. In tali casi sono prevalentemente interessati i distretti arteriosi di piccolo e medio calibro, per quanto la precisa relazione eziopatogenetica tra EMC e vasculite viscerale non sia stata ancora definita 12. renali della EMC sono in generale più frequenti nei pazienti con tipo II rispetto al tipo III, interessano classi più avanzate di età, si associano a livelli più bassi di C3 e non sono correlabili per gravità con l entità della porpora 5. Nel 45% circa dei casi di interessamento renale le manifestazioni cliniche sono a tipo di sindrome nefrosica con un decorso indolente che esita raramente in uremia terminale, nonostante la persistenza di segni bioumorali di disfunzione renale. L ipertensione arteriosa accompagna l insorgere delle manifestazioni renali nell 80% dei pazienti 14. In uno studio italiano sulla storia naturale della nefropatia associata a EMC, il 37% dei pazienti ha sviluppato una MPGN ad un follow-up compreso tra 8 e 17 anni ed il 50% di essi è deceduto per insufficienza renale 15. In generale, i pazienti più anziani, affetti da porpora recidiva, alti tassi di crioglobulinemia, bassi livelli di C3 e valori più elevati di creatinina sono maggiormente a rischio di uremia terminale 16. La prevalenza di interessamento epatico non virus-correlato tra i pazienti affetti da EMC è del 42% nella revisione multicentrica di Agnello 13 e del 39,5% nello studio GISC 5. epatiche sono poco frequenti (15%) all atto della comparsa delle prime manifestazioni purpuriche, mentre la loro prevalenza aumenta con il perdurare della malattia 5. La prevalenza della neuropatia nei pazienti affetti da EMC appare essere del 26% circa, ma diversi tassi sono stati riferiti in funzione dei criteri di selezione adottati. Nello studio GISC l 82% dei pazienti con EMC era affetto da neuropatia, avendo adottato quale criterio la semplice esistenza di anomalie elettromiografiche. La prevalenza della sindrome sicca nei pazienti affetti da EMC oscilla tra il 6% circa nella revisione di Agnello 13, in cui sono stati inclusi pazienti affetti da sindrome di Sjögren, ed il 3,8% dello studio GISC, in cui pazienti affetti da patologie primitive del tessuto connettivo erano stati esclusi 5. Il quadro vascolare alla base delle manifestazioni purpuriche della EMC consiste in una vasculite leucocitoclastica mediata da immunocomplessi (immune complex-mediated leukocytoclastic vasculitis, ICM- LCV) 4,8,17,18. Mediante l impiego di antisieri specifici per antigeni strutturali e non-strutturali dell HCV è stata dimostrata la presenza del virus nelle lesioni vasculitiche cutanee, nella parete vascolare e nello spazio perivascolare in frammenti di tessuto cutaneo prelevati da pazienti affetti da EMC. In tali casi gli antigeni HCV specifici era- 118

6 no presenti nelle stesse aree di deposito delle molecole di IgM e di IgG 19. In uno studio più recente, mediante l impiego di tecniche di ibridizzazione in situ, è stato possibile individuare la presenza di molecole di HCV RNA nelle lesioni leucocitoclastiche cutanee di pazienti affetti da EMC in corrispondenza delle stesse localizzazioni perivascolari delle IgM e delle IgG 20. Sulla base di tali evidenze è stato speculato che la colocalizzazione di antigeni HCV e molecole di IgG ed IgM possa risultare nella formazione in situ di immunocomplessi HCV-IgG ed IgM-FR. A seguito di uno stimolo antigenico HCV-dipendente non ancora chiaramente definito, le cellule endoteliali andrebbero incontro ad un processo di attivazione con conseguente richiamo di granulociti neutrofili e perdita dell integrità dell endotelio vascolare. Complessi di antigeni HCV, molecole di IgG e molecole di IgM monoclonali dotate di attività FR si depositerebbero negli spazi perivascolari, facilitati dalla stasi ematica e dal raffreddamento (crioprecipitazione). purpuriche tenderebbero a localizzarsi a livello degli arti inferiori (porpora ortostatica) in virtù della presenza di fattori emodinamici (incremento della pressione idrostatica) e locali (raffreddamento), con conseguente facilitazione della formazione di immunocomplessi. Interessante è notare come studi immunoistochimici abbiano rilevato la presenza di antigeni HCV-specifici nella parete vascolare di cute sana di pazienti HCV-positivi 18, mentre materiale genomico virale è rilevabile soltanto nelle lesioni leucocitoclastiche di cute affetta da manifestazioni purpuriche 19. Ciò implicherebbe che solo antigeni genomici virali sarebbero in grado di attivare la formazione di immunocomplessi e la comparsa della vasculite purpurica. La glomerulonefrite membranoproliferativa (MPGN) è la forma principale di glomerulonefrite nella EMC e si verifica prevalentemente nel tipo II in pazienti HCV-positivi. Numerosi studi hanno suggerito un ruolo eziopatogenetico delle crioglobuline miste nella MPGN, dimostrando come mediante l impiego di tecniche di immunofluorescenza i depositi glomerulari contengano IgG, IgM ed il fattore C3 del complemento 21. Le IgM presenti nei depositi glomerulari hanno attività FR e sono analoghe a quelle presenti in circolo nei pazienti affetti da EMC. La presenza di crioglobuline nel lume dei capillari glomerulari di soggetti affetti da EMC è stata proposta quale meccanismo eziopatogenetico responsabile della MPGN. In alcuni modelli sperimentali murini, la sola deposizione di molecole di classe IgG3 nei glomeruli è sufficiente per indurre la comparsa di glomerulonefrite 22. Uno studio recente ha postulato che l affinità di molecole di IgMκ-FR per il mesangio glomerulare sia alla base della deposizione mesangiale di crioglobulinemie nei pazienti affetti da EMC 14 ed osservazioni in vitro hanno suggerito che il deposito glomerulare di crioglobuline sia legato all affinità delle IgMκ con la fibronectina, un componente della matrice mesangiale 23. A differenza della vasculite leucocitoclastica per la quale la presenza di antigeni HCV-specifici negli immunocomplessi è ritenuta indispensabile per la com- 119

7 parsa delle lesioni vascolari non esiste a tutt oggi alcuna evidenza sperimentale sufficientemente valida della presenza di antigeni HCV-specifici nei depositi mesangiali propri della MPGN. Pochi sono gli studi che abbiano individuato la presenza di antigeni HCV nei depositi glomerulari di pazienti HCV-positivi affetti da MPGN, e in ogni caso in scarsa percentuale sul totale dei pazienti HCV-positivi studiati 24,25. Il ruolo degli immunocomplessi o del virus HCV nella patogenesi della neuropatia periferica di pazienti affetti da EMC è ancora oggi oggetto di discussione 5,26. Più interessante è il quadro istologico epatico dei pazienti affetti da EMC, che presenta notevoli similitudini con quello osservato nei pazienti affetti da epatite cronica HCVcorrelata 5. Tuttavia, nei pazienti affetti da EMC in assenza di infezione HCV maggiore è la prevalenza di epatite minima e moderata, e la frequenza di evoluzione cirrotica appare ridotta rispetto ai pazienti portatori di epatite cronica HCV-correlata affetti o meno da EMC 5. In particolare, gli aggregati linfoidi nodulari contenenti linfociti B, e che sono una caratteristica preminente dell infezione HCV, sono prevalenti nell epatite che si accompagna alla EMC, dove appaiono come pseudofollicoli composti principalmente da linfociti B monoclonali 27. Al pari di quanto avviene nei pazienti affetti da epatite cronica HCV-correlata, anche nei pazienti con epatite da EMC la progressione da forme minime-moderate a cirrosi si accompagna alla perdita di tali aggregati linfoidi, suggerendo meccanismi in comune alle due patologie. In pazienti affetti da EMC di tipo II è stata dimostrata nel midollo osseo la presenza di linfociti B monoclonali 28. In uno studio condotto da Monteverde et al., il 56,4% dei pazienti osservati presentava infiltrazione midollare da parte di cellule B IgMκ monoclonali simili a quelle descritte negli infiltrati nodulari epatici 28. I linfociti B che infiltrano il fegato ed il midollo osseo di pazienti HCV-positivi affetti da EMC sono universalmente classificati come cellule a basso grado di malignità Sulla base dei dati provenienti dalla letteratura internazionale, si ritiene che soltanto un 5-10% dei pazienti affetti da EMC sviluppi una neoplasia linfoide francamente maligna (linfoma non Hodgkin) nel corso del follow-up 8,17. Il meccanismo alla base della trasformazione maligna di cloni di linfociti B potrebbe consistere in mutazioni geniche occorse nel contesto di un processo di proliferazione benigna stimolata da antigeni 27. Recentemente, il gruppo GISC ha condotto un analisi retrospettiva sulla prevalenza di linfomi non Hodgkin (non Hodgkin lymphoma, NHL) in pazienti HCV-positivi affetti da EMC sintomatica 32. Gli autori hanno raccolto 1255 pazienti per un follow-up cumulativo di 8928 anni-paziente. Tra di essi hanno osservato la comparsa di 59 casi di NHL, pari al 4,7% dei pazienti studiati, ovvero a 660,8 nuovi casi per anni-paziente, di cui 224,1 casi per anni-paziente erano di tipo aggressivo. Più del 90% dei NHL era insorto in pazienti HCVpositivi. La maggior parte dei NHL era classificata come non aggres- 120

8 siva (53%); il 34% era di tipo aggressivo, mentre il 10% era costituito da linfomi insorti in tessuti linfoidi associati alle mucose, detti maltomi (mucosa-associated lymphoid tissue lymphomas, MALTomas) o linfomi marginali 32. L intervallo di tempo mediano tra la comparsa di EMC e quella di diagnosi di NHL era di 6,26 anni (estremi 0,81 24 anni) e la risposta al trattamento dei NHL insorti in pazienti affetti da EMC era simile a quella delle stesse neoplasie insorte al di fuori del contesto EMC 32. extraepatiche di infezione HCV non correlate alla crioglobulinemia Numerose sono le manifestazioni extraepatiche, di tipo prevalentemente autoimmunitario, segnalate in pazienti affetti da infezione HCV. La validità delle associazioni riportate è molte volte controversa e basata su pochi casi riferiti. Alcuni studi sono limitati da bias di selezione, in particolar modo in aree endemiche per infezione HCV nelle quali alcune manifestazioni extraepatiche a carattere autoimmunitario potrebbero corrispondere a patologie concomitanti indipendenti dall infezione HCV. Nonostante la mancanza di studi su pazienti non selezionati, esiste l evidenza di un associazione dell infezione HCV con la scialoadenite e la porfiria cutanea tarda (PCT). Sebbene la presenza di MPGN in pazienti HCV-positivi sia rara in assenza di crioglobulinemia, esistono basi fisiopatologiche per spiegare tale associazione anche al di fuori della EMC. Inoltre, è stata riportata un elevata prevalenza di autoanticorpi in pazienti HCV-positivi in assenza di chiare manifestazioni cliniche di autoimmunità. La validità di tali osservazioni, tuttavia, è limitata in qualche modo dall elevata incidenza di pazienti di sesso femminile e di età medioavanzata nelle casistiche riportate in letteratura. Un elevata prevalenza di lesioni delle ghiandole salivari è stata riferita nei pazienti HCV-positivi, con quadri istologici di capillarite linfocitica descritti nel 49% e di adenite linfocitica nel 57-80% dei pazienti studiati 33,34. Studi condotti in topi transgenici per geni del capside HCV hanno dimostrato la presenza di scialoadenite con caratteristiche simili a quelle riferite in campo clinico, in assenza di alcuna prevalenza di sesso e di autoanticorpi antinucleo 35. La coesistenza di MPGN in pazienti affetti da infezione HCV è stata ipotizzata, ma non ancora comprovata in assenza di crioglobulinemia 36. La variabilità dei test sierologici impiegati per la diagnosi di crioglobulinemia non consente di escludere a priori la presenza di crioglobuline in pazienti apparentemente negativi. Sulla base della risposta umorale prodotta da antigeni HCV e del carattere cronico dell infezione, nei pazienti HCV-positivi può essere presente un ampio repertorio di immunocomplessi che pur non contenendo FR o crioprecipitati possono essere nefrotossici. È, perciò, plausibile che possa esistere una MPGN in assenza di crioglobuline. Un ampia varietà di autoanticorpi è stata descritta in pazienti affetti da 121

9 infezione HCV, anche se generalmente presenti in basso titolo. Gli autoanticorpi maggiormente prevalenti (80%) sono gli anti-gor specifici per una proteina dell organismo ospite ed ottenuti dal plasma di scimpanzé infetti da HCV 37. In uno studio su pazienti americani affetti da epatopatia cronica HCV e paragonati a soggetti affetti da epatopatia alcolica ed individui di controllo sani, la prevalenza di autoanticorpi è stata rispettivamente del 70% per il FR; del 66% per gli anticorpi anti-muscolo liscio (anti-smooth muscle antibodies, ASMA); del 14% per gli anticorpi antinucleo (antinuclear antibodies, ANA), e del 2% per gli anti-lkm (anti-liver-kidney microsomes) 38. Tali dati sono simili a quelli riferiti in uno studio prospettico francese (fattore reumatoide 70%; ANA 13%, ASMA 13%; anti-lkm1 3%; antitireoglobulina 1%; antitiroide 1%) 39. Entrambi confermano l assenza nei pazienti HCV-positivi di autoanticorpi antimitocondrio (anti-mithocondria antibodies, AMA) ed anti-ro/ssa 38,39. Da tali studi appare chiaro come la classe di autoanticorpi maggiormente prevalenti nei pazienti HCV-positivi sia quella del FR. Tuttavia, entrambi gli studi non forniscono informazioni sulla durata della malattia e/o sull incidenza di autoanticorpi in pazienti di classi di età comparabili. Uno studio recente condotto in Irlanda non ha documentato un elevata prevalenza di autoanticorpi in pazienti HCV-positivi, ad eccezione del fattore reumatoide (14%), ad un follow-up medio di 15,1 anni dalla diagnosi di malattia 40. Tale dato suggerisce che sia fattori genetici sia la durata della malattia possano contribuire all elevata prevalenza di autoanticorpi e di FR osservata nei pazienti HCV-positivi dell Europa meridionale. La prevalenza di autoanticorpi antitiroide in pazienti HCV-positivi è alquanto controversa. Anticorpi antitiroide e patologie tiroidee clinicamente manifeste sono state descritte solamente in pazienti di sesso femminile. In virtù della predilezione della tiroidite autoimmune per il sesso femminile e della prevalenza di anticorpi antitiroide in donne di età superiore ai 60 anni (15-24%), l associazione dell infezione HCV con autoanticorpi antitiroide e/o disfunzione tiroidea è alquanto questionabile 41. Nei pazienti HCV-positivi è stata riferita un elevata prevalenza di anticorpi anticardiolipina rispetto a donatori volontari di sangue 42. Tali autoanticorpi hanno le caratteristiche di quelli associati alle infezioni virali essendo presenti in basso titolo e non accompagnandosi ad eventi trombotici, trombocitopenia ed anti-β 2 glicoproteina I, quest ultimo un co-fattore degli anticorpi anticardiolipina associato alle manifestazioni trombotiche prodotte da tali autoanticorpi. Dai dati della letteratura internazionale appare chiaro che la maggior parte degli autoanticorpi descritti nei pazienti HCV-positivi ha un significato diverso da quello degli autoanticorpi associati con patologie autoimmunitarie. Ciò è illustrato dalla differenza nella presentazione clinica e nella risposta terapeutica tra i pazienti affetti da epatite autoimmune di tipo 2 non associata ad infezione HCV e coloro affetti da infezione HCV in presenza di positività per anticorpi anti- 122

10 LKM1. I pazienti affetti da epatite autoimmune sono prevalentemente donne in età giovanile con elevati titoli sierici di transaminasi ed alti titoli di anti-lkm1 e che rispondono alla terapia immunosoppressiva, ma non all interferone. Al contrario, i pazienti HCV-positivi con stigmate di autoimmunità sono più anziani, di ambo i sessi, con livelli inferiori di transaminasi e titoli più bassi di anti-lkm1 e rispondono all interferone, ma non alla terapia immunosoppressiva 43. La PCT fu descritta originariamente da Waldenström nel 1937 per indicare una patologia che colpiva tipicamente persone adulte e si presentava con lesioni cutanee in aree esposte al sole 44. La PCT rappresenta la forma più frequente di porfiria negli USA, sebbene la sua esatta prevalenza non sia nota. Il 70% dei pazienti presenta la forma sporadica o acquisita di PCT, senza evidenza di trasmissione genetica. Un 20% circa eredita la malattia secondo le modalità di un carattere autosomico dominante, nel qual caso la patologia viene indicata come PCT familiare 45. La manifestazione predominante della PCT è rappresentata dallo sviluppo di lesioni bollose e di erosioni cutanee a seguito di traumi minori, in relazione ad un aumentata fragilità della cute. Le lesioni interessano frequentemente il dorso delle mani, mentre fenomeni di fotosensibilità sono poco frequenti. Una volta che le vescicole cutanee si sono rotte, esse guariscono assai lentamente, lasciando il posto a cicatrici atrofiche ed aree cutanee discolorate. La PCT si accompagna ad ipertricosi facciale, alopecia e cloracne e la cute può assumere un aspetto simile a quello riscontrato nella sclerodermia. I pazienti affetti da PCT non presentano dolori addominali o attacchi di porfiria acuta. Le lesioni cutanee sono causate dalla fotoattivazione delle porfirine idrofiliche che si accumulano nel tessuto cutaneo. A livello cellulare, le porfirine accumulate all interno dei lisosomi ed attivate dai raggi solari producono la lisi dei lisosomi stessi ed il rilascio di enzimi proteolitici, responsabili delle manifestazioni cliniche cutanee 46. La PCT è associata frequentemente al consumo di alcool, l uso di estrogeni e l ingestione di composti contenenti ferro 45. Tuttavia, sin dal 1992 numerosi studi provenienti principalmente da paesi dell Europa meridionale hanno dimostrato un elevata prevalenza di PCT in pazienti affetti da epatite cronica HCV-correlata Le caratteristiche bioumorali della PCT consistono in un aumentata escrezione urinaria di porfirine secondaria ad un deficit epatico di attività della uroporfirinogeno decarbossilasi (UROD). L UROD catalizza la conversione dell uroporfirinogeno III a coproporfirinogeno III nella via metabolica di sintesi dell eme. La conseguenza di una carenza dell attività dell UROD è un aumento dell escrezione dell uroporfirina nelle urine. Il modo in cui una carenza di attività di UROD si instauri in pazienti affetti da PCT sporadica non è ben definito. Il ferro può causare ossidazione dell uroporfirinogeno ad uroporfirina, la quale non può essere utilizzata come substrato dall UROD ed accumulandosi può inibirne l attività. Il ferro può, inoltre, causare un aumento della produzione di uroporfirinogeno oltre 123

11 le capacità catalitiche dell UROD, stimolando le prime fasi della via metabolica della sintesi dell eme 45. Il meccanismo con cui l HCV possa precipitare la PCT non è parimenti noto. Teoricamente, l HCV potrebbe esercitare il suo effetto attraverso un accumulo di ferro intracellulare o stimolando l ossidazione dell uroporfirinogeno ad uroporfirina, con meccanismi ferro-indipendenti. Interessante è notare che in vitro l HCV non inibisce di per sé l attività della UROD 50. Un ulteriore ipotesi è che l HCV possa promuovere stress ossidativi indipendente dall accumulo di ferro. Pazienti HCV-positivi presentano un elevato livello di perossidazione lipidica e bassi livelli di acido ascorbico, fattori, questi, che potrebbero contribuire all ossidazione intracellulare di uroporfirinogeno in uroporfirina 51,52. Lo sviluppo di PCT non sembra essere correlato con un particolare genotipo HCV o con la carica virale 53,54, mentre è possibile che fattori dipendenti dal danno cronico indotto dall infezione HCV, le confezioni (HIV, HBV) 55,56 o comorbilità (consumo di alcool) 53, possano esercitare un effetto scatenante l insorgenza di PCT in pazienti HCV-positivi. Le ipotesi patogenetiche sulla formazione delle crioglobuline nei pazienti HCV-positivi L ipotesi patogenetica più consolidata per spiegare la EMC in pazienti HCV-positivi vuole che le crioglobuline si formino a seguito di una stimolazione cronica ad opera di molecole di IgG legate ad antigeni virali. Tale stimolazione condurrebbe alla formazione di IgM dotate di attività FR ed alla comparsa di crioprecipitati. L ipotesi della stimolazione cronica ad opera di immunocomplessi è suffragata da numerose prove sperimentali e cliniche, nonché dall evidenza fornita da malattie eziopatogeneticamente affini alla EMC, quali l artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico e l endocardite batterica subacuta. Tuttavia, sebbene tale teoria permetta di spiegare la comparsa di IgM FR nei pazienti affetti da infezione HCV e la comparsa di crioglobulinemia tipo III, essa non consente di spiegare adeguatamente la crioglobulinemia di tipo II in cui le molecole FR sono di tipo prevalentemente monoclonale 39. Uno studio francese ha dimostrato la possibilità che, in pazienti portatori di crioglobulinemia di tipo III, la stimolazione cronica da immunocomplessi possa condurre alla selezione monoclonale di linfociti B ed allo switch verso la crioglobulinemia di tipo II 10. È, inoltre, possibile che soltanto alcuni pazienti HCV-positivi possano sviluppare una crioglobulinemia di tipo II in assenza di una precedente crioglobulinemia di tipo III, in virtù di una predisposizione genetica e/o del corredo HLA 10. La crioglobulinemia di tipo II potrebbe essere la conseguenza di una patologia neoplastica linfoproliferativa. A supporto di tale ipotesi sono da citare la presenza di una popolazione monoclonale di linfociti B nei pazienti affetti da crioglobulinemia di tipo II, la presenza di crioglobuline di tipo II in pazienti affetti da linfomi, nonché la 124

12 presenza di cellule linfoplasmacitoidi con aspetti di malignità nel tessuto epatico e nel midollo osseo di pazienti con EMC 29. Il punto debole di tale ipotesi patogenetica è che essa non consente di spiegare l insorgenza di crioglobulinemia di tipo III, e che in studi con lungo follow-up soltanto pochi pazienti (5-10%) affetti da EMC hanno sviluppato un linfoma ad alto grado di malignità 29,32. Studi recenti hanno dimostrato come la glicoproteina virale E2 (gp70) sia in grado di legarsi al recettore CD81 espresso sulla superficie di numerosi elementi cellulari immunocompetenti, tra cui i linfociti B 57. La stimolazione del recettore CD81 potrebbe ridurre la soglia di attivazione dei linfociti B e condurre ad una loro proliferazione in presenza di infezione HCV 58. È stato ipotizzato che tanto la proliferazione policlonale quanto quella monoclonale di linfociti B sia indotta dall infezione di tali cellule ad opera dell HCV 59. Sebbene l HCV sia stato isolato da monociti di sangue periferico di pazienti affetti da EMC e da pazienti affetti da infezione HCV, assai controversa è la questione se la replicazione virale possa aver luogo in tali cellule in maniera analoga a quanto accade negli epatociti. Pur non essendo l HCV un virus oncogeno, esiste l evidenza che la proteina non strutturale NS3 e la proteina del core possano indurre trasformazione cellulare in vitro 60,61. Fino ad oggi non è stato individuato HCV nelle cellule neoplastiche linfoidi di pazienti con EMC che progrediscono verso forme franche di linfoma, così come nei pazienti affetti da linfoma non-hodgkin insorto al di fuori del contesto della crioglobulinemia 62,63. Un ipotesi patogenetica recentemente introdotta vede nella crioglobulinemia mista un meccanismo difensivo messo in opera dall organismo per limitare la diffusione dell infezione HCV tra gli epatociti 13. Basandosi sull osservazione che l HCV utilizza i recettori cellulari per le lipoproteine a bassa densità (LDL) per penetrare all interno delle cellule epatiche, e che complessi tra l HCV e lipoproteine a bassissima densità (VLDL) vengono secreti dalle cellule epatiche infettate per consentire la diffusione trasversale del virus, è stato ipotizzato che la stimolazione cronica da parte di complessi HCV-VLDL diretta verso linfociti B possa indurre la produzione di FR monoclonali in grado di bloccare la diffusione dell infezione mediata dai recettori LDL. Tale ipotesi eziopatogenetica è suffragata indirettamente dall osservazione che pazienti affetti da crioglobulinemia di tipo II hanno una progressione assai lenta verso la cirrosi e dal reperto di cellule monoclonali B IgMκ negli pseudofollicoli linfoidi epatici di pazienti affetti da EMC 13. extraepatiche nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato A tutt oggi la prevalenza delle manifestazioni extraepatiche da HCV nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato non è stata definita con esattezza. Data l influenza della terapia immunosoppressiva sulla cineti- 125

13 ca della replicazione virale e sulla recidiva di infezione e/o di epatite cronica, è ipotizzabile un incremento delle manifestazioni extraepatiche HCV-correlate nella popolazione di pazienti trapiantati rispetto ai non trapiantati. Tuttavia, gli studi presenti in letteratura sono assai scarsi e consistono prevalentemente in descrizione di casi isolati Ciononostante, è osservazione personale peraltro condivisa dai dati provenienti dalla letteratura che la prevalenza delle manifestazioni extraepatiche da HCV nel periodo post-trapianto non sia aumentata rispetto al periodo pre-trapianto. Uno studio retrospettivo americano condotto su 31 pazienti trapiantati HCV-positivi e paragonati a 21 pazienti di controllo HCV-negativi ha evidenziato una prevalenza di crioglobulinemia del 19% nel gruppo HCV-positivo, rispetto allo 0% nel gruppo HCV-negativo 70. La MPGN è riferita nel 66,6% dei pazienti con EMC post-trapianto, mentre manifestazioni extrarenali di EMC erano presenti nel 50% di essi 70. Complessivamente, quindi, la EMC sembra essere presente nel 20% circa dei pazienti trapiantati per epatopatia cronica HCV-correlata Tali valori appaiono inferiori a quelli riferiti per i pazienti non sottoposti a trapianto di fegato 5,10,11, in relazione a bias di selezione, ad intervalli di follow-up più limitati, ma anche alle diverse caratteristiche immunologiche del paziente trapiantato. Se è vero che la terapia immunosoppressiva post-trapianto possa esercitare un ruolo eziologico favorente la replicazione virale e la recidiva di epatopatia cronica HCVcorrelata, è presumibile che essa possa altresì inibire la produzione di anticorpi IgG specifici e la conseguente produzione di IgM-FR. Non esistono, infatti, dati che permettano di correlare il rischio di EMC post-trapianto al tipo ed al livello di immunosoppressione, mentre la maggior parte degli autori è concorde sul trattamento della EMC e delle eventuali manifestazioni renali ed extrarenali dovute alla crioglobulinemia mediante terapia antivirale con interferone e ribavirina A causa della persistenza di infezione HCV nel periodo post-trapianto, e stante l associazione dell infezione HCV con patologie immunoproliferative 32, si potrebbe ipotizzare un incremento della prevalenza di linfomi nei pazienti HCV-positivi sottoposti a trapianto di fegato 71. Un recente studio francese ha evidenziato un incremento del rischio di NHL in pazienti sottoposti a trapianto di fegato ed HCV-positivi, con un rischio relativo pari a 8,7 rispetto alla popolazione generale di trapiantati di fegato 72. A differenza, uno studio americano non ha messo in evidenza alcuna relazione tra rischio post-trapianto di malattie immunoproliferative ed HCV 73. Principi di terapia La terapia convenzionale della EMC prevede che pazienti affetti da manifestazioni benigne, porpora lieve-moderata, artralgie ed astenia siano trattati in modo sintomatico mediante il ricorso ad anti-infiammatori non steroidei, mentre pazienti con segni di disfunzione d or- 126

14 gano siano trattati mediante terapia steroidea, farmaci citotossici o plasmaferesi, da soli o in varia associazione 12. I protocolli di trattamento attualmente in uso sono basati prevalentemente su osservazioni non controllate, mentre pochi sono gli studi controllati pubblicati fino ad oggi in letteratura internazionale Esiste, tuttavia, un consenso internazionale sul fatto che i trattamenti combinati siano più efficaci nell ottenere remissioni a breve e medio termine, mentre la remissione a lungo termine sia difficile da raggiungere con gli attuali strumenti terapeutici 12. I primi studi sull uso dell interferone alfa nel trattamento dell EMC risalgono alla fine degli anni Ottanta, ed erano basati sul razionale che l EMC rappresentasse una neoplasia linfoproliferativa a basso grado di malignità 77. La terapia con interferone ad alte dosi appare accompagnata da favorevoli tassi di risposta a medio termine (62%), mentre l efficacia a lungo termine si riduce considerevolmente in relazione al dosaggio somministrato 78. I protocolli combinati con interferone alfa e steroidi (metil-prednisolone) producono una risposta più rapida della sola terapia con interferone (71% vs. 67%) 76, ma il tasso di risposta sostenuta nel corso del follow-up è comparabile (25% vs. 33%) 76. In considerazione dell incremento della carica virale nei protocolli con steroidi e della scarsa differenza nei livelli di risposta sostenuta nel corso del followup, l impiego di steroidi in associazione con l interferone non è sostenuto da tutti gli autori 12. Pur non essendo ancora disponibili i risultati di protocolli controllati intereferone-ribavirina nel trattamento dell EMC, tale associazione appare oggi quella più praticata sia nei pazienti epatopatici, sia in quelli sottoposti a LT Il razionale di questo trattamento consiste nell evidenza specialmente per la porpora cutanea che le lesioni vascolari purpuriche si accompagnano a viremia HCV. Interessante è notare come la MPGN sembra avvantaggiarsi del trattamento antivirale con interferone e ribavirina, mentre tale protocollo non pare coronato da successo nel trattamento della neuropatia EMC-correlata, a testimonianza di un probabile meccanismo eziopatogenetico differente 12. Il trattamento delle patologie immunoproliferative associate all infezione HCV è identico a quello attuato per i pazienti HCV-negativi, con risultati analoghi in termini di sopravvivenza globale e libera da malattia 32. Tale dato conferma che la prognosi dei linfomi a cellule B a basso grado osservati nei pazienti HCV-positivi dipende dal grado di severità della patologia neoplastica linfoide, e non appare condizionato dalla soggiacente infezione virale 32. Da alcuni anni i protocolli terapeutici prevedono l uso di anticorpi monoclinali anti-cd20, con ottimi risultati per i pazienti epatopatici 32, per coloro candidati 79 o sottoposti a trapianto 80. Conclusioni La conoscenza delle manifestazioni HCV non rappresenta una semplice curiosità. Lo studio dei meccanismi 127

15 eziopatogenetici alla base di tali manifestazioni è di interesse per l epatologo ed il trapiantologo in quanto consente di derivare informazioni utili sulla risposta dell ospite e sulla prognosi della malattia. Le manifestazioni extraepatiche per le quali esista un associazione comprovata con l infezione virale sono in special modo quelle mediate dalla crioglobulinemia di tipo II. A tutt oggi esiste un ampia evidenza sperimentale, epidemiologica e clinica che l HCV sia implicato nell eziopatogenesi della crioglobulinemia mista mediante una stimolazione policlonale (tipo III) e monoclonale (tipo II) di cellule B in grado di produrre fattore reumatoide. Tale stimolazione potrebbe rientrare nei meccanismi difensivi attuati dall organismo infetto per bloccare la diffusione dell HCV e parrebbe correlata alla durata della malattia e a fattori legati all ospite, piuttosto che al genotipo o alla carica virale, mentre non esiste evidenza sufficiente a favore di un ruolo trasformante diretto dell HCV nelle cellule del sistema linfopoietico. Le stigmate di autoimmunità frequentemente riportate tra i pazienti HCV-positivi sarebbero anch esse da metter in relazione con la durata dell infezione HCV e con la suscettibilità dell organismo ospite, non avendo lo stesso significato clinico delle corrispondenti sindromi autoimmunitarie, come dimostrato dagli scarsi risultati terapeutici ottenuti da protocolli immunosoppressivi e dall elevata tasso di risposta all interferone. Nel periodo post-trapianto, la prevalenza delle manifestazioni extraepatiche da HCV non sembrerebbe aumentare rispetto al periodo pretrapianto, per quanto sporadiche ed aneddotiche siano molto spesso le osservazioni riferite in letteratura internazionale. La crioglobulinemia mista sembrerebbe interessare un 20% circa dei pazienti trapiantati HCV-positivi, ed è associata nel 60% dei casi a manifestazioni renali clinicamente evidenti. Dati discordanti esistono riguardo la prevalenza di patologie linfoproliferative in trapiantati HCV-positivi, e l ipotesi che l infezione HCV sia associata ad un aumentato rischio di linfoma post-trapianto non è convalidata da tutti gli autori. I protocolli di trattamento delle manifestazioni extraepatiche da HCV nei pazienti trapiantati non differiscono da quelli impiegati nel periodo post-trapianto, ed analoghi appaiono i risultati in termini di efficacia a breve e medio termine. In particolare, per quanto riguarda le patologie immunoproliferative, l avvento degli anticorpi monoclonali anti-cd20 ha consentito di migliorare la prognosi di tali pazienti, che non appare inficiata dalla concomitante immunosoppressione o dall infezione HCV, quanto piuttosto dalla severità della neoplasia di per sé. 128

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