Internazionalizzazione: il rischio nei processi di approvvigionamento

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1 Internazionalizzazione: il rischio nei processi di approvvigionamento di Fabrizio Albino Russo (*), Flora Bernardel (**), Roberto Panizzolo (***) Il lavoro esamina le problematiche legate alle pratiche di approvvigionamento basate su rapporti integrati e collaborativi, tipici dei modelli produttivi lean, con fornitori dislocati su reti globali. Viene evidenziata la necessità di adottare precisi modelli e strumenti per la gestione del rischio considerato fattore chiave della procurement performance dell azienda. La rilevanza del rapporto clientefornitore Supply chains compete, not companies. In questa massima che appare nella home page del sito personale di Martin Christopher, uno deglistudiosipiùimportanti a livello mondiale di tematiche legate alla logistica e al supply chain management, sono efficacemente sintetizzati i cambiamenti che hanno interessato negli ultimi trent anni il mondo delle imprese industriali e che hanno comportato una profonda trasformazione sia dell organizzazione interna delle imprese, sia (soprattutto) delle relazioni esterne, che appaiono oggi sostanzialmente diverse rispetto ai sistemi industriali del passato. I benefici che derivano da una stabilizzazione e da un successivo miglioramento delle relazioni con iproprifornitoripossono essere collocati su due livelli: quelli di tipo strategico/operativo e quelli di tipo economico/finanziario (1). Avendo riguardo al primo punto, una visione cooperativa delle relazioni con i fornitori è importante perché può: incrementare l efficacia dell azienda in quanto quest ultima si può focalizzare su ciò chesafaremeglio migliorare le prestazioni operative chiave (qualità, produttività, tempi di ciclo,...); garantire competenze, abilità etecnologie altrimenti non facilmente reperibili; razionalizzare la gestione ed il controllo interno vista la generale semplificazione delle attività; permettere di acquisire idee innovative; arricchire l immagine dell impresa grazie alla partnership con fornitori di elevata reputazione; consentire di gestire meglio l irrequietezza e l incertezza dei mercati. Un rapporto integrato e cooperativo con i fornitori porta però anche vantaggi di natura economico/finanziaria. I vantaggi legati all incremento dei ricavi possono essere sintetizzati in: incremento il potenziale di accesso a nuovi mercati attraverso la rete del fornitore; accelerazione dell espansione grazie all utilizzo della capacità, processi e sistemi sviluppati dal fornitore; aumento delle venditeedellacapacitàproduttiva nei periodi in cui non si possono effettuare investimenti di ampliamento; sfruttamento delle competenze esistenti in chiave commerciale. I vantaggi legati ai costi invece sono relativi al 1) potenziale miglioramento dell elasticità dei costi (grazie all effetto di sostituzione tra Note: (*) Consulente di Direzione (**) Università dipadova (***) Università dipadova (1) Normann R., Ramirez R., (1993), «From Value Chain to Value Constellation: Designing Interactive Strategy», Harvard Business Review, July/August, pp Interessante è anche in materia il volume di F. Albino RussoeR.PanizzoloTeoria e pratica delle operazioni d acquisto, Ipsoa /

2 costi fissi e costi variabili) e alla riduzione degli stessi specialmente quando è possibile beneficiare contemporaneamente delle economie di scala dei fornitori (i quali, a differenza dell impresa acquirente, possono integrare la domanda di una pluralità di clienti) e delle loro economie di specializzazione (il fornitore può specializzarsi in singole attività, raggiungendo livelli di eccellenza di tipo world-class). Dal punto di vista finanziario inoltre si possono riscontrare i seguenti benefici: diminuire gli investimenti in capitale fisso (macchinari, attrezzature, linee produttive, sistemi di trasporto) e circolante (scorte di input e di output) che vengono invece effettuati dai fornitori; abbassare gli investimenti in R&S, potendo beneficiare delle numerose innovazioni realizzate sul mercato esterno di fornitura; generare liquidità grazie al trasferimento degli assets al fornitore. Dal just in time (lean) purchasing all international sourcing Sul tema del JIT/lean production esistono numerosi scritti non è questa la sede per tentare una qualsivoglia sintesi di questi studi. Quello che preme qui invece sottolineare è come per l adozione, nelle fabbriche, dei principi e dei metodi riconducibili al JIT/ lean production, assumano grande criticità le modalità con le quali sono gestite le attività di approvvigionamento. Appare evidente la necessità di un attenta e specifica conduzione delle attività di rifornimento, dal momento che il sistema JIT richiede una precisa regolazione e sincronizzazione dei flussi in ingresso e ridefinisce pertanto le tradizionali modalità di interazione (e relazione) con i fornitori. Il cosiddetto JIT (Lean) Purchasing si caratterizza, quindi, per legami cliente-fornitori fortemente collaborativi e integrati a livello sia operativo che organizzativo. Nel primo caso, l obiettivo è l integrazione dei fornitori nei processi produttivi del cliente, la ricerca di affidabilità quantitativa, qualitativa e temporale delle forniture e di sincronia delle consegne con i bisogni che si generano all interno. Nel secondo caso si intende fare riferimento al complesso degli interventi finalizzati alla creazione e sviluppo del parco 74 fornitori in termini di identificazione, selezione, qualificazione, organizzazione, controllo, assistenza e formazione delle sorgenti. Se la diffusione nelle economie occidentali delle pratiche di Produzione Snella è stata uno straordinario driver di cambiamento del rapporto con i fornitori, altrettanto significativo è stato l impatto, a partire dai primi anni 90, dei processi di internazionalizzazionedelleimpresechehannocaratterizzatole economie mondiali e che hanno determinato il radicale ridisegno delle catene del valore di interi settori industriali. Di questi processi di internazionalizzazione interessa, in questo lavoro, la componente chiamata international sourcing che identifica il ricorso a fornitori collocati al di fuori dei confini nazionali. L international sourcing ha profondamente modificato le modalità con le quali l impresa si relaziona con i suoi fornitori dislocati su ampie aree geografiche. Ci si riferisce, ad esempio, alla dilatazione dei tempi di approvvigionamento, alle differenze culturali (individuali e nazionali), di linguaggio, di fuso orario, ai diversi stile di gestione dei conflitti che creano maggiori difficoltà di comunicazione. Un posto di rilievo tra i fattori che possono ostacolare il percorso verso forme di acquisto internazionali vi è una vasta serie di costi aggiuntivi rispettoalcostopurodiacquistolacuiquantificazione non è sempre agevole e che possono ridurre o addirittura annullare il vantaggio economico iniziale. Sono però i problemi nel conciliare le pratiche di international sourcing con le pratiche di lean manufacturing che condizionano maggiormente le strategie di approvvigionamento delle aziende. Ad esempio, il lead time di trasporto, in un contesto globale non solo è più lungo, ma anche più variabile. Da un lato, il lead time lungo e variabile forza le aziende ad affidarsi maggiormente alle previsioni. Dall altro lato, aumenta l effetto bullwhip ovvero la distorsione nelle richieste di fornitura verso gli stadi a monte della supply chain da parte degli stadi di valle, dovuta alla bassa integrazione e comunicazione tra questi, che ingegnera sovraccarichi produttivi in grado di mandare in crisi l intero sistema. Di conseguenza, i livelli di scorta aumentano. In aggiunta, i fornitori globali possono anche essere una fonte di problemi. Ad esem- 12/2011

3 pio, possono non comprendere i bisogni dei clienti, presentare scarsa flessibilità, avere bassi livelli di qualità o una scarsa cultura industriale. Anche questi fattori richiedono al cliente di tutelarsi con maggiori livelli di scorte. L approccioleanpuntaamigliorarelaflessibilità, il lead time, la qualità emiraaridurre gli sprechi come la scorta in eccesso, le attese in eccesso e l eccesso di trasporto. L approvvigionamento in ottica lean si basa su di una relazione cliente-fornitore stretta. Il cliente e il fornitore non condividono unicamenteinformazionesucostieprocessi,ma anche rischi e benefici. I fornitori sono selezionati sulla base del prezzo, ma anche altre caratteristiche come qualità, accuratezza, flessibilità, capacità di accorciare i lead times e le capacità di innovare sono parte importante della valutazione. La lean supply chain è basata su un sistema just in time, di tipo pull. Questo modo di operare richiede sistemi di produzione flessibili, bassi tempi di set-up e piccoli lotti di produzione e consegna. Relazioni strette cliente-fornitore sono difficili in un contesto globale, per via dei problemi di comunicazione, e lo scambio di informazioni è rischioso. In aggiunta, le spedizioni just in time di piccoli lotti produttivi non sono compatibili con i lead time più lunghi e variabili e con una flessibilità e qualità minore. Questi fattori mostrano, quindi, diverse incompatibilità tra l approccio lean e l international sourcing. I principi lean stressano l importanza di vedere il flusso di valore nella sua interezza, focalizzandosi sull eliminazione di costi nascosti e spreco. L international sourcing dall altro lato, è una leva per ridurre i costi diretti di acquisto, ma potrebbe provocare un aumento delle inefficienze e dei costi nascosti, per via dei problemi già evidenziati. In Tavola 1 sono evidenziate le principali differenze qui evidenziate tra l approccio Lean agli approvvigionamenti e l International Sourcing. Supply Chain Risk Management (SCRM) I processi di globalizzazione dei mercati, l implementazione di approcci di lean supply e alcuni eventi accidentali di portata imprevedibile accaduti nell ultimo decennio (2) hanno fatto emergere nuovi e pressanti requisiti delle supply chain in termini di attendibilità e di robustezza alle incertezze. Per questi motivi, la nozione di rischio è oggetto di crescente attenzione negli studi relativi al supply chain management, da parte sia del mondo accademico che industriale. Negli attuali sistemi di relazioni le imprese si accorgono, infatti, che la gestione del rischio deve avvenire non solo nella prospettiva della singola impresa ma di tutta la catena sia di monte che di valle. Nota: (2) Ci si riferisce ai noti atti di terrorismo internazionale ed eventi naturali particolarmente distruttivi. Tavola 1 - Differenze tra lean supply chain e international sourcing Lean Supply Spedizioni frequenti, in piccoli lotti. Ordini emessi in logica pull. I fornitori hanno sistemi produttivi flessibili Qualità certificata alla fonte, materiali in free pass Relazione stretta tra fornitori e clienti International Sourcing Bassa frequenza nelle spedizioni, di lotti di grandi dimensioni al fine di ridurre i costi di trasporto. I lunghi lead times di trasporto impediscono l implementazione di un sistema pull. I fornitori tendenzialmente hanno una bassa flessibilità e producono in grandi lotti Controlli qualitativi in ingresso sui materiali I problemi di comunicazione rendono difficoltosa la relazione stretta tra fornitore e cliente. Il single sourcing è rischioso. Fonte: Portioli Staudacher A., Tantardini M., (2009), Global Sourcing: lezioni dalle aziende Lean per migliorare le prestazioni sulla supply chain, Rapporto di ricerca del Lean Excellence Center, Politecnico di Milano. 12/

4 In un recente lavoro (3) si è proceduto ad individuato un insieme composito di tecnicheepraticheorganizzativechepossonocostituire driver di rischio in un contesto di supplychainestese(sivedalatavola2nella quale sono riportate solo quelle pratiche più strettamente legate ai rapporti con i fornitori). In generale, l adozione di una o più delle pratiche contenute nella Tabella 2 può portare all eventualità che in un dato istante in qualche punto nella rete di imprese la fornitura non corrisponda alla domanda. Le conseguenze di questo mismatch sono riconducubili a tre livelli di rischio: 1) deviation: èil caso in cui si verifica una variazione di uno o più parametri del flusso rispetto al valore medio o atteso, senza che questo comporti uno stravolgimento nella struttura della supply chain; 2) disruption: èil caso in cui la struttura del sistema supply chain è radicalmente alterata per l indisponibilità di almeno uno dei suoi elementi costitutivi; 3) disaster: èil caso di un temporaneo e irrecuperabile shut-down dell intera rete di imprese, assimilabile a una disruption di proporzioni globali. Il SCRM (supply chain risk management), inteso come l approccio collaborativo e strutturato al risk management integrato nei processi di pianificazione e controllo della supply chain, appare quindi di straordinaria rilevanza nelle strategie delle imprese. In questo ambito paiono superate le due modalità di gestione dell incertezza in area logi- Nota: (3) Bernardel F., Martinazzo D., Panizzolo R. (2010), Supply Chain Risk Management: verso una convergenza necessaria. In: Ricostruzione, ripresa economica e competitività, Atti della XX Riunione Scientifica Annuale dell Associazione Italiana di Ingegneria Gestionale, L Aquila, Ottobre. Tavola 2 - Pratiche organizzativo-gestionali potenzialmente rischiose in un contesto di Supply Chain 1. Assenza di programmi di responsabilità sociale (rischio di immagine) 2. Collaborazioni commerciali e/o operative su scala globale che possono risentire di interferenze politiche e/o di problemi di carattere culturale 3. Collaborazioni con fornitori con elevata interconnessione dei sistemi ERP/IT 4. Elevato ricorso a pratiche di interorganizational networking (cooperazione, fiducia, trasparenza operativa, teamworking) 5. Frequenti collaborazioni con fornitori di piccola dimensione 6. Impiego di materiali di acquisto caratterizzati da incertezza tecnologica 7. Mancata condivisione di strategie e programmi di miglioramento continuo delle attività gestionali 8. Mancato ricorso a strumenti di controllo e monitoraggio degli avanzamenti dei materiali lungo l intera filiera 9. Operazioni in contesti interessati da eventi di natura idro-geologica di difficile prevedibilità (terremoti, alluvioni, ecc...) 10. Operazioni in mercati di fornitura che impongono una definizione anticipata e dettagliata dei fabbisogni di materiali 11. Operazioni in paesi con sistemi legislativo, amministrativo e regolamentativo soggetti a frequenti modifiche 12. Politiche di supply chain consolidation (riduzione della base di fornitura) 13.Gestionedelladomandatramiteretimultilivelloconbassescorteeleadtimebrevi 14. Integrazione buyer/supplier con elevati investimenti specifici 15. Ricorso a fonti di fornitura con elevato potere contrattuale 16.Ricorsoapratichecollusivetaciteoesplicite tra i diversi membri della Supply Chain 17. Ricorso a reti di fornitura estese e diversificate con elevati lead time cumulati e con necessità di sincronizzazione deiflussideimateriali 18. Scarsa adozione di indicatori per la misura delle prestazioni globali della Supply Chain 19.ScarsoimpiegoditecnicheavanzatediCollaborative Planning, Forecasting and Replenishment (CPFR) 20. Scelte di infrastrutture e canali logistici non adeguatamente protetti da azioni di terrorismo o sabotaggio o pirateria 21. Scelte progettuali su tecnologie, materiali, componenti che costringono ad operare con una base di fornitura stretta oesclusiva 22. Struttura e localizzazione della catena produttiva esposta a problemi di escalation dei prezzi 23. Utilizzo di tecniche per la selezione e la valutazione dei fornitori che non considerano i costi complessivi della collaborazione 24. Utilizzo di strumenti e metodologie collaborative per la gestione dei flussi di materiali (VMI, Consignment stock,...) 76 12/2011

5 stica tradizionalmente adottate dalle imprese: l attenuazione del rischio mediante assicurazione: la maggior parte delle aziende per molti anni ha scelto di amministrare il rischio, trasferendolo a terze parti mediante la stipula di polizze assicurative; il contenimento del rischio tramite tecniche di buffering: si intende fare riferimento a politiche quali lo sviluppo di molteplici fonti di approvvigionamento e l ampliamento delle scorte a magazzino, che si traducono in ordini di acquisto e livelli d inventario maggiorati, con l inevitabile generazione di extra costi che limitano l efficienza dell azienda. Nellemoderneretidiimpresequestiapprocci tradizionali risultano in parte anacronistici, in primo luogo perché sono strutturalmente diverse le cause del rischio e in secondo luogo perché la stessa supply chain è ritenuta un ambito chiave per la costruzione del vantaggio competitivo, istanza incompatibile con la pratica del buffering. Le finalità principali del SCRM si concretizzano in estrema sintesi nella necessità di garantire continuità alle forniture e alla disponibilità di prodotto, perfezionando l abilità della supply chain di fronteggiare improvvise interruzioni degli approvvigionamenti e circoscrivendo eventuali «effetti domino» lungo tutta la catena. Per un azienda che intende sviluppare un adeguato modello di SCRM diventa di fondamentale importanza pervenire, in primo luogo, ad una chiara definizione del rischio potenziale derivante dalle scelte effettuate nell ambito della supply chain e formulare, successivamente, una precisa strategia di gestione del medesimo. L individuazione e la catalogazione dei rischi e delle fonti di disruption che potenzialmente insidiano il business dell azienda richiede, innanzi tutto, l analisi e la comprensione dei processi interni, al fine di isolare quelli che possono riservare le minacce più significative. Una volta identificate le proprie vulnerabilità, l azienda può concentrarsi sull osservazione dell ambiente esterno, alla ricerca di eventuali segnali provenienti dalla porzione di supply chain su cui essa ha visibilità, e che possono ripercuotersi sul processo primario di business. L obiettivo di questa duplice analisi è delineare il cosiddetto profilo di rischio che caratterizza in modo univoco ogni singola azienda, tenendo conto anche dello specifico contesto in cui essa opera. Ad esempio in un modello la definizione del rischio per l impresa viene effettuata seguendo tre step consecutivi: 1) evidenziazione degli earning driver: si tratta dei fattori che costituiscono l ossatura del reddito aziendale, una cui perturbazione avrebbe un forte impatto sul risultato operativo; 2) identificazione delle infrastrutture critiche che supportano la capacità di generare utili, in termini di processi, relazioni, personale, procedure, regole ed attrezzature. L obiettivo è individuare le componenti essenziali che influiscono direttamente sul reddito; 3) localizzazione delle vulnerabilità aziendali: identificare gli anelli più deboli dell infrastruttura critica. Potrebbe trattarsi ad esempio di un fornitore unico per un componente critico, una frontiera insicura attraverso cui la maggior parte dei prodotti deve transitare per raggiungere dei mercati chiave, un unico impiegato con competenze informatiche specifiche, ecc. Un secondo modello anch esso a forte valenza manageriale per la valutazione del rischio in un contesto di supply chain raggruppa l esposizione al rischio attraverso sei elementi: probabilità d occorrenza; magnitudine dell impatto; difficoltà di individuazione; tempo necessario all individuazione; ampiezza della ripresa: questo elemento si compone delle implicazioni finanziarie, di risorse e di tempo di un particolare evento o rischio, e si basa su una stima dello sforzo richiesto per ritornare ai precedenti livelli di performance del business. portata della riconfigurazione della supply chain. Questo elemento, correlato al parametro precedente, si riferisce specificamente ai costi e agli sforzi necessari per mettere in pratica le soluzioni. Applicare modelli simili a quelli visti può aiutare le organizzazioni a raffinare e migliorare le proprie strategie. Inoltre può identificare importanti lacune nelle capacità di personale e processi, oltre che delle tecnologie, e supportare la creazione di un programma 12/

6 per colmare queste mancanze su base continua e prioritaria. La definizione di una strategia di SCRM deve essere elaborata, in ogni caso, con un approcciocoordinatoeleazioni,incuiessasi esplica, devono essere condivise da tutti i soggetti coinvolti nella rete di imprese. In altre parole, qualsiasi sia il metodo adottato, un suo impiego da parte di una singola azienda in modo autonomo e indipendente dagli altri attori della catena, rischia di portare a indicazioni e dati distorti, perché non si ha la visibilità sufficiente per gestire i rischi in un ottica «di sistema» (4). 78 Le misure di contenimento Le specifiche misure di contenimento del rischio, che le aziende valutano in questa fase, rientrano a loro volta in quella dimensione del SCRM che si occupa del miglioramento della cosiddetta resilienza di una rete di imprese, ovvero «della sua capacità come sistema di assorbire un failure in una delle sue componenti e di continuare a fornire un livello di servizio accettabile». Si comprende come l efficacia della risposta ad una crisi sia direttamente correlata alla capacità della Supply Chain di adattare la propria struttura e organizzazione a variazioni interne o esterne, riorganizzando e ridistribuendo esclusivamente risorse proprie, entro un termine di tempo definito. È fondamentale quindi cheessapossasfruttareleproprieprerogative di flessibilità e agilità. A tal riguardo alcuni autori (5) propongono sei componenti di flessibilità, qui di seguito riportate, poiché ritenute aree tematiche interessanti da esaminare anche in sede di definizione delle strategie di SCRM: flessibilità dei sistemi operativi (produzione e servizi): la capacità di configurare gli assets e i processi produttivi in corrispondenza di ogni nodo del network (unità di fornitura, produzione o distribuzione), in modo tale da reagire ai nuovi trend di consumo (variazioni di prodotto, di volume complessivoodimix); flessibilità al mercato: la capacità di rispondere alle variazioni delle caratteristiche del mercato e dei requisiti del cliente, con lo sviluppo e il lancio di nuovi prodotti, la personalizzazione, la disponibilità in più versioni, la progettazione modulare e il postponement, il supporto post vendita. Un approccio strutturato ed efficace potrebbe prevedere un concurrent engineering, cui collaborino rappresentanti dei vari nodi della rete, così da controllare il time to market; flessibilità della logistica: la capacità per tuttiisoggetticoinvoltidiconsegnareericevere prodotti in modo redditizio, all alternarsi di fornitori e clienti. Quest area include le attività di imballaggio e spedizione, di stesura della documentazione, di gestione di inventario e magazzino, della preparazione dei piani di trasporto, di tracking, di definizione di procedure di reso, ecc. Una gestione flessibile della logistica non può inoltre sottovalutare la diversificazione dei canali che sistaregistrando,comelagrandeespansione del commercio elettronico, o l affacciarsi di mercati emergenti; flessibilità delle forniture: capacità di riconfigurarelacatenalogistica,daifornitori di materie prime a quelli di prodotti finiti in outsourcing, per seguire le fluttuazioni della domanda in termini di volumi, mix, varianti enuoviprodotti.nederival esigenzadiflessibilità nelle relazioni che si intrattengono con i partner: alcune organizzazioni scelgono ad esempio l emissione di ordini a brevissimo termine e per quantità variabili, nel quadro di ordini di fornitura di più lungo termine flessibili e strategici; altre imprese ricorrono alla forma della joint-venture, o alla creazione di comitati inter-aziendali di problem solving; flessibilità dell organizzazione: la capacità diallinearelecompetenzedellaforzalavoro e le pratiche organizzative, nonché la cultura Note: (4) Difficilmente si potranno rilevare i rischi potenzialmente connessi ad effetti di «nervosismo» o di caos dovuti a reazioni eccessive, interventi non necessari, supposizioni sbagliate, diffidenza, informazioni deformate lungo la supply chain. La scarsa visibilità sui flussi di materiali e sull entità delle scorte tra imprese a monte e a valle, provoca una diminuzione del livello di fiducia tra i partner, che si traduce in un incremento delle scorte e in un conseguente allungamento del lead time edellapipeline end-to-end, rendendo ancora più critica la visibilità, con un meccanismo circolare che Christopher e Lee descrivono come «spirale del rischio». (5)Lummus,R.R.,Duclos,L.K.,Vokurka,R.J.(2003),«Supply Chain Flexibility: Building a New Model», Global Journal of Flexible Systems Management, Vol. 4 Issue 4, pagg /2011

7 aziendale alle effettive richieste della supply chain, al fine di soddisfare le esigenze del cliente in termini di domanda e servizio; flessibilità dei sistemi informativi: la capacità disincronizzareleeterogeneearchitetture dei sistemi informativi e di comunicazione tra tutti i partners, ogni volta che un azienda introduce degli up-grading nei programmi di gestione dei dati o nei software di interfaccia, in conformità avariazioniintervenute nella domanda o nel mercato. La flessibilità spesso deriva anche dalla rapidità con cui questo adeguamento può essere compiuto. La flessibilità viene qui intesa non solo come un attributo del sistema produttivo, ma come una forma di efficienza dinamica che l azienda innovativa adotta anche nella prospettiva di garantire la continuità del flusso produttivo, a fronte di eventi rischiosi che lo minacciano. Conclusioni L adozione dei paradigmi della flessibilità da parte delle organizzazioni inserite in una rete di imprese si delinea, quindi, come un approccio promettente purché venga progettata prestando la massima attenzione alle interconnessioni e alle relazioni tra i diversi soggetti. Essa può essere raggiunta a livello di supply chain, principalmente instaurando forme di collaborazione a livello operativo, nella pianificazione, in fase di sviluppo prodotto o produzione vera e propria, con i fornitori o con altre aree del network (logistica, distributori, ecc.). La comunicazione e la condivisione delle informazioni costituiscono, a loro volta, degli elementi chiave nella protezione delle reti di fornitura, poiché contribuiscono ad allargare la visibilità sulla supply chain, rendendola nel complesso più robusta all incertezza. 12/

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