7. Sistemi ortonormali
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- Arnaldo Carletti
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1 7. Sistemi ortonormali Ricordiamo che, dati ϕ, ψ X prehilbertiano, ϕ e ψ si dicono ortogonali se (ϕ, ψ) =. Consideriamo, allora, l estensione del Teorema di Pitagora al caso astratto Teorema 1. - Dato X prehilbertiano e due vettori ϕ e ψ X ortogonali, risulta ϕ + ψ = ϕ + ψ Dimostrazione. - È una conseguenza immediata della definizione. Infatti ϕ + ψ = (ϕ + ψ, ϕ + ψ) = (ϕ, ϕ) + (ψ, ψ) + Re(ϕ, ψ) = ϕ + ψ. Esempio. - Consideriamo X = L (, ) e due funzioni f, g X t.c. f = q.o. in (, 1), g = q.o. in (1, ). Tali funzioni sono ortogonali, come è immediato verificare. Teorema di Pitagora. Infatti È facile vedere che vale il f + g = = f + g dx = g dx + 1 g dx + f dx = f + g. 1 f dx Definizione. - Dato M X prehilbertiano, si chiama complemento ortogonale di M in X e si indica con M il sottoinsieme di X dato da {ϕ X t.c. (ϕ, ψ) = ψ M} Proposizione 1. - Dato X prehilbertiano e M sottoinsieme generico, M è un sottospazio. Dimostrazione. - M è una varietà lineare. Presi ϕ 1 e ϕ appartenenti a M, risulta Quindi, α, β C risulta (ϕ 1, ψ) = (ϕ, ψ) = ψ M. (αϕ 1 + βϕ, ψ) = α(ϕ 1, ψ) + β(ϕ, ψ) =, ossia αϕ 1 + βϕ M. M è chiuso. Data una successione {ϕ n } M X t.c. ϕ per cui ϕ n ϕ, mostriamo che ϕ M. Infatti per la continuità del prodotto interno, avremo ψ M (ϕ, ψ) = ( lim n ϕ n, ψ) = lim n (ϕ n, ψ) =. 7.1
2 Esempio. - Dato L (, ), consideriamo il sottoinsieme R 1 = {f L (, ) t.c. f = q.o. in (1, )}. È facile vedere che R 1 è una varietà lineare. Facciamo vedere che è anche chiusa. Considerata {ϕ n } R 1 t.c. ϕ per cui ϕ (,) L n ϕ, mostriamo che ϕ R 1. Infatti [ϕ n ϕ] [ ϕ n ϕ dx ] 1 1 [( ϕ n ϕ dx + ϕ n ϕ dx) ] [( ϕ n ϕ dx + ϕ dx) ] 1 1 da cui si conclude che deve essere 1 ϕ dx =, che implica ϕ = q.o. in (1, ). Analogamente, definito R L (, ) come R = {f L (, ) t.c. f = q.o. in (, 1)}. anche R è un sottospazio. Posto, ora, per maggiore comodità abbiamo R 1 = R(, 1), R = R(1, ), R(1, ) R(, 1). Infatti, se f R(1, ), allora f L (, ) t.c. f = q.o. in (, 1). Preso, dunque, g R(, 1), abbiamo (f, g) = fḡ dx = 1 fḡ dx + 1 fḡ dx =. D altro canto si può far vedere che R(, 1) R(1, ) e che R(, 1) R(1, ) = L (,). Quanto visto in questo esempio non è che un caso particolare del seguente Teorema (delle proiezioni). - Dato X di Hilbert, sia M un suo sottospazio. Allora X = M M, cioè ϕ X,!(ϕ 1, ϕ ) M M t.c. ϕ = ϕ 1 + ϕ. Inoltre ϕ ϕ 1 = inf{ ϕ ψ : ψ M}. Dimostrazione. - Ci limitiamo a dimostrare l unicità della decomposizione. Supponiamo per assurdo che esista un altra decomposizione diversa dalla precedente tale che Abbiamo allora ϕ = ϕ 1 + ϕ = ϕ 1 + ϕ. ϕ 1 ϕ 1 = ϕ ϕ, ϕ 1 ϕ 1 M; ϕ ϕ M. 7.
3 Posto χ = ϕ 1 ϕ 1 = ϕ ϕ, risulta che χ M (perchè è una varietà lineare) ed anche χ M (per lo stesso motivo). Allora χ M M, ossia χ χ. Dunque (χ, χ) = χ = X ϕ 1 = ϕ 1, ϕ = ϕ. Esempio. - L unicità della decomposizione ortogonale è ben chiara in R N. Per semplicità vediamo il caso di R 3. α φ β α φ µ ν β Proiezioni ortogonali in R 3 Se ϕ = α + β con β M e α M ed anche ϕ = µ + ν con ν M ma ν β allora µ M. Definizione. - Dato X prehilbertiano, sia {u α } α I, dove I è un insieme di indici (finito o infinito numerabile) una famiglia di vettori di X. {u α } α I è un sistema ortonormale (s.o.n.) in X se (u α, u β ) = δ αβ. Osservazione. - Un s.o.n. è costituito tutto da vettori a due a due ortogonali. Esempio 1. - In l (C) costituisce un s.o.n. la coppia {u 1, u } dove u 1 = { 1,,,,,...}, 5 5 u = { i 5,, i 5,,,...}; infatti (u 1, u ) = i 5 + i 5 = u 1 l = ( )1/ = 1 7.3
4 u l = ( )1/ = 1. Esempio. - In L (, ) consideriamo la famiglia {u n } n Z, definita da Anche questo è un s.o.n. Infatti u n = 1 e inx u n = 1 π u n ū n = 1 π e inx e inx = = 1 se n m. (u n, u m ) = 1 π e inx e imx = 1 π e i(n m)x = = 1 [ ei(n m)x i(n m) ] = 1 e (n m)i 1 i(n m) = Esempio 3. - In L (R) consideriamo {χ [n,n+1[ } n Z. Anche qui abbiamo a che fare con un s.o.n., come è immediato verificare. Su questo esempio torneremo poi in seguito. Abbiamo, allora, il seguente Teorema 3 (Disuguaglianza di Bessel). - Sia X prehilbertiano. Allora a) Dato un s.o.n. finito {u n },,...,N X, per ogni ϕ X risulta (u n, ϕ) ϕ ; b) Dato un s.o.n. infinito numerabile {u n } n N X per ogni ϕ X è convergente la serie (u n, ϕ) e (u n, ϕ) ϕ. Dimostrazione. - Esaminiamo il caso a). Consideriamo per motivi di calcolo il vettore ϕ N (ϕ, u n)u n. Abbiamo = (ϕ, ϕ) ( ϕ (ϕ, u n )u n = (ϕ (ϕ, u n )u n, ϕ) (ϕ, m=1 (ϕ, u n )u n, ϕ (ϕ, u m )u m ) = m=1 (ϕ, u m )u m ) + ( (ϕ, u n )u n, 7.4 (ϕ, u m )u m ) = m=1
5 = ϕ (ϕ, u n )(u n, ϕ) = ϕ (ϕ, u m )(ϕ, u m ) + m=1 (ϕ, u n ). (ϕ, u n ) = Caso b). Per dimostrare che (u n, ϕ) converge, basta osservare che la successione {s N := (u n, ϕ) } è crescente e superiormente limitata da ϕ per quanto trovato prima. Abbiamo, perciò, ϕ (u n, ϕ). i=1 Teorema 4 (di Fisher - Riesz). - Dato H di Hilbert, sia {u n } un s.o.n. numerabile in H. Allora, data una successione {λ n } C, si ha a) λ nu n converge in H sse converge λ n ; b) se le serie di a) convergono, posto ϕ := λ nu n, risulta λ n = ϕ, (ϕ, u n ) = λ n. Dimostrazione. - a) Per definizione la serie λ nu n converge sse converge la successione delle somme parziali s N = N λ nu n. Poichè H è di Hilbert, tale successione converge sse è di Cauchy, ossia sse s n s m, quando n, m. In altri termini, la serie converge sse m λ k u k quando n, m. k=n+1 Tenuto conto del Teorema di Pitagora m m m λ k u k = λ k u k = λ k. k=n+1 k=n+1 k=n+1 7.5
6 Quindi la successione delle somme parziali è di Cauchy sse è di Cauchy la successione delle somme parziali della serie λ n, ossia sse λ n converge. b) Abbiamo n ϕ = λ n u n = lim λ k u k = D altro canto n k=1 lim n λ k u k (avendo qui sfruttato la continuità della norma) = n k=1 = lim n k=1 n λ k (avendo sfruttato il Teorema di Pitagora) = = λ n. (ϕ, u k ) = ( λ n u n, u k ) = ( lim = lim ( n λ j u j, u k ) = lim n n j=1 = lim n n j=1 n λ j u j, u k ) = n λ j (u j, u k ) = j=1 n λ j δ jk = λ k. j=1 dove abbiamo sfruttato la continuità del prodotto interno. Quello che ora vogliamo fare è introdurre una famiglia particolarmente importante di s.o.n. in uno spazio di Hilbert. Definizione. - Sia H uno spazio di Hilbert. Un s.o.n. {u α } α I si dice completo o base se non è sottoinsieme proprio di alcun altro s.o.n. in H. Un s.o.n.c. è di importanza fondamentale perchè permette di ridurre le operazioni fra vettori di uno spazio di Hilbert a operazioni tra le loro componenti. Teorema 5. - Dato un H di Hilbert, sia {u n } n I un s.o.n. Allora sono equivalenti le seguenti affermazioni a) il s.o.n. è completo; b) se (ϕ, u n ) = C n I, allora ϕ = O H ; c) se I = {1,..., N}, ϕ H risulta ϕ = N (ϕ, u n)u n ; se I = N, ϕ H risulta ϕ = (ϕ, u n)u n, dove la serie converge in H; d) se I = {1,..., N}, ϕ, ψ H risulta (ϕ, ψ) = N (ϕ, u n)(u n, ψ); se I = N, ϕ, ψ H risulta (ϕ, ψ) = (ϕ, u n)(u n, ψ), dove la serie converge in H; 7.6
7 e) ϕ H risulta ϕ = n I (ϕ, u n). Osservazione. - Dire che le affermazioni precedenti sono equivalenti, vuol dire che sono tutte vere oppure tutte false contemporaneamente. Osservazione. - Lo sviluppo indicato in c) è detto sviluppo in serie di Fourier. Le identità espresse in d) ed in e) si chiamano identità di Parseval. Dimostrazione. - La dimostrazione si fa ciclicamente, ossia si prova la seguente catena di implicazioni a) b) c) d) e) a). Qui di seguito mostreremo solo a) b) e e) a). Il resto può essere fatto per esercizio. a) b). In realtà proviamo che non b) non a). Infatti supponiamo che ϕ H, ϕ H t.c. ( ϕ, u n ) = C n. Poichè ϕ H, sarà ϕ R. Considerato, dunque, il ϕ vettore ϕ, abbiamo ϕ ( ϕ, u n) = 1 ϕ ( ϕ, u n) =, per quanto supposto su ϕ. D altro canto ϕ ϕ = 1 ϕ = 1. ϕ Quindi possiamo aggiungere a {u n } il nuovo vettore ϕ e considerare il s.o.n. {u n, che contiene il precedente come sottoinsieme proprio. Quindi a) è falso. ϕ ϕ ϕ } e) a). Anche in questo caso quello che in realtà mostriamo è non a) non e). Se {u n } non è completo, posso aggiungere ũ H con ũ u n, n t.c. ũ = 1 e (ũ, u n ) = C, n. Ne segue che ũ = 1 = (ũ, u n ) n I quindi e) è falsa. Anche se non entriamo nel dettaglio dell argomento, vale la pena di osservare che un s.o.n.c. permette di ricostruire l intero spazio di Hilbert. Vale infatti il seguente Teorema 6. - Dato uno spazio di Hilbert H un s.o.n. è completo sse H = V {u n } n I, la varietà lineare chiusa generata dal sistema stesso. Quello che abbiamo finora considerato mette bene in evidenza l importanza operativa e concettuale dei s.o.n.c., ma lascia in effetti aperti due problemi. a) Dato un H di Hilbert, esiste in esso un s.o.n.c.? b) Dati due diversi s.o.n.c. nello stesso H di Hilbert, hanno la stessa cardinalità? A questi due interrogativi risponde il seguente 7.7
8 Teorema 7. - Dato un H di Hilbert a) in esso esiste sempre un s.o.n.c.; b) due diversi s.o.n.c. in H hanno la stessa cardinalità. Risulta del tutto naturale, allora, la seguente Definizione. - Si chiama dimensione ortogonale di un H di Hilbert la cardinalità comune a tutti i suoi s.o.n.c. Osservazione. - Se la dimensione ortogonale di H è finita, essa è uguale alla dimensione di H come spazio vettoriale ed è vero anche il contrario. Nel caso generale sono, invece, diverse. Non entriamo, però nei dettagli. Osservazione. - Per ogni dimensione ortogonale, esiste un solo spazio astratto di Hilbert reale ed un solo spazio astratto di Hilbert complesso. In altre parole, due spazi di Hilbert astratti sullo stesso campo (R o C) si distinguono solo per la loro dimensione ortogonale, situazione che generalizza quel che accade nel caso euclideo. Nel caso, dunque, degli spazi di Hilbert il cui s.o.n.c. sia infinito numerabile, essi sono tutti isomorfi a l (R) o l (C). Consideriamo, ora, il seguente Problema. - Dati uno spazio H di Hilbert e k vettori v i H linearmente indipendenti, consideriamo un generico vettore x H. Vogliamo trovare k costanti complesse c i t.c. sia minima questa quantità x k i=1 c iv i H. In altri termini vogliamo approssimare al meglio x (nel senso della norma di H) con un vettore della varietà lineare definita dai v i È facile osservare che tale varietà lineare è chiusa. (Si potrebbe dimostrare per induzione). Essa è, dunque, un sottospazio R H ed il teorema delle proiezioni ci garantisce che il problema è risolto quando k i=1 c iv i è la proiezione di x su R (che esiste ed è unica). Supponiamo per ora che i vettori v i rappresentino un s.o.n. (in generale non completo). Indichiamo con x la proiezione di x su R. Avremo, allora, Poichè x = k i=1 c iv i abbiamo (x x, v i ) = i = 1,..., k. (x k c i v i, v j ) = i=1 ed anche k (x, v j ) ( c i v i, v j ) = i=1 k k (x, v j ) = c i (v i, v j ) = c i δ ij. i=1 i=1 7.8
9 In definitiva, allora, c i = (x, v i ) ed anche x = k i=1 (x, v i)v i. Cosa accade, però se i v i costituiscono una k pla di vettori linearmente indipendenti, ma non una base? Al riguardo abbiamo questo fondamentale risultato Teorema 8 (Metodo di ortonormalizzazione di Gram - Schmidt). - Sia v 1,..., v n,... un sistema linearmente indipendente di elementi dello spazio prehilbertiano H. Allora in H esiste un s.o.n. u 1, u,..., u n,... t.c. ciascun elemento u n è una combinazione lineare dei v 1, v,..., v n : u n = a n1 v a nn v n a nn. In particolare ciascun elemento v n è analogamente rappresentabile v n = b n1 u b nn u n b nn. Osservazione. - Relativamente al nostro problema, dunque, se R è generato da una n pla di vettori linearmente indipendenti, basterà costruire la base equivalente e poi proiettare come indicato sopra utilizzando i vettori di quest ultima. Dimostrazione. - Cerchiamo direttamente u 1 nella forma u 1 = a 11 v 1. Abbiamo (u 1, u 1 ) = (a 11 v 1, a 11 v 1 ) = a 11 v 1 = 1 da cui ricaviamo a 11 = 1 b 11 = 1 v 1. Perciò otteniamo u 1 = v 1 v 1. In generale, avendo risolto il problema fino al passo n 1, sarà v n = (v n, u 1 )u 1 + (v n, u )u (v n, u n 1 )u n 1 + b nn u n con b nn per l indipendenza lineare dei v n (i vettori u 1,..., u n 1 sono stati costruiti utilizzando i vettori v 1,..., v n 1 ). Si trova così b nn = v n (v n, u 1 )u 1 (v n, u )u... (v n, u n 1 )u n 1 u n = v n (v n, u 1 )u 1 (v n, u )u... (v n, u n 1 )u n 1 b nn. È chiaro che per come è stata effettuata la costruzione i sottospazi generati dai due sistemi di vettori coincidono. Infine bisognerebbe verificare che u n u i, i n 1 ma tralasciamo questo punto.. Osservazione. - Nella discussione del nostro Problema abbiamo supposto che lo spazio H sia di Hilbert in quanto abbiamo fatto ricorso direttamente al Teorema delle proiezioni. In realtà il risultato di approssimazione ottimale continua ad essere vero anche se abbiamo a che fare con un s.o.n. in un generico spazio prehilbertiano. Volendo, infatti, minimizzare x k i=1 c iv i ancora si trova c i = (x, v i ). Se, poi, volessimo approssimare con una combinazione di vettori non ortonormali, basta applicare il metodo di Gram - Schmidt e poi concludere come prima. 7.9
10 Esempio 1. - Nello spazio L (, ) il s.o.n. dato da u n = 1 e inx, n Z, è completo (omettiamo la dimostrazione non banale di completezza). Data, dunque, f L (, ), possiamo scrivere f = n Z(f, u n )u n dove la serie converge nel senso di L (, ). (Per le serie in Z la convergenza è espressa in termini della convergenza della successione delle somme parziali s MN = N n= M (f, u n)u n al tendere di N e M a + ). I coefficienti della serie sono dati da Dunque f = n Z questo modo γ n = (f, u n ) = π fu n dx = 1 π γ n e inx. Usualmente si pone γ n = f = n Z γ n e inx. fe inx dx. γ n e si riscrive la serie sopra in Esempio. - Sempre in L (, ) consideriamo il s.o.n. {u, v k, w k } definito da u = 1, v k = 1 π cos kx, w k = 1 π sin kx, k = 1,,.... Questo sistema si può ottenere per combinazione lineare dal precedente. Infatti u k = eikx = 1 (cos kx + i sin kx) = v k + iw k u k = e ikx = 1 (cos kx i sin kx) = v k iw k da cui v k = u k + u k, w k = u k u k. Che il sistema sia effettivamente ortonormale è facile da verificare. Infatti (v k, v j ) = ( u k + u k, u j + u j ) = = 1 [(u k, u j ) + (u k, u j ) + (u k, u j ) + (u k, u j )] = = 1 [δ kj + δ ( k)j + δ ( j)k + δ ( k)( j) ] = 7.1 { 1 se k = j altrove
11 e similmente per tutti gli altri casi. Mostriamo, ora, che questo s.o.n. è completo. Supponiamo, infatti, per assurdo, che per una f L (, ) risulti (f, u ) = (f, v k ) = (f, w k ) = k Z. Abbiamo allora (f, u k ) = (f, v k + iw k ) = (f, v k) i(f, w k ) = (f, u k ) = (f, v k iw k ) = (f, v k) + i(f, w k ) =. Per il punto b) del teorema precedente, poichè {u k } k Z è completo, segue che f = L. Ma allora, sempre per il punto b), anche {u, v k, w k } è completo. Data, dunque, f L (, ), possiamo scrivere f = (f, u )u + [(f, v k )v k + (f, w k )w k ] dove k=1 (f, u ) = 1 π (f, v k ) = 1 π π (f, w k ) = 1 π π f dx f cos kx dx f sin kx dx che è esattamente la scrittura usuale salvo scaricare 1 π nel calcolo dei coefficienti. Esempio 3. - In L (R) risulta completo il sistema ortonormale definito dalle funzioni di Hermite u n date da 1 u n = n n! / H π e x n (x) con H n (x) = ( 1) n e x dn dx n e x Calcolando esplicitamente i primi polinomi troviamo H = 1 H 1 = x H = 4x H 3 = 8x 3 1x (polinomi di Hermite)
12 Esempio 4. - In L ( 1, 1) si potrebbe considerare come sistema ortonormale {u n } = { 1 e inπx } ed il suo derivato {u, v n, w n }. Tuttavia costituiscono una base in tale spazio anche i polinomi di Legendre normalizzati, definiti da P n (x) = n + 1 Ancora, se calcoliamo i primi, otteniamo 1 d n n n! dx n [(x 1) n ]. P (x) = 1 3 5, P 1 (x) = x, P (x) = 8 (3x 1). Esempio 5. - Abbiamo visto che {χ [n,n+1[ } costituisce un sistema ortonormale in L (R). Se per semplicità indichiamo ϕ(x) = χ [,1[, possiamo scrivere {ϕ(x n)} n Z. È facile vedere che il s.o.n. non è completo, perchè il sottospazio V è costituito dalle funzioni costanti su ogni intervallo del tipo [k, k + 1[ con discontinuità evidentemente solo sugli interi. La funzione caratteristica, dunque, di [, 1 [ non potrà avere uno sviluppo convergente. Per avere più funzioni, consideriamo le versioni dilatate di ϕ(x), cioè ϕ( m x) con m Z. Con un cambiamento di variabile si vede che { m/ ϕ( m x n)} è un sistema ortonormale per ogni m fissato. Se indichiamo con V m il corrispondente sottospazio, le corrispondenti funzioni avranno discontinuità in n. m È facile convincersi che m V m = L (R). Allora il sistema {ϕ mn } con ϕ mn (x) = m ϕ( m x n), m, n Z è completo in L (R), ma non è ortogonale perchè come si verifica immediatamente ϕ(x) e ϕ(x) non lo sono. Se, però, prendiamo ψ(x) = ϕ(x) ϕ(x 1) tutto funziona. Infatti {ψ(x n)} è un s.o.n. e ψ(x k) e ψ(x n) sono ortogonali per tutti i k e per tutti gli n appartenenti a Z (Devo, infatti, controllare la ortonormalità sia fra le traslate alla stessa scala, sia fra traslate a scale diverse). Un semplice grafico delle funzioni permette di rendersi conto che sono soddisfatte tutte le relazioni di ortogonalità. Questo ci permette di concludere che {ψ mn } m,n Z è un s.o.n.c. dove ψ mn (x) = m/ ψ( m x n). È il cosiddetto sistema di Haar. Data f L (R) sarà f(x) = m Z (f, ψ mn )ψ mn (x) n Z 7.1
13 dove la doppia serie converge a f in L (R). L approssimazione standard è la serie data da f m (x) = m 1 k= n Z (f, ψ kn )ψ kn (x) Essa converge alla funzione costante a tratti con i salti al più nei punti m n, n, m Z. Quindi, usando la notazione introdotta sopra, f m V m e dall uguaglianza di Parseval otteniamo (f m, ϕ mn ) = m 1 k= j Z Perciò f m è la proiezione di f su V m, cioè (f, ψ kj )(ψ kj, ϕ mn ) = (f, ϕ mn ) f m = m (f, ϕ mn )ϕ mn (x). Nella terminologia delle ondine, ϕ(x) è detta funzione di scala e ψ(x) ondina madre. Se analizziamo nel dettaglio quanto fatto in precedenza, un primo aspetto viene subito in evidenza. La base ψ mn (x) è stata costruita traslando e scalando sempre la stessa funzione. In realtà altre e più profonde sono le caratteristiche. a) La funzione di scala ϕ(x) è associata ad una analisi a multirisoluzione di L (R), ossia una successione di sottospazi {V m } m Z, ognuno contenuto nel successivo, t.c. i) {ϕ(x n)} è una base per V ; ii)... V 1 V V 1... L (R); iii) sse f V m allora f( ) V m+1 ; iv) m V m = {}, m V m = L (R). Inoltre è chiaro che ϕ(x n) è una base per V 1. Poichè ϕ V ϕ V 1, deve accadere che ϕ(x) = c k ϕ(x k) {ck } l, x R. k b) Una volta ottenuta la funzione di scala ϕ(x), essa è utilizzata per costruire l ondina madre ψ(x). Al di là del particolare procedimento utilizzato, ψ(x n) è una base per W, complemento ortogonale di V in V 1 : in altri termini abbiamo V 1 = V W usando la notazione introdotta per il Teorema delle proiezioni. Limitandoci, infatti, per semplicità ad una funzione u(x) nulla fuori dall intervallo [, 1] e costante nei due sottointervalli [, 1 ], [ 1, 1], è chiaro che si può sempre scrivere u(x) = c 1 ϕ(x) + c ψ(x) 7.13
14 e dovrebbe essere, perciò, chiaro il discorso precedente. Una volta determinata ψ(x), è chiaro che m/ ψ( m x n) = ψ mn (x) è una base per W m, spazio ottenuto da W per scalamento. Inoltre W m è il complemento ortogonale di V m in V m+1. Perciò V m+1 = W m V m = W m W m 1 V m 1 =... = V W W 1... W m Passando al limite, allora, avremo L (R) = V ( W m ) D altro canto, effettuando lo scalamento nell altro senso, anche V può essere analogamente decomposto fino ad ottenere L (R) = m Z W m. m= È dunque chiaro che ψ mn è una base per L (R). Consideriamo, ora, lo spazio V 1. Dai discorsi precedenti, poichè V 1 = V W, si vede che per V 1 abbiamo due basi distinte: a) { ϕ(x n)} n Z ; b) {ϕ(x n), ψ(x k)} n,k Z. Presa, dunque, f V 1 abbiamo due sviluppi possibili f = n a 1 n ϕ(x n) f = n a n ϕ(x n) + n b nψ(x n) Per quanto detto sopra ϕ(x n) = k c k ϕ(x n k) mentre non è difficile verificare che ψ(x n) = k ( ) k c 1 k ϕ(x n k). Se sostituiamo queste relazioni nelle espressioni precedenti otteniamo a 1 n = k c n k a k + k ( ) k c 1 n+k b k che è detto algoritmo di ricostruzione. L algoritmo di decomposizione è ancora più semplice. Otteniamo, infatti, a n = k a 1 k c k n, b n = k ( ) k a 1 k c 1 k+n. 7.14
15 Nei due casi la situazione è quella in figura decomposizione: a m n ricostruzione: b n a n b 1 n a 1 n b m 1 n a m 1 n... b m n a m n... b n a n Da questo schema si capisce il motivo del nome analisi a multirisoluzione: si guarda alla funzione ad una certa scala di interesse e si procede poi verso scale sempre più grezze usando l algoritmo di decomposizione. Questo è precisamente quanto si fa nella segmentazione delle immagini, ove si guarda all oggetto (in questo caso una funzione f L (Q) con Q = (, 1) (, 1)) a successive scale di interesse. Similmente, negli algoritmi di compressione delle immagini, si decide la scala più piccola di interesse e si procede poi ad una rappresentazione secondo tale scala, calcolando direttamente i coefficienti a m e ricavando poi i coefficienti a scale più grandi dall algoritmo di decomposizione. Poichè la serie converge incondizionatamente, quello che non è di interesse può essere buttato senza distruggere la convergenza della serie. 7.15
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