Oncologica. Seminari di Ematologia. Terapia continuativa NEL PROSSIMO NUMERO

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1 ISSN Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 8 Numero Seminari di Ematologia Oncologica NEL PROSSIMO NUMERO IL PAZIENTE UNFIT Definizione clinico-biologica Leucemia linfatica cronica Linfoma non Hodgkin Trapianto di cellule staminali emopoietiche Terapia continuativa EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Edizioni Medico Scientifiche - Pavia

2 Terapia continuativa Mieloma multiplo 5 BARBARA LUPO, STEFANIA OLIVA, MARIO BOCCADORO Leucemia mieloide cronica 19 ANTONELLA GOZZINI, ALBERTO BOSI Sindromi melodisplastiche 37 PELLEGRINO MUSTO Leucemia mieloide acuta 67 DOMENICO PASTORE, MARIO DELIA, GIORGINA SPECCHIA Vol. 8 - n Editor in Chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Fondazione IRCCS Ca Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Editorial Board Sergio Amadori Università degli Studi Tor Vergata, Roma Mario Boccadoro Università degli Studi, Torino Alberto Bosi Università degli Studi, Firenze Federico Caligaris Cappio Università Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano Antonio Cuneo Università degli Studi, Ferrara Marco Gobbi Università degli Studi, Genova Fabrizio Pane Università degli Studi, Napoli Mario Petrini Università degli Studi, Pisa Giovanni Pizzolo Università degli Studi, Verona Giorgina Specchia Università degli Studi, Bari Direttore Responsabile Paolo E. Zoncada Registrazione Trib. di Milano n. 532 del 6 settembre 2007 Linfomi non Hodgkin 79 FRANCESCO ZAJA, RENATO FANIN Edizioni Internazionali srl Divisione EDIMES Edizioni Medico-Scientifiche - Pavia Via Riviera, Pavia Tel r.a. - Fax edint.edimes@tin.it

3 2 Periodicità Quadrimestrale Scopi Seminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiornamento che nasce come servizio per i medici con l intenzione di rendere più facilmente e rapidamente disponibili in formazioni su argomenti pertinenti l ematologia oncologica. Lo scopo della rivista è quello di as sistere il lettore fornendogli in maniera esaustiva: a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in forma chiara, aggiornata e concisa; b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gli interessi culturali degli specialisti interessati; NORME REDAZIONALI 1) Il testo dell articolo deve essere editato utilizzando il programma Microsoft Word per Windows o Macintosh. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 5 gg. dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro. 2) L Autore è tenuto ad ottenere l autorizzazione di «Copyright» qualora riproduca nel testo tabelle, figure, microfotografie od altro materiale iconografico già pubblicato altrove. Tale materiale illustrativo dovrà essere riprodotto con la dicitura «per concessione di» seguito dalla citazione della fonte di provenienza. 3) Il manoscritto dovrebbe seguire nelle linee generali la seguente traccia: Titolo Conciso, ma informativo ed esauriente. Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senza abbreviazioni. Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, del 1 Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza. Introduzione Concisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chiara ed esaustiva lo scopo dell articolo. Parole chiave Si richiedono 3/5 parole. Corpo dell articolo Il contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte (2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo stato dell arte aggiornato dell argomento trattato. L articolo deve essere corredato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file ad alta risoluzione (salvati in formato.tif,.eps,.jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, ma aggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione corrispondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numerate con il numero arabo (1) secondo l ordine di comparsa nel testo e comunque in numero non superiore a Seminari di Ematologia Oncologica Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia delle emopatie neoplastiche Bibliografia Per lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultare il sito International Committee of Medical Journal Editors Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals: Sample References. Es. 1 - Articolo standard 1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6 autore et al.) 1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, Marion DW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: Es. 3 - Letter 1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes [Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: Es. 4 - Capitoli di libri 1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano: MacGraw-Hill; 2002; p Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori) 1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica. 2002; 19: (Suppl. 1): S178. Ringraziamenti Riguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA., meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizzazione dell articolo. Edizioni Internazionali Srl Divisione EDIMES EDIZIONI MEDICO SCIENTIFICHE - PAVIA Via Riviera, Pavia Tel r.a. Fax edint.edimes@tin.it

4 3 Editoriale GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERS Fondazione IRCCS Ca Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Nell ultimo decennio notevoli progressi sono stati ottenuti nella terapia delle neoplasie ematologiche grazie a terapie d induzione e di consolidamento diversificate a seconda dell età e delle caratteristiche biologiche della malattia. Nonostante l incremento, a volte significativo, della sopravvivenza globale, le percentuali di pazienti che mantengono a lungo la remissione completa è ancora troppo piccola, per cui è giustificata la necessità di instaurare una terapia continuativa con gli obiettivi di eradicare la malattia minima residua, evitare la recidiva e prolungare il più possibile la durata delle risposte. A questo proposito diverse opzioni sono oggi disponibili grazie a nuovi farmaci in grado di interferire con specifici targets molecolari o patogenetici. Seminari di Ematologia Oncologica ha scelto come esempio alcune delle neoplasie ematologiche più frequenti, dove attualmente la terapia continuativa ha un razionale consolidato con risultati preliminari incoraggianti ed un accettabile profilo di tollerabilità. Nel mieloma multiplo è consigliabile impostare un trattamento con talidomide, lenalidomide o bortezomid per tenere sotto controllo la malattia dopo la fase d induzione sia chemioterapica che trapiantologica. Analogamente in alcuni linfomi maligni ad alto rischio di recidiva, vengono utilizzati anticorpi monoclonali e terapie immunomodulatorie ed epigenetiche. Nelle leucemie mieloidi acute e nelle sindromi mielodisplastiche, dove le recidive refrattarie sono eventi frequenti, è particolarmente sentita la necessità di una terapia continuativa post-remissionale, soprattutto nei pazienti anziani dove l ipotesi trapiantologica è improponibile. Diversi studi sono in corso per valutare l efficacia e la tollerabilità delle citochine, degli agenti ipometilanti e degli inibitori dell angiogenesi e delle tirosinochinasi. Questi ultimi, come è noto, hanno modificato la storia naturale della leucemia mieloide cronica e rappresentano il modello ideale di una terapia continuativa gestita secondo determinate linee guida approvate dalla comunità scientifica. In conclusione, siamo in attesa di conoscere l impatto che i trattamenti a lungo termine avranno sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita di pazienti affetti da determinate neoplasie ematologiche.

5 5 Mieloma multiplo BARBARA LUPO, STEFANIA OLIVA, MARIO BOCCADORO Divisione di Ematologia dell Università di Torino, Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista, Torino Mario Boccadoro n INTRODUZIONE Parole chiave: mieloma multiplo, mantenimento, talidomide, lenalidomide, bortezomib. Indirizzo per la corrispondenza Mario Boccadoro, MD Divisione di Ematologia dell Università di Torino, Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista Via Genova, 3/E Torino mario.boccadoro@unito.it Il mieloma multiplo (MM) è una discrasia plasmacellulare maligna che rappresenta l 1% di tutti i tumori e il 10% delle neoplasie ematologiche. L incidenza varia da 0,4 a 5 casi per abitanti, con una maggiore frequenza nei soggetti maschi residenti in paesi sviluppati, e tra gli afroamericani. L incidenza aumenta notevolmente con l età, con una età media alla diagnosi di 66 anni (tassi di incidenza corretti in base all età: 2,1 e 30,1 nei pazienti di età inferiore e superiore a 65 anni, rispettivamente) (1, 2). Dal punto di vista terapeutico, sono stati ottenuti numerosi progressi negli ultimi 20 anni, in particolare con l introduzione del trapianto autologo di cellule staminali periferiche (ASCT) e più recentemente con l avvento dei nuovi farmaci, talidomide, lenalidomide e bortezomib che hanno un ruolo oramai ben definito nell incremento della sopravvivenza globale (OS) e della progressione libera da malattia (PFS) (3, 4). Nonostante tali progressi il MM resta comunque una malattia incurabile e con un alta probabilità di recidiva; pertanto gli obiettivi principali degli studi di ricerca attuali sono l ottenimento della miglior risposta grazie all utilizzo di una terapia citoriduttiva che utilizzi l associazione di più farmaci, e il controllo della malattia con una terapia in continuo e ben tollerata (5). La terapia di mantenimento intesa come terapia continuativa rappresenta una delle più recenti acquisizioni scientifiche ed ha come obiettivo principale il prolungamento della durata delle risposte ottenute con le terapie d attacco. Tra le prime opzioni terapeutiche nel mantenimento, gli steroidi hanno dimostrato di essere in grado di prolungare la durata della risposta ma con effetti limitati sulla sopravvivenza, come evidenziato in alcuni studi (6, 7). Tra i farmaci utilizzati in passato un ruolo importante ha avuto l interferone (IFN), come dimostrato in uno studio in cui era somministrato come mantenimento dopo induzione con chemioterapia convenzionale e confrontato con un gruppo di pazienti che non erano avviati a nessuna terapia di mantenimento, riportando un prolungamento della sopravvivenza con IFN, soprattutto nel gruppo di pazienti che aveva risposto alla precedente terapia di induzione (P=0,0352) (8). I risultati preliminari di uno studio randomizzato avevano evidenziato un vantaggio nel mantenimento dopo ASCT con IFN; tali dati, però, non sono stati confermati da un follow-up più lungo, che ha mostrato un modesto beneficio in termini di PFS e OS al prezzo di numerosi effetti collaterali (9). I risultati finali di uno studio di fase III hanno in seguito decretato il fallimento dell IFN come terapia di mantenimento, sia dopo ASCT che dopo chemioterapia convenzionale (10). Negli ultimi anni, l avvento dei nuovi farmaci ha permesso di sviluppare ulteriormente la ricerca nel campo della terapia di mantenimento. Diversi studi hanno infatti dimostrato il vantaggio di una terapia in continuo sia alla diagnosi che in reci-

6 6 Seminari di Ematologia Oncologica diva di malattia, e numerosi sono quelli ancora in corso che hanno l obiettivo di valutarne l efficacia e la tollerabilità a lungo termine, come illustrato nei successivi paragrafi. n IL RUOLO DELLA TALIDOMIDE La talidomide, inizialmente usata in Europa come sedativo ipnotico, tranquillante e antiemetico, è stata recentemente introdotta nella terapia di alcune patologie neoplastiche, in particolare nel MM, per le sue proprietà antiangiogenetiche, immunomodulanti e antinfiammatorie, benché il suo preciso meccanismo d azione rimanga tuttora sconosciuto (11-15). Risalgono agli anni 90 i primi studi che hanno dimostrato la sua efficacia nel trattamento del MM in recidiva (16). Sulla base di tali risultati, furono condotti in un secondo momento studi che ne provarono l efficacia anche come terapia di prima linea (17, 18). Inoltre, la possibilità di somministrarla per via orale in maniera continuativa, senza determinare l effetto mielotossico tipico degli agenti alchilanti, ha spinto a valutarne l efficacia come terapia di mantenimento a lungo termine, sia in pazienti giovani sottoposti a ASCT, che in pazienti anziani o non candidabili alla terapia ad alte dosi. La talidomide dopo ASCT I principali risultati dell ultilizzo della talidomide dopo ASCT sono illustrati in tabella 1. Lo studio di fase III Total Therapy 2 (TT2) ha valutato l efficacia dell aggiunta della talidomide durante tutte le fasi del trattamento (dall induzione al mantenimento), dimostrando una sostanziale superiorità del braccio sperimentale rispetto al braccio di controllo. Durante il mantenimento la talidomide veniva somministrata in maniera continuativa fino a progressione di malattia o a sviluppo di tossicità, al dosaggio di 100 mg al giorno durante il primo anno al dosaggio ridotto di 50 mg a giorni alterni, dal secondo anno in poi. Sebbene i primi risultati avessero inizialmente mostrato la superiorità di tale schema rispetto al controllo solo in termini di PFS (19), una recente revisione dei dati dopo un più lungo followup ha evidenziato il vantaggio dell utilizzo della talidomide anche in termini di OS (20). Un altro studio di fase III (21) ha confrontato il ruolo del mantenimento con talidomide e pamidronato (braccio C) dopo chemioterapia standard e ASCT, rispetto al solo pamidronato (braccio B) o a nessun mantenimento (braccio A). In questo caso i pazienti randomizzati nel braccio C ricevevano la talidomide al dosaggio iniziale di 400 mg al giorno, riducibile fino ad un minimo di 50 mg al giorno in caso di tossicità. Studio Terapia di induzione/asct Schema di mantenimento PFS/EFS OS Referenze TT2 - Induzione: chemioterapia IFN+talidomide (100 mg/d il 1 anno, NA NA (20) vs chemioterapia + talidomide 50 mg a giorni alterni dal 2 anno in poi) - Doppio ASCT - Consolidamento: chemioterapia vs chemioterapia + talidomide IFM Doppio ASCT No mantenimento vs pamidronato NA NA (20, 21) vs pamidronato + talidomide ( mg/d) MRC IX trial Pazienti giovani: No mantenimento vs talidomide HR=1.36; No di fferenze (22) CTD vs CVAD -> ASCT (50 mg/d aumentati a 100 mg/d 95% CI1,15-1,61; (p=,40) Pazienti anziani: dopo 4 settimane) p<,001 MP vs CTD ridotto ALLG trial Singolo ASCT Prednisone vs prednisone+talidomide PFS a 3 anni 23% OS: 75% (23) (200 mg/d per 12 mesi) vs 42% (p<,001) vs 86% (p,004) MY.10 NCIC ASCT No mantenimento vs prednisone+talidomide PFS: 17 vs 28 mesi OS a 4 anni 60% (24) 200 mg/d (p<,0001) vs 68% HOVON 50 VAD vs TAD ASCT Interferone a vs talidomide 50 mg/d PFS: 25 vs 34 mesi OS: 60 vs 73 mesi (25) (p<,001) (p=,77) TABELLA 1 - Studi principali della terapia a lungo termine con talidomide dopo ASCT.

7 Mieloma multiplo 7 Nonostante la durata mediana di trattamento in questo gruppo sia stata di soli 15 mesi, il mantenimento con talidomide ha mostrato un vantaggio in termini di miglioramento della qualità della risposta ottenuta dopo ASCT. Un significativo beneficio dal trattamento è stato evidenziato solo nei pazienti che avevano raggiunto una risposta inferiore alla risposta parziale molto buona (VGPR) prima dell inizio del mantenimento, con effetti invece più limitati nei pazienti già in VGPR al momento della randomizzazione. Tale dato supporterebbe l idea che il vantaggio ottenuto con la talidomide sia da attribuire all ulteriore riduzione della massa tumorale più che alla capacità di mantenere la risposta ottenuta. Per quanto riguarda invece l OS, il vantaggio che era stato inizialmente evidenziato a favore della talidomide, non è poi stato confermato dai dati emersi dopo un più lungo follow-up (20). Anche nello studio inglese MRC IX la talidomide è stata utilizzata come mantenimento in associazione a bisfosfonati. In questo caso veniva somministrata in combinazione con ciclofosfamide e desametasone (CTD) già durante la fase di induzione, in alternativa all associazione ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina e desametasone (CVAD). Ogni braccio di trattamento prevedeva inoltre randomizzazione a concomitante terapia con acido zoledronico o a clodronato, somministrati fino a progressione di malattia. I pazienti erano successivamente ulteriormente randomizzati a ricevere o meno terapia di mantenimento con talidomide. Un recente update di questo studio ha riportato una sostanziale parità in termini di OS in entrambi i gruppi (p=0,4), e significativo beneficio in termini di PFS nel gruppo che ha ricevuto mantenimento con talidomide (p<0,001). Un analisi di sottogruppo ha però evidenziato tale beneficio solo nei pazienti con una FISH favorevole, mentre nei pazienti con citogenetica sfavorevole la PFS è risultata simile e l OS addirittura peggiore (p=0,009) (22). Un vantaggio in termini di OS oltre che in termini di PFS è stato riscontrato in uno studio australiano cha ha confrontato la terapia di consolidamento con prednisone e talidomide (somministrata per 12 mesi al dosaggio di 200 mg) rispetto al solo prednisone (OS: 86% vs 75% a 3 anni, P=0,004; PFS: 42% vs 23% a 3 anni, P<0,001) (23). Tale beneficio non è stato evidenziato nella sopravvivenza dopo recidiva, con una sostanziale uguaglianza tra i due gruppi (79% a 1 anno nel braccio sperimentale rispetto al 77% del braccio di controllo, P=0,0237). In questo studio, inoltre, la PFS non è risultata influenzata dalla risposta ottenuta dopo ASCT, diversamente dai dati ottenuti nello studio francese. Anche lo studio americano condotto da Stewart et al. (24) ha confrontato il mantenimento con la combinazione di talidomide e prednisone (T/P) rispetto al solo prednisone, avendo come obiettivo primario l OS. In questo caso però, mentre la PFS è risultata significativamente superiore nel braccio sperimentale, non si sono osservati benefici in termini di OS, a fronte invece di una differenza significativa in termini di tossicità generale [grado 3 (G3) 92% T/P vs 49% controllo, grado 4 (G4) 16% T/P vs 7% controllo]. Risultati analoghi sono stati ottenuti nello studio HOVON 50 (25), in cui i pazienti randomizzati nel braccio sperimentale ricevevano la talidomide sia durante l induzione (al dosaggio di 200 mg al giorno in associazione con adriamicina e desametasone), sia in alternativa all IFN come mantenimento dopo trapianto (al dosaggio di 50 mg al giorno). In questo caso la sopravvivenza dopo recidiva è risultata significativamente inferiore nel braccio sperimentale, anche se la PFS era significativamente superiore nel gruppo di mantenimento con talidomide. Dal punto di vista della tossicità, i principali effetti collaterali emersi nei diversi studi sono rappresentati soprattutto da neuropatia periferica, astenia e stipsi. Una delle principali cause di interruzione del trattamento è la neurotossicità, anche se l incidenza di neuropatia severa è piuttosto limitata. Il rischio di eventi tromboembolici non è risultato particolarmente elevato, diversamente da quanto si verifica durante l induzione, quando probabilmente vi è un rischio maggiore anche in correlazione ad una più elevata massa tumorale. La principale difficoltà nel paragonare questi studi è determinata dal fatto che in alcuni la talido-

8 8 Seminari di Ematologia Oncologica mide veniva somministrata già in fase di induzione, in altri solo durante il mantenimento, dopo induzione con chemioterapia standard. L impatto della pregressa esposizione alla talidomide sul successivo mantenimento è pertanto difficile da valutare. I dati sembrerebbero suggerire che, per minimizzare gli eventi avversi correlati ad una esposizione prolungata, la terapia con talidomide dopo induzione potrebbe avere un ruolo soprattutto in termini di consolidamento, e il trattamento andrebbe interrotto dopo ottenimento della migliore risposta possibile. La talidomide nei pazienti non candidabili al trapianto autologo La terapia di mantenimento con talidomide è stata indagata dopo trattamento di induzione anche nei pazienti anziani o nei pazienti giovani non candidabili al ASCT. I principali risultati dell utilizzo della talidomide in questa categoria di pazienti sono illustrati in tabella 2. Nello studio GIMEMA (26) i pazienti di età compresa fra i 65 e gli 85 anni o più giovani ma non candidabili al trapianto venivano randomizzati alla diagnosi a ricevere terapia di induzione con melphalan-prednisone (MP) o melphalan, prednisone e talidomide (MPT). Alla fine della fase di induzione i pazienti del braccio MPT ricevevano successivo mantenimento con talidomide al dosaggio di 100 mg al giorno. Dopo una mediana di follow-up di 38,1 mesi, la PFS mediana è risultata di 21,8 mesi nel braccio MPT e di 14,5 mesi nel braccio MP, senza però evidenza di differenze significative in termini di OS (45 mesi vs 47,6 mesi, rispettivamente). Un analogo confronto è stato effettuato nello studio HOVON 49 (27), che ha paragonato il trattamento standard MP con lo schema MPT, seguito da mantenimento con talidomide al dosaggio di 50 mg al giorno. Un analisi intention-to-treat condotta nei 333 pazienti valutabili ha mostrato un tasso di risposta superiore nel braccio sperimentale [ remissione parziale (PR): 66% vs 45% rispettivamente, P<0,001], confermandone il vantaggio non solo in termini di sopravvivenza libera da eventi (EFS) (13 mesi nel braccio MPT vs 9 mesi nel braccio MP, p<0,001), ma anche in termini di OS (40 mesi nel braccio MPT vs 31 mesi nel braccio MP, P=0,005) (27). Ludwig et al (28). hanno confrontato il mantenimento con talidomide e IFN vs il solo IFN, dopo terapia di induzione con MP o talidomide e desametasone (TD), osservando un vantaggio significativo in termini di PFS nel mantenimento con IFN e talidomide rispetto al solo IFN (27,7 vs 13,2 mesi, P=0,0068), senza beneficio in termini di OS (52,6 vs 51,4 mesi, P=0,81). L associazione di talidomide e desametasone come terapia di mantenimento è stata invece confrontata con IFNa e desametasone dopo induzione con talidomide, desametasone e doxorubicina liposomiale (ThaDD), sia in pazienti alla diagnosi non candidabili al ASCT, sia in pazienti in recidiva. In entrambe le categorie di pazienti la talidomide ha mostrato un vantaggio sia in termini di PFS che in termini di OS (29). Anche in questo caso, però, il beneficio determinato dalla talidomide è stato osservato solo in pazienti che dopo l induzione avevano raggiunto una risposta <VGPR, a sostegno del fatto che la talidomide migliora la sopravvivenza mediante la riduzione della massa tumorale più che mediante il mantenimento della risposta già ottenuta. Studio Terapia di induzione Mantenimento PFS/EFS OS Referenze GIMEMA MP vs MPT No mantenimento vs talidomide (100 mg/d) PFS: 14,5 OS: 47,6 (26) vs 21,8 mesi vs 45 mesi Hovon 49 MP vs MPT No mantenimento vs talidomide (50 mg/d) EFS mediano: 9 mesi OS: 31 (27) vs 13 mesi vs 40 mesi Ludwig MP vs TD IFN vs IFN+talidomide (100 mg/d) PFS: 16,7 OS: 51,4 (28) et al. vs 20,7 mesi (P=,0068) vs 52,6 mesi, (P=,81) Offidani Tha DD Interferone + prednisone vs prednisone PFS a 2 anni: OS a 2 anni: (29) et al. + talidomide 100 mg/d 32% vs 63% 68% vs 84% (p=,03) TABELLA 2 - Studi principali della terapia a lungo termine con talidomide nei pazienti anziani o giovani non candidabili al ASCT.

9 Mieloma multiplo 9 n IL RUOLO DELLA LENALIDOMIDE La lenalidomide è un farmaco analogo della talidomide e i risultati iniziali degli studi sperimentali indicano che sia più efficace e con un diverso profilo di tossicità, vale a dire una minore tossicità ematologica cumulativa e assenza di neuropatia periferica rispetto alla molecola capostipite. Per queste ragioni lenalidomide rappresenta una valida opzione terapeutica nei pazienti con MM, in particolare numerosi studi sono in corso per valutarne l efficacia nella terapia a lungo termine e nel mantenimento, sia alla diagnosi che nei soggetti in recidiva di malattia. I risultati dei principali studi sono illustrati nella tabella 3. Lenalidomide dopo ASCT Nello studio francese di fase III IFM sono stati arruolati 614 pazienti di età inferiore ai 65 anni che non erano progrediti entro sei mesi dopo ASCT come terapia di prima linea. I pazienti venivano randomizzati a ricevere un consolidamento con lenalidomide (a 25 mg al giorno per 21 giorni al mese per 2 mesi) seguito da un mantenimento con placebo (braccio A) o con lenalidomide alla dose di 10 o 15 mg al giorno (braccio B) fino a recidiva di malattia. Dopo un follow-up mediano di 34 mesi dalla randomizzazione e 44 mesi dalla diagnosi, è stato dimostrato che il consolidamento con lenalidomide migliora la risposta, mentre il mantenimento migliora la PFS mediana (PFS mediano dalla randomizzazione 24 mesi nel braccio A contro i 42 mesi dalla randomizzazione nel braccio B, HR=0,5, P<10-8 ). Tale beneficio è stato dimostrato in tutti i sottogruppi di studio includendo tra le variabili la beta 2 microglobulina, il profilo citogenetico, e la risposta ottenuta dopo il trapianto. L OS a 5 anni dalla diagnosi rimane elevata e simile nei due gruppi di trattamento (83%) (30). In uno studio multicentrico di fase III, i pazienti che avevano raggiunto almeno una malattia stabile (SD) dopo ASCT venivano randomizzati a trattamento giornaliero in continuo a base di lenalidomide al dosaggio di 10 mg o placebo, fino a recidiva. Dopo un periodo di follow-up mediano di 17,5 mesi dall ASCT, i pazienti in terapia continua con lenalidomide hanno mostrato una PFS mediana significativamente superiore rispetto al placebo (42,3 mesi vs 21,8 rispettivamente) ed una riduzione del 60% del rischio Studio Regimi e dosi Risposte Sopravvivenza Referenze RD/Rd Len: 25 mg giorni 1-21; Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12, ogni 28 giorni >VGPR: 50%vs 40% PFS: 19,1 vs 25,3 mesi (33) Len: 25 mg giorni 1-21; Dex: 40 mg giorni 1, 8, 15, 22 ogni 28 giorni >PR: 79%vs 68% OS: 75% vs 87% a 2 anni MPR-R MPR 9 cicli in induzione, Len: 10 mg al giorno giorni 1-21 >PR: 77% PFS: 55% a 2 anni (35) o placebo fino a progressione CR: 16% IFM Consolidamento post ASCT con Len: 25 mg al giorno NA PFS: 42 mesi (30) per 21 giorni per 2 mesi seguito da mantenimento con len OS: 81% a 4 anni da 1 a 15 mg al giorno per 21 giorno contro placebo fino a recidiva. dalla diagnosi CALGB Mantenimento post ASCT con lenalidomide da 10 mg al giorno NA PFS: 42,3 mesi (31) a 15 mg al giorno dopo 3 mesi fino a progressione di malattia 11 deceduti. PAD-MEL PAD in induzione- doppio trapianto (MEL 100) seguito da consolidamento >VGPR 82% PFS: 69% a 2 anni (32) 100 RP-R Len 25 mg al giorno per 21 giorni+ prednisone 50 mg a giorni alterni (dopo LP-L) OS: 86% a 2 anni seguito da mantenimento Len 10 mg al giorno per 21 giorni CR: 66% fino a ricaduta di malattia MM-09 Len 25 mg al giorno per 21 giorni + desametasone 40 mg g1-4,9-12, >PR 61% TTP: 11 mesi (42) per I primi 4 cicli poi solo giorni 1-4 vs placebo + desametasone CR: 14% OS: 29 mesi fino a progressione di malattia MM-010 Len 25 mg al giorno per 21 giorni + desametasone 40 mg g1-4,9-12, >PR 60% TTP: 11 mesi (43) per I primi 4 cicli poi solo giorni 1-4 vs placebo + desametasone CR: 15% OS: NR fino a progressione di malattia TABELLA 3 - Studi principali con lenalidomide come terapia continuativa.

10 10 Seminari di Ematologia Oncologica di progressione della malattia o di morte (P<0,0001). Il tempo mediano alla progressione (TTP) è risultato notevolmente più elevato per il gruppo in trattamento con la lenalidomide (42,3 mesi) rispetto al gruppo placebo (21,8 mesi). Gli effetti collaterali di grado 3-4 più comuni riscontrati dai pazienti in terapia con lenalidomide o o che ricevevano placebo nello studio sono stati la neutropenia (43% rispetto al 9%), la trombocitopenia (13% rispetto al 4%) e le infezioni (16% rispetto al 5%) (31). Un altro recente studio di fase II ha analizzato l efficacia dei nuovi farmaci incorporati sia negli schemi di induzione pre-asct (bortezomibdoxorubicina-desametasone, PAD), sia nel consolidamento post-asct (lenalidomide-prednisone, LP), che nel mantenimento (lenalidomide, L), in pazienti di età compresa tra i 65 e 75 anni: le risposte remissioni parziali (RP) erano del 94% dopo induzione con PAD e 100% dopo consolidamento con LP; le remissioni complete (RC) erano del 13% dopo induzione con PAD, 43% dopo ASCT e 73% dopo consolidamento-mantenimento con LP-L. Il miglioramento delle risposte durante consolidamento è stato raggiunto nel 16% dei pazienti e il 4% di loro ha migliorato ulteriormente durante il mantenimento; questi dati suggeriscono che il bortezomib come induzione e la lenalidomide come consolidamento e mantenimento aumentano le risposte grazie al vantaggio di poter sfruttare l'esposizione sequenziale a diversi farmaci (32). La lenalidomide nei pazienti alla diagnosi non candidabili al trapianto autologo Uno studio di fase III dell'eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) ha confrontato la lenalidomide in combinazione con due diverse dosi di desametasone nei pazienti alla diagnosi. Il primo braccio della randomizzazione prevedeva lenalidomide 25 mg nei giorni 1-21 con alte dosi di desametasone (40 mg nei giorni 1-4, 9-12, e ogni 28 giorni [RD]), il secondo braccio prevedeva lenalidomide con basse dosi di desametasone (40 mg nei giorni 1, 8, 15 e 22 ogni 28 giorni [Rd]). Dopo i primi 4 cicli, i pazienti potevano interrompere tale schema e proseguire con altre opzioni terapeutiche o continuare con lo stesso schema fino a progressione. Nonostante un più elevato tasso di risposta nei pazienti trattati con RD [PR rate: 79% (RD) vs 68% (Rd), P=,008 e VGPR, 42% (RD) vs 24% (Rd), P=,008], la PFS mediana e l OS a 1 e a 2 anni sono risultate significativamente superiori nel gruppo Rd rispetto al gruppo RD [PFS 25,3 mesi (Rd) vs 19,1 mesi (RD), P=0,026; OS a 2 anni 87% (Rd) vs 75% (RD), P=0,0002]. Tossicità di grado 3 si sono verificate in maggior misura nel gruppo RD, le più frequenti erano le trombosi, le infezioni e l astenia; per tale motivo e per la maggiore mortalità precoce, i pazienti appartenenti a tale braccio potevano interrompere prematuramente la terapia ed usufruire dello schema Rd, meno tossico. Come conseguenza l OS a 3 anni non differiva nei due gruppi (75% in entrambi). Una landmark analysis dello studio si è focalizzata sul confronto dell OS a 3 anni in pazienti in cui erano stati utilizzati tre diversi approcci terapeutici e il risultato è stato: OS 55% nei pazienti che avevano discontinuato la terapia dopo 4 mesi e che non avevano proseguito con il trapianto, OS 92% nei pazienti che avevano interrotto a 4 mesi per poi essere avviati al trapianto e OS 79% in coloro che avevano proseguito con l associazione di lenalidomide e desametasone anche dopo i primi 4 cicli. I risultati di questa analisi suggeriscono l importanza di estendere il trattamento nel tempo o di attuare un trattamento di breve durata ma seguita da trapianto autologo (33). Tali dati dimostrano come la ridotta tossicità del braccio Rd si traduca in un incremento della OS. È stato ipotizzato che il desametasone a dosaggio elevato aumenti l effetto tumoricida della lenalidomide, antagonizzandone però maggiormente gli effetti immunomodulatori (34). Nei pazienti non candidabili al ASCT, l uso a lungo termine della lenalidomide riduce il rischio di progressione di malattia utilizzando un profilo di terapia maneggevole in termini di tossicità come dimostrato da uno studio randomizzato di fase III in cui 459 pazienti con nuova diagnosi di mieloma multiplo di età superiore ai 65 anni venivano randomizzati in un braccio che riceveva lenalidomide [R] in continuo al dosaggio di 10 mg al giorno dopo induzione con melphalan [M],

11 Mieloma multiplo 11 prednisone [P], e R (MPR-R), in un secondo braccio che riceveva solo MPR senza successivo mantenimento ed infine in un terzo braccio che riceveva solo MP. I risultati hanno dimostrato che la combinazione MPR-R riduce il rischio di progressione del 58% rispetto all associazione MP (hazard ratio [HR] =0,423; P<0,001). La PFS è risultata superiore nei pazienti che ricevevano R in continuo indipendentemente dal sesso, dallo stadio di malattia, dalla funzionalità renale o dal valore alla diagnosi della beta2-microglobulina. Un analisi landmark ha paragonato MPR-R con MPR ed ha dimostrato che il mantenimento con R riduce il rischio di progressione del 69% rispetto al placebo (HR=0,314; P<0,001). Indipendentemente poi dalla risposta ottenuta dopo induzione, i pazienti trattati con R in mantenimento avevano una PFS prolungata rispetto al gruppo placebo. Neutropenia, trombocitopenia e anemia di grado 3-4 sono state riscontrate rispettivamente nel 71%, 38% e 24% dei pazienti del gruppo MPR- R e nel 30% 14% e 17% del gruppo MP; il mantenimento con R è stato però ben tollerato se lo si paragona col gruppo placebo, con pochi eventi avversi di grado 3-4 e minima tossicità cumulativa, 3% di trombocitopenia rispetto al 2% del placebo, 2% di neutropenia rispetto a 0% e 1% di trombosi venosa profonda rispetto a 0% (35). Lenalidomide nei pazienti recidivati/refrattari La lenalidomide è stata studiata come singolo agente e in associazione con desametasone nei pazienti con MM recidivati/refratttari (36-38); è indicata, in associazione a desametasone nei pazienti che siano stati trattati almeno con una terapia in prima linea (39-40). Sono due gli studi più importanti che hanno valutato l utilizzo in continuo di tale associazione nei pazienti recidivati, paragonata al placebo, riscontrando un miglioramento della quota delle risposte, del TTP e dell OS (41-43). Un analisi di sottogruppo di questi studi ha confrontato i 133 pazienti trattati con lenalidomide e desametasone (Len/Dex) in prima recidiva, con i 221 che hanno ricevuto Len/Dex dopo due o più regimi (44). Le risposte VGPR sono risultate significativamente maggiori nel gruppo Len/Dex in prima recidiva (39,8% contro li 27,7%; P=0,025), così come l OS mediana (42,0 contro 35,8 mesi; P=0,041). L incidenza di eventi avversi, interruzioni di terapia e riduzione di dose è stata simile in entrambi i gruppi, mentre la durata di terapia è risultata superiore nel gruppo Len/Dex alla prima recidiva. In questi studi si è anche dimostrato che il tipo di terapia precedente a Len/Dex ha un discreto impatto sull efficacia e la tollerabilità della successiva terapia: Len/Dex è infatti risultata più efficace del solo desametasone nei pazienti che erano stati precedentemente trattati con talidomide (45). All'interno del gruppo Len/Dex, i pretrattati con talidomide hanno ottenuto una quota di risposte e un TTP inferiore rispetto ai pazienti mai trattati con talidomide, mentre l OS è risultata simile nei due gruppi. Avet Loiseau et al. hanno osservato in un recente studio che la talidomide non influenza i risultati successivi con lenalidomide (46). Altri studi hanno poi dimostrato che terapie precedenti a base di bortezomib sono correlate con un più alto rischio di progressione dopo Len/Dex (47, 48). Lo studio VISTA ha dimostrato che usare o meno bortezomib come terapia di prima linea non influenza poi i risultati di Len/Dex in prima recidiva (49), così come emerso dagli studi in cui Len/Dex era utilizzata dopo ASCT (50). Analizzando i risultati di trials in cui i pazienti erano stratificati in sottogruppi con prognosi infausta (età avanzata, basso performance status, mieloma multiplo IgA, stadio di malattia avanzato, funzionalità renale compromessa, neuropatia periferica) non è stata rilevata un influenza negativa sulle successive risposte a Len/Dex (51-55). La conclusione di questi studi è che l utilizzo di Len/Dex è efficace soprattutto in fase precoce mediante un regime continuativo nei pazienti responsivi e fino a progressione di malattia. Emerge l importanza della terapia con Len/Dex in prima recidiva rispetto ad un trattamento di salvataggio in pazienti pluri chemio-trattati. L efficacia di Len/Dex pare essere indipendente dai tipi di terapia precedenti sebbene in alcuni studi la non risposta alla talidomide risulti correlata ad una minore efficacia, in particolare nei gruppi di pazienti con un intervallo dall ultima assunzione di talidomide superiore a 1 anno.

12 12 Seminari di Ematologia Oncologica Per quanto riguarda la durata della terapia con Len/Dex, gli studi MM-09 e MM-010 hanno evidenziato come il 50% dei pazienti che inizialmente aveva ottenuto una RP abbia ottenuto una VGPR o RC tardivamente grazie a un trattamento continuativo (56). Nel 38% dei casi questo miglioramento era stato ottenuto dopo sei cicli di terapia con Len/Dex, mentre il 7% dei pazienti migliorava la qualità della risposta dopo 12 cicli. I pazienti che ottenevano una RC o una VGPR avevano un TTP prolungato rispetto ai pazienti in PR (27,7 mesi contro i 12,0; P<0,021), da qui l importanza di una terapia continuativa. Fra i pazienti che rispondevano a Len/Dex, coloro i quali continuavano la terapia avevano un rischio inferiore di morte rispetto a coloro che la discontinuavano precocemente per ragioni diverse dalla progressione di malattia, come eventi avversi o ritiro del consenso (57). Ovviamente tutti gli studi concordano sul fatto che il trattamento in continuo debba essere perseguito con la miglior dose tollerata, sia della lenalidomide sia del desametasone. In uno studio di tollerabilità nei pazienti in recidiva di mieloma multiplo Len/Dex era associato a basse percentuali di interruzione di terapia per eventi avversi rispetto a talidomide e bortezomib (6,2 contro 13,3 e 11,1% rispettivamente) (58). Purtroppo non ci sono dati che riguardino invece l efficacia di una terapia in continuo di lenalidomide come monoterapia nei pazienti recidivati. Un analisi retrospettiva degli studi MM-09 e MM-010 ha dimostrato che i pazienti che riducevano il dosaggio di desametasone ottenevano una maggiore efficacia in termini di qualità di risposte (P<0,001), TTP (P<0,005) e OS (P<0,019) (59). Alcuni studi si sono occupati di valutare le modifiche delle dosi di lenalidomide per eventi avversi e hanno dimostrato che, fra i pazienti responsivi, coloro i quali riducevano la dose del farmaco oltre i 12 mesi ottenevano migliori risultati rispetto a coloro che riducevano entro i 12 mesi o a coloro che non la riducevano affatto (60). Ciò implica che un dosaggio pieno di lenalidomide per 12 mesi ha una ricaduta favorevole sull efficacia della terapia e che l eventuale riduzione del dosaggio oltre tale periodo non compromette poi l efficacia del trattametno. n LENALIDOMIDE E INSORGENZA DI SECONDE NEOPLASIE PRIMITIVE A seguito dell osservazione, in tre studi clinici condotti nel mieloma multiplo non precedentemente trattato (due studi - IFM e CALGB nel mantenimento post trapianto e uno - MM015 - nel trattamento di prima linea dei pazienti non candidabili al trapianto) di un numero di secondi tumori primitivi (SPM) più elevato nel braccio lenalidomide rispetto al braccio di controllo, l Agenzia Europea de Medicinali (EMA) ha ritenuto, nel Marzo del 2011, di voler rivalutare il rapporto beneficio - rischio del farmaco nell indicazione autorizzata (mieloma multiplo recidivato-refrattario). La procedura di rivalutazione si è conclusa positivamente con la conferma, per lenalidomide (Revlimid), di un rapporto beneficio/rischio estremamente favorevole nell indicazione autorizzata. Questo esito è stato il risultato di una collaborazione tra l Autorità e l Azienda, che ha presentato una documentazione non solo nell indicazione approvata, oggetto della procedura di reassessment, ma anche nelle nuove indicazioni attualmente in fase di studio (LLC, LNH) e in quella del tutto recentemente sottomessa alle Autorità per approvazione (trattamento del mieloma multiplo mai precedentemente trattato). I dati aggiornati sull incidenza di secondi tumori primitivi (SPM) forniti dall Azienda saranno, in questo caso, oggetto di ulteriore valutazione da parte dell Autorità Regolatoria nell ambito dell esame del dossier registrativo per il rilascio della Marketing Authorization (MA). n IL RUOLO DEL BORTEZOMIB Il bortezomib è il primo inibitore del proteasoma ad essere entrato nella pratica clinica ed approvato per il trattamento del MM. I risultati consolidati che ne hanno mostrato l efficacia e la sicurezza, sia alla diagnosi che in recidiva, hanno spinto a valutarne l'utilizzo come terapia di mantenimento. Lo studio di fase III HOVON 65 ha indagato il ruolo del mantenimento con bortezomib dopo induzione con 3 cicli PAD e ASCT, in alternativa a talidomide, somministrata come terapia

13 Mieloma multiplo 13 di mantenimento dopo induzione con 3 cicli VAD (vincristina, adriamicina e desametasone) (61). I dati emersi mostrano un vantaggio in termini di risposta nel gruppo PAD rispetto al gruppo VAD ( VGPR 41% vs 17%, p=0,001), con un ulteriore incremento dopo ASCT ( VGPR 59% vs 47%, p=0,14) ed una sostanziale superiorità del mantenimento con bortezomib, con un tasso di risposta completa del 27% nel gruppo PAD-B rispetto al 5% del gruppo VAD-T (P=0,001). L efficacia dell utilizzo di regimi terapeutici contenenti bortezomib come consolidamento dopo ASCT è sostenuta anche dai risultati dello studio italiano condotto da Ladetto et al. in pazienti che avevano raggiunto almeno una VGPR dopo ASCT ed avevano un marker molecolare misurabile basato sul riarrangiamento della catena pesante delle immunoglobuline. In questo caso il consolidamento con 4 cicli VTD (bortezomib, talidomide e desametasone) ha determinato un incremento della CR dal 15% dopo trapianto al 49% dopo VTD ed un significativo incremento della remissione molecolare (62). Il mantenimento con bortezomib è stato studiato anche nei pazienti con MM alla diagnosi non candidabili al ASCT. Lo studio spagnolo di fase III ha confrontato il mantenimento con bortezomib e prednisone in alternativa a bortezomib e talidomide, riscontrando in generale un beneficio dalla terapia di mantenimento, con un incremento del tasso di remissione completa dal 24% dopo terapia di induzione al 42% dopo mantenimento, con una PFS leggermente più lunga nel gruppo bortezomib-talidomide rispetto al gruppo bortezomib-prednisone (63). L associazione di bortezomib e talidomide come terapia di mantenimento è stata utilizzata anche in uno studio italiano di fase III che prevedeva il confronto tra induzione con la combinazione di quattro farmaci (bortezomib-melphalan-prednisone-talidomide, VMPT) seguita da mantenimento con bortezomib-talidomide (VT) in alternativa a bortezomib-melfalan e prednisone (VMP) senza successivo mantenimento. L associazione VMPT- VT è risultata superiore allo schema VMP in termini di risposte e PFS, ma il beneficio effettivo determinato dal successivo mantenimento con VT non è determinabile, a causa dell assenza di una seconda randomizzazione dopo la fase di induzione e del follow-up relativamente breve. Pochi pazienti hanno però ottenuto un miglioramento Studio Terapia di induzione/asct Mantenimento Risposta PFS/ES Referenze HOVON-65/ VAD vs PAD Talidomide 50 mg/d CR globali incluso il mantenimento: NA (61) GMMG-HD4 ASCT vs bortezomib 1,3 mg/mq 5% vs 27% (P=.001) ogni 2 settimane per 2 anni Ladetto ASCT 4 cicli VTD (bortezomib 1,6 mg/mq Incremento remissione molecolare NA (62) et al. al mese+talidomide 200 mg/d+ dal 3% dopo ABMT al 18% desametasone 20 mg/d ai giorni dopo VTD 1, 4, 8, 11, 15 e 18) Mateos VMP vs VTP Bortezomib (1,3 mg/mq g 1, 4, CR: 39% vs 44% PFS mediana: (63) et al. 8, 11 ogni 3 mesi) + prednisone 24 mesi (50 mg a giorni alterni) vs Bortezomib vs 32 mesi (P=0,1) (1,3 mg/mq g 1, 4, 8, 11 ogni 3 mesi) + talidomide (50 mg/d) per 3 anni Palumbo VMP vs VMPT No mantenimento vs Bortezomib CR globali: 24 vs 38% PFS a 3 anni: (64) et al. 1,3 mg/mq ogni 2 settimane + 41 vs 56% talidomide 50 mg/d per 2 anni (P=,008) Benevolo NA Bortezomib 1,3 mg/mq ogni 2 settimane PR: 76% PFS a 1 anno 61% (65) et al. + desametasone 20 mg/d g 1-2 e ogni 28 giorni Dispenzieri Bortezomib Bortezomib 1,3 mg/mq ogni 2 settimane PR: 48% P PFS mediana: 7,8 mesi (66) et al. TABELLA 4 - Studi principali con bortezomib come terapia continuativa.

14 14 Seminari di Ematologia Oncologica della risposta durante i primi sei mesi del mantenimento, verosimilmente in correlazione al fatto che la maggiore influenza sul tasso di risposta è determinata soprattutto dalla fase di induzione (64). Il mantenimento con bortezomib in associazione al desametasone è stato invece valutato in uno studio italiano condotto in pazienti con mieloma multiplo refrattario o in recidiva dopo iniziale risposta a trattamento di salvataggio contenente bortezomib. Dei 49 pazienti inizialmente arruolati, 7 hanno ottenuto un miglioramento della risposta (4 CR e 3 VGPR), con una mediana di TTP di 16 mesi e una PFS del 61% a un anno (65). Il gruppo della Mayo Clinic ha invece valutato il ruolo del bortezomib single agent come terapia di induzione, mantenimento e re-induzione in pazienti con MM ad alto rischio (livelli di ß2microglobulina 5,5 mcg/ml, plasma cell labeling index 1%, delezione del cromosoma 13), ottenendo un tasso di risposta complessiva all induzione pari al 48% (66). Come dimostrato anche da questi studi, i più comuni eventi avversi correlati alla terapia con bortezomib sono rappresentati da astenia, neuropatia periferica, disturbi gastrointestinali, riattivazione di herpes virus, trombocitopenia e neutropenia. Il ruolo del bortezomib come terapia di consolidamento/mantenimento è ancora in fase di definizione. È possibile che, analogamente alla talidomide, possa avere un ruolo soprattutto come consolidamento, considerato il fatto che una sua prolungata somministrazione è gravata dal potenziale rischio di neuropatia periferica irreversibile. La possibilità di infusioni a dosaggio ridotto, come sperimentato in alcuni di questi studi, o la somministrazione per via sottocutanea anziché endovenosa potrebbero permettere di beneficiare dei vantaggi di un trattamento prolungato, senza peggioramento della tossicità. n CONCLUSIONI Se si guarda al disegno degli studi clinici in corso, si osserva un profondo cambiamento rispetto a pochi anni or sono. Nella maggior parte degli studi sia nei soggetti giovani sia anziani la terapia si divide in blocchi con una fase di induzione, una di consolidamento ed a seguire un mantenimento. Si tende quindi a impostare una terapia continuativa che tenga sotto controllo la malattia in ogni sua fase. I cambiamenti sono certamente dovuti all introduzione dei farmaci immunomodulanti talidomide e lenalidomide che vengono integrati nella terapia. Entrambi i farmaci sono stati somministrati per periodi prolungati di tempo. Tuttavia soprattutto la neuropatia ha impedito alla talidomide di essere un farmaco per il trattamento in continuo. La lenalidomide è stata approvata per essere somministrata in continuo nel MM recidivato e refrattario. Per la sua efficacia e per l assenza d importanti effetti collaterali è stata quindi valutata in vari studi sperimentali come terapia continuativa di mantenimento dopo terapia convenzionale e dopo trapianto autologo. Anche il ruolo del bortezomib è ancora in fase di sperimentazione: i primi risultati ne evidenziano l utilità soprattutto in fase di consolidamento, anche se l uso di schemi a dosaggio ridotto e la somministrazione sotto cute potrebbe ridurre il rischio di neurotossicità, consentendone così l utilizzo a lungo termine. I risultati preliminari della terapia di mantenimento mostrano differenze altamente significative dell EFS, solo in uno studio si ha aumento della sopravvivenza (31). Certamente sono questi i più promettenti risultati presentati dalla letteratura negli ultimi anni. Occorre tuttavia prolungare l osservazione di questi pazienti per verificare se l allungamento della fase di remissione si traduce in un aumento della sopravvivenza, se esistono dei sottogruppi di pazienti in cui l'efficacia è maggiore ed infine valutare tossicità e qualità di vita dei pazienti sottoposti ad un prolungato trattamento. n BIBLIOGRAFIA 1. Altieri A, Chen B, Bermejo JL, et al. Familiar risk and temporal incidence trends of multiple myeloma. Eur J Cancer. 2006; Alexander DD, Mink PJ, Adami HO, et al. Multiple myeloma: a review of the epidemiologic literature. Int. J Cancer. 2007; 120: Kumar SK, Rajkumar SV, Dispenzieri A, et al. Improved survival in multiple myeloma and the impact of novel therapies. Blood. 2008; 111: Kastritis E, Zervas K, Symeonidis A, et al. Improved

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19 19 Leucemia mieloide cronica ANTONELLA GOZZINI, ALBERTO BOSI AOU Careggi, SODc Ematologia, Università degli Studi di Firenze Antonella Gozzini n INTRODUZIONE La leucemia mieloide cronica (LMC) è stata la prima neoplasia ad essere associata ad una specifica alterazione genetica, il cromosoma Philadelphia (Ph+), la cui identificazione (1) e la seguente scoperta del gene chimerico BCR-ABL ha portato alla comprensione biologica della malattia. Questo, a sua volta, ha condotto allo sviluppo sia della target therapy che delle metodiche molecolari per monitorarne l andamento (2). La combinazione di questi eventi ruota attorno ad un disegno terapeutico che è l invidia della oncologia. La LMC è una neoplasia mieloproliferativa, relativamente rara con una incidenza di 1,1-1,8 nuovi casi/ abitanti caratterizzata da una traslocazione cromosomica aberrante che si identifica nel cromosoma Ph+. Tale traslocazione fonde due geni, la cui combinazione attiva costituisce una proteina tirosino-chinasica (TK) intracellulare, denominata Bcr/Abl. La scoperta dell inibitore specifico della TK, Imatinib mesilato (STI571-Gleevec/Glivec, Novartis Pharmaceuti - Parole chiave: Leucemia mieloide cronica (LMC), inibitori delle tirosino chinasi (TKis), risposta citogenetica completa (CCyR), Imatinib. Indirizzo per la corrispondenza Antonella Gozzini Largo Brambilla, Firenze antonella.gozzini@unifi.it cals, EAST Hanover, NJ, USA), ha drammaticamente cambiato lo scenario terapeutico della malattia, dimostrando, nello studio registrativo di fase III IRIS (Internation Randomized Study of Interferon vs STI571) una superiore efficacia di Imatinib in confronto al trattamento standard interferone alpha (IFN-a) + citarabina (Ara-C) in pazienti affetti da LMC-fase cronica (FC) di nuova diagnosi (3, 4). L importanza di questa rivoluzione terapeutica ha portato la European Leukemia Network (ELN) a consultare un gruppo di esperti che creassero raccomandazioni utili alla comunità scientifica sulla gestione delle LMC Ph+ trattate con Imatinib (Tabella 1) (5). Rapidamente sono stati disponibili dati di efficacia anche fuori dall ambito di studi clinici controllati, il followup si allungava e la conoscenza di meccanismi di resistenza ai TKI diventava sempre più ricca e dettagliata. Nel frattempo altri inibitori delle TK sono stati sviluppati e testati sia in vitro che in studi clinici, e due di questi (dasatinib, Sprycel, Bristol Myers Squibb e nilotinib, Tasigna, Novartis) sono stati registrati per il trattamento dei pazienti affetti da LMC resistenti a Imatinib e/o intolleranti (6). Per queste ragioni è stato necessario rivalutare i fattori che influenzano la risposta a imatinib e capire quali risposte cliniche, tra l ematologica, citogenetica o molecolare (Tabella 2), influenzassero l outcome a lungo termine di questi pazienti, per attuare strategie terapeutiche in grado di superare la resistenza instauratasi (Tabella 3 per la valutazione della risposta). Sempre per questa ragione, sebbene i dati di efficacia ed il follow-up dei pazienti trattati con inibitori di seconda genera-

20 20 Seminari di Ematologia Oncologica Fase di malattia Fase cronica Prima linea Tutti i pazienti Seconda linea Intolleranti a Imatinib Subottimali a Imatinib Fallimento a Imatinib Terza linea Risposta subottimale a Dasatinib o Nilotinib Fallimento a Dasatinib o Nilotinib Fase accelerata o blastica Prima linea, pazienti che sono naive ai TKIs Seconda linea, pazienti con precedente trattamento con Imatinib Raccomandazioni Imatinib 400 mg/di Dasatinib o Nilotinib Continuare Imatinib alla stessa dose; Imatinib a dose incrementata; Dasatinib o Nilotinib Dasatinib o Nilotinib; trapianto allo genico di cellule staminali nei pazienti. Con storia di fase accelerata o blastica o pazienti che presentano la mutazione T315I. Proseguire con TKI di 2G, con opzione trapiantologica per i pazienti con caratteristiche di warning (resistenza ematologia a Imatinib pregressa, mutazioni) e in pazienti con uno score prognostico trapiantologico (EBMT-European Group of Blood and Marrow Transplantation) < o=2 Trapianto allo genico di cellule staminali emopoietiche Trapianto allogenico, preceduto da Imatinib ad alte dosi (600 mg/di o 800 mg/di, Dasatinib o Nilotinib in caso di mutazioni scarsamente sensibili a Imatinib Trapianto allo genico, preceduto da Dasatinib o Nilotinib TABELLA 1 - Raccomandazioni ELN (European Leukemianet) sul trattamento della Leucemia Mieloide Cronica (LMC) per le diverse fasi di malattia (7). zione siano ancora scarsi, è stato altresì necessario provvedere alla stesura, seppure provvisoria, di una sorta di raccomandazioni per valutarne la risposta e per identificare soprattutto i pazienti candidabili ad una procedura di trapianto allogenico (7). Il tentativo è quello di raggiungere la sopravvivenza del 100% dei pazienti trattati ed una normale qualità di vita. Le definizioni di risposta ematologica, citogenetica e molecolare, la valutazione della risposta a Imatinib e le raccomandazioni ELN del 2009 sono riprodotte nelle tabelle 1, 2 e 3. n RISPOSTA CITOGENETICA MAGGIORE: IMATINIB IN PRIMA LINEA L IFN è stato il primo farmaco a provocare una marcata riduzione della percentuale delle cellule Ph+ midollari nei pazienti affetti da LMC, e la combinazione con Ara-C ha dimostrato un incremento della percentuale del raggiungimento della major cytogenetic response (MCyR) e un allungamento della sopravvivenza rispetto al trattamento con IFN da solo (8); infatti si era appreso nel corso degli anni che l ottenimento di una risposta citogenetica correlava con la sopravvivenza. L avvento ed il successo di Imatinib nel trattamento della LMC ha quindi decisamente cambiato l algoritmo terapeutico. Lo studio randomizzato IRIS ha largamente confermato la superiorità di Imatinib su IFN+Ara-C nel trattamento di LMC- FC in prima linea. Lo studio IRIS ha arruolato 1106 pazienti affetti da LMC-FC di nuova diagnosi (random 1:1; n=553 in Imatinib 400 mg/d; n=553 in IFN+Ara-C) in un periodo di 6 mesi tra il 2000 e il Nel protocollo era previsto un cross-over per coloro che dimostravano intolleranza o perdita di efficacia al trattamento iniziale assegnato, oppure per chi volontariamente voleva interrompere il trattamento con IFN e Ara-C in assenza di intolleranza e/o resistenza. Questo grazie ad un emendamento redatto dopo soli 24 mesi dall inizio dello studio dopo aver valutato i preliminari incredibili dati di efficacia nel braccio Imatinib 400 mg/d (3-4). Il follow-up a 8 anni mostra una event free survival (EFS) del 82% per i pazienti trattati con Imatinib con un 92% di progression free sur-

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