Formule di Area e Coarea
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- Beatrice Carli
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1 Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Matematica Formule di Area e Coarea Candidato: Dario Prandi Relatore: dott. Gian Paolo Leonardi Anno Accademico 007/008 - Sessione
2 Indice Introduzione i 1 Nozioni introduttive di Teoria della Misura Misure Funzioni Misurabili Teoremi per il calcolo integrale Teorema di ricoprimento di Besicovitch Misura di Hausdorff 10.1 Misura di Hausdorff Prime proprietà Dimensione di Hausdorff H n = L n Simmetrizzazione di Steiner Misura di Hausdorff e funzioni lipschitziane Funzioni lineari e differenziabilità 3.1 Funzioni Lineari e Jacobiani Teoremi sulla differenziabilità Formula di Area Dimostrazione della formula di area Formula di Cambio di Variabile Formula di Coarea Costruzione preparatoria Dimostrazione della formula di coarea Decomposizione di integrali multipli Applicazioni Applicazioni della formula di Area Lunghezza di una curva Area di un grafico Volume su sottovarietà di R n Applicazioni della formula di coarea Coordinate Polari Linee di livello A Notazione 48 A.1 Vettori e insiemi A. Funzioni A.3 Misure A.4 Altre notazioni
3 Introduzione Lo scopo di questa tesi è arrivare ad una esauriente e dettagliata esposizione delle formule di area e coarea. La formula di area può essere vista come una generalizzazione della classica formula per il calcolo del volume n-dimensionale dell immagine f(a) di un insieme A tramite la mappa f: L n (f(a)) = det Df(x) dl n (x), (1) A dove A è un dominio di R n, f è un diffeomorfismo e L n è la misura di Lebesgue su R n. La formula di coarea, d altra parte, estende il ben noto teorema di Fubini sulla decomposizione delle misure prodotto, e in particolare della misura di Lebesgue: L m (A) = L m n (A y ) dl n (y), () R n dove A y = {z R m n (z, y) A}. In entrambe le formule entra in gioco una funzione lipschitziana f : R m R n assieme allo jacobiano Jf, definito L m -quasi ovunque su A. Inoltre, esse richiedono l utilizzo della misura di Hausdorff s-dimensionale su R N (indicata con H s ), una generalizzazione della misura di Lebesgue particolarmente adatta per misurare insiemi a dimensione inferiore o uguale a quella dello spazio (euclideo) nel quale sono immersi. In particolare, la formula di area afferma che, nel caso m n e comunque preso un insieme L m -misurabile A R m, si ha Jf(x) dl m (x) = H 0 (f 1 (y) A) dh m (y), (3) A R n dove H 0 coincide con la misura che conta e Jf(x) è lo jacobiano di f definito per quasi ogni x A come Jf(x) = det(df(x) Df(x)) e corrispondente al fattore di conversione del volume m-dimensionale associato alla trasformazione f. D altro canto la formula di coarea, strettamente legata alla formula di area in un senso che sarà più chiaro in seguito, dice che, quando m n e A R m è L m -misurabile, Jf(x) dl m (x) = A H m n (f 1 (y) A) dh n (y), R n (4) dove in questo caso Jf(x) = det(df(x) Df(x) ). Oltre all evidente somiglianza formale delle due formule, la (3) e la (4) si riducono alla (1) nel caso in cui m = n e f i
4 INTRODUZIONE ii sia iniettiva su A. Successivamente si vedrà che, con poco sforzo, sarà possibile ottenere come corollario la formula di cambio di variabile (4.8) e la formula di coarea per la decomposizione di integrali multipli. Per una migliore trattazione, la tesi è suddivisa in vari capitoli: nei primi tre sono raccolte le nozioni introduttive necessarie per poter comprendere e successivamente dimostrare le formule di area e coarea; gli ultimi due capitoli, invece, sono dedicati alle dimostrazioni e a qualche applicazione delle suddette formule. Più in dettaglio, nel primo capitolo daremo alcune nozioni introduttive e risultati classici di teoria della misura, omettendo nella maggior parte dei casi le dimostrazioni. Il secondo capitolo riguarda la misura di Hausdorff, la sua definizione ed alcune sue proprietà fondamentali, e contiene un breve cenno al concetto di dimensione di Hausdorff. In particolare verrà dimostrata l uguaglianza H n = L n su R n, facendo uso di argomenti di carattere fortemente geometrico, come la simmetrizzazione di Steiner e la disuguaglianza isodiametrica. Per maggiore chiarezza espositiva sono state aggiunte, dove sembrava opportuno, alcune illustrazioni che visualizzano l idea geometrica alla base dei procedimenti utilizzati. Nel terzo capitolo sono riportati alcuni teoremi di algebra lineare che saranno utili in seguito, come ad esempio la decomposizione polare e il teorema 3.8. Alla dimostrazione di quest ultimo è stata rivolta particolare attenzione, in quanto difficilmente rintracciabile in letteratura; quella qui riportata è la generalizzazione al caso rettangolare di quella trovata in []. Viene poi richiamata la definizione di differenziabilità per una funzione f : R m R n, unitamente alla definizione di jacobiano e risultati ad essa connessi (in particolare un importante teorema di decomposizione, il teorema 3.18, che sarà fondamentale nei due capitoli seguenti). I tre capitoli successivi sono centrali nell economia della tesi. Il quarto è interamente dedicato alla dimostrazione della formula di area, secondo lo schema utilizzato in [4] e [7] (si veda anche [6]), nonché ad alcune sue conseguenze immediate; nel quinto, invece, viene dimostrata la formula di coarea, tramite un procedimento che prende spunto in parte dalla dimostrazione contenuta in [3], in cui viene messa in evidenza la stretta dipendenza dal teorema di Fubini e dalla formula dell area, in parte da quella utilizzata in [4]. Queste scelte e integrazioni di varie tecniche dimostrative sono state fatte con l intento di fornire dimostrazioni chiare, rigorose e, al contempo, sufficientemente generali delle formule anzidette. Infine nel capitolo 6 vengono presentate alcune applicazioni delle due formule. Le dimostrazioni dei risultati contenuti nei primi tre capitoli, soprattutto di quelli nei capitoli 1 e 3, sono state in buona parte omesse, in quanto standard o comunque al di là degli scopi della tesi. Salvo diversa indicazione, il testo a cui far riferimento per tali dimostrazioni è [4].
5 Capitolo 1 Nozioni introduttive di Teoria della Misura In questo capitolo sono raccolte notazioni, definizioni e risultati di teoria della misura che saranno utilizzati anche nei capitoli seguenti. Come già accennato nell introduzione, per le dimostrazioni qui omesse, salvo diversa indicazione, si rimanda a [4]. 1.1 Misure Definizione 1.1. Sia X un insieme, e µ : X [0, + ] è detta misura se gode delle seguenti proprietà (i) µ( ) = 0, (ii) monotonia: Se A B allora µ(a) µ(b), (iii) σ-subadditività µ ( A i) µ(a i) per ogni successione di insiemi A i X. Nota. Abbiamo qui definito come misura quella che in molti testi viene chiamata misura esterna, adottando la convenzione utilizzata, in particolare, in [4] e [7]. Definizione 1.. Un insieme A X viene detto µ-misurabile se per ogni B X si ha µ(b) = µ(b A) + µ(b \ A). Teorema 1.3 (Proprietà degli insiemi misurabili). Siano A e {A k } k=1 insiemi µ-misurabili. Allora valgono le seguenti affermazioni: (i) gli insiemi X \ A, k A k e k A k sono µ-misurabili, (ii) σ-additività: Se gli insiemi {A k } k=1 sono disgiunti, allora ( ) µ A k = k=1 k=1 1 µ(a k ),
6 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA (iii) se A 1... A k A k+1..., allora ( ) µ A k = lim µ(a k) k k=1 (iv) se A 1... A k A k+1... e µ(a 1 ) <, allora ( ) µ A k = lim µ(a k) k k=1 Definizione 1.4. Una famiglia di A X viene detta σ-algebra se gode delle seguenti proprietà: (i), X A, (ii) A A implica X \ A A, (iii) A k A, k N implica k A k A. Nota. Risulta evidente che per le proprietà enunciate in precedenza la famiglia degli insiemi µ-misurabili forma sempre una σ-algebra. Definizione 1.5. Viene detta σ-algebra di Borel su R n la più piccola σ-algebra contenente gli insiemi aperti di R n. I suoi elementi sono detti boreliani. Nota. Dalla definizione 1.4 è chiaro che la σ-algebra di Borel contiene anche tutti gli insiemi chiusi di R n. Definizione 1.6. Un insieme A X è detto σ-finito rispetto a µ se esiste una successione {B k } k=1 di insiemi µ-misurabili con µ(b k) < per ogni k N tale che A = k B k. Definizione 1.7. (i) Una misura µ su X è detta regolare se per ogni A X esiste un insieme B µ-misurabile tale che A B e µ(a) = µ(b). (ii) Una misura µ su R n è detta di Borel se tutti i boreliani sono µ-misurabili. (iii) Una misura µ su R n è detta di Borel regolare se è di Borel e per ogni A R n esiste un boreliano B tale che A B e µ(a) = µ(b). (iv) Una misura µ su R n è detta di Radon se µ è di Borel regolare e per ogni K R n compatto µ(k) <. Diamo ora un criterio, detto di Caratheodory, che permette di determinare se una misura µ è di Borel.
7 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 3 Teorema 1.8 (Criterio di Caratheodory). Una misura µ su R n è di Borel se e solo se comunque presi due insiemi A, B R n con d(a, B) > 0, si ha µ(a B) = µ(a) + µ(b). Definizione 1.9. Una proprietà p(x) viene detta essere vera µ-quasi ovunque su A (spesso scriveremo µ-q.o. su A) se esiste un insieme B A con µ(b) = 0 tale che p(x) è vera per ogni x A. \ B Teorema 1.10 (Approssimazione di insiemi misurabili). Sia µ una misura di Radon su R n allora comunque preso A R n e, se A è µ-misurabile, 1. Funzioni Misurabili µ(a) = inf {µ(u) U A, U aperto} µ(a) = sup {µ(k) K A, K compatto}. Estendiamo ora la nozione di misurabilità dagli insiemi alle funzioni. Per tutta la sezione X sarà un insieme su cui è definita una misura µ e Y uno spazio topologico. Definizione Una funzione f : X Y è detta misurabile se comunque preso un aperto U Y, f 1 (U) è µ-misurabile. Teorema 1.1. Sia f : X [0, + ] una funzione µ-misurabile. successione {A k } k=1 di insiemi µ-misurabili in X tali che Allora esiste una f = k=1 1 k χ A K, dove χ Ak indica la funzione caratteristica di A k. Dimostrazione. Sia A 1 := {x X f(x) 1}, quindi possiamo definire per induzione A k := x X f(x) 1 k 1 k + 1 j χ A j. Dalla definizione di A k si ottiene immediatamente f k=1 1 k χ A K. j=1
8 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 4 Se f(x) = +, allora x A k per ogni k. D altra parte, se 0 f(x) < +, allora per infiniti n, x / A n. Quindi per infiniti n si ha n f(x) k χ A K 1 n. k=1 Il seguente teorema sta alla base del teorema 3.18, che permette di rendere molto più semplice la dimostrazione delle formule di area e coarea (vedi (4.1) e (5.1)). Teorema 1.13 (Teorema di Egorov). Sia µ una misura su R m e siano f k : R m R n funzioni µ-misurabili per ogni k N. Sia poi A R m un insieme µ-misurabile con µ(a) <, tale che f k f µ-q.o. su A. Allora per ogni ε > 0 esiste un insieme µ-misurabile B A tale che µ(a \ B) < ε e f k f uniformemente su B. Nel caso in cui µ sia di Radon l insieme B può essere scelto compatto. Dimostrazione. Definiamo C i,j := k=j {x A : f k (x) f(x) > 1 i }, i, j N. Allora C i,j+1 C i,j per ogni i e j, e quindi, poiché µ(a) <, lim µ(a C i,j) = µ A C i,j = 0. j j=1 Quindi esiste un intero N(i) tale che µ(a C i,n(i) ) < ε/ i+1. Sia B := A \ i C i,n(i). Allora µ(a \ B) µ(a C i,n(i) ) < ε, (1.1) e comunque presi i N, x B, e per ogni k N(i), si ha f k (x) f(x) 1 i. Quindi f k f uniformemente su B = B. Nel caso in cui µ sia di Radon, per il teorema 1.10 è possibile scegliere B B compatto e tale che µ(b \ B) < ε/, da cui per la (1.1) si ottiene µ(a \ B) < ε.
9 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 5 Corollario Sia µ una misura su R m e siano { f 1 k } k=1,..., { f p k } k=1 successioni di funzioni µ-misurabili. Sia poi A R m un insieme µ-misurabile con µ(a) <, tale che f i k f i µ q.o. su A per ogni i = 1,..., p. Allora per ogni ε > 0 esiste un insieme µ-misurabile B A tale che µ(a \ B) < ε e f i k f i uniformemente su B per k e per ogni i. Nel caso in cui µ sia di Radon l insieme B può essere scelto compatto. Dimostrazione. È sufficiente applicare il teorema 1.13 separatamente a ciascuna delle {fk i} k=1 ottenendo quindi un numero finito di insiemi B 1,..., B p sui quali si ha la convergenza uniforme a f 1,..., f p e tali che, per ogni i, µ(a \ B i ) < ε/p. A questo punto basta definire B = p B i ed osservare che, nel caso µ sia di Radon, si può scegliere B i compatto per ogni i = 1,..., p, per cui B risulta compatto a sua volta. 1.3 Teoremi per il calcolo integrale Poniamo da cui si ha f + := max(f, 0), f := max( f, 0), f = f + f e f = f + + f. Definizione Una funzione ϕ : X [, + ] è detta funzione semplice se ϕ(x) è numerabile. Definizione Se ϕ è una funzione semplice, µ-misurabile e con ϕ 0 definiamo ϕ dµ := y µ(ϕ 1 (y)). 0 y Se ϕ è una funzione semplice, µ-misurabile e ϕ + dµ < o ϕ dµ <, diremo ϕ una funzione semplice µ-integrabile e definiremo ϕ dµ := ϕ + dµ ϕ dµ Definizione Sia f : X [, + ] una funzione µ-misurabile. Definiamo integrale superiore di f { } fdµ := inf ϕ idµ ϕ è una funzione semplice µ-integrabile con ϕ f µ-q.o. è integrale inferiore di f { } fdµ := sup ϕ dµ ϕ è una funzione semplice µ-integrabile con ϕ f µ-q.o..
10 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 6 Diremo che f è µ-integrabile se fdµ = fdµ, ed in tal caso possiamo fdµ := fdµ = fdµ. Diremo infine che f è µ-sommabile nel caso in cui sia µ-integrabile e f dµ <. Definizione Data f : X [, + ] µ-sommabile, definiamo l integrale sull insieme A X di f come fdµ = fχ A dµ. A Teorema 1.19 (Lemma di Fatou). Siano f n : X [0, ] funzioni µ-misurabili con n N. Allora lim inf f n dµ lim inf f n dµ. n n Teorema 1.0 (Teorema di convergenza monotona). Siano le funzioni f n [0, + ] µ-misurabili per n N, con f 1... f n f n+1..., allora lim f ndµ = lim f n dµ. n n : X Teorema 1.1 (Teorema di convergenza dominata). Siano g una funzione µ-sommabile e f, {f n } n=1 funzioni µ-misurabili. Se f n g e f n f µ-q.o. per n, allora f n f dµ = 0. lim n Proposizione 1.. Siano f : X R una funzione µ-sommabile e {E k } una successione di sottoinsiemi disgiunti e misurabili di R n tali che dove A R n. Allora A A = f dµ = E k, k=1 k=1 E k f dµ. Dimostrazione. Per la definizione 1.18, possiamo scrivere f dµ = fχ A dµ = fχ Ek dµ, A nell ultimo termine della quale possiamo scambiare il simbolo di sommatoria con quello di integrale applicando il teorema di convergenza dominata, usando come successione { k fχ E i } k=1 e come funzione dominante f. k=1
11 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 7 Definizione 1.3. Sia µ una misura su X e ν una misura su Y Definiamo la misura µ ν : X Y [0, ] come { } (µ ν)(s) := inf µ(a i )ν(b i ) S X Y, dove l inf è su tutte le famiglie di insiemi µ-misurabili {A i } X {B i } Y tali che S (A i B i ). La misura µ ν è detta misura prodotto di µ e ν. e ν-misurabili Teorema 1.4 (Teorema di Fubini). Sia µ una misura su X e ν una misura su Y, allora se f : X Y [, + ] è (µ ν)-sommabile, si ha che y f(x, y)dµ(x) è ν-integrabile, e vale X Y X x X fd(µ ν) = = f(x, y)dν(x) è µ-integrabile Y X [ [ X Y ] f(x, y)dµ(x) dν(y) ] f(x, y)dν(y) dµ(x). Definizione 1.5. Definiamo misura di Lebesgue 1-dimensionale L 1 su R come { } L 1 (A) := inf diam C i A C i, C i R, A R, e, per induzione, misura di Lebesgue n-dimensionale su R n come L n := L n 1 L 1 = L } 1. {{.. L } 1 = L n k L k. n volte 1.4 Teorema di ricoprimento di Besicovitch Riportiamo qui il teorema di ricoprimento di Besicovitch ed un suo corollario, che verrà usato nel corso della dimostrazione delle formule di area e coarea per estendere la validità delle formule da un ricoprimento di A a tutto l insieme.
12 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 8 Definizione 1.6. Una famiglia F di palle chiuse di R n è un ricoprimento di un insieme A R n se A B. B F F è un ricoprimento fine di A se, in aggiunta, per ogni x A e ε > 0, esiste δ (0, ε) tale che B(x, δ) F. Teorema 1.7 (Teorema di ricoprimento di Besicovitch). Esiste una costante ζ(n), dipendente unicamente da n, con la seguente proprietà: se F è una qualunque famiglia di palle chiuse non degeneri di R n, con sup {diam B B F} < e se A è l insieme dei centri delle palle di F, allora esistono G 1,..., G ζ(n) F tali che per ogni i {1,..., ζ(n)}, G i è una famiglia numerabile di palle disgiunte di F e A ζ(n) B. B G i Corollario 1.8. Siano µ una misura di Borel su R n, A R n, µ(a) < ed F un suo ricoprimento fine di A tramite palle chiuse. Allora esiste una sottofamiglia numerabile di palle disgiunte di F che ricopre A µ-q.o.. Dimostrazione. Senza perdita di generalità è possibile supporre A boreliano. Fissiamo poi θ (1 1/ζ(n), 1) e definiamo F 1 := {B B F, diam B 1}. Per il teorema 1.7 esistono le famiglie di palle disgiunte G 1,..., G ζ(n) F 1 tali che A ζ(n) B, B G i da cui, per la monotonia e la subadditività della misura µ, e tenendo conto della definizione di F 1, si ha ζ(n) µ(a) µ A. B G i B Scegliamo ora j {1,..., ζ(n)} tale che µ(a B G j B) sia massimo, e quindi µ A 1 µ(a) > (1 θ)µ(a), (1.) ζ(n) B G j B per come è stato scelto θ. Per la proprietà (iii) degli insiemi misurabili (teorema 1.3) è possibile trovare una sottofamiglia finita {B 1,..., B p1 } G j tale che la (1.) continui a valere, ovvero µ ( A p 1 B i ) (1 θ)µ(a).
13 CAPITOLO 1. NOZIONI INTRODUTTIVE DI TEORIA DELLA MISURA 9 Dall additività della misura µ otteniamo ( da cui si deduce che µ(a) = µ µ ( A A \ p 1 p 1 B i ) + µ ( A \ p 1 B i ), B i ) θµ(a). (1.3) Siano ora A := A \ p 1 B i e F := {B B F, B 1}. Come in precedenza, sarà possibile trovare una famiglia di palle disgiunte {B p1 +1,..., B p } F tali che µ ( A \ p ) B i = µ A \ θµ(a ) θ µ(a), p i=p 1 +1 dove nell ultima disuguaglianza abbiamo applicato la (1.3). Reiterando il processo costruiamo quindi una famiglia numerabile di palle disgiunte di F tali che, comunque scelto k, ( µ A \ p k B i ) θ k µ(a). Poichè µ(a) < e θ k 0 per k il corollario è dimostrato. B i
14 Capitolo Misura di Hausdorff Una prima definizione di area di una superficie regolare m-dimensionale M = f(a) in R n è data da Area(M) = Jf(x) dl m (x), (.1) A dove A R m f : R m R n è una funzione iniettiva di classe C 1 e m n. Tuttavia questo approccio risulta insufficiente nel momento in cui ci si ponga il problema di definire l area s-dimensionale di una classe più ampia di sottoinsiemi di R n. A questo scopo si definisce la cosiddetta misura di Hausdorff s-dimensionale in R n (indicata con H s ), che si dimostra coincidere con L s quando s = n. Questa definizione, però, produce molto di più, in quanto l esponente s potrà, come vedremo, assumere un qualunque valore reale in [0, + ). Ciò, in particolare, permette di definire un concetto più generale di dimensione (la dimensione di Hausdorff) per un qualunque sottoinsieme di R n (vedi sezione.). Anticipiamo che la formula di area, dimostrata nel capitolo 4, afferma l uguaglianza tra Area(M) (definita sopra) e H m (M) nel caso in cui f sia lipschtziana..1 Misura di Hausdorff Definizione.1 (Pre-misura di Hausdorff). Sia s 0 un numero reale. Comunque scelto un insieme A R n, definiamo per ogni δ > 0: ( ) diam s Hδ s Cj := inf α(s) A C j, diam C j δ, j=1 dove diam C j indica il diametro dell insieme C j e α : [0, + ) [0, + ) è una funzione opportunamente scelta. La scelta canonica è di fissare α(s) tale che, per s intero, si abbia L s (B(x, r)) = α(s)r s, quindi α(s) indica in questo caso il volume della palla s-dimensionale in R s. j=1 10
15 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 11 Nota.. Per soddisfare la condizione posta sopra, si pone α(s) = πs/ Γ( s + 1), dove Γ indica la funzione gamma di Eulero, definita come Γ(z) = Ciò, in particolare, rende α continua su [0, + ). 0 t z 1 e t dt. Definizione.3. Per A ed s scelti come sopra, definiamo H s (A) := lim δ 0 Hs δ (A) = sup Hδ s (A) δ>0 (Il limite esiste sempre in quanto Hδ s è decrescente in δ). La funzione di insiemi così definita è una misura, detta misura di Hausdorff di dimensione s in R n. Prima di tutto ricopriamo l insieme A con una famiglia numerabile di insiemi di diametro più piccolo di un fissato δ > 0, per poi passare al limite per δ 0 in modo da, in un certo senso, costringere i ricoprimenti ad adattarsi alla geometria locale dell insieme A. Figura.1: Due ricoprimenti di una curva tramite palle con δ diverso. Nota. La misura H s è chiaramente invariante per isometrie e H s (λa) = λ s H s (A) come dimostrato in.6, quindi è naturale chiedersi se H s coincida su R s con L s, a meno di qualche costante moltiplicativa. Definire α(s) come sopra permette di rendere questa costante pari a 1, e quindi di far sì che H s (A) = L s (A) nel caso in cui s sia intero e coincida con la dimensione dello spazio, come dimostreremo in seguito. Enunciamo il seguente teorema, fornendo solamente l idea della dimostrazione, che come detto in precedenza può essere trovata con tutti i dettagli in [4]. Teorema.4. H s è una misura di Borel regolare per 0 s <.
16 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 1 Idea della dimostrazione. La misurabilità dei Boreliani segue da una verifica del criterio di Caratheodory (teorema 1.8). Per dimostrare invece che ogni A R n è contenuto in un boreliano B della stessa misura, si osservi anzitutto che ciascuno dei C j della definizione di premisura può essere sostituito dalla sua chiusura, non modificando questa il diametro, in modo che j=1 C j risulti essere un boreliano. Se ora {{Cj k} j} k=1 è una successione di ricoprimenti tali che j α(s)(diam Ck j /)s è convergente a H s (A) per k, allora il boreliano che stiamo cercando sarà B = k j C j..1.1 Prime proprietà Proposizione.5. H 0 è la misura che conta. Dimostrazione. Banalmente osserviamo come α(0) = 1, da cui H 0 ({a}) = 1 per ogni a R n e quindi segue l asserto per la σ-additività delle misure. Proposizione.6. Siano s (0, + ), λ > 0 e A R n. Allora H s (λa) = λ s H s (A). Dimostrazione. Fissato δ > 0, comunque scelto {C j } j=1 ricoprimento di A, con diam C j < δ, la famiglia {λc j } j=1 è un ricoprimento di λa con diam λc j < δ. Quindi ( ) diam s Hλδ s λcj (λa) = inf α(s) A C j, diam C j δ j=1 j=1 ( ) diam s = λ s Cj inf α(s) A C j, diam C j δ = λ s H s δ (A). j=1 Passando poi al limite per δ 0 completiamo la dimostrazione. Il teorema seguente, strettamente legato alla definizione di dimensione di Hausdorff, afferma ad esempio che se una curva ha lunghezza finita la sua area -dimensionale è nulla, e viceversa se una superficie ha area -dimensionale finita la sua lunghezza 1-dimensionale è infinita (vedere anche figura.). j=1 Teorema.7. Sia A R n e siano s e t due numeri reali tali che 0 s < t. H s (A) <, allora H t (A) = 0, ovvero se H t (A) > 0, allora H s (A) =. Se Dimostrazione. Sia H s (A) < e δ > 0. Allora, per la definizione di pre-misura di Hausdorff e di estremo inferiore, deve esistere una famiglia numerabile di insiemi {C j } j=1 tali che, comunque scelto j, si abbia diam C j δ, formino un ricoprimento di A e producano la seguente stima per Hδ s(a): ( ) diam s Cj α(s) Hδ s (A) + 1 Hs (A) + 1 j=1
17 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 13 Figura.: Una rappresentazione grafica dell enunciato del teorema.7 Quindi, con semplici passaggi algebrici: Hδ t (A) ( diam Cj α(t) j=1 = α(t) ( ) diam s ( Cj diam Cj α(s) α(s) j=1 α(t) ( ) δ t s (H s (A) + 1), α(s) ) t ) t s da cui, per δ 0, si conclude che H t (A) = 0, dimostrando così la prima affermazione, mentre la seconda è chiaramente equivalente.. Dimensione di Hausdorff Definizione.8. La dimensione di Hausdorff di un insieme A R n è definita come Nota. dim H (A) := inf {s [0, ) : H s (A) = 0}. 1. Come è naturale aspettarsi da una buona definizione di dimensione: dim H (A) n. Se s = dim H (A) allora H t (A) = 0 per tutti i t > s e H t (A) = per tutti i t < s, mentre H s (A) [0, ], per il teorema (.7). 3. Come già accennato, non è detto che dim H (A) sia un intero, e anche nel caso in cui lo fosse questo non significa che A sia propriamente una superficie di dimensione pari a dim H (A), anche se la corrispondente misura di Hausdorff fosse finita. 4. La dimensione di Hausdorff è un concetto strettamente legato alla metrica dello spazio, e non solo alla sua topologia. Infatti, è invariante per diffeomorfismi ma non per
18 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 14 omeomorfismi e quindi non coincide sempre con la dimensione topologica. Ad esempio la dimensione di Hausdorff del grafico di una funzione continua f : R R pur avendo dim Top = 1 può avere dim H [1, ], come accade per l esempio fatto da Weierstrass di funzione continua ma ovunque non differenziabil (figura.3, esempio preso da [5]). Figura.3: L esempio di Weierstrass f(t) = k=1 λ(s )k sin(λ k t) con λ = s = H n = L n Obiettivo di questa sezione è dimostrare l uguaglianza su R n di H n e L n. Per fare ciò dovremo utilizzare la cosiddetta disuguaglianza isodiametrica, che afferma che a parità di diametro l insieme con il massimo volume è la sfera, per dimostrare la quale è necessario introdurre il concetto di simmetrizzazione di Steiner. Prima di passare al risultato generale, però, dimostriamo che l uguaglianza tra le due misure è valida in R. Proposizione.9. H 1 = L 1 su R Dimostrazione. Comunque scelti A R e δ > 0, si ha: L 1 (A) = inf diam C j : A C j j=1 j=1 inf diam C j : A C j, diam C j δ j=1 = H 1 δ (A). Per l altro verso della disuguaglianza, fissando I k := [kδ, (k+1)δ] per k Z otteniamo che diam(c j I k ) δ e diam(c j I k ) diam C j, k= j=1
19 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 15 da cui L 1 (A) = inf diam C j : A C j j=1 j=1 inf diam(c j I k ) : A H 1 δ (A). j=1 k= j=1 C j Quindi L 1 = H 1 δ per ogni δ > 0 e a maggior ragione L1 = H 1 su R.3.1 Simmetrizzazione di Steiner Figura.4: La simmetrizzazione di Steiner in opera. Immagine presa da [4]. Fissati a, b R n con a = 1, definiamo L a b := {b + ta t R}, la retta passante per b di direzione a, P a := {x R n x a = 0}, il piano passante per l origine e perpendicolare ad a. Definizione.10 (Simmetrizzazione di Steiner). Siano A R n e a R n con a = 1. Definiamo simmetrizzazione di Steiner di A rispetto al piano P a l insieme S a (A) := {b + ta t 1 } H1 (A L ab ) b P a A L a b Per dimostrare la proposizione.1 sarà utile il seguente lemma, la cui dimostrazione è omessa.
20 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 16 Lemma.11. Sia f : R n [0, + ] L n -misurabile. Allora la regione A sottesa al grafico di f, A = {(x, y) x R n, y R, 0 y f(x)}, è L n+1 -misurabile. Figura.5: Schema geometrico della dimostrazione del punto (i) della proposizione.1 Proposizione.1. (Proprietà della simmetrizzazione di Steiner). (i) diam S a (A) diam A. (ii) Se A è L n -misurabile, allora lo è anche S a (A) e L n (S a (A)) = L n (A). Dimostrazione. (i) L affermazione è banale se diam A = e, essendo diam Ā = diam A, possiamo supporre A chiuso con diam A <. Fissiamo un ε > 0 e scegliamo, per le proprietà del sup, x, y S a (A) tali che diam S a (A) x y + ε Prendiamo ora le proiezioni di x e y su P a, dette rispettivamente b e c, quindi b = x (x a)a e c = y (y a)a, e definiamo r := inf{t b + ta A}, s := sup{t b + ta A}, u := inf{t c + ta A}, v := sup{t c + ta A}.
21 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 17 Senza perdita di generalità possiamo supporre v r s u (in caso contrario è sufficiente scambiare x e y). Quindi v r 1 (v r) + 1 (s u) = 1 (s r) + 1 (v u) 1 H1 (A L a b ) + 1 H1 (A L a c). Per costruzione della simmetrizzazione x a 1 H1 (A L a b ) e y a 1 H1 (A L a c), quindi, applicando la disuguaglianza triangolare sul modulo, v r x a + y a x a y a Dunque, applicando il teorema di Pitagora, (diam S a (A) ε) x y = b c + x a y a b c + (v r) = (b + ra) (c + va) (diam A), dove l ultimo passaggio è giustificato dal fatto che A è chiuso per ipotesi. Da questo discende l asserto per ε 0. (ii) Poiché L n è invariante per rotazioni, possiamo supporre a = e n = (0,..., 0, 1). Di conseguenza P a = P en = R n 1. Poichè L 1 = H 1 su R per il teorema.9, il teorema di Fubini (vedi 1.4) implica che la funzione f : R n 1 R definita come f(ξ) = H 1 (A L a ξ ) sia Ln 1 -misurabile e che Quindi S a (A) := L n (A) = f(ξ)dξ. R n 1 { (ξ, y) f(ξ) y f(ξ) } \ {(ξ, 0) L a ξ A = } risulta essere L n -misurabile per il lemma.11, e L n (S a (A)) = f(ξ)dξ = L n (A). R n 1
22 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 18 Teorema.13 (Disuguaglianza isodiametrica). Dato A R n, si ha ( ) diam A n L n (A) α(n). (.) Dimostrazione. Supponiamo diam A <, dato che in caso contrario l asserto risulta banalmente soddisfatto. Detta {e 1,..., e n } la base canonica di R n definiamo A 1 := S e1 (A), A := S e (A 1 ),..., A n := S en (A n 1 ). Chiamiamo A = A n. Per prima cosa dimostriamo che A è simmetrico rispetto all origine, procedendo per induzione sugli A i. Chiaramente A 1 è simmetrico rispetto a P e1, quindi la base dell induzione è verificata. Supponiamo poi che A k sia simmetrico rispetto a P e1,..., P ek comunque scelto k {1,..., n 1}. Per definizione A k+1 = S ek+1 (A k ) è simmetrico rispetto a P ek+1. Fissiamo ora j {1,..., k} e definiamo σ j : R n R n la simmetria rispetto a P ej, ovvero, dato x = (x 1,..., x n ), σ j (x) := (x 1,..., x j,..., x n ). Sia poi b P ek+1 ; poiché σ j (A k ) = A k abbiamo e quindi H 1 (A k L e k+1 b ) = H 1 (A k L e k+1 σ j (b) ) {t b + te k+1 A k+1 } = {t σ j (b) + te k+1 A k+1 }. Da cui σ j (A k+1 ) = A k+1, e quindi A k+1 è simmetrico rispetto a P ej e risulta così provato anche il passo induttivo. Dunque A = A n è simmetrico rispetto a P e1,..., P en e quindi rispetto all origine. Vediamo ora come ( ) diam A L n (A n ) α(n). Infatti tenendo presente la simmetria dimostrata in precedenza, osserviamo che diam A x per ogni x A, poiché anche x A, e quindi ) A diam A B (0,, il che, per la monotonia di L n, implica ( diam A L n (A ) α(n) ) n Concludiamo la dimostrazione osservando che essendo Ā Ln -misurabile il punto (ii) della proposizione.1 implica che L n ((Ā) ) = Ln (Ā) e il punto (i) della stessa che diam(ā) diam Ā, da cui
23 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 19 L n (A) L n (Ā) = Ln (Ā ) ( diam Ā ) n α(n) ( ) n diam Ā α(n) ( ) diam A n = α(n). Teorema.14. H n = L n su R n. Dimostrazione. Fissato un δ > 0 scegliamo una famiglia {C j } j=1 di insiemi tali che A j C j e diam C j δ. Allora dalla disuguaglianza isodiametrica (.) segue immediatamente che ( ) diam n L n (A) L n Cj (C j ) α(n), j=1 passando poi all inf da ambo i membri possiamo concludere che L n (A) Hδ n (A) e quindi L n (A) H n (A). Per l altra disuguaglianza (H n (A) L n (A)) notiamo anzitutto che è sufficiente dimostrarla per A boreliano, dato che entrambe le misure sono di Borel, e limitato, dato che entrambe sono σ-finite su R n. Per il teorema 1.10 e per la disuguaglianza appena dimostrata, è possibile, fissato σ > 0, scegliere U σ A tale che L n (U σ \A) H n (U σ \A) < σ. Quindi H n (U σ ) <, e per la definizione di misura di Hausdorff è possibile, per ogni ε > 0, determinare δ > 0 tale che ( ) diam n H n Cj (U σ ) inf α(n) diam C j δ, U σ C j + ε. (.3) j=1 Applichiamo il corollario 1.8 con j=1 F := {B(x, r) r δ, B(x, r) U σ }, per ottenere un ricoprimento disgiunto e numerabile G di un insieme B U σ con H n (A\ U σ ) = 0. Sia poi G un ricoprimento di U σ \ B con palle di diametro al più δ tali che ( ) diam C n α(n) ε. C G j=1
24 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 0 Allora G G ricopre U σ, e quindi H n (U σ ) C G G α(n) ( ) diam C n + ε L n (C) + ( ) diam C n α(n) + ε C G C G L n (U σ ) + ε, il che per ε 0 dimostra che H n (U σ ) L n (U σ ), ovvero che H n (A) + H n (U σ \ A) L n (A) + L n (U σ \ A). Passando infine al limite per σ 0 si ha l asserto..4 Misura di Hausdorff e funzioni lipschitziane In questa sezione introduciamo le funzioni lipschitziane e vediamo come si comporta la misura di Hausdorff in rapporto ad esse. Come vedremo in seguito, questa è la classe di funzioni per cui è naturale considerare le formule di area e coarea. Definizione.15. Una funzione f : R m R n è detta lipschitziana se esiste una costante C tale che f(x) f(y) C x y x, y R m. In tal caso definiamo { f(x) f(y) Lip(f) := sup x y } x, y R m, x y. I seguenti teoremi enunciano importanti proprietà della misura di Hausdorff di immagini lipschitziane di insiemi. Sono risultati notevoli e generali, basati sulla definizioni puramente metriche di lipschitzianità e di misura di Hausdorff. Teorema.16 (Principio di Lipschitz). Siano A un insieme di R m e f : A R n una mappa lipschitziana. Allora, comunque preso s [0, + ), si ha H s (f(a)) (Lip(f)) s H s (A). (.4) Dimostrazione. Fissiamo un δ > 0 e scegliamo una famiglia di insiemi {C j } j=1 tali che diam C j δ e A j C j. Ponendo L = Lip(f) si ottiene diam f(c j ) L diam C j Lδ e f(a) j f(c j). Quindi HLδ s (f(a)) ( ) diam f(cj ) s α(s) j=1 ( ) diam s L s Cj α(s). j=1
25 CAPITOLO. MISURA DI HAUSDORFF 1 Passando all inf su tutte le famiglie {C j } j=1 otteniamo che per δ 0 implica la (.4). H s Lδ (f(a)) Ls H s δ (A) Corollario.17. Sia E R m con H m (E) = 0 e f : R m R n una mappa lipschitziana, allora H m (f(e)) = 0. Dimostrazione. Per il teorema.16, H m (f(e)) (Lip f) m H m (E) = 0. Corollario.18. Sia f : R m R n una mappa lipschitziana. Allora, comunque preso A R m si ha dim H (f(a)) dim H (A). Dimostrazione. Dai teoremi.7 e.16 e dalla definizione di dimensione di Hausdorff otteniamo che dim H (f(a)) = inf {s [0, + ) H s (f(a)) = 0} inf {s [0, + ) Lip(f) s H s (A) = 0} = inf {s [0, + ) H s (A) = 0} = dim H (A). Teorema.19. Siano f : R m R n una mappa lipschitziana e A R m un insieme L m -misurabile. Allora f(a) è L n -misurabile. Enunciamo ora un risultato che mette in evidenza un importante proprietà della funzioni lipschitziane: il mantenere invariata la dimensione di Hausdorff del proprio grafico rispetto a quella del dominio. Teorema.0. Sia f : R m R n una mappa e A R m tale che L m (A) > 0, allora (i) dim H (G(f, A)) m, (ii) Se f è lipschitziana, dim H (G(f, A)) = m, dove G(f, A) denota il grafico di f ristretta all insieme A.
26 Capitolo 3 Funzioni lineari e differenziabilità 3.1 Funzioni Lineari e Jacobiani Richiamiamo ora qualche nozione di algebra lineare, indispensabile per poter definire lo jacobiano di una mappa f : R m R n. Definizione 3.1. (i) Una mappa lineare O : R m R n con m n, è ortogonale se conserva il prodotto scalare, quindi se si ha Ox Oy = x y per ogni x, y R m. (ii) Una mappa lineare S : R n R n è simmetrica se si ha x Sy = Sx y per ogni x, y R n. (iii) Una mappa lineare D : R n R n è diagonale se esistono d 1,..., d n R tali che Dx = (d 1 x 1,..., d n x n ) per ogni x R n. (iv) Sia A : R m R n una mappa lineare. È detta aggiunta di A la mappa lineare A : R n R m tale che x A y = Ax y per ogni x R m e y R n. Proposizione 3.. (i) A = A. (ii) (A B) = B A (iii) Se O : R n R n è ortogonale, allora O = O 1. (iv) Se S : R n R n è simmetrica, allora S = S. (v) Se S : R n R n è simmetrica, allora esiste una mappa ortogonale O : R n R n e una diagonale D : R n R n tale che S = O D O 1 = O D O.
27 CAPITOLO 3. FUNZIONI LINEARI E DIFFERENZIABILITÀ 3 (vi) Se O : R m R n è ortogonale, allora O O = I su R m O O = I su O(R m ) Teorema 3.3 (Decomposizione Polare). Sia L : R m R n una mappa lineare. (i) Se m n, esistono una mappa simmetrica S : R m R m e una ortogonale O : R m R n tali che L = O S (ii) Se m n, esistono una mappa simmetrica S : R n R n e una ortogonale O : R n R m tali che L = S O Nota 3.4. La decomposizione polare vale anche per mappe lineari L : C n C n, che si possono decomporre come L = R U, dove R è una matrice hermitiana semidefinita positiva e U è unitaria (generalizzazione nei complessi rispettivamente delle matrici simmetriche e di quelle ortogonali), e questo può essere facilmente visto come l analogo matriciale della forma polare di un numero complesso z, cioè z = re iθ con r 0, poiché le matrici hermitiane semidefinite positive 1 1 sono i numeri reali non negativi e le matrici unitarie 1 1 sono i punti della circonferenza unitaria. Definizione 3.5. Sia L : R m R n una mappa lineare. (i) Se m n scriviamo L = O S come sopra e definiamo lo jacobiano di L come [[L]] = det S. (ii) Se m n scriviamo L = S O come sopra e definiamo lo jacobiano di L come [[L]] = det S. Nota 3.6. La definizione di [[L]] non dipende dalla scelta particolare di O ed S, e, per le proprietà elementari elencate in precedenza, [[L]] = [[L ]]. Teorema 3.7. Sia L : R m R n una mappa lineare. (i) Se m n, (ii) Se m n, [[L]] = det(l L). [[L]] = det(l L ).
28 CAPITOLO 3. FUNZIONI LINEARI E DIFFERENZIABILITÀ 4 Dimostrazione. Se m n possiamo scrivere da cui L = O S, L = S O = S O ; L L = S O O S = S, e per l ortogonalità della O si ha l asserto. Analogamente per il caso (ii). Dimostriamo ora un teorema sui determinanti, che sarà indispensabile per la dimostrazione della formula di coarea, la cui dimostrazione è stata presa da []. Teorema 3.8. Date A e B matrici di dimensioni, rispettivamente, m n e n m, abbiamo det(i m + AB) = det(i n + BA), dove con I k indichiamo la matrice identità di ordine k. Dimostrazione. Verifichiamo prima di tutto la validità dell asserto nel caso m = n. Infatti, se A è invertibile, possiamo scrivere, applicando il teorema di Binet, det(i n + AB) = det(a(a 1 + B)) = det((a 1 + B)A) = det(i n + BA). (3.1) Nel caso in cui A sia singolare, comunque scelto ε > 0, per la (3.1) si ha det(i n + (A + εi n )B) = det(i n + B(A + εi n )), che per ε 0 dimostra l affermazione. Consideriamo ora il caso m > n. Chiamiamo ( ) B (A 0) e 0 le matrici m m ottenute aggiungendo rispettivamente m n colonne e righe di zeri ad A e B. Allora, applicando il punto precedente, ( ( )) B det(i m + AB) = det I m + (A 0) 0 (( ) ( ) ) In 0 B = det + (A 0) 0 I m n 0 = det(i n + BA). Il teorema 3.7 ci fornisce una formula per calcolare [[L]], che andremo solitamente ad applicare abbinandola alla seguente formula di Binet-Cauchy.
29 CAPITOLO 3. FUNZIONI LINEARI E DIFFERENZIABILITÀ 5 Definizione 3.9. Se m n definiamo Λ(n, m) = {λ : {1,..., m} {1,..., n} λ è crescente}. Per ogni λ Λ(n, m), definiamo P λ : R n R m come P λ (x 1,..., x n ) := (x λ(1),..., x λ(n) ). Nota Per ogni λ Λ(n, m), esiste un sottospazio m-dimensionale tale che P λ è la proiezione di R n su S λ. S λ := span{e λ(1),..., e λ(m) } R n Teorema 3.11 (Formula di Binet-Cauchy). Sia m n e L : R m R n una mappa lineare. Allora [[L]] = (det(p λ L)) λ Λ(n,m) Nota 3.1. Per calcolare [[L]], sommiamo quindi i quadrati dei deteminanti di ciascuna delle sottomatrici (n n) della matrice (m n) che rappresenta L rispetto alle basi canoniche. 3. Teoremi sulla differenziabilità La proprietà di differenziabilità, richiamata sotto, sarà molto importante in seguito, soprattutto alla luce del teorema di Rademacher, che ci garantisce la differenziabilità L m -q.o. delle funzioni lipschitziane. Definizione Una funzione f : R m R n è detta differenziabile se esiste una mappa lineare L : R m R n tale che o equivalentemente f(y) f(x) L(x y) lim = 0, y x x y f(y) = f(x) + L(y x) + o( y x ) per y x. Dato che per il teorema di unicità del limite se una tale mappa esiste è unica, la denoteremo con Df(x) e la diremo derivata di f nel punto x. Il seguente risultato verrà utilizzato nel capitolo 5.
30 CAPITOLO 3. FUNZIONI LINEARI E DIFFERENZIABILITÀ 6 Teorema 3.14 (Teorema della funzione inversa). Sia f : R n R n, f C 1 e x R n tale che Jf(x) 0 allora esiste U R n nel quale la funzione è un diffeomorfismo. Inoltre D(f 1 ) = (Df) 1 su tutto U. Definizione Una funzione f : A R n è detta localmente lipschitziana se per ogni compatto K A, esiste una costante C K tale che f(x) f(y) C K x y x, y K Teorema 3.16 (Teorema di Rademacher). Sia f : R m R n una funzione localmente lipschitziana, allora f è differenziabile L m -q.o.. Sia ora f : R m R n una mappa lipschitziana, e quindi chiaramente anche localmente lipschitziana. Per il teorema di Rademacher, f è differenziabile L m -q.o. e quindi Df(x) esiste e può essere vista come un applicazione lineare da R m in R n per L m -q.o. x R m, quindi scrivendo f = (f 1,..., f n ), è lecito definire f 1 f 1... x 1 x m Df =..... f n f n Rn m.... x 1 x m Definizione Lo jacobiano di f, definito per L m -q.o. x R m, è Jf(x) := [[Df(x)]] Il seguente risultato, basato fortemente sul teorema di Rademacher, ci permetterà, nei capitoli 4 e 5 di suddividere il dominio di una funzione lipschitziana in sottoinsiemi compatti sui quali la funzione presenti una regolarità molto maggiore. Teorema Sia f : R m R n localmente lipschitziana. Allora ogni boreliano A di R m ammette una decomposizione A = A k C k=1 dove C è un boreliano con L m (C) = 0 e A 1,..., A k,... sono compatti disgiunti tali che per ogni k (i) Df è uniformemente continua su A k (ii) la funzione f è uniformemente differenziabile su A k, nel senso che le funzioni p definite come { f(x ) f(x ) Df(x)(x x ( ) p (x) := sup x x : x, x B x, 1 ) }, x x p convergono uniformemente a 0 su A k quando p.
31 CAPITOLO 3. FUNZIONI LINEARI E DIFFERENZIABILITÀ 7 Dimostrazione. Il teorema di Rademacher garantisce che l insieme dei punti dove f non è differenziabile ha misura nulla, quindi possiamo considerarlo sottoinsieme di C. A questo punto la f risulta differenziabile su tutto A \ C. Possiamo poi, senza perdita di generalità, considerare A limitato, in quanto in caso contrario potremmo suddividerlo in una quantità numerabile di insiemi limitati, grazie alla σ-finitezza di R m. Sia d p : R m R n m la mappa definita per componenti come d p i,j (x) := f i(x + 1 p e j) f i (x) 1, i = 1,..., n; j = 1,..., m, p dove abbiamo scritto f = (f 1,..., f n ) e (e 1,..., e m ) è la base canonica di R m. Chiaramente, per p, d p (x) converge puntualmente a Df(x) su tutto A\C, quindi Df(x) è misurabile e la sua restrizione ad un qualunque sottoinsieme di A in cui la convergenza sia uniforme è continua. Introduciamo ora la seguente funzione { ( f(x + h) f(x) Df(x)h p (x) = sup, h 0, h B 0, 1 )}. h p La p è chiaramente misurabile, in quanto per le proprietà del sup è sufficiente considerare h Q m B(0, 1 p ), e inoltre p 0 per la differenziabilità di f. Possiamo a questo punto, fissato ε = 1 n, applicare iterativamente il corollario 1.14 al teorema di Egorov sulle due successioni {d p } e { p }, e definire, detto B k l insieme ottenuto dall applicazione del corollario al passo k, k 1 A k = B k B i. In questo modo su ogni A k la convergenza delle due successioni di funzioni è uniforme, ed essendo compatti la derivata Df(x) risulta uniformemente continua su di essi. Infine aggiungiamo all insieme C l insieme, di misura nulla per la regolarità delle misure, A \ A i. La differenziabilità della f sugli A k implica inoltre che per ogni x, x B(x, 1 p ) A k f(x ) f(x ) Df(x)(x x ) f(x ) f(x ) Df(x )(x x ) Quindi sup p (x) sup p (x ) + x A k x A k + Df(x) Df(x ) x x ( ) p (x ) + Df(x) Df(x ) x x. sup x,x A k x x 1 p Df(x) Df(x ). Dato che il membro a destra tende a 0 per p 0, si ottiene l asserto.
32 Capitolo 4 Formula di Area Nota. Per tutto il capitolo, salvo diversa indicazione, supponiamo m n. Enunciamo il risultato principale di questo capitolo che, come già anticipato, lega la definizione (.1) di area di una superficie regolare s-dimensionale M in R n con la sua misura di Hausdorff H s (M). Teorema 4.1 (Formula di Area). Sia f : R m R n una mappa lipschitziana. Allora, comunque si scelga un insieme A R m L m -misurabile vale Jf(x)dx = A #(f 1 (y) A) dh m (y). R n (4.1) Nota 4.. Ricordiamo che, per la proposizione.5, per ogni A R m si ha #(A) = H 0 (A). Per prima cosa verifichiamo che la (4.1) sia valida nel caso in cui f sia affine. Lemma 4.3 (Formula dell area per funzioni affini). La formula (4.1) è valida nel caso in cui f sia affine, ovvero f(x) = a + F (x) con F lineare. Dimostrazione. Con abuso di notazione indichiamo con F sia la mappa lineare che la sua rappresentazione matriciale rispetto alle basi canoniche. Figura 4.1: Formula di area. 8
33 CAPITOLO 4. FORMULA DI AREA 9 Supponiamo prima di tutto f(0) = 0 e F (R m ) R m {(0,..., 0)}, non singolare. In tal caso possiamo applicare la formula (1), enunciata nell introduzione, alla composizione πm n F : R m R m della F con la proiezione canonica di R n in R m. Ottenendo Jf(x)dx = det(f F )dx A A = det(πm n F ) dx A = det (D(πm n F )) dx A = L m (π n m F (A)) = H m (F (A)). Nel caso in cui f(0) = a 0 e F non singolare, è sempre possibile definire una trasformazione ortogonale U : R n R n tale che U F (R m ) R m {(0,..., 0)}. Sia quindi f(x) := Uf(x) U(a), allora f(0) = 0 e f(r m ) R m {(0,..., 0)}. Quindi, essendo H m invariante per traslazioni e trasformazioni ortogonali, otteniamo grazie al punto precedente Jf(x)dx = J f(x)dx = H m ( f(a)) = H m (f(a)). A A Infine nel caso in cui F sia singolare possiamo, come nel caso precedente, supporre, a meno della trasformazione ortogonale U, F (R m ) R s {(0,..., 0)} con s < m e quindi, essendo un sottospazio di misura minore strettamente di m, Jf(x)dx = det(f F )dx A = 0 A = H m (f(a)). 4.1 Dimostrazione della formula di area La dimostrazione del teorema 4.1 si articola in vari passi nei quali si farà frequente ricorso al teorema 3.18, alla proposizione 1. e al corollario 1.8. Possiamo infatti scrivere A = A 1 A A 3 dove A 1 = {x A : f è differenziabile in x e Jf(x) > 0}, A = {x A : f è differenziabile in x e Jf(x) = 0}, A 3 = {x A : f non è differenziabile in x}. Per il teorema di Rademacher, H m (A 3 ) = 0 e quindi il contributo di A 3 nella formula (4.1) è trascurabile per il corollario.17 al principio di Lipschitz.
34 CAPITOLO 4. FORMULA DI AREA 30 È sufficiente perciò dimostrare il teorema separatamente per A 1 ed A, tenendo in conto che in virtù della proposizione 3.18, e senza perdere in generalità grazie alla proposizione 1., possiamo supporre (i) Df uniformemente continua su A 1 e A (ii) la funzione f uniformemente differenziabile su A 1 e A, nel senso che le funzioni p definite come { f(x ) f(x ) Df(x)(x x ( ) p (x) := sup x x : x, x B x, 1 ) }, x x p convergono uniformemente a 0 su A 1 e A quando p. L idea della dimostrazione nel caso di A 1 è che per le proprietà enunciate sopra è possibile approssimare localmente f vicino al punto x tramite una funzione affine T x, per la quale sappiamo già valere la (4.1) grazie al lemma 4.3. Possiamo quindi fissato ε > 0 individuare B(x, δ) e osservare come la funzione φ = f Tx 1 : T x (B(x, δ) A 1 ) f(b(x, δ) A 1 ) (vedi fig. 4.1), per le proprietà di T x, risulti lipschitziana con Lip(φ) = 1+ ε, e questo ci permette di controllare utilizzando il principio di Lipschitz (teorema.16) H m (φ(t x (B(x, δ) A 1 ))) = H m (f(b(x, δ) A 1 )) con H m (T x (B(x, δ) A 1 )). Passando quindi al limite per ε 0 otteniamo la (4.1) in B(x, δ) A 1. Applicando poi il corollario 1.8 riusciamo a estendere questo risultato locale a tutto l insieme A 1. Figura 4.: Uno schema che rappresenta l azione di φ Una volta fatta la dimostrazione per A 1 rimane solo da dimostrare che l insieme A dei punti dove Jf(x) = 0 non contribuisce al secondo membro della (4.1), così come chiaramente non contribuisce al primo. Prendiamo in considerazione una funzione g che ad un punto x R m associa il punto corrispondente (f(x), εx) R n R m del grafico, schiacciandolo però nella componente di R m di un fattore ε > 0. In questo modo otteniamo una funzione a jacobiano positivo sull insieme A e su cui possiamo quindi applicare la parte già dimostrata della (4.1), per poi far tendere ε 0 e ottenere la stima che desideravamo.
35 CAPITOLO 4. FORMULA DI AREA 31 Dimostrazione del teorema La (4.1) vale se A {x f è differenziabile e Jf(x) > 0}. Affermiamo che per ogni ε > 0 e ogni x A esiste un δ > 0 tale che per ogni x, x A B(x, δ) si ha Jf(x ) Jf(x ) < ε (4.) e (1 ε) T x (x ) T x (x ) f(x ) f(x ) (1 + ε) T x (x ) T x (x ) (4.3) dove T x (z) = f(x) + Df(x)(z x) è l approssimazione affine di f vicino al punto x. Infatti per ogni σ > 0 possiamo trovare p tale che p (x) σ su A e inoltre possiamo sempre trovare un δ (0, 1/p) tale che la (4.) sia valida per tutti gli x A B(x, δ). Quindi applicando la disuguaglianza triangolare f(x ) f(x ) T x (x ) T x (x ) f(x ) f(x ) (T x (x ) T x (x )) = f(x ) f(x ) Df(x)(x x ) p (x) x x σ x x σ (Df(x)) 1 T x (x ) T x (x ), dove Df(x) 1 è intesa come norma operatore, cioè Df(x) 1 = sup y =1 Df(x) 1 y, sicuramente finita per continuità di Df(x) 1. Scegliendo a questo punto σ = ε/ (Df(x)) 1 l affermazione risulta dimostrata. Scegliamo ora x, ε e δ tali che (4.) e (4.3) valgano sull insieme B(x, δ) A. Poichè T x è iniettiva possiamo considerare la mappa φ = f T 1 x : T x (B(x, δ) A) f(b(x, δ) A). Per (4.3) abbiamo che Lip(φ) = (1 + ε) e Lip(φ 1 ) = (1 ε) 1. Grazie al lemma 4.3, al principio di Lipschitz (teorema.16) e al fatto che per ogni ξ B(x, δ) A si ha JT x (ξ) = Jf(x), otteniamo H m (f(b(x, δ) A)) =H m (φ(t x (B(x, δ) A))) (1 + ε) m H m (T x (B(x, δ) A)) =(1 + ε) m Jf(x)dH m (ξ) B(x,δ) A (1 + ε) m ( B(x,δ) A Jf(ξ)dH m (ξ) + εl m (B(x, δ) A) ) (4.4)
36 CAPITOLO 4. FORMULA DI AREA 3 e analogamente per φ 1 H m (f(b(x, δ) A)) (1 ε) m H m (T x (B(x, δ) A)) (1 ε) m ( B(x,δ) A Jf(ξ)dH m (ξ) εl m (B(x, δ) A) ) (4.5) Per ogni ε la famiglia delle palle B(x, δ) tali che valgano le stime (4.4) e (4.5) è un ricoprimento fine di A. Quindi per il corollario 1.8 possiamo ricoprire H m -quasi tutto A con una sottofamiglia numerabile di palle disgiunte G tale che f è iniettiva su ogni U i = A B i con B i G e ) (1 ε) (U m Jf(ξ)dH m (ξ) εl m (U i ) H m (f(u i )) i ) (1 + ε) (U m Jf(ξ)dH m (ξ) + εl m (U i ), (4.6) i e poichè f : U i f(u i ) è iniettiva si ha #(f 1 (y) U i ) = χ f(ui ) da cui H m (f(u i )) = χ f(ui )dh m (y) R n = #(f 1 (y) U i )dh m (y). R n Sommando su i nella (4.6), si ottiene, per σ-additività, (1 ε) m ( A ) Jf(ξ)dH m (ξ) εl m (A) #(f 1 (y) A)dH m (y) R ( n ) (1 + ε) m Jf(ξ)dH m (ξ) + εl m (A). (4.7) Poichè A era supposto limitato, e quindi di misura finita, e per l arbitrarietà di ε > 0 la (4.7) implica la (4.1) per ε 0.. La (4.1) vale se A {x f è differenziabile in x ma Jf(x) = 0}. Fissato ε > 0 scriviamo f = p g, dove g : R m R n R m, g(x) := (f(x), εx) x R m p : R n R m R n, p(y, z) := y (y, z) R n R m. Affemiamo che esiste una costante C tale che per ogni x A A 0 < Jg(x) Cε.
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