Teorema delle contrazioni e sistemi di funzioni iterate. Luigi Orsina

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1 Teorema delle contrazioni e sistemi di funzioni iterate Luigi Orsina

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3 Indice Introduzione 5 Capitolo 1. Spazi metrici e teorema delle contrazioni 9 1. Definizioni ed esempi 9 2. Successioni di Cauchy e spazi metrici completi Il teorema delle contrazioni 15 Capitolo 2. Insiemi compatti e distanza di Hausdorff Insiemi compatti La distanza di Hausdorff Completezza di (K(X), h) 26 Capitolo 3. Sistemi di funzioni iterate Da funzioni su X a funzioni su K(X) Sistemi di funzioni iterate Il teorema del collage Sistemi di funzioni iterate con probabilità 51 Capitolo 4. Misura e dimensione di Hausdorff La misura di Hausdorff La dimensione di Hausdorff 60 Capitolo 5. La dimensione degli attrattori degli IFS La dimensione box counting Confronto tra box counting e Hausdorff La dimensione di Hausdorff degli attrattori degli IFS 72 Strumenti e programmi 81 Indice analitico 95 3

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5 Introduzione Molti degli oggetti reali che ci circondano, come ad esempio nuvole, alberi, felci e broccoli ( ) condividono una notevole proprietà: ognuno di essi è uguale all unione di copie (ridotte in dimensioni) dell oggetto originale. Ad esempio, la struttura tronco da cui si dipartono rami di un albero è replicata nella struttura ramo da cui si dipartono rametti, e nella struttura rametti da cui si dipartono foglie. Analogamente, le foglie di una felce ne replicano la struttura globale, ed a loro volta sono costituite da microfoglie disposte in modo da imitare la felce. La felce (non vera!) come unione di copie di se stessa Oggetti geometrici di questo tipo si dicono autosimilari : scopo di questo articolo è spiegare (o, almeno, provare a spiegare...) come usando la teoria degli spazi metrici ed il teorema delle contrazioni sia possibile costruire in maniera semplice alcuni insiemi autosimilari. Il verbo costruire assume qui due significati: in primo luogo vuol dire costruire matematicamente, vale a dire caratterizzare dal punto di vista matematico tali insiemi; in secondo luogo vuol dire costruire al computer, ovvero indicare come dare una rappresentazione (approssimata) di tali oggetti. Gli attori principali del nostro lavoro saranno essenzialmente due: il teorema delle contrazioni e la distanza di Hausdorff. Il teorema delle contrazioni, che vive nel contesto degli spazi metrici completi, afferma che una funzione f che contrae le distanze (per la definizione rigorosa si veda il Teorema 1.26 nel primo capitolo) ha un unico punto fisso, ovvero un elemento x dello spazio su cui è definita f tale che f(x) = x. Questo teorema, che ha notevoli applicazioni ad esempio nella teoria delle equazioni differenziali ordinarie, 5

6 6 INTRODUZIONE è fondamentale nel contesto che ci interessa grazie all osservazione che una contrazione porta sì punti in punti, ma anche insiemi in insiemi; ed essendo continua, porta compatti in compatti. Usando la distanza di Hausdorff (si veda il secondo capitolo), che permette di misurare la distanza tra compatti di uno spazio metrico, avviene il miracolo : se f è una contrazione da uno spazio metrico in sé, allora la funzione F, definita da F (K) = {f(x), x K} per ogni compatto K, è una contrazione dallo spazio dei compatti in sé rispetto alla distanza di Hausodrff. Siccome (si veda sempre il secondo capitolo) lo spazio dei compatti di uno spazio metrico completo è a sua volta completo una volta che vi si consideri la distanza di Hausdorff, è possibile applicare il teorema delle contrazioni ad F, e dedurre così l esistenza di un unico compatto fisso K, tale che F (K) = K. Chiaramente, se x è il punto fisso di f, il compatto K = {x} è il compatto fisso di F (è evidente che F ({x}) = {x}, e quindi per l unicità del punto fisso si ha la tesi), cosicché almeno in apparenza non c è alcun guadagno nel passaggio da funzioni su insiemi a funzioni di insiemi. Se però, invece di avere una sola contrazione f, ne abbiamo due, siano esse f e g, allora risulta essere una contrazione (sullo spazio dei compatti, e rispetto alla distanza di Hausdorff) la funzione F (K) = f(k) g(k). Nuovamente, se x è il punto fisso di f, e y è il punto fisso di g, allora {x, y} è contenuto nel compatto fisso K di F (la dimostrazione di questo fatto è meno semplice della precedente, ed usa la caratterizzazione del punto fisso di una contrazione). In generale, però, {x, y} non è K. Infatti, se calcoliamo F ({x, y}) troviamo F ({x, y}) = {x, y, f(y), g(x)}, che contiene strettamente {x, y} (a meno che non si abbia x = y). Pertanto, e qui avviene il secondo miracolo, l insieme K è più ricco dell insieme ottenuto dall unione dei punti fissi di f e g. Quanto più ricco qui non diciamo (per non scoprire troppo le carte ), limitandoci ad affermare che vedremo nel terzo capitolo numerosi esempi di contrazioni definite su R 2 che generano insiemi autosimilari geometricamente complessi come punti fissi. Daremo inoltre una ricetta (il cosiddetto teorema del Collage) per costruire (o, meglio, ricostruire) le contrazioni che generano come compatto fisso un insieme autosimilare dato, o che generano un compatto fisso che approssima bene (nel senso della distanza di Hausdorff) un insieme reale come un albero o una felce. Una volta costruiti gli insiemi autosimilari, ci occuperemo di calcolarne la dimensione. Prima di farlo, sarà necessario introdurre (nel quarto capitolo) il concetto di misura di Hausdorff (sempre lui!), che estende al caso di dimensioni non intere la misura di Lebesgue. Partendo dalla misura di Hausdorff,

7 INTRODUZIONE 7 definiremo la dimensione di Hausdorff di un insieme, che coinciderà con la dimensione classica nel caso di oggetti comuni come punti, linee, quadrati, cubi, eccetera. Nell ultimo capitolo calcoleremo la dimensione di Hausdorff di alcuni degli insiemi autosimilari costruiti nel terzo capitolo. Per farlo definiremo prima il concetto di dimensione box counting di un insieme, più facile da calcolare della dimensione di Hausdorff, e poi dimostreremo due risultati: una formula che, sotto opportune ipotesi sulle contrazioni che generano l insieme autosimilare, permette di calcolare a priori la dimensione box counting di un insieme, e successivamente un teorema che afferma, sotto le stesse ipotesi, che la dimensione box counting e la dimensione di Hausdorff coincidono. In appendice, infine, verrà brevemente spiegato come creare, in TEX quasi tutte le figure presenti in questi appunti. I risultati presentati in questi appunti sono essenzialmente contenuti nel libro Fractals everywhere di Michael F. Barnsley (Academic Press, Boston, 1993 collocazione: III 7 367), al quale si rimanda, e nel quale è possibile trovare una descrizione completa ed auto-contenuta della teoria degli insiemi frattali (ben più completa di quella che viene qui proposta). Altri testi consultati sono Techniques in Fractal Geometry di Kenneth Falconer (John Wiley & Sons, New York, 1997), Fractal Geometry: Mathematical Foundations and Applications, sempre di Falconer (John Wiley & Sons, New York, 2003 collocazione III 7 379), e l articolo Fractals and Self Similarity di John E. Hutchinson, Indiana Math. J. 30 (1981). Per la parte sulla misura di Hausdorff, si veda Weakly differentiable functions: Sobolev spaces and functions of bounded variation di William P. Ziemer (Springer, New York, 1989 collocazione II e Col ). Disclaimer: Nessun pixel ha subito danni permanenti durante la stesura di questi appunti.

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9 CAPITOLO 1 Spazi metrici e teorema delle contrazioni In questo capitolo daremo le definizioni di base degli strumenti che useremo: definiremo gli spazi metrici, gli spazi metrici completi, ed infine enunceremo e dimostreremo il teorema delle contrazioni, risultato fondamentale nel nostro contesto. 1. Definizioni ed esempi Definizione 1.1. Se X è un insieme, una distanza su X è una funzione d : X X R + tale che (d 1 ) d(x, y) 0 per ogni x e y in X; d(x, y) = 0 se e solo se x = y; (d 2 ) d(x, y) = d(y, x) per ogni x e y in X; (d 3 ) d(x, y) d(x, z) + d(z, y) per ogni x, y e z in X. La proprietà (d 3 ) viene detta disuguaglianza triangolare. Se d è una distanza su X, la coppia (X, d) si dice spazio metrico. La funzione d viene anche chiamata metrica. Esempio 1.2. Se X è un insieme qualsiasi, è una distanza su X la funzione { 1 se x y, d d (x, y) = 0 se x = y. La distanza d d viene detta metrica discreta. Se X = R, è una distanza su X la funzione d(x, y) = x y. Se X = R 2, è una distanza su X la funzione d 2 ((x 1, x 2 ), (y 1, y 2 )) = (x 1 y 1 ) 2 + (x 2 y 2 ) 2, detta distanza euclidea. Se X = R N e p 1, sono distanze su X le funzioni ( N ) 1 d p ((x 1,..., x N ), (y 1,..., y N )) = x i y i p p. Se X = C 0 ([a, b]; R), lo spazio delle funzioni continue da [a, b] in R, sono distanze su X le funzioni i=1 d (f, g) = max f(x) g(x), x [a,b] 9

10 10 1. SPAZI METRICI E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI e d 1 (f, g) = b a f(x) g(x) dx. Esercizio 1.3. Si dimostri che le funzioni definite nell Esempio 1.2 sono effettivamente delle distanze (per d p si rimanda ad un testo di Analisi II). Successivamente, si interpreti geometricamente la disuguaglianza triangolare per la distanza euclidea in R 2. Esempio 1.4. Se X = R, non è una distanza la funzione d definita da d(x, y) = x 2 y 2. Se X = S, lo spazio delle successioni {x n } di numeri reali, non sono distanze su X le funzioni e d({x n }, {y n }) = max n N x n y n, d({x n }, {y n }) = sup n N d({x n }, {y n }) = + n=1 x n y n, x n y n. Se X = R([a, b]; R), lo spazio delle funzioni integrabili secondo Riemann su [a, b], non è una distanza la funzione definita da Esercizio 1.5. Si giustifichino le affermazioni dell esempio precedente. d(f, g) = b a f(x) g(x) dx. Definizione 1.6. Se (X, d) è uno spazio metrico, si chiama sfera aperta di centro x 0 e raggio r > 0 l insieme B r (x 0 ) = {x X : d(x, x 0 ) < r}. La sfera chiusa di centro x 0 e raggio r > 0 è invece l insieme B r (x 0 ) = {x X : d(x, x 0 ) r}. Un sottoinsieme A di uno spazio metrico (X, d) si dice aperto se, per ogni x 0 in A, esiste r = r(x 0 ) > 0 tale che B r (x 0 ) A. Un sottoinsieme C di uno spazio metrico (X, d) si dice chiuso se il suo complementare C c = X \ C è aperto. Un sottoinsieme B di uno spazio metrico (X, d) si dice limitato se esiste x 0 in X, e R > 0, tale che B B R (x 0 ).

11 1. DEFINIZIONI ED ESEMPI 11 Definizione 1.7. Se {x n } è una successione contenuta in uno spazio metrico (X, d), diremo che la successione x n converge ad x 0 in X, e scriveremo lim x (X,d) n = x 0, oppure x n x 0, n + se si ha lim d(x n, x 0 ) = 0. n + L ultima affermazione va intesa nel senso delle successioni di numeri reali: per ogni ε > 0, esiste n ε in N tale che 0 d(x n, x 0 ) < ε per ogni n n ε. Si noti che la definizione di convergenza a zero della successione {d(x n, x 0 )} coincide con la definizione di convergenza a zero nello spazio metrico (R, ). Teorema 1.8. Sia (X, d) uno spazio metrico, ed {x n } una successione contenuta in X. Se la successione {x n } è convergente, allora il limite è unico. Dimostrazione. È una semplice applicazione della disuguaglianza triangolare. Supponiamo che la successione {x n } converga ad x 0 e ad y 0. Per definizione, si ha lim d(x n, x 0 ) = 0, e lim d(x n, y 0 ) = 0. n + n + Ma allora si ha 0 d(x 0, y 0 ) d(x n, x 0 ) + d(x n, y 0 ), e siccome la successione a destra è infinitesima, dal teorema dei carabinieri segue che d(x 0, y 0 ) = 0, e quindi che x 0 = y 0, come volevasi dimostrare. Esempio 1.9. È evidente dalla definizione che in (X, d) = (R, ) la convergenza di una successione è la solita definizione di convergenza per successioni di numeri reali. Se (X, d) = (R N, d 2 ), si vede facilmente che la convergenza di successioni è equivalente alla convergenza (in (R, )) componente per componente. Lo stesso vale in (R N, d p ), qualsiasi sia p 1. Se (X, d) = (C 0 ([a, b], R), d ), la convergenza per successioni di funzioni è la convergenza uniforme. Esercizio Si dimostrino le affermazioni dell esempio precedente. Se (X, d) = (X, d d ), come sono fatte le successioni convergenti? Teorema Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia C un sottoinsieme di X. Allora C è chiuso e se solo se per ogni successione {x n } contenuta in C, e convergente in X ad x 0, si ha che x 0 appartiene a C. Dimostrazione. Sia C chiuso e sia {x n } una successione contenuta in C e convergente ad x 0 ; supponiamo per assurdo che x 0 non appartenga a C. Pertanto, x 0 appartiene a A = C c, che per definizione è un aperto, cosicché esiste r > 0 tale che B r (x 0 ) A, da cui segue che B r (x 0 ) C =. Questo fatto è però assurdo, dato che la successione {x n } è: 1) contenuta in C, e 2)

12 12 1. SPAZI METRICI E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI convergendo ad x 0, si trova definitivamente a distanza minore di r da x 0, e quindi in B r (x 0 ). Supponiamo ora che C non sia chiuso, e costruiamo una successione contenuta in C e convergente ad un punto che non vi appartiene. Siccome C non è chiuso, A = C c non è un aperto, e quindi esiste x 0 in A tale che le sfere B r (x 0 ) non sono contenute in A, qualsiasi sia r > 0. In altre parole, per ogni r > 0 esiste x r in C = A c tale che x r appartiene a B r (x 0 ). Se consideriamo ora la successione {x n } ottenuta scegliendo r = 1, abbiamo che: 1) è contenuta in n C, e 2) converge ad x 0, dato che d(x n, x 0 ) < 1, e x n 0 non appartiene a C. Definizione Siano (X, d) e (Y, d) sono due spazi metrici; dato x 0 appartenente ad X, una funzione f : X Y si dice continua in x 0 se, per ogni successione {x n } contenuta in X e convergente ad x 0 in X, si ha che la successione {f(x n )} converge a f(x 0 ) in Y. In formule: ovvero {x n } X : x n (X,d) x 0, si ha f(x n ) (Y,d) f(x 0 ), {x n } X : lim d(x n, x 0 ) = 0, si ha lim d(f(x n), f(x 0 )) = 0. n + n + Una funzione f che sia continua per ogni x 0 in A, sottoinsieme di X, si dice continua in A. Esempio Se (X, d) = (Y, d) = (R, ), una funzione f : R R è continua (come funzione tra spazi metrici) se è continua (nel senso classico del termine). Esercizio Si determinino tutte le funzioni continue tra (R, ) e (R, d d ), e tra (R, d d ) e (R, ). Esercizio Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia x 0 in X fissato. Si dimostri che la funzione d x0 : X R, definita da d x0 (y) = d(x 0, y), y X, è continua tra (X, d) e (R, ). Suggerimento: si dimostri (usando due volte la disuguaglianza triangolare) che si ha d(x 0, y) d(x 0, z) d(y, z), y, z X. Definizione Dati (X, d) e (Y, d) due spazi metrici, una funzione f : X Y si dice lipschitziana se esiste L 0 tale che d(f(x), f(y)) L d(x, y), x, y X. Un esempio di funzione lipschitziana (con L = 1) è la funzione d x0 definita nell Esercizio È facile dimostrare che una funzione lipschitziana è continua (si usi la definizione di continuità, di lipschitzianità, ed il teorema dei carabinieri).

13 2. SUCCESSIONI DI CAUCHY E SPAZI METRICI COMPLETI 13 Esercizio Dimostrare che ogni funzione f da (X, d d ) in sé è lipschitziana con L = Successioni di Cauchy e spazi metrici completi Definizione Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia {x n } una successione contenuta in X. La successione {x n } si dice di Cauchy, o fondamentale, se per ogni ε > 0 esiste n ε in N tale che 0 d(x n, x m ) < ε, n, m n ε. Teorema Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia {x n } una successione contenuta in X. Se {x n } è convergente, allora è di Cauchy. Dimostrazione. Dal momento che {x n } è convergente, esiste x 0 in X tale che, per ogni ε > 0, esiste n ε in N tale che 0 d(x n, x 0 ) < ε 2, n n ε. Siano ora n e m in N maggiori di n ε. Allora, per la disuguaglianza triangolare, si ha 0 d(x n, x m ) d(x n, x 0 ) + d(x m, x 0 ) < ε 2 + ε 2 = ε, e quindi la successione {x n } è di Cauchy. Il viceversa del Teorema 1.19 non è vero. Ad esempio, se consideriamo (X, d) = ((0, 1), ) e la successione x n = 1, allora abbiamo che {x n+1 n} è di Cauchy perché converge a zero in (R, ), ma non converge in (X, d), dato che il suo limite che non può essere altro che zero per unicità non appartiene all insieme. Esercizio Come sono fatte le successioni di Cauchy di (X, d d )? Esempio Sia (X, d) = (C 0 ([ 1, 1], R), d 1 ), e consideriamo la successione {f n } definita da 1 se 1 x < 1, n f n (x) = nx se 1 x 1, n n 1 se 1 < x 1. n il cui grafico è

14 14 1. SPAZI METRICI E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI n 1 n 1-1 Se fissiamo n > m, allora la successione f n f m vale 0 se 1 < x 1, m f n (x) f m (x) = 1 m x se 1 x 1, n m (n m) x se x 1, n ovvero 1 m n m 1 n 1 n m Pertanto, d 1 (f n, f m ) = 1 1 f n (x) f m (x) dx = 1 m ( 1 m ) = 1 n m 1 n. Dal momento che la successione { 1 } è di Cauchy in (R, ) (perché è convergente), ne segue che la successione {f n } è di Cauchy in (X, d). La suc- n cessione {f n }, però, non converge in (X, d) ad alcuna funzione. Per assurdo, supponiamo che esista una funzione f in C 0 ([ 1, 1], R) tale che lim d 1(f n, f) = n + lim n f n (x) f(x) dx = 0. Sia ora ε > 0, e sia n > 1. Allora, poiché le funzioni integrande sono positive, ε si ha 0 1 ε f n (x) f(x) dx 1 1 f n (x) f(x) dx,

15 e quindi, essendo f n (x) 1 in [ε, 1], 0 3. IL TEOREMA DELLE CONTRAZIONI 15 1 ε 1 f(x) dx 1 1 f n (x) f(x) dx. Facendo tendere n all infinito si ha, ricordando che l ultima quantità tende a zero per ipotesi, 0 1 ε 1 f(x) dx 0. Essendo la funzione integranda continua e positiva, si ha che 1 f(x) 0 in [ε, 1], e quindi che f(x) 1 in [ε, 1]. Per l arbitarietà di ε, si ha che f(x) 1 in (0, 1]. Ripetendo il ragionamento nell intervallo [ 1, ε], si ottiene che f(x) 1 in [ 1, 0). La funzione f non può pertanto essere continua, dato che si ha lim f(x) = 1 1 = lim x 0 x 0 + f(x). Definizione Uno spazio metrico (X, d) tale che ogni successione di Cauchy sia convergente viene detto spazio metrico completo. Esempio Lo spazio (X, d d ) è completo, qualsiasi sia X (si veda l Esercizio 1.20). Sono completi gli spazi (R, ), (R 2, d 2 ) e (R N, d p ), qualsiasi sia p 1. Lo spazio (C 0 ([a, b], R), d ) è completo. Altri esempi di spazi completi si ottengono grazie al seguente teorema. Teorema Sia (X, d) uno spazio metrico completo, e sia C un sottoinsieme chiuso di X. Allora (C, d) è uno spazio metrico completo. Dimostrazione. Sia {x n } una successione di Cauchy in (C, d). Chiaramente, {x n } è anche una successione di Cauchy in (X, d), che è completo. Pertanto, esiste x 0 in X tale che {x n } converge a x 0 in (X, d). Essendo C chiuso e {x n } contenuta in C e convergente ad x 0, per il Teorema 1.11 x 0 appartiene a C. Abbiamo così dimostrato che ogni successione {x n } di Cauchy in (C, d) è convergente in (C, d), e quindi (C, d) è completo. 3. Il teorema delle contrazioni Definizione Sia (X, d) uno spazio metrico. Una funzione f : X X si dice una contrazione se è lipschitziana di costante θ < 1; ovvero se esiste 0 θ < 1 tale che d(f(x), f(y)) θ d(x, y), x, y X. Se f è una contrazione, la costante di lipschitz θ si chiama anche fattore di contrazione. Se (X, d) è uno spazio metrico, e f : X X è una funzione, un punto x di X si dice punto fisso per f se si ha f(x) = x.

16 16 1. SPAZI METRICI E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI Se (X, d) è uno spazio metrico, e f : X X è una funzione, definiamo la funzione iterata n-sima di f come la funzione f (n) : X X data da: f (1) (x) = f(x), e f (n) (x) = f(f (n 1) (x)) se n > 1. Teorema Sia (X, d) uno spazio metrico completo, e sia f : X X una contrazione. Allora f ha un unico punto fisso. Dimostrazione. Sia x 0 in X qualsiasi. Definiamo x 1 = f(x 0 ) = f (1) (x 0 ), x 2 = f(x 1 ) = f (2) (x 0 ) e, per ricorrenza, x n = f(x n 1 ) = f (n) (x 0 ). Si ha, essendo f una contrazione, d(x n+1, x n ) = d(f(x n ), f(x n 1 )) θd(x n, x n 1 ) = θ d(f(x n 1 ), f(x n 2 )) θ 2 d(x n 1, x n 2 ) = θ 2 d(f(x n 2 ), f(x n 3 )) θ 3 d(x n 2, x n 3 ) = θ n d(x 1, x 0 ). Pertanto, se m < n, si ha (usando più volte la disuguaglianza triangolare): d(x n, x m ) n 1 k=m n 1 k=m d(x k+1, x k ) θ k d(x 1, x 0 ) θ m 1 θn m 1 θ d(x 1, x 0 ) θm 1 θ d(x 1, x 0 ). Sia ora ε > 0, e sia n ε in N tale che θ nε < ε(1 θ)d(x 1, x 0 ); si noti che tale n ε esiste perché la successione {θ n } tende a zero essendo θ < 1. Pertanto, se n e m sono maggiori di n ε si ha d(x n, x m ) < ε, e quindi la successione {x n } è di Cauchy in (X, d), spazio metrico completo. Ne segue che esiste x in X tale che {x n } converge ad x. Essendo f continua (in quanto lipschitziana), se ne deduce che f(x n ) converge a f(x) e quindi che f(x n 1 ) converge ad f(x) (essendo una sottosuccessione estratta). Ma f(x n 1 ) è per definizione x n, e quindi f(x n 1 ) converge a x. Per l unicità del limite, si ha f(x) = x, e quindi x è un punto fisso per f. Supponiamo ora che x e y siano punti fissi per f, e che quindi si abbia f(x) = x e f(y) = y. Allora, essendo f una contrazione, si ha 0 d(x, y) = d(f(x), f(y)) θ d(x, y), da cui segue 0 (1 θ) d(x, y) 0. Essendo θ < 1, deve per forza essere d(x, y) = 0, e quindi x = y, cosicchè il punto fisso è unico. Osservazione Si noti che il punto fisso x viene trovato come limite dello schema iterativo x n 1 x n = f(x n 1 ), ovvero della successione {f (n) (x 0 )}, qualsiasi sia la scelta del punto iniziale x 0. In altre parole, non importa da dove partiamo : se f è una contrazione, al limite dell iterazione troveremo l unico punto fisso.

17 3. IL TEOREMA DELLE CONTRAZIONI 17 Inoltre, passando al limite per m tendente ad infinito nella formula che stima d(x n, x m ), si ha (1.1) d(x n, x) θn 1 θ d(x 1, x 0 ), e questa formula ci dice quanto velocemente {x n } converge a x. Esempio Se abbiamo a disposizione una calcolatrice con una discreta precisione, ed in grado di calcolare le funzioni trigonometriche in radianti, possiamo determinare il valore della soluzione dell equazione cos(x) = x semplicemente: 1) settando la calcolatrice in radianti; 2) scrivendo 1 (o qualsiasi altro valore); 3) premendo ripetutamente il tasto cos. Con un po di pazienza, alla fine si ottiene il valore , che è un approssimazione della soluzione esatta. y = x cos(x) = x x y = cos(x) Esercizio Come mai troviamo un unico punto fisso e come mai lo troviamo premendo ripetutamente il tasto cos? La funzione cos(x) non è una contrazione! Il teorema di Lagrange ci dice: cos(x) cos(y) = sen(ξ) x y, con ξ compreso tra x e y. Maggiorando sen(ξ) con 1, otteniamo che cos(x) ha L = 1 come costante di Lipschitz, e quindi non è una contrazione. Se pensate di aver maggiorato troppo, e che forse c è speranza che cos(x) sia una contrazione, è sufficiente prendere x = π + ε e y = π per avere che 2 2 cos(x) cos(y) x y = cos( π 2 + ε) ε = sen(ε) ε e l ultima frazione tende a 1 quando ε tende a zero, cosicché L = sup x, y R è la costante di lipschitzianità di cos(x). cos(x) cos(y) x y = 1,,

18 18 1. SPAZI METRICI E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI Esempio Sia f(x, y) = ( x 2 y , x 4 + y ). Si vede facilmente che f è una contrazione su R 2 (quanto vale θ?), e quindi ha un unico punto fisso, che è (1, 1). Nel disegno, si vede come partendo da un punto qualsiasi del piano, le iterate convergano al punto fisso. Il limite x non dipende da x 0

19 CAPITOLO 2 Insiemi compatti e distanza di Hausdorff In questo capitolo, basandoci sui risultati ottenuti nell ambito degli spazi metrici, introdurremo i concetti di insieme compatto e di distanza di Hausdorff. Dimostreremo inoltre la completezza dello spazio dei compatti di uno spazio metrico completo rispetto alla distanza di Hausdorff. 1. Insiemi compatti Definizione 2.1. Un sottoinsieme K di uno spazio metrico (X, d) si dice compatto se da ogni successione {x n } contenuta in K si può estrarre una sottosuccessione {x nk } convergente ad un punto x 0 di K. Un sottoinsieme A di uno spazio metrico (X, d) si dice totalmente limitato se per ogni ε > 0 esistono y 1, y 2,..., y nε in X tali che A n ε i=1 B ε (y i ). Esercizio 2.2. Si dimostri che ogni insieme totalmente limitato è anche limitato. Suggerimento: detto R = max{d(y i, y j ), i, j = 1,..., n ε } = d(y i, y j ), allora... Esempio 2.3. In (X, d d ) i compatti sono tutti e soli gli insiemi finiti. Infatti, se K X è finito, e {x n } è una successione contenuta in K, esiste x in K, ed una successione {n k } di interi tale che x nk = x per ogni k, cosicché la sottosuccessione {x nk } converge a x (si noti che questo fatto è vero qualsiasi sia lo spazio metrico). Viceversa, se K X non è finito, è possibile trovare una successione {x n } contenuta in K tale che x n x m per ogni n m. Ma allora d d (x n, x m ) = 1, e quindi la successione {x n } non è di Cauchy, né lo è ogni sua sottosuccessione, che quindi non può convergere. Si noti che se K X è infinito, allora K non è totalmente limitato: è sufficiente scegliere ε = 1 2. In (R N, d 2 ) è invece ben noto che i compatti sono tutti e soli gli insiemi chiusi e limitati. Teorema 2.4. Sia (X, d) uno spazio metrico completo e sia K un sottoinsieme di X. Allora K è compatto se e solo se è chiuso e totalmente limitato. 19

20 20 2. INSIEMI COMPATTI E DISTANZA DI HAUSDORFF Dimostrazione. Supponiamo che K sia chiuso e totalmente limitato, e sia {x n } una successione contenuta in K. Siccome K è totalmente limitato, allora K è contenuto nell unione di un numero finito di sfere di raggio 1, B 1 (x (1) 1 ),..., B 1 (x (1) m 1 ). Essendo infiniti i punti della successione {x n }, in almeno una delle sfere ne cadono infiniti: supponiamo che sia B (1) = B 1 (x (1) 1 ), e sia n 1 il primo indice tale che x n1 appartiene a B (1). Si dimostra facilmente che anche B (1) K è totalmente limitato. Pertanto, esiste un numero finito di sfere di raggio 1, siano esse B 2 1 (x (2) 1 ),..., B 1 (x (2) m 2 ), tali che B (1) K è contenuto nella 2 2 loro unione. Come prima, esiste almeno una di queste sfere, e supporremo sia B (2) = B 1 (x (2) 1 ), che contiene infiniti punti della successione. Sia n 2 il primo 2 indice maggiore di n 1 tale che x n2 appartiene a B (2) K. Ovviamente, si ha B (2) B (1). Proseguendo, costruiamo una successione {B (m) } decrescente di 1 sfere di raggio, 2 m 1 B (1) B (2) B (3)... B (m)..., ed una sottosuccessione {x n1, x n2,..., x nm,...}, con la proprietà che x ni appartiene a B (i) 1 per ogni i. Sia ora ε > 0, e sia m ε tale che < ε. Se s e 2 mε 2 t sono maggiori di m ε, allora sia x ns che x mt appartengono a B (mε), e quindi 1 distano tra di loro meno di, ovvero meno di ε. Abbiamo così che la 2 mε 2 sottosuccessione {x nm } è di Cauchy in (X, d), che è completo. Ne segue che esiste il limite di {x nm }, e che tale limite appartiene a K, essendo K chiuso (si veda il Teorema 1.11), cosicché K è compatto. Viceversa, supponiamo che K sia compatto. Se {x n } è una successione contenuta in K e convergente in X ad x 0, allora da {x n } possiamo estrarre una sottosuccessione convergente ad un punto y 0 di K. Siccome tutte le sottosuccessioni estratte da una successione convergente hanno lo stesso limite, si ha che x 0 = y 0, e quindi x 0 appartiene a K. Per il Teorema 1.11, K è chiuso. Supponiamo ora che esista ε > 0 tale che K non sia ricopribile con un numero finito di sfere di raggio ε. Ciò vuol dire che esiste (almeno) una successione {x n } contenuta in K e tale che d(x i, x j ) ε per ogni i j. Se ne deduce quindi che la successione {x n } non è di Cauchy (è sufficiente prendere ε = ε nella definizione di successione di Cauchy), né lo è ogni sua sottosuccessione. Ma questo è assurdo perché, essendo K compatto, esiste almeno una sottosuccessione di {x n } convergente, e quindi di Cauchy. Teorema 2.5. Siano (X, d) e (Y, d) spazi metrici, e sia f : X Y continua. Se K è compatto in (X, d), allora f(k) è compatto in (Y, d). Dimostrazione. Sia {y n } una successione contenuta in f(k). Per ipotesi, esiste x n in K tale che f(x n ) = y n per ogni n in N. La successione {x n }, essendo contenuta nel compatto K, ammette una sottosuccessione {x nm } convergente ad x 0 in K. Essendo f continua, la successione {y nm = f(x nm )},

21 2. LA DISTANZA DI HAUSDORFF 21 che è una sottosuccessione di {y n }, converge a f(x 0 ), cha appartiene quindi a f(k). Se lo spazio di arrivo è R (o meglio (R, )), vale l analogo del teorema di Weierstrass per funzioni reali di variabile reale. Teorema 2.6. Sia (X, d) uno spazio metrico, K un sottoinsieme compatto di X, e sia f : K R una funzione continua. Allora f ammette massimo e minimo. Dimostrazione. La dimostrazione ricalca le linee della dimostrazione del teorema di Weierstrass per funzioni reali di variabile reale. Sia infatti M = sup x K f(x), e sia {x n } una successione, contenuta in K e che esiste per le proprietà dell estremo superiore, tale che lim f(x n) = M. n + Essendo {x n } contenuta in K, che è compatto, esiste una sottosuccessione, sia essa {x nk }, convergente a x 0 appartenente a K. Essendo f continua, ed essendo {f(x nk )} una sottosuccessione di {f(x n )}, si ha f(x 0 ) = lim f(x n k ) = lim f(x n) = M, k + n + cosicché M è il massimo di f su K. La dimostrazione dell esistenza del minimo è identica. 2. La distanza di Hausdorff Definizione 2.7. Se (X, d) è uno spazio metrico, definiamo K(X) l insieme K(X) = {K X : K è compatto in X, K }. Siano (X, d) uno spazio metrico, e K appartenente a K(X). Se x 0 appartiene a X, definiamo la distanza di x 0 da K come d(x 0, K) = min{d(x 0, y), y K}. Si noti che, essendo d(x 0, ) una funzione continua (si veda l Esercizio 1.15), l esistenza del minimo è garantita dal Teorema 2.6.

22 22 2. INSIEMI COMPATTI E DISTANZA DI HAUSDORFF K Alcune distanze dall insieme K (appartenente a K(R 2, d 2 )) Teorema 2.8. Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia K appartenente a K(X). Allora la funzione d K : X R definita da è continua. d K (x) = d(x, K), Dimostrazione. Sia {x n } una successione contenuta in X e convergente a x 0, e sia {x nk } una sua sottosuccessione. Poiché d(x nk, K) è un minimo, per ogni n in N esiste y nk appartenente a K tale che (2.1) d(x nk, K) = d(x nk, y nk ) d(x nk, y), y K. Poiché la successione {y nk } è contenuta in K, che è compatto, esiste una sottosuccessione {y nkh } convergente ad y 0, appartenente a K. Pertanto, usando due volte l Esercizio 1.15 e passando al limite in (2.1), d(x 0, y 0 ) = lim d(x n kh, y nkh ) lim d(x n kh, y) = d(x 0, y). h + h + e quindi d(x 0, y 0 ) = min{d(x 0, y), y K} = d(x 0, K). Abbiamo così dimostrato che (2.2) d(x 0, K) = lim h + d(x n kh, K). Dunque, da ogni sottosuccessione {x nk } estratta da {x n } si può estrarre una sotto-sottosuccessione {x nkh } per la quale vale (2.2). Siccome il limite, che è d(x 0, K), non dipende dalla sottosuccessione estratta, tutta la successione converge a tale limite, ovvero: d(x 0, K) = e quindi d(, K) è una funzione continua. lim d(x n, K), n +

23 2. LA DISTANZA DI HAUSDORFF 23 Definizione 2.9. Siano (X, d) uno spazio metrico, e K ed H appartenenti a K(X). Definiamo la distanza (orientata) di K da H come d(k, H) = max{d(x, H), x K}. Per il Teorema 2.1, e per il Teorema 2.6, il massimo nella definizione di distanza orientata è raggiunto. Pertanto, esiste x in K tale che d(k, H) = d(x, H). Ricordando la definizione di distanza da H, esiste y in H tale che d(x, H) = d(x, y). Ne segue che, se K e H appartengono a K(X), allora esistono x in K e y in H tali che d(k, H) = d(x, y). K H La linea tratteggiata più scura indica d(k, H) Si noti che la funzione d così definita non è una distanza. Infatti, se K H si ha d(k, H) = 0 (dato che d(x, H) = 0 per ogni x in K), e quindi viene violata la (d 1 ). Definizione Sia (X, d) uno spazio metrico completo. La distanza di Hausdorff su K(X) è definita da h(k, H) = max{d(k, H), d(h, K)}. Teorema La distanza di Hausdorff h : K(X) K(X) R + è una distanza. Pertanto, (K(X), h) è uno spazio metrico. Dimostrazione. Che h(k, H) sia non negativa è evidente dalla definizione. Supponiamo ora di avere h(k, H) = 0. Allora, sempre per definizione, si ha d(k, H) = 0, e d(h, K) = 0. Dimostriamo ora che se d(k, H) = 0, allora K H. Innanzitutto, per definizione di d(k, H) si ha d(x, H) = 0 per ogni x in K. Siccome d(x, H) è un minimo, esiste y in H tale che d(x, y) = d(x, H) = 0, e quindi x = y. Pertanto, ogni x di K appartiene ad H, che è quello che si voleva dimostrare. In definitiva, { } d(k, H) = 0 K H h(k, H) = 0 H = K. d(h, K) = 0 H K La simmetria di h(k, H) è evidente, e quindi non rimane che dimostrare la disuguaglianza triangolare. Dati H, K e L in K(X), iniziamo a dimostrare

24 24 2. INSIEMI COMPATTI E DISTANZA DI HAUSDORFF che (2.3) d(h, K) d(h, L) + d(l, K). Sia x in H. Allora si ha, per ogni z in L, per definizione e per la disuguaglianza triangolare, d(x, K) = min{d(x, y), y K} min{d(x, z) + d(z, y), y K} = d(x, z) + min{d(z, y), y K} = d(x, z) + d(z, K) d(x, z) + max{d(z, K), z L} = d(x, z) + d(l, K). Pertanto, per ogni x in H e per ogni z in L, si ha d(x, K) d(x, z) + d(l, K), da cui, osservando che la quantità a sinistra non dipende da z, e prendendo il minimo su z, si ha d(x, K) min{d(x, z), z L} + d(l, K) = d(x, L) + d(l, K). Predendo il minimo su x in K a sinistra, ed il massimo su x in K a destra, si ha allora d(h, K) = min{d(x, K), x H} max{d(x, L) + d(l, K), x H} = d(h, L) + d(l, K), che è proprio la (2.3). In maniera analoga, si dimostra che (2.4) d(k, H) d(k, L) + d(l, H). Usando sia la (2.3) che la (2.4), si ha allora h(k, H) = max{d(k, H), d(h, K)} max{d(k, L) + d(l, H), d(h, L) + d(l, K)} max{d(k, L), d(l, K)} + max{d(l, H), d(h, L)} = h(k, L) + h(l, H), come volevasi dimostrare. Esercizio Si dimostri che se a e b sono numeri reali, allora max{a, b} = Successivamente, si dimostri che a + b + a b 2 max{a + b, c + d} max{a, d} + max{b, c}. Esercizio Si dimostri che se si parte da (X, d d ) allora la distanza di Hausdorff su K(X) è nuovamente la distanza discreta (sui sottoinsiemi finiti di X)..

25 2. LA DISTANZA DI HAUSDORFF 25 Definizione Sia (X, d) uno spazio metrico, e A un sottoinsieme di X. Dato γ > 0, la dilatazione di γ dell insieme A è l insieme A + γ così definito: A + γ = {y X : d(x, y) γ, per qualche x di A} = {y X : d(y, A) γ}. L operazione di dilatazione non distrugge le proprietà dell insieme. Lemma Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia K in K(X). Allora K +ε è chiuso per ogni ε > 0. Dimostrazione. Sia {x n } una successione contenuta in K + ε e convergente in (X, d) a x 0. Per definizione di K + ε, d(x n, K) ε per ogni n in N. Essendo la funzione x d(x, K) continua (per il Teorema 2.8) e {x n } convergente, d(x 0, K) = lim d(x n, K) ε, n + e quindi x 0 appartiene a K + ε. Dal Teorema 1.11 segue la tesi. Lemma Sia (X, d) uno spazio metrico, siano K e H in K(X), e sia δ > 0. Allora (K + δ) (H + δ) (K H) + δ. Dimostrazione. Sia x in K + δ. Per definizione, d(x, K) δ, e quindi Ma allora d(x, K) = min{d(x, y), y K} δ. d(x, K H) = min{d(x, y), y K H} min{d(x, y), y K} δ, cosicché x appartiene a (K H)+δ; pertanto, K +δ (K H)+δ. Ripetendo il ragionamento con H + δ si trova H + δ (K H) + δ e quindi la tesi. Grazie alla dilatazione di un insieme, possiamo caratterizzare la distanza di Hausdorff tra due compatti. Lemma Sia (X, d) uno spazio metrico, e siano H e K appartenenti a K(X). Allora { K H + ε, h(k, H) ε H K + ε. Dimostrazione. Iniziamo col dimostrare che d(k, H) ε se e solo se K H + ε. Se d(k, H) ε si ha, per definizione di d(k, H), e per ogni x in K, d(x, H) max{d(x, H), x K} = d(k, H) ε, cosicché x appartiene a H + ε. In definitiva, K H + ε, come volevasi dimostrare. Supponiamo ora che K H + ε; per ogni x in K si ha allora che x appartiene a H + ε, e quindi si ha d(x, H) ε. Prendendo il massimo al

26 26 2. INSIEMI COMPATTI E DISTANZA DI HAUSDORFF variare di x in K si ottiene d(k, H) ε, come volevasi dimostrare. La tesi si dimostra allora facilmente, osservando che { { d(k, H) ε, K H + ε, h(k, H) ε d(h, K) ε, H K + ε. Osservazione Grazie al Lemma precedente, possiamo definire in maniera equivalente la distanza di Hausdorff tra due insiemi compatti nel seguente modo: h(h, K) = min{ε 0 : K H + ε e H K + ε}. Usando le dilatazioni, possiamo dimostrare in maniera semplice una delle proprietà di h. Lemma Sia (X, d) uno spazio metrico, e siano H, K, I e J in K(X). Allora h(h K, I J) max{h(h, I), h(k, J)}. Dimostrazione. Sia δ = max{h(h, I), h(k, J)}. Siccome h(h, I) δ e h(k, J) δ, si ha per il Lemma 2.17 che H I + δ e K J + δ. Pertanto, H K (I + δ) (J + δ), cosicché grazie al Lemma 2.16 si ha H K (I J) + δ. Scambiando H e K con I e J si ha I J (H K) + δ, e quindi, sempre per il Lemma 2.17, h(h K, I J) δ, ovvero la tesi. Il prossimo risultato ci sarà utile nel seguito. Lemma Sia {K n } una successione in (K(X), h), convergente a K, e supponiamo che A in K(K) sia tale che A K n per ogni n maggiore di un certo n 0 in N. Allora A K. Dimostrazione. Sia ε > 0, e sia n ε in N tale che h(k n, K) < ε per ogni n maggiore di n ε. Per il Lemma 2.17 si ha allora che K n K + ε per tali n. Essendo A contenuto in K n per n n 0, scegliendo n sufficiemente grande abbiamo A K +ε. Pertanto, se x è in A, si ha d(x, K) ε. Per l arbitrarietà di ε si ha d(x, K) = 0, e quindi x appartiene a K (ricordando che d(x, K) è un minimo). 3. Completezza di (K(X), h) Sia (X, d) spazio metrico, e sia {K n } una successione di compatti in K(X). La successione {K n } è di Cauchy se, per ogni ε > 0, esiste n ε in N tale che per ogni n e m maggiori di n ε si ha { Kn K h(k n, K m ) < ε m + ε, K m K n + ε.

27 3. COMPLETEZZA DI (K(X), h) 27 Sia ora {x n } una successione di X, con la proprietà che x n appartiene a K n per ogni n in N. Ovviamente, dall essere {K n } di Cauchy in K(X) non discende che {x n } è di Cauchy in X: si pensi al caso in cui K n = [ 2, 2] per ogni n in N, e x n = ( 1) n. Supponiamo ora di avere una successione {x nk } di Cauchy, con {n k } successione strettamente crescente di interi, tale che x nk in K nk per ogni k: possiamo estendere questa successione ad una successione { x n }, che sia ancora di Cauchy e sia tale che x nk = x nk per ogni k e che x n appartiene a K n per ogni n? La risposta è positiva, ed è data dal seguente lemma. Lemma Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia {K n } una successione di Cauchy in (K(X), h). Data una successione strettamente crescente di interi {n k }, e data una successione {x nk } di Cauchy in (X, d) e tale che x nk appartiene a K nk per ogni k in N, esiste una successione { x n } di Cauchy in (X, d), con la proprietà che x n appartiene a K n per ogni n in N, e che x nk = x nk per ogni k in N. Dimostrazione. Per ogni n < n 1, sia x n in A n tale che d(x n1, x n ) = min{d(x, x n1 ), x A n } = d(x n1, A n ). Scegliamo poi x n1 = x n1 e, per n compreso tra n e n 2 1, sia x n in A n tale che d(x n2, x n ) = min{d(x, x n2 ), x A n } = d(x n2, A n ). In generale, scegliamo x nk = x nk, e, per n compreso tra n k + 1 e n k+1 1, scegliamo x n in A n tale che d(x nk+1, x n ) = min{d(x, x nk+1 ), x A n } = d(x nk+1, A n ). K 2 x 2 K 5 x 5 K 1 x 1 K n1 x n1 K 6 x 6 K n2 x n2 x 3 x 7 K 3 K 7 La scelta della successione { x n } Ovviamente la successione così costruita coincide con {x nk } per ogni k in N, ed è tale che x n appartiene a A n per ogni n in N, cosicché non resta che

28 28 2. INSIEMI COMPATTI E DISTANZA DI HAUSDORFF dimostrare che è di Cauchy in (X, d). Sia ε > 0, e sia n ε tale che e n k, n h n ε d(x nk, x nh ) < ε 3, n, m n ε h(a n, A m ) < ε 3. Un tale n ε esiste perché la successione {x nk } è di Cauchy in (X, d), e perché la successione {A n } è di Cauchy in (K(X), h). Siano ora m e n maggiori di n ε, con m compreso tra n k e n k, e n compreso tra n h e n h. Allora (2.5) d( x n, x m ) d( x n, x nh ) + d(x nh, x nk ) + d(x nk, x m ). Ora, dal momento che h(a n, A nh ) < ε 3, si ha d(a n h, A n ) < ε 3, e quindi d(x, A n ) < ε 3, x A n h. Scegliendo x = x nh, otteniamo d(x nh, A n ) < ε. Per definizione di x 3 n (che è un punto di A n che realizza il minimo in d(x nh, A n )), si ha d(x nh, x n ) < ε. Un 3 discorso analogo dimostra che d(x nk, x m ) < ε. Ricordando che d(x 3 n h, x nk ) < ε 3 per ipotesi, ed usando la (2.5), si ha d( x n, x m ) < ε, e quindi la tesi. Siamo pronti per dimostrare il teorema fondamentale. Teorema Sia (X, d) uno spazio metrico completo. Allora (K(X), h) è uno spazio metrico completo. Inoltre, se {K n } è una successione di Cauchy in (K(X), h), allora l insieme è così caratterizzato: K = lim K n, n + K = {x X : esiste una successione {x n K n } che converge a x}. Dimostrazione. La dimostrazione è divisa in cinque passi: se K è l insieme definito nell enunciato del teorema, allora a) K è non vuoto; b) K è chiuso (e quindi (K, d) è uno spazio metrico completo); c) Per ogni ε > 0 esiste n ε in N tale che K A n + ε per ogni n n ε ; d) K è totalmente limitato (e quindi, per b), è compatto); e) K n converge a K nella metrica di Hausdorff h. a) Dal momento che {K n } è di Cauchy in (K(X), h), per ogni ε > 0 esiste n ε in N tale che h(k n, K m ) ε per ogni n e m maggiori di n ε. Detto, per k in N, ε k = 1, sia n 2 k k = n εk ; ovviamente, non è restrittivo supporre che {n k } sia strettamente crescente. Sia x n1 appartenente a K n1 ; dal momento che h(k n1, K n2 ) < 1, esiste x 2 n 2 in K n2 tale che d(x n1, x n2 ) < 1. Infatti, 2 h(k n1, K n2 ) < 1 2 d(k n 1, K n2 ) < 1 2 d(x n 1, K n2 ) < 1 2,

29 3. COMPLETEZZA DI (K(X), h) 29 e quindi d(x n1, x n2 ) < 1, scegliendo x 2 n 2 in K n2 che realizza il minimo. Supponiamo ora di aver scelto x n1, x n2,..., x nk 1, con la proprietà che x nj appartiene a K nj, e che d(x nj 1, x nj ) 1 2. j 1 Allora, essendo h(k nk 1, K nk ) < 1, con lo stesso ragionamento di prima 2 k 1 possiamo trovare x nk in K nk tale che d(x nk 1, x nk ) < 1. In questa maniera 2 k 1 costruiamo una successione {x nk }, al variare di k in N, con la proprietà che x nk appartiene a K nk, e che d(x nk 1, x nk ) < 1 2. k 1 Dimostriamo ora che la successione {x nk } è di Cauchy in (X, d). Se h > k, si ha infatti, per la disuguaglianza triangolare, d(x nk, x nh ) h j=k+1 d(x nj 1, x nj ) h j=k = j 1 2 k h k = 1 2 k h 1, e quindi {x nk } è di Cauchy in (X, d) perché lo è in (R, ) la successione { 1 } (dato che converge a zero). A questo punto applichiamo il Lemma 2 k , e costruiamo una successione { x n }, di Cauchy in (X, d), con la proprietà che x n appartiene a K n per ogni n in N. Essendo (X, d) completo per ipotesi, {x n } converge in (X, d) ad x 0, che appartiene a K per definizione. Pertanto, K è non vuoto, come volevasi dimostrare. b) Sia {x n } una successione contenuta in K, convergente in (X, d) ad un punto x 0. Vogliamo dimostrare che x 0 appartiene a K, cosicché K sarà chiuso per il Teorema Per definizione di K, per ogni n in N esiste una successione }, con y m (n) x 0 implica che esiste una successione crescente {n i } di numeri interi tale che {y (n) j in K m per ogni m, convergente a x n. La convergenza di x n a d(x ni, x 0 ) < 1 i, mentre la convergenza di {y (n) m } a x n implica che esiste una sottosuccessione {m i } tale che d(y (n i) m i, x ni ) < 1 i. Usando la disuguaglianza triangolare e le ultime due disuguaglianze, abbiamo che e quindi d(y (n i) m i, x 0 ) < 2 i, lim i + y(n i) m i = x 0.

30 30 2. INSIEMI COMPATTI E DISTANZA DI HAUSDORFF Consideriamo ora la successione {y (n i) m i } al variare di i. Ovviamente è di Cauchy (dato che converge), e si ha per definizione y (n i) m i in K ni per ogni i. Per il Lemma 2.21, esiste una successione di Cauchy {ỹ n } che estende la successione {y (n i) m i }, con la proprietà che ỹ n appartiene a K n per ogni n. Dal momento che {ỹ n } converge in (X, d) (essendo di Cauchy in uno spazio metrico completo), e che la sua sottosuccessione {y (n i) m i } converge a x 0, si ha che {ỹ n } converge a x 0, che quindi per definizione di K appartiene a K. c) Sia ε > 0, e sia n ε in N tale che h(k n, K m ) < ε per ogni n e m maggiori di n ε, cosicché d(k n, K m ) < ε per gli stessi n e m, e quindi (per il Lemma 2.17) K m K n + ε. Vogliamo dimostrare che K K n + ε. Sia allora x 0 in K, sia {x n K n } una successione che converge a x 0 in (X, d), e supponiamo che n ε sia anche tale che m n ε implica d(x m, x 0 ) < ε. Essendo x m in K m, ed essendo K m contenuto in K n + ε, si ha che x m appartiene a K n + ε per ogni m n ε. Dal momento che K n + ε è chiuso (per il Lemma 2.15), il limite della successione {x m } appartiene a K n + ε, e quindi x 0 è in K n + ε, come volevasi dimostrare. d) Supponiamo per assurdo che K non sia totalmente limitato. Pertanto, esiste ε > 0 ed una successione {x n } contenuta in K tale che d(x n, x m ) ε per ogni n m in N. Per il punto c), esiste n sufficientemente grande tale che K K n + ε, cosicché per ogni n esiste un punto y 3 n in K n tale che d(x n, y n ) < ε. 3 Essendo K n compatto, e {y n } contenuta in K n, esiste una sottosuccessione {y ni } convergente, e quindi di Cauchy. Pertanto, se i e j sono sufficientemente grandi, si ha d(y ni, y nj ) < ε. Ma allora, per la disuguaglianza triangolare, e 3 per la scelta di {x n }, ε d(x ni, x nj ) d(x ni, y ni ) + d(y ni, y nj ) + d(y nj, x nj ) < ε, che è assurdo. Mettendo insieme il punto b) e il risultato appena trovato con il Teorema 2.4, si ha che K appartiene a K(X). e) Usando c) ed il Lemma 2.17, per far vedere che {K n } converge a K in (K(X), h) è sufficiente far vedere che per ogni ε > 0 esiste n ε in N tale che K n K + ε per ogni n maggiore di n ε. Sia allora ε > 0, e sia n ε in N tale che h(k n, K m ) < ε per ogni n e m maggiori di n 2 ε. Dal Lemma 2.17 segue allora che K m K n + ε per tali n e m. Sia ora n fissato e maggiore di 2 n ε e sia {n j } una successione strettamente crescente di interi, con n 1 > n, tale che K nj 1 K nj + ε per ogni j. Una tale successione si può costruire 2 j usando il fatto che {K n } è di Cauchy in (K(X), h) ed il Lemma Essendo n 1 > n, e n > n ε, si ha h(k n, K n1 ) < ε, e quindi K 2 n K n1 + ε (sempre 2 per il Lemma 2.17). Sia ora y in K n ; siccome y appartiene a K n1 + ε, esiste 2 x n1 in K n1 tale che d(x n1, y) < ε. Siccome K 2 n 1 K n2 + ε, esiste x 2 2 n2 in K n2 tale che d(x n1, x n2 ) < ε. Proseguendo, esiste una successione {x 2 2 nj }, con x nj

31 3. COMPLETEZZA DI (K(X), h) 31 in K nj, tale che d(x nj 1, x nj ) < ε per ogni j in N. Usando ripetutamente la 2 j disuguaglianza triangolare come in a), si ha che d(y, x nj ) < ε per ogni j in N, e che {x nj } è di Cauchy in (X, d). Per il Lemma 2.21, esiste una successione { x n }, di Cauchy in (X, d), che estende {x nj } e tale che x n appartiene a K n per ogni n. Essendo { x n } di Cauchy, converge in (X, d) ad un punto x 0 che, per definizione, appartiene a K. D altra parte, siccome {x nj } converge anch essa a x 0, dalla disuguaglianza d(y, x nj ) < ε, e dall Esercizio 1.15, segue che d(y, x 0 ) ε, cosicché y appartiene a K + ε. Abbiamo così dimostrato, come volevamo, che se n n ε, allora K n K + ε. Osservazione Si noti che dal momento che (K(X), h) è completo per il Teorema precedente, le successioni di Cauchy sono tutte e sole quelle convergenti. Ne segue che se {K n } è una successione di compatti convergente a K, allora vale per K la caratterizzazione data dal Teorema: è l insieme che contiene tutti i limiti di tutte le successioni {x n K n } convergenti.

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33 CAPITOLO 3 Sistemi di funzioni iterate Dopo aver posto le basi teoriche nei precedenti capitoli, introdurremo (mediante numerosi esempi) il concetto di sistema di funzioni iterate e di attrattore di un sistema di funzioni iterate; dimostreremo il teorema del Collage, che ci darà la possibilità, dato un insieme compatto, di costruire il sistema di funzioni iterate che lo genera (o che lo approssima) come attrattore. 1. Da funzioni su X a funzioni su K(X) Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia f : X X una funzione continua. Per il Teorema 2.5, se K appartiene a K(X), allora f(k) appartiene a K(X). In altre parole, una funzione f continua da X in X genera una funzione F da K(X) in sé definita da F : K(X) K(X) K f(k) Quali proprietà della funzione f eredita la funzione F? Teorema 3.1. Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia f : X X una funzione lipschitziana di costante di lipschitz L. Allora la funzione F da K(X) in sé definita da F (K) = f(k) è lipschitziana da (K(X), h) in sé, con costante di lipschitz L. Dimostrazione. Essendo f lispchitziana, si ha d(f(x), f(y)) L d(x, y), x, y X. Siano ora K e H in K(X); iniziamo col dare una stima su d(f(k), f(h)). Per definizione, d(f(k), f(h)) = max min d(z, w). z f(k) w f(h) Dal momento che per ogni z in f(k) esiste x in K tale che z = f(x), e per ogni w in f(h) esiste y in H tale che w = f(y), possiamo riscrivere, usando il fatto che f è lipschitziana, d(f(k), f(h)) = max x K min y H d(f(x), f(y)) max x K min y H L d(x, y) = L d(k, H). Invertendo il ruolo di K e H si ottiene d(f(h), f(k)) L d(h, K) e quindi h(f(k), f(h)) L h(k, H), 33

34 34 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE come volevasi dimostrare. Se, oltre ad essere lipschitziana, la funzione f è anche una contrazione, allora anche la funzione F è una contrazione. Se (X, d) è completo, anche (K(X), h) lo è (per il Teorema 2.22) e quindi ha un unico compatto fisso (per il Teorema 1.26). Ovviamente, dato che anche f ha un unico punto fisso x, è chiaro che il compatto invariante è l insieme {x 0 }. Ed infatti, se partiamo da un qualsiasi insieme K 0 e definiamo per ricorrenza K n = F (n) (K 0 ), allora K n contiene le iterate n-sime (tramite f) dei punti di K 0. Dal momento che ognuna delle iterate n-sime converge a x 0 (si veda la dimostrazione del Teorema 1.26, o l Osservazione 1.27), l insieme limite di K n nella metrica di Hausdorff (che, sempre per la dimostrazione del Teorema 1.26, sappiamo essere l insieme invariante) è proprio {x 0 } (essendo l insieme costituito dall unico limite di successioni {x n K n }, si veda la dimostrazione del Teorema 2.22). In definitiva, partendo da una contrazione non si guadagna molto passando da X a K(X). Supponiamo ora di avere non una, ma m contrazioni f 1,..., f m di fattori di contrazione L 1,..., L m rispettivamente. Dato che l unione di un numero finito di compatti è ancora un compatto, possiamo definire un applicazione F da K(X) in sé nel modo seguente: (3.1) F : K(X) K(X) m K F i (K), dove F i è la contrazione (di fattore contrattivo L i ) da K(X) in sé definita da F i (K) = f i (K) per ogni K in K(X). Teorema 3.2. Sia (X, d) uno spazio metrico, e siano f 1,..., f m contrazioni di X in sé di fattori di contrazione L 1,..., L m. Allora la funzione F definita da (3.1) è una contrazione di K(X) in sé, di fattore di contrazione i=1 L = max{l 1,..., L m } < 1. Dimostrazione. Siano H e K in K(X). Usando più volte il Lemma 2.19 abbiamo ( m m ) h(f (H), F (K)) = h F i (H), F j (K) max {h(f i(h), F i (K))}. 1 i m i=1 j=1 Ricordando che le F i sono contrazioni di fattore contrattivo L i si ha dunque h(f (H), F (K)) max {L i h(h, K)} = ( max L ) i h(h, K) = L h(h, K), 1 i m 1 i m come volevasi dimostrare.

35 1. DA FUNZIONI SU X A FUNZIONI SU K(X) 35 Se (X, d) è uno spazio metrico completo, e {f i } 1 i m sono contrazioni da X in sé, allora F, definita in (3.1) è una contrazione e quindi, per il Teorema 1.26 ha un unico compatto invariante K, che può essere ottenuto come limite (nella metrica di Hausdorff), della successione {K n = F (n) (K 0 )} ottenuta iterando F a partire da un compatto qualsiasi K 0. È facile vedere che se x i è l unico punto fisso di f i, allora {x 1,..., x m } è contenuto in K. Infatti, se consideriamo K 0 = {x j }, per qualche j tra 1 e m, allora, dato che f (n) j (x j ) = x j per ogni j, m m x j {f i (x j )} = F (K 0 ) = K 1, x j i=1 ed in generale x j m i=1 i=1 {f (n) i (x j )} F (K n 1 ) = K n. {f (2) i (x j )} F (K 1 ) = K 2, Siccome la successione costante {x n = x j } è tale che x n appartiene a K n per ogni n, e converge a x j, dalla caratterizzazione di K come limite dei K n, si ha che x j appartiene a K, qualsiasi sia j tra 1 ed m. L osservazione fondamentale è la seguente: è vero che nell insieme invariante ci sono tutti i punti fissi delle m contrazioni, ma non solo. L insieme K può essere, in generale, molto più ricco, come mostra il seguente esempio. Esempio 3.3. Sia (X, d) = (R 2, d 2 ), e siano f 1 : R 2 R 2 e f 2 : R 2 R 2 definite da f 1 (x, y) = ( x 2, y 2 ), f 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 1 2 ). È facile vedere che f 1 e f 2 sono contrazioni di fattore L 1 = 1 2 = L 2, così come è facile vedere che (0, 0) e (1, 1) sono i punti fissi di f 1 e f 2 (non c è bisogno di iterare, basta calcolare!). Definita F da K(R 2 ) in sé come F (K) = F 1 (K) F 2 (K), sappiamo che F è una contrazione di fattore contrattivo L = 1. Essendo 2 (R 2, d 2 ) completo, anche (K(R 2 ), h) lo è, e quindi F ha un unico compatto invariante K, che contiene sia (0, 0) che (1, 1). Consideriamo ora l insieme compatto D = {(x, y) R 2 : 0 y = x 1}, o, in altre parole, la diagonale che congiunge (0, 0) con (1, 1) nel quadrato [0, 1] [0, 1]. Ovviamente, e F 1 (D) = D 1 = {(x, y) R 2 : 0 y = x 1 2 }, F 2 (D) = D 2 = {(x, y) R 2 : 1 2 y = x 1},

36 36 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE cosicché F (D) = F 1 (D) F 2 (D) = D. Iterando F a partire da K 0 = D, si ha pertanto K n = F (n) (D) = D per ogni n, e quindi K = D. In altre parole, il compatto invariante per F non si limita ai due punti (0, 0) e (1, 1), ma è tutta la diagonale D: un insieme ben più ricco dell unione dei due punti. D altra parte, che l insieme invariante fosse la diagonale del quadrato poteva essere anche dedotto visivamente disegnando sovrapposte le prime sei iterate di Q = [0, 1] [0, 1] tramite F. Alcune iterate di Q sotto l azione di F. Nel disegno sono rappresentate in rosso le immagini di Q tramite f 1, ed in blu le immagini di Q tramite f 2. Perché non è solo la coppia di punti (0, 0) e (1, 1) l insieme invariante, ma è la diagonale? Proviamo a vedere cosa accade se prendiamo K 0 = {(0, 0)}. È vero che F 1 (K 0 ) = K 0 (l origine non si muove), ma F 2 (K 0 ) = {( 1 2, 1 2 )}, cosicché K 1 = F (1) (K 0 ) = {(0, 0), ( 1 2, 1 2) }, che ha un punto in più rispetto a K 0. Continuando, e calcolando le immagini dei due punti tramite f 1 e f 2, si ha e, continuando, K 2 = F (2) (K 0 ) = {(0, 0), ( 1 4, 1 4), ( 1 2, 1 2), ( 3 4, 3 4) }, K n = F (n) (K 0 ) = {( k 2 n, k 2 n ), k = 0,..., 2 n 1 }.

37 1. DA FUNZIONI SU X A FUNZIONI SU K(X) 37 Dal momento che ogni x in [0, 1) si può espandere in forma binaria come x = + k=1 a k (x) 2 k, con a k in {0, 1} per ogni k, e non definitivamente uguale a 1, se definiamo x n = n k=1 a k (x) 2 k = k n(x) 2 n, allora k n (x) è un intero compreso tra 0 e 2 n 1, e quindi (x n, x n ) appartiene a K n per ogni n. Poiché {(x n, x n )} converge a (x, x), tale punto appartiene all insieme invariante K per il Teorema In altre parole, siccome consideriamo due funzioni, è vero che una delle due lascia invariato un punto, ma l altra ne aggiunge di nuovi, che poi l azione combinata delle due funzioni provvede a moltiplicare in numero, fino a riempire la diagonale. Un altro modo di recuperare la diagonale del quadrato è il seguente: partiamo da (x 0, y 0 ) = (0, 0), disegniamo il punto (x 0, y 0 ) e lanciamo una moneta: se esce testa, definiamo (x 1, y 1 ) = f 1 (x 0, y 0 ), mentre se esce croce definiamo (x 1, y 1 ) = f 2 (x 0, y 0 ); disegniamo (x 1, y 1 ) e, nuovamente, lanciamo una moneta, usando f 1 o f 2 per definire (x 2, y 2 ) a seconda se esca testa o croce. Ripetendo l operazione, dopo un numero abbastanza elevato di lanci avremo un approssimazione dell insieme invariante K (il perché ciò sia vero sarà spiegato rigorosamente in seguito). Ad esempio, se lanciamo duecento volte la moneta, abbiamo La diagonale approssimata da 200 scelte casuali di f 1 ed f 2

38 38 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE Nel disegno, sono colorati in rosso i punti ottenuti scegliendo f 1, e in blu quelli ottenuti scegliendo f 2. Si noti la differenza con il disegno precedente, dove in rosso erano rappresentate le immagini del quadrato Q = [0, 1] [0, 1] tramite f 1, ed in blu le immagini di Q tramite f 2. Esempio 3.4. Adesso complichiamo (o miglioriamo...) le cose: invece di considerare due contrazioni, ne consideriamo tre. Siano allora f 1 (x, y) = ( x 2, y 2 ), f 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 1 2 ), f 3(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 0). La funzione F da K(R 2 ) in sé definita da 3 F (K) = F i (K), i=1 è una contrazione di fattore L = 1, e possiede quindi un compatto invariante 2 K. In K troviamo i tre punti fissi delle tre contrazioni che definiscono F, vale a dire (0, 0), (1, 1) e ( 1, 0). Come nel caso precedente, la situazione è però 2 molto più complessa. Ad esempio, la diagonale D del quadrato è sicuramente contenuta in K, dato che, definendo D 1 e D 2 come prima, si ha dove F (D) = F 1 (D) F 2 (D) F 3 (D) = D 1 D 2 D 3 = D D 3, D 3 = {(x, y) R 2 : 0 y = x }. Pertanto, D F (D) = F (1) (D), da cui segue D F (n) (D) per ogni n. Per il Lemma 2.20, D è un sottoinsieme dell insieme invariante K. Non si ha, però, D = K. Infatti, essendo F 1 (D) = D D 3, abbiamo da cui F (2) (D) = F (F (1) (D)) = F (D D 3 ) = D D 3 F (D 3 ), F (3) (D) = F (F (2) (D)) = F (D D 3 F (D 3 )) = D D 3 F (D 3 ) F (2) (D 3 ), e, iterando, F (n) (D) = D D 3 n 1 i=1 F (i) (D 3 ). Pertanto, D 3 è contenuto in F (n) (D) per ogni n maggiore di 1, e quindi D 3 è contenuto in K; ed anche F (D 3 ) è contenuto in F (n) (D) per ogni n 2, e quindi è in K; ed anche F (2) (D 3 )... Se ci facciamo aiutare dal caso, e scegliamo f 1, f 2 o f 3 a seconda se otteniamo {1, 2}, {3, 4} o {5, 6} lanciando un dado (volendo, si può ricorrere ad una moneta da 3D, che come è noto ha altrettante facce), otteniamo la figura seguente:

39 1. DA FUNZIONI SU X A FUNZIONI SU K(X) 39 L insieme K approssimato da 500 scelte casuali di f 1, f 2 e f 3 Disegnando un po meglio, ovvero disegnando F (6) ( ), dove è il triangolo rettangolo di vertici (0, 0), (1, 0) e (1, 1), troviamo: F (6) ( )

40 40 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE L insieme K limite (della cui complessità la figura qui sopra è solo una pallida imitazione) viene detto triangolo di Sierpinski. Da ora in poi, invece di chiamarlo K, lo chiameremo. Una versione più ordinata del triangolo di Sierpinski è l insieme, ottenuto come insieme invariante delle tre contrazioni f 1 (x, y) = ( x 2, y 2 ), f 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 3 2 ), f 3(x, y) = f 1 (x, y) + (1, 0), a partire dal triangolo equilatero di vertici (0, 0), (1, 0) e ( 1, 3). Ecco il 2 2 disegno della quinta iterata, colorando in rosso l immagine di tramite f 1, in blu l immagine di tramite f 2, ed in verde l immagine di tramite f 3. F (5) ( ) Esempio 3.5. A questo punto, complichiamo ulteriormente la faccenda aggiungendo una quarta trasformazione: f 1 (x, y) = ( x 2, y 2 ), f 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 1 2 ), f 3 (x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 0), f 4(x, y) = f 1 (x, y) + (0, 1 2 ). Come al solito, facciamo partire la macchina dell iterazione casuale, questa volta usando un dado da 4 (questi esistono!), e lanciandolo 1000 volte:

41 2. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE 41 L insieme K approssimato da 1000 scelte casuali di f 1, f 2, f 3 e f 4 Che cosa succede? Perché non si forma un insieme bello, ma solo un banalissimo quadrato? La risposta è semplice: se chiamiamo Q il quadrato [0, 1] [0, 1], allora F 1 (Q) = [0, 1] [0, 1], F 2 2 2(Q) = [ 1, 1] [ 1, 1], 2 2 F 3 (Q) = [ 1 2, 1] [0, 1 2 ], F 4(Q) = [0, 1 2 ] [ 1 2, 1], e quindi F (1) (Q) = Q! In altre parole, Q è l insieme invariante di F : aggiungendo una contrazione in più, abbiamo distrutto la complessità di, e siamo ripiombati nella monotonia delle figure geometriche a noi note. Dopo tanti esempi, è venuto il momento di dare un po di rigorosità a quello che abbiamo fatto. 2. Sistemi di funzioni iterate Definizione 3.6. Sia (X, d) uno spazio metrico completo. Un sistema di funzioni iterate (detto anche IFS, iterated function system) su X è un insieme F = {f 1,..., f m } di contrazioni definite su X. Dato un sistema di

42 42 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE funzioni iterate, e definita F da K(X) in sé come m F (K) = F i (K), i=1 l insieme invariante K di F viene detto attrattore del sistema di funzioni iterate. Pertanto, è l attrattore del sistema di funzioni iterate definito da f 1 (x, y) = ( x 2, y 2 ), f 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 3 2 ), f 3(x, y) = f 1 (x, y) + (1, 0), mentre la diagonale del quadrato Q = [0, 1] [0, 1] è l attrattore dell IFS definito da f 1 (x, y) = ( x 2, y 2 ), f 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 2, 1 2 ). Cambiando le contrazioni, cambia l attrattore, e chiaramente si perdono le proprietà di simmetria di oggetti come la diagonale, o : ad esempio, se consideriamo le quattro contrazioni f 1 (x, y) = 1 ( ) x y, f 10 5x + 3y 2 (x, y) = 1 ( ) 5x 2y + 3, 10 7y + 4 f 3 (x, y) = 1 ( ) 6x 2, f 10 3x 4y (x, y) = 1 ( ) x 7y + 9, 10 x + 2y 3 e iteriamo cinque volte a partire dal quadrato unitario, troviamo F (5) ( ) che è meno gradevole a vedersi di. La cosa interessante è che le quattro parti, colorate in rosso, blu, verde e ciano, sono ottenibili una dall altra tramite una trasformazione rigida. In altre parole, l insieme K è unione di quattro parti diverse (nel caso di le tre parti erano uguali a meno di traslazioni) ognuna delle quali può essere trasformata nell altra mediante un movimento rigido del piano.

43 3. IL TEOREMA DEL COLLAGE 43 Esercizio 3.7. Sapreste scrivere esplicitamente la trasformazione che porta la parte ciano nella parte blu? Definizione 3.8. Un insieme K in K(X) si dice autosimilare se esistono m trasformazioni f 1,..., f m di X in sé tali che K = f 1 (K)... f m (K). Chiaramente ogni attrattore di un IFS è, per definizione, un insieme autosimilare. 3. Il teorema del collage Supponiamo ora di aver sognato un oggetto meraviglioso: una scacchiera quattro per quattro, in cui ogni casella nera era a sua volta fatta da una scacchiera quattro per quattro, in cui ogni casella nera era a sua volta fatta da una scacchiera.... Risvegliatici da sonni agitati, e forti della definizione di autosimilarità, ci siamo resi conto di aver sognato un insieme autosimilare, uguale all unione di otto copie ridotte di se stesso, disposte simmetricamente a scacchiera. Pensiamo (crediamo, o speriamo) di aver sognato l attrattore di un IFS. Già, ma di quale? Quali e quante sono le contrazioni che l hanno creato (ammesso che l abbiano creato!)? Abbiamo sotto mano il disegno che ancora semiaddormentati abbiamo buttato giù in fretta e furia: Sarà sufficiente scrivere le otto contrazioni che prendono il quadrato unitario Q = [0, 1] [0, 1] e lo riducono negli otto quadratini che formano il primo livello della scacchiera? Armati di carta e penna, scriviamo le otto funzioni f 1 (x, y) = ( x, y ), f 4 4 2(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1, 0), 2 f 3 (x, y) = f 1 (x, y) + ( 1 4, 1 4 ), f 4(x, y) = f 1 (x, y) + ( 3 4, 1 4 ), f 5 (x, y) = f 1 (x, y) + (0, 1), f 2 7(x, y) = f 1 (x, y) + ( 1, 1), 2 2 f 6 (x, y) = f 1 (x, y) + ( 1, 3), f 4 2 8(x, y) = f 1 (x, y) + ( 3, 3), 4 4

44 44 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE e vediamo cosa succede disegnando le prime quattro iterazioni del quadrato Q, ovvero F (4) ( ): F (4) ( ) Ha funzionato! Siamo contenti, ma ci viene un dubbio: abbiamo solo disegnato alcune delle iterazioni (le prime quattro), e sono pochine per sapere se abbiamo costruito le cose in maniera corretta. Avremmo bisogno di un risultato teorico che ci garantisca che quello che abbiamo fatto (la scacchiera che avevamo immaginato era uguale ad otto copie riscalate di se stessa; abbiamo scritto le otto contrazioni; il disegno che abbiamo ottenuto è una buona approssimazione dell attrattore) ha senso. Teorema 3.9. Sia (X, d) uno spazio metrico completo, e sia assegnato F = {f 1,..., f m } un sistema di funzioni iterate su X di fattore di contrazione L < 1. Sia ε 0, e sia H in K(X) tale che Detto K l attrattore di F, si ha allora h(f (H), H) < ε. h(k, H) < ε 1 L. Dimostrazione. È una semplice applicazione della dimostrazione del teorema delle contrazioni: partendo da K 0 = H, e ripetendo la dimostrazione,

45 3. IL TEOREMA DEL COLLAGE 45 si ha da cui h(k n+1, K n ) L n h(k 1, K 0 ) = L n h(f (H), H) < L n ε, h(k n, H) n 1 j=0 h(k j+1, K j ) < n 1 j=0 L j ε = ε 1 Ln 1 L < ε 1 L. Ricordando che K n converge a K nella distanza h, e che la funzione h(, H) è continua (per l Esercizio 1.15), si ha la tesi passando al limite. Le applicazioni del teorema precedente (detto teorema del Collage) sono due. Se ε = 0, allora h(k, H) = 0, e quindi l attrattore dell IFS è proprio H che sarà quindi ben approssimato dalle iterazioni dell IFS a partire da qualsiasi insieme del piano. Ad esempio, consideriamo la cosiddetta curva di von Koch, che viene costruita nel modo seguente: dato il segmento [0, 1], si levi il terzo centrale e lo si sostituisca con due segmenti di lunghezza 1 che formino un triangolo 3 equilatero. Si ripeta la procedura per ognuno dei quattro segmenti così ottenuti, e così via. La curva limite (simile ad un fiocco di neve) è la curva di von Koch. La procedura di costruzione della curva di von Koch È allora chiaro (dalla procedura), che la curva di von Koch è uguale all unione (esatta) di quattro copie di se stessa, riscalate di un fattore un terzo. Due copie (la prima e l ultima) sono traslate, mentre le altre due sono ruotate (di π e π rispettivamente) e poi traslate. In simboli 3 3 e f 1 (x, y) = ( x 3, y 3 ), f 2(x, y) = ( x , y 3 ), f 3 (x, y) = ( x 3y + 1, 3x+y ), f (x, y) = ( x+ 3y + 1, 6 2, ed iterando sei volte, otteniamo una buona approssima- Partendo da K 0 = zione della curva. 3x+y + 3 ) 6 6

46 46 3. SISTEMI DI FUNZIONI ITERATE Un approssimazione della curva di Von Koch: F (6) ( ) Se nel teorema del Collage si ha ε > 0, e costruiamo un IFS ed un insieme H che è vicino (nel senso della distanza di Hausdorff) alla propria prima immagine tramite l IFS, allora l insieme H è una buona approssimazione dell attrattore dell IFS. Quest ultima applicazione ci fornisce una ricetta per trovare un sistema di funzioni iterate che approssimi un insieme autosimilare non perfettamente regolare (come lo sono, o la scacchiera). Identifichiamo, anche approssimativamente, le parti autosimili, e scriviamo le contrazioni che portano tutto l insieme nelle varie sotto-parti. Se in questa maniera copriamo quasi tutto l insieme (a meno di una distanza di Hausdorff pari a ε), allora l attrattore dell IFS che abbiamo scritto, attrattore che sappiamo disegnare con un computer, approssima l insieme autosimile da cui eravamo partiti. Ad esempio, supponiamo di voler disegnare la struttura dei rami un albero (bidimensionale...) come attrattore di un IFS. La struttura autosimilare è abbastanza evidente: dal tronco si dipartono (a diverse altezze e a diverse inclinazioni) rami verso destra e verso sinistra, ed ognuno dei due rami ha, a sua volta, dei rametti (a destra ed a sinistra), che hanno sotto-rametti, e così via. Pertanto, ogni ramo è una copia in miniatura di tutto l albero.

47 3. IL TEOREMA DEL COLLAGE 47 La struttura dei rami di un albero (più o meno...) Cosa notiamo dal disegno? Che il primo ramo di sinistra è lungo circa un terzo di tutto l albero, è ruotato (rispetto al tronco) di circa sessanta, sessantacinque gradi, ed è traslato verso l alto di un quinto dell albero; che il primo ramo di destra è lungo circa un quarto di tutto l albero, che è ruotato (rispetto al tronco) di meno quarantacinque gradi (o giù di lì), ed è traslato verso l alto di circa un quarto dell albero; ed infine che la parte di albero dai secondi rami in su è una copia ridotta di circa un quarto dell albero, traslata verso l alto di circa un terzo della lunghezza dell albero. In definitiva, la situazione è questa: L albero come unione di copie di se stesso Come si vede (un po barando, le immagini incollate sono opache...) le tre copie ridotte dell albero lo ricoprono più o meno interamente: spuntano solo dei rametti qua e là: per il teorema del Collage, l attrattore dell IFS generato dalle tre contrazioni che abbiamo descritto è abbastanza vicino (nel senso della misura di Hausdorff) all albero che abbiamo disegnato. Passando dalle parole ai numeri, e ricordando che la matrice che descrive una rotazione di un angolo θ (in senso antiorario) è data da ( ) cos(θ) sen(θ) M =, sen(θ) cos(θ) e supponendo che l albero sia alto 1, abbiamo ( ) ( ) ( ) 1/6 3/6 f 1 (x, y) = x 0 +, 3/6 1/6 y 1/5 ( ) ( ) ( ) 2/8 2/8 f 2 (x, y) = 2/8 x 0 +, 2/8 y 1/4

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