Modelli Numerici della Fisica

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1 Modelli Numerici della Fisica G. Turchetti Anno accademico

2 1. Ricorrenze Nello sviluppo di un algoritmo numerico per risolvere una determinata equazione è importante valutare l errore che si commette rispetto alla soluzione esatta. L errore è dovuto sia al metodo di approssimazione su cui l algoritmo di basa, sia alla precisone finita con cui rappresentiamo i numeri reali in un computer. La rappresentazione dei reali tramite stringhe finite introduce errori di arrotondamento in tutte le operazioni aritmetiche. Questi errori possono accumularsi causando un allontanamento significativo rispetto alla soluzione esatta del problema. Una classe importante di algoritmi sono le ricorrenze definite da una applicazione M : R d R d. Dato un punto iniziale l applicazione M genera una successione di punti; se M è contrattiva ed ha un punto fisso la successione vi converge. In questo caso la velocità di convergenza è un dato significativo, perché determina il numero di iterazioni necessarie per raggiungere una precisione desiderata. Le ricorrenze sono quindi utilizzate per generare successioni che convergono al puno fisso o allo zero una mappa oppure al punto di minimo di un funzione. Le ricorrenze sono anche utilizzate per costruire successioni di punti che approssimano l orbita di un sistema dinamico. Velocità di convergenza Dato un punto iniziale x 0 consideriamo la successione generata da M x n = M(x n 1 ) Se la mappa ha un punto fisso x ossia M(x) = x definiamo l errore alla n-esima iterazione ɛ n = x n x Proposizione Sia M mappa è Hölderiana di ordine α 1 cioè M(y) M(x) L y x α Se α = 1 la mappa è contrattiva ed ha un punto fisso se L < 1. La convergenza si dice lineare e si ha ɛ n L n ɛ 0 Se α > 1 la mappa è contrattiva e la successione converge ad un punto fisso se Lɛ 0 < 1 e la stima sull errore è ɛ n L αn 1 α 1 Prova Nel caso α = 1 il risultato è evidente. Nel caso generale α > 1 abbiamo ɛ α n 0 ɛ n = x n x = M(x n 1 ) M(x) L ɛ α n 1

3 ed iterando si ha ɛ n L (Lɛ α n )α = L 1+α ɛ α n L1+α (Lɛ α n 3 )α = L 1+α+α ɛ α3 n 3 In generale si ha quindi ɛ n L 1+α+α +...+α n 1 ɛ αn 0 ed osservando che 1 + α + α α n 1 = 1 αn 1 α il risultato è provato. In particolare per α = si ha convergenza quadraticae risulta che ɛ n L n 1 ɛ n 0 Supponendo che ɛ 0 = 0.1 e che L = 1 si vede che dopo 4 iterazioni l errore è vale a dire uguale all errore di macchina. Esempi Consideriamo due semplici esempi di convergenza. La mappa lineare M(x) = ax+1 con a < 1 ha punto fisso x = (1 a) 1 ed in questo caso è lineare e si ha ɛ n = aɛ n 1. Nella figura 1 si mostra l interpretazione geometrica di questa convergenza: si traccia il grafico della mappa e della mappa identità: y = M(x) e y = x. La successione è data da y 0 = M(x 0 ) x 1 = y 0 y 1 = M(x 1 ) x = y e la rappresentazione è data dalla scala tratteggiata mostrata nella figura 1. y y=x y=f(x) x x x x x Figura 1 Interpretazione geometrica della convergenza lineare 3

4 Consideriamo la mappa M(x) = bx ax il cui punto fisso è x = (b 1)/a. Se questo è anche un punto critico cioè M (x) = 0 allora la convergenza è quadratica. Questo si verifica se b = ossia se M(x) = x ax ed in tal caso il punto fisso è x = 1/a. Infatti ɛ n = xn 1 ax n 1 a 1 = a (xn a 1 ) = aɛ n 1 Nella figura mostriamo la illustrazione grafica della convergenza quadratica in questo esempio. y y=x y=f(x) x x x 0 1 x Figura Interpretazione geometrica della convergenza quadratica Il metodo di Newton Questo metodo consiste nel costruire una successione che converge allo zero di una funzione f(x) dove x R a partire dalla linearizzazione della funzione attorno ad un punto iniziale assegnato. La figura 3 mostra l interpretazione geometrica del metodo che consiste nel trovare il punto x 1 in cui la tangente al grafico della funzione in x 0 interseca l asse x. Si costruisce quindi la retta tangente al grafico y = f(x) della funzione nel punto (x 1, y 1 ) dove y 1 = f(x 1 ) e si determina la sua intersezione x con l asse x. Il procedimento ora descritto, ed illustrato nella figura 3, viene chiamato metodo di Newton delle tangenti. y y=f(x) x x 1 x 0 Figura 3 Interpretazione geometrica del metodo di Newton tangenti 4

5 Iterando il procedimento si costruisce una successione x 0, x 1,..., x n... la cui convergenza allo zero della funzione è quadratica. Nel caso in cui la funzione abbia più zeri, la successione converge ad uno di questi. Per ogni zero esiste un intorno, detto bacino di attrazione, i cui punti generano successioni ad esso convergenti Proposizione Data la funzione f(x) : R R che assumiamo di classe C, la mappa M(x) = x f(x) f (x) f (x) df dx ha un punto fisso x in ogni zero non critico della funzione f(x) = 0, f (x) 0 e la convergenza ad x della successione x n = M(x n 1 ) con punto iniziale x 0, nel suo bacino di attrazione, risulta essere quadratica. Prova Infatti lo sviluppo di Taylor di f(x) attoron al punto x 0 è dato da ) f(x) = f(x 0 ) + (x x 0 )f (x 0 ) + O ((x x 0 ) Se approssimiamo la funzione con la sua parte lineare trascurando il resto, lo zero, che indichiamo con x 1, è dato da f(x 0 ) + (x x 0 )f (x 0 )x 1 = 0 ossia x 1 = x 0 f(x 0) f (x 0 ) Se prendiamo x 1 come nuovo punto iniziale e linearizziamo f(x) attorno ad esso, lo zero della funzione linearizzata è x = x 1 f(x 1) f (x 1 ) Continuando il procedimento otteniamo una successione corrispondente alle iterazioni della mappa M(x) = x f(x) f (x) che converge al suo punto fisso M(x) = x che corrisponde a f(x) = 0 purché sia f (x) 0. La continuità di della derivata prima ci assicura che essa è non nulla in un intorno dello zero. Questo è evidente anche dalla interpretazione geometrica: la presenza di punti critici in prossimità dell zero può inficiare la convergenza. Per mostrare che la convergenza è quadratica consideriamo la successione degli errori ɛ n = x n x = x n 1 f(x n 1) f (x n 1 ) x Lo sviluppo di Taylor di f(x) attorno a x n 1 si scrive f(x) = f(x n 1 ) + f (x n 1 )(x x n 1 ) + 1 f (ξ) (x x n 1 ) 5

6 dove ξ è un punto interno all intervallo di estremi x n 1 e x. Se x è lo zero della funzione cioè f(x) = 0 abbiamo f(x n 1) f (x n 1 ) = x x n f (ξ) f (x n 1 ) (x x n 1) e la stima sull errore diventa ɛ n = (x n 1 x) f (ξ) f (x n 1 ) C ɛ n 1 dove C è una opportuna costante che maggiore il rapporto tra il valore assoluto della derivata seconda e della derivata prima in un opportuno intorno di x 0 che contiene lo zero x della funzione. Il metodo delle secanti Una alternativa, che evita il calcolo delle derivata, consiste nel costruire una successione di approssimazioni lineari che utilizzano il valore della funzione in due punti anziché della derivata in un punto, da cui il nome di metodo delle secanti. y y=f(x) x 1 x x 3 x 0 Figura 4 Interpretazione geometrica del metodo di Newton secanti Inizializziamo il metodo scegliendo due punti x 0, x 1 sufficientemente prossimi allo zero della funzione che approssimiamo con la retta y = f (x) che la la interpola f (x) = f(x 0 ) + f(x 1) f(x 0 ) x 1 x 0 (x x 0 ) Indichiamo con x zero della approssimazione lineare cioè f (x ) = 0 dove x = x 0 Iterando il procedimento si ottiene x n+1 = x n 1 x 1 x 0 f(x 1 ) f(x 0 ) f(x 0) x n x n 1 f(x n ) f(x n 1 ) f(x n 1) 6

7 Come nel caso del metodo delle tangenti si può provare che la convergenza è quadratica. Estensione a più dimensioni Consideraimo una applicazione f(x) : R d R d. La ricerca di suo zero f(x) = 0 corrisponde alla soluzione del sistema di equazioni f 1 (x 1,..., x d ) = f d (x 1,..., x d ) = 0 Il procedimento è del tutto simile a quella del caso unidimensionale se si utilizza il metodo delle tangenti. Se indichiamo con F la matrice jacobiana della trasformazione F ij (x) = f i x j (x) allora lo zero di f(x) è il punto fisso della applicazione M(x) = x F 1 (x)f(x) Ne segue quindi che la successione definita da x n = x n 1 F 1 (x n 1 )f(x n 1 ) converge quadraticamente ad uno zero x della applicazione f. La interpretazione geometrica nel caso d = è chiara: le superfici y = f 1 (x 1, x ) e y = f 1 (x 1, x ) intersecano il piano y = 0 in due curve la cui intersezione è lo zero della pplicazione f(x). Nel punto (x 01, x 0, y 01 ) dove y 01 = f 1 (x 01, x 0 ) costruiamo il piano tangente alla superficie y = f 1 (x 1, x ) e nel punto (x 01, x 0, y 0 ) dove y 0 = f (x 01, x 0 ) costruiamo il piano tangente alla tangente alla superficie y = f (x 1, x ). Questi piani intersecano il piano y = 0 in due rette la cui intersezione è una approssimazione allo zero della applicazione. Il metodo delle secanti, sempre nel caso d =, si realizza prendendo tre punti iniziali x 0, x 1, x e costruendo i due piani che passano per i corrispondenti punti delle due superfici y = f 1 (x 1, x ) e y = f (x 1, x ). I bacini di convergenza Se una funzione f(x) ha piú zeri individuare i rispettivi bacini di attrazione è un problema difficile. Infatti questi sono determinati dai punti critici della funzione, ossia dagli zeri della derivata prima, che naturalmente in generale non sono noti a priori come quelli della funzione. Nella figura 5 si mostrano i bacini di attrazione nel piano complesso z = x + iy per gli zeri della funzione f(z) = z 3 1. Ciascun colore corrisponde ad un bacino. Si noti 7

8 che la frontiera dei bacini ha una proprieta di invarianza di scala ed e una curva frattale con dimensione non intera. 1 1 y y x 1 x 1 Figura 5 Bacini di attrazione nel metodo di Newton tangenti per gli zeri cmplessi di f (z)=z 1 1. Griglia di punti iniziali a sinistra, punti iniziali a destra Procedimento di deflazione Quando, come nel caso di un polinomio, si vlogliono trovare tutti gli zeri, reali o complessi di di una funzione f (x), il procdimento da usare consiste nel trovare il primo zero x(1) nel cui bacino di attrazione cade il punto iniziale x0. Si considera quindi la funzione f (x)/(x x(1) ) e se ne cerca lo zero x() nel cui bacino di attrazione cade il punto iniziale che puo anche essere lo stesso x0. Si itera il procedimento fino a trovare tutti gli zeri desiderati. Nel caso dei polinomi esistono altri metodi per la ricerca degli zeri. Un metodo particolarmente efficace e quello di Laguerre (vedi Numerical Recipies) Ricerca per continuita Se la funzione dipende da un parametro f (x, α) e si conosce lo zero per un suo particolare valore f (x0, α0 ) = 0, allora supposto che f (x, α) = 0 sia localmente invertibile, e possibile seguire lo zero per continuita al variare di α costruendo in tal modo la traiettoria x = x(α). In tal caso la ipotesi di regolarita f C e la condizione x f (x0, α0 ) 6= 0, che gararantisce (teorema di Dini) la invertibilita locale, e la stessa che assicura la convergenza del metodo di Newton. L unico punto delicato e la scelta dell incremento in α, che deve essere sufficientemente piccolo affinche non si esca dal bacino di attrazione dello zero che si sta calcolando. 8

9 Il metodo di bisezione Questo metodo si applica al calcolo dello zero di una funzione f(x) : R R che si suppone sia l unico in un intervallo [a, b] ove f(a) f(b) < 0. Consideriamo quindi il punto di mezzo c = (a + b)/ e se f(a)f(c) < 0 poniamo x 0 = a, x 1 = (a + b)/ altrimenti se f(b)f(c) < 0 poniamo x 0 = (a + b)/, x 1 = b. Al passo k abbiamo dunque un intervallo [x k 1, x k ] ai cui estremi la funzione ha segno opposto. Basta allora porre a = x k 1, b = x k e c = (a + b)/. Come al passo iniziale si defnisce x k = a, x k+1 = c se f(a)f(c) < 0 x k = c, x k+1 = b se f(c)f(b) < 0 la successione {x n } converge allo zero x della funzione e la convergenza è geometrica con ragione 1/ cioè x n x b a n Quindi se lo zero è unico si ha convergenza ed in meno di 60 passi si raggiunge la precisione di macchina. Il metodo ha estensioni multidimensionali ove prende il nome di metodo del grado topologico. Se abbiamo una mappa f(x) = (f 1 (x, y), f (x, y) ) le linee f 1 = 0, f = 0 nella cui intersezione cade lo zero della applicazione, dividono un qudrato in cui cade lo zero in quattro regioni. Se suddividiamo un rettangolo entro cui cade lo zero in rettangoli di lato metà ve ne è uno che interseca le quattro regioni in cui cade quindi lo zero. Una rappresentazione efficace è qulla di associre a ciascuna della 4 regioni un colore diverso. y y=f(x) x x x 4 x x Le ricorrenze lineari Figura 6 Interpretazione geometrica del metodo di bisezione L più semplice ricorreza lineare è data da x n+1 = αx n + β 9

10 La soluzione si ottiene, come per le equazioni differenziali lineari, aggiungendo alla soluzione generale della omogenea cα n, una soluzione particolare che in questo caso è semplicemente una costante x n = cα n + β 1 α Imponendo la condizione iniziale x 0 si trova x n = x 0 α n + β 1 αn 1 α Un procedimento analogo si applica alle ricorrenze lineari di vttori x n+1 = Ax n + β x n R d per le quali la soluzione generale è data da Ricorrenze a più termini x n = A n x 0 + (1 A) 1 (1 A n ) β Le ricorrenze, lineari e non, possono essere a p termini, cioè correlare x n, x n+1,..., x n+p dove p è l ordine della ricorrenza. Come per le equazioni differenziali una ricorrenza a p termini equivale ad una ricorrenza ad un termine per un vettore x R p. Infatti la ricorrenza x n+p = α p 1 x n+p 1 + α p x n+p α 1 x n+1 + α 0 x n è equivalente alla ricorrenza ad un termine x n+1 = A x n x n = x n+p 1 x n+p. x n+1 x n α p 1 α p α 1 α A = Per determinare la soluzione della ricorenza a p termini si pone x n = λ n e si trova che F (x n, x n+1,..., x n+p ) x n+p α p 1 x n+p 1 α p x n+p... α 1 x n+1 α 0 x n = λ n Q p (λ) dove Q p (λ) è un polinomio di grado p Q p (λ) λ p α p 1 λ p 1... α 1 λ α 0 La ricorrenza è soddisfatta F = 0 se λ è uno zero del polinomio Q p. Detti allora λ 1,..., λ p gli zeri di Q p, reali o complessi, che supponiamo siano tutti semplici. La soluzione generale della ricorrenza si scrive p x n = λ n k c k k=1 10

11 e per n = 0, 1,..., p 1 abbiamo un sistema lineare che determina le costanti c 1,..., c p in funzione delle condizioni iniziali x 0,..., x p 1. Possimao riscrivere il sistema nella forma x 0 = Λc dove il vettore x 0 è stato definito sopra, c ha come componenti (c 1,..., c p ) e la matrice dei coefficienti A, detta di Vandermonde, è non singolare e risulta espressa da Λ = λ 1 λ... λ p λ p 1 1 λ p 1... λp p 1 det Λ = j<k (λ j λ k ) 11

12 . Integrazione numerica I metodi di integrazione numerica per le equazioni differenziali consistono nel determinare schemi ricorrenti che generano orbite discrete vicine a quelle esatte. Uno schema di integrazione di ordine m è una mappa da t a t + t che approssima il flusso esatto S t+ t,t a meno di un termine ( t) m+1, detto errore locale di discretizzazione. L errore in un intervallo di tempo finito [0, t] è in generale stimato da ( t) m e Lt se non si fanno altre ipotesi sul campo vettoriale tranne quelle di regolarità. Vi sono schemi di integrazione che preservano proprietà geometriche o simmetrie del flusso. Per le equazioni di Hamilton gli schemi di integrazione simplettici, sono mappe il cui jacobiano è una matrice simplettica al pari di quella del flusso. Si presentano tre tipi di integratori: quelli detti di Eulero, che fanno intervenire le derivate del campo vettoriale, quelli detti di Runghe Kutta, che richiedono soltanto valutazioni del campo, integratori simplettici espliciti basati sulla composizione dei flussi generati, nell intervallo t dalla energia cinetica e dalla energia potenziale rispettivamente. Il metodo di Eulero Consideriamo l equazione differenziale ẋ(t) = Φ(x(t), t) dove x R d. Indichiamo con S t,t0 l applicazione che sposta un punto lungo l orbita dal temo t 0 al tempo t. Se il campo non dipende esplicitamente da t questa applicazione forma un gruppo e dipende soltanto dall intervallo di tempo t t 0 e scriviamo S t t0. L orbita con punto iniziale x 0 è data da x(t) = S t,t0 x 0 Lo spostamento lungo l orbita tra l istante t e l istante t + t è dato da x(t + t) x(t) (S t+ t,t 1)x(t) Utilizzando lo lo sviluppo di Taylor al primo ordine sia x(t + t) x(t) = ẋ(t) t + E 1 = t Φ + E 1 mentre al al secondo ordine si ottiene x(t + t) x(t) = ẋ(t) t + ẍ(t) ( t) + E = t Φ + ( t) [ Φ x Φ + Φ ] t + E dove Φ è valutata in x(t), t al pari dei resti E 1 ed E che sono di ordine ( t) e ( t) 3 rispettivamente. Gli schemi di integrazione, detti di Eulero, si ottengono trascurando il resto. Lo schema del primo ordine è dato da x k+1 x k = t Φ(x k, t k ) 1

13 dove t k = k t. In modo del tutto simile si ottengono gli schemi di ordine superiore. Notiamo che uno schema di integrazione differisce dalla mappa di Poincaré di un sistema periodico perché le successioni di punti che genera sono prossime all orbita esatta anziché appartenere ad essa, come mostra schematicamente la figura 7 Figura 7 Sezione di Poincaré (lato sinistro), integrazione numerica (lato destro). Errore locale ed errore globale Scriviamo l evoluzione tra t e t + t x(t + t) x(t) (S t+ t,t 1)x(t) = t Ψ ( x(t), t ) + E ( x(t), t ) supponendo che Ψ sia lipschitziana ed il resto E, detto errore locale di discretizzazione, sia di ordine m Ψ(y, t) Ψ(x, t) L x y, E ( t) m+1 M in un dominio compatto D R d. Lo schema di integrazione è fornito dalla ricorrenza x k+1 x k = t Ψ(x k, t k ) dove t k = k t. In ogni intervallo [t k + t, t k ] la mappa esatta S tk + t,t k differisce dallo schema di integrazione per l errore locale E. La norma della differenza tra la soluzione esatta al tempo t k e la soluzione approssimata costituisce l errore globale e k = x(k t) x k Teorema. Per uno schema di integrazione di ordine m ove Ψ soddisfi la condizione di Lipshitz l errore globale è limitato da e k ( t) m M L [ e Lt k 1 ] Prova Prendendo la differenza tra x(t k+1 ) valutato per t = t k e e x k+1 si ha x(t k+1 ) x k+1 x(t k ) x k + t Ψ(x(t k ), t k ) Ψ(x k, t k ) + E 13

14 L errore e k soddisfa la disuguaglianza e k+1 e k + tle k + M( t) m+1 e, scelto lo stesso punto iniziale x 0 = x(0) cui corrisponde e 0 = 0, è maggiorato da e k che soddisfa la ricorrenza e k+1 = (1 + tl)e k + M( t) m+1 inizializzata da e 0 = 0. Infatti e 1 M( t) m+1 = e 1 e supposto e k e k si ha e k+1 e k + tle k +M( t) m+1 = e k+1 e dunque per induzione la disuguaglianza è vera qualunque sia k. La parte omogenea della ricorrenza ha come soluzione c(1 + L t) k dove c è una costante arbitraria e la soluzione si ottiene aggiungendo una soluzione particolare della ricorrenza non omogenea cioè ( t) m M/L. La costante c è fissata da e 0 = 0 e k e k = ( t) m M L [ (1 + t L) k 1 ] ( t) m M L (elk t 1) La stima esponenziale non è migliorabile se non si fanno ipotesi più specifiche sulla natura del campo vettoriale. Per capire meglio perché, senza ulteriori ipotesi la stima non può essere migliorata, consideriamo due equazioni differenziali il cui campo vettoriale differisce per una piccola quantità ẋ = α x ẏ = αy + ɛ Le soluzioni corrispondenti alla stessa condizione iniziale x(0) = y(0) = x 0 sono date da x(t) = x 0 e αt y(t) = x 0 e αt + ɛ α (eαt 1) Per tempi piccoli t α 1 la differenza y(t) x(t) cresce linearmente con t come ɛt, ma per tempi grandi la crescita è esponenziale. Metodo di Runge Kutta di ordine due e quattro I metodi di Eulero richiedono il calcolo delle derivate del campo Φ(x, t) rispetto a x e t. Per evitare questo calcolo, oneroso per gli schemi di ordine elevato poiché va fatto analiticamente, sono stati sviluppati altri schemi detti di Runge-Kutta, che richiedono solo la valutazione del campo. Lo schema del secondo ordine si basa sulla identità seguente Ψ(x, t) 1 [Φ(x, t) + Φ(x + tφ(x, t), t + t)] = = Φ(x, t) + t [ ] Φ Φ (x, t) Φ(x, t) + (x, t) x t + O ( ( t) ) 14

15 ed il corrispondente algoritmo che definisce lo schema di Runge-Kutta è [ 1 x k+1 x k = t Φ(x k, t k ) + 1 ( ) ] Φ x k + t Φ(x k, t k ), t k + t In generale uno schema di Runge-Kutta si scrive nella forma seguente Ψ = m A j K j, K 1 = Φ(x, t), K j = Φ(x + β j tk j 1, t + α j t), j j=1 dove i pesi A i con i 1 ed i coefficienti α i, β i con i si determinano imponendo che l errore di discretizzazione sia ( t) m+1. Per m = si ricava che A 1 + A = 1, A α = A β = 1 che ammette una famiglia ad un parametro µ con 0 < µ < 1 di soluzioni α = β = (µ) 1 e A 1 = 1 µ, A = µ; lo schema (..3) corrisponde a µ = 1. Per lo schema del quarto ordine m = 4 occorre risolvere un sistema algebrico la cui soluzione è A 1 = A 4 = A = A 3 = 1 6 α = β = α 3 = β 3 = 1 α 4 = β 4 = 1. Scritto per esteso lo schema di Runge-Kutta del quarto ordine, che è tra i più frequentemente usati per l integrazione numerica, diventa K 1 = Φ(x k, t k ) K = Φ(x k + t K 1, t k + t ) K 3 = Φ(x k + t K, t k + t ) K 4 = Φ(x k + t K 3, t k + t) x k+1 = x k + t 6 [K 1 + K + K 3 + K 4 ] Poiché l errore globale è spesso fortemente sovrastimato dalla stima esponenziale, in particolare nel caso di moti periodici o quasiperiodici, una valutazione più attendibile si ottiene se l equazione ammette un integrale primo. Se H(x) è l integrale primo di un sistema autonomo H(x k ) = H(x(t k )) + H x (x(t k)) e k + O(e k) = H(x 0 ) + H x (x(t k)) e k + O(e k) 15

16 dove e k = x k x(t k ). La variazione H(x k ) H(x 0 ) dell integrale primo fornisce la proiezione dell errore sulla normale alla superficie H(x) = E, dopo aver diviso per H/ x fintanto che esso si mantiene sufficientemente piccolo da poter trascurare O(e k ). Integratori simplettici di ordine uno e due Le equazioni del moto di un sistema conservativo con d gradi di libertà e hamiltoniano sono date da H(q, p) = p + V (q) q = H p = p, ṗ = H q = f(q) dove f(q) = grad V (q). Uno schema di Eulero del primo ordine si scrive q k+1 = q k + t p k p k + t f(q k ) p k+1 La matrice jacobiana della mappa non è simplettica e quindi l orbita ottenuta con il metodo di Eulero non soddisfa i vincoli geometrici della evoluzione hamiltoniana. Ricordiamo che una matrice M è simplettica se soddisfa la condizione seguente MJ M = J J = 0 I I 0 dove I è l identità d d. Se d = 1 la condizione necessaria e sufficiente perché M sia simplettica è che det M = 1. Se d = 1 il determinante della matrice jacobiana della mappa corrispondente allo schema di Eulero vale 1 t det M = det = 1 ( t) f (q k ) t f (q k ) 1 I metodi simplettici espliciti, che si applicano ad un hamiltoniano della forma sopra indicata, in cui cioè l energia cinetica dipende solo dal momento, il potenziale solo dalle coordinate, si basano sul procedimento di splitting. Questo metodo consiste nell approssimare l evoluzione in un intervallo di tempo t componendo la mappa generata dalla energia cinetica S (T ) t = e t D T dove D T indica la derivata di Lie di T, con la mappa generata dalla sola energia potenziale S (V ) t = e t D V 16

17 Si ha quindi la composizione di due mappe simplettiche ed il risultato è una mappa simplettica. ( ) x k+1 = e t D T e t D V q x x = p La evoluzione generata da H è espressa da x(t + t) = e t D H x(t) Lo schema di integrazione, definito dalla composizione delle due mappe soprea indicate esprime in modo esplicito nella forma seguente q k+1 = e t D T e t D V q k = I t q k 0 I p k + t f(q k ) p k+1 L algoritmo da usare nel calcolo numerico è quindi il seguente p k+1 = p k + t f(q k ) p k q k+1 = q k + t p k+1 Uno scema alternativo equivalente si ottiene componendo il flusso generato da V con quello generato da T. Poichè la parentesi di Poisson tra T (p) e V (q) è diversa da zero le derivate di D T e DV non cummutano e quindi le due mappe sono diverse anche il corrispondente errore locale è lo stesso. Infatt x( t) x 1 = (e t D H e t D T e t D V x = O ( ) ) e td T e td V e td H = ( t) D [V,T ] + O ( ( t) 3) Per provarlo sviluppiamo gli esponenziali ponendo A = D T, B = D V, τ = t e τa e τb e τ(a+b) = (1 + τa + τ A +...)(1 + τb + τ B +...) [1 + τa + τb + τ A + τ B + τ (AB + BA) +...] = = τ (AB BA) + O(τ 3 ) Il metodo del secondo ordine si ottiene componendo nel modo seguente x 1 = e 1 t D T e t D V e 1 t D T x Infatti la seguente identità. e τ A e τb e τ A e τ(a+b) = O(τ 3 ) 17

18 mostra che x( t) = x 1 + O(( t) 3 ) Integratore simplettico del quarto ordine Si ottiene componendo per tre volte il metodo del secondo ordine, con passi temporali scelti in modo opportuno. x 1 = M (α t) M ( β t) imponendo che il time step complessivo sia t e che l ordine sia il quarto ossia α β = 1 x( t) = x 1 + O(( t) 5 ) ( ) M (α t)x Poiche la composizione diretta dà un errore C 3 ( t) 3 + C 5 ( t) imponenedo C 3 = 0 si rende il metodo del quarto ordine. Tale condizione è soddisfatta se che fornisce insieme con la precedente α 3 β 3 = 0 α 3 (α 1) 3 = 0 1/3 α = α 1 da cui segue che α = 1 1/3 β = 1 1/3 Composizione di metodi del secondo ordine Mostriamo che componendo tre volte il Runge-Kutta del secondo ordine si può ottienere un metodo del terzo ordine. I passi temporali risultano gli stessi che nel caso simplettico, per il quale la prova è del tutto analoga. Data l equazione differenziale dx dt = Φ(x) x Rd il Runge Kutta di ordine due è definito da x α = R α x x + α t [Φ(x) + Φ(x + α tφ(x))] 18

19 La dimostrazione vale per d 1. La notazione usata è appropriata per d = 1. Lo schema è dato da x α = x + α t Φ x Φ + α t Φ x Φ + α3 t 3 4 ) Φ xx Φ + O (( t) 4 Quando in Φ o le sue derivate non si scrive l argomento si intende che questo sia x cioè Φ Φ(x), Φ x Φ x (x),... Proposizione La composizione di tre Runge kutta del secondo ordine con passi temporali α t, β t e α t dove α β = 1 fornisce uno schema del terzo ordine se vale la condizione α 3 = β 3 ossia R α R β R α x = x + t Φ x Φ + t Φ x Φ + t3 6 (Φ xx Φ + Φ xφ) + O (( t) 4) Quidi la condizione è la stessa che per il caso simplettico e si ha dunque α = 1 1/3 β = 1 1/3 Se, come accade nel caso simplettico, l errore da contributo solo agli ordini dispari, per ragioni di simmetria, R α x = x(α t) + C 3 ( t) 3 + C 5 ( t) , allora la precedente condizione assicura che lo schema sia del quarto ordine. Prova Consideriamo dapprima x α β = R β R α x = x + t (α β)φ + ( t) (α β) Φ x Φ+ + ( t)3 4 (α 3 β 3 + αβ βα ) Φ xx Φ + ( t)3 (αβ βα ), Φ x Φ + O ( ( t) 4) Si vede subito che imponendo l uguaglianza dei coefficienti di Φ x Φ e di Φ xx Φ si ottiene α 3 = β 3 che implica α = β incompatibile con α β = 1. La sola soluzione possibile corrisponde alla identità, ossia t = 0. x α β = R α R β R α x = x + (α β) tφ + ( t) (α β) Φ x Φ+ + ( t)3 4 ( α 3 β 3 + αβ βα + α 3 + α (α β) + α (α β) ) Φ xx Φ + 19

20 ( t) 3 ) ) (αβ βα + α (α β) + α(α β) Φ x (( t) 3 Φ + O 4 Imponendo che i coefficienti di Φ xx Φ e di Φ x Φ siano uguali si trova che α3 = β 3 che va soddifatta insieme con α β = 1 da cui segue α = ( 1/3 ) 1. Occorre tuttavia verificare che i coeeficienti siano uguali a 1/6 perché lo schema sia di ordine 3. Tenendo conto che β = α 1 e che α β = 1 α il coefficiente di Φ x Φ è dato da ( ) 3 ( ) αβ βα + α(α β) + α (α β) = ( ) = ( )3 α(α 1) α (α 1) + α(1 α) + α (1 α) = ( t) 3 α(α 1) Perché lo schema sia di ordine 3 occorre che sia α(α 1) = 1 6 condizione che è verificata per α = ( 1/3 ) 1. Infatti si ha che α(α 1) = (1/3 1) ( 1/3 ) 3 e questo vale 1/6 perché è immediato verificare che ( 1/3 ) 3 = 6( 1/3 1). L oscillatore armonico Analizziamo l errore globale nel caso dell oscillatore armonico definito dalla hamiltoniana Le equazioni del moto sono H = ω p + q e la soluzione è espressa da q = ωp x(t) = R(ωt) x 0 x = ( ) q p ṗ = ωq ( ) cos φ sin φ Rφ = sin φ cos φ Lo schema di Eulero è dato da x k+1 = Mx k M = 0 ( 1 ) ω t ω t 1

21 Gli autovalori della matrice M sono dove λ = 1 ± iω t = ρ e ±iα α = (1 + ω ( t) ) 1/ tan α = ω t Detta T la matrice che trasforma la matrice diagonale diag (e iα, e iα ) nella rotazione R(α) si trova che x k+1 = ρ k TR(kα)T 1 x k Detto t = k t troviamo che l ampiezza della oscillazione anziché mantenersi costante cresce come ρ k. In un periodo T = π/ω = k t la crescita in ampiezza vale ρ k = e 1 log(1+ω t) e k ω ( t) / = e π /k Quindi scegliendo k = 100 punti per periodo si ha un errore in ampiezza del 0% dopo un singolo periodo che scende al % con k = 1000 punti. L errore in fase è più piccolo e vale kα = kω t k 3 ω3 ( t) 3 = π ed è di ordine 1/k anziché 1/k come per l ampiezza. Nel metodo di Runge-Kutta si trova x k+1 = Mx k M = Gli autovalori in questo caso sono ) (1 4π 3k ( ) 1 ω ω t ω t 1 ω λ = 1 ω ( t) Il loro prodotto ossia il determinante vale ± iω t det M = 1 + ω4 ( t) 4 Dunque anche in questo caso l ampiezza cresce ma in un periodo il suo aumento vale e π4 /k 3 e quindi con k = 100 punti per periodo l errore è dello 0.01%. Il guadagno passando da un metodo del primo ad uno del secondo ordine è notevole. Con il Runge-Kutta di ordine 4 si ha la mappa ( ) C(ωt) S(ωt) x k+1 = Mx k M = S(ωt) C(ωt) 1 4

22 r -th order 4-th order 0 n 10 Figura 3 Decadimento ρ=a k+1 /A k della ampiezza di oscillazione A=(E) 1/ =(x +p ) 1/ in funzione del numero di passi k=t / t per periodo per gli schemi di Runge Kutta di ordine e 4 dove C(α) e S(α) sono i troncamenti al quarto ordine delle funzioni sin α e cos α C = 1 1 α α4 S = α 1 3 α3 α = ω t IL determinante della matrice M vale S + C = α6 (1 1 8 α ) (3.11) La mappa è contrattiva per α <, La massima contrazione si ha per α = 6. k = T/ t è il numero di passi temporali per periodo, vedi figura Se k = π 6.56 r = A k+1 A k = 1 massimo smorzamento k < π. instabilità Si noti che dopo un periodo con la ampiezza di oscillazione diventa circa e 64π6 /(144 k 5 ) se k e quindi con k = 10 l errore è di 0.4% mentre con k = 100 diventa Quando si prendono.56 passi per periodo lo smorzamente è fortissimo e dopo k = 10 passi l ampiezza si è ridotta a 10 3 volte quella iniziale. Questo fatto può essere utilizzato per realizzare i vincoli di un sustema utilizzando molle rigide. La scelta di t va fatta in modo da risolvere bene le altre oscillazioni presenti, mentre le oscillazioni rapide della molla rigida non vengono risolte. Questa va popo pochi passi alla sua lunghezza di equilibrio. In questo modo si realizzano quasi istantanemante i vincoli. Risolvere la molla rigida richiede un passo molto piccolo ed è del tutto inutile perchè le sue rapide oscillazioni sono irrilevanti, anzi un effetto indesiderato nel processo di realizzazione del vincolo. Questo metodo può essere usato per descrivere il moto di catene come quelle di polipeptidi che costituiscono le proteine.

23 Nello schema simplettico si ha x k+1 = 1 ω t 1 0 x k = 1 ω ( t) ω t x k 0 1 ω t 1 ω t 1 Gli autovalori hanno modulo 1 e sono dati da Si può riscrivere quindi λ = e ±iα cos α = 1 1 ω ( t) sin(α/) = ω t/ La matrice M che definisce l integratore è quindi coiugata, tramite una trasformazione lineare W con una rotazione x k+1 = W R(α) W 1 x k da cui segue che L orbita è una ellisse di equazione x k = W R(kα) W 1 x 0 x W 1 W 1 x = 1 L errore in fase è dello stesso ordine di quello del metodo di Eulero mentre l errore in ampiezza oscilla indefinitamente tra i due semiassi della ellisse. Sviluppando sin(α/) si trova che α = ω t + α3 4 + O(α5 ) da cui sedue che detto t = k t kα ωt = (ωt)3 4k Su un periodo l errore in fase vale π 3 /(3k ) e quindi l errore relativo è π /6k ). Con k = 10 punti per periodo l errore relativo in fase è dell ordine del 1%, quello in ampiezza è confrontabile. Mentre però l errore in fase cresce linearmente con t l errore in ampiezza non cresce ed in media è nullo. 3

24 3 Interpolazione polinomiale I metodi di interpolazione polinomiale consisteono nel trovare polinomi che assumono il valore di una funzione in un insieme di punti assegnato. Sia f(x) una funzione di variabile reale e (x i, y i ) con i = 1,..., n una successione di punti nel piano che appartengono al grafico della funzione. Se i punti sono distinti esiste ed è unico il polinomio interpolante P n 1 (x) di grado n 1. La interpolazione viene anche detta di Lagrange. Un problema che si pone è quello della convergenza per n quando i punti di interpolazione vengono scelti equispaziati in un dato intervallo [a, b]. Onde evitare fenomeni di rapida oscillazione, che impediscono la convergenza, una alternativa è data dalla interpolazione con polinomi di ordine basso raccordati con continuità insieme con le prime derivate. L errore commesso nella interpolazione di una funzione con un polinomio puè essere valutato e la formula per il resto è analoga a quella che vale per lo sviluppo di Taylor. Infine la interpolazione polinomiale è la base per costruire dei metodi approssimati per valutare l integrale di una funzione. L errore di interpolazione viene usato per ottenere una stima dell errore nella formula di quadratura. Interpolazione di Legendre Il polionomio interpolante P n 1 (x) si scrive P n 1 (x) = n k=0 a k x k dove i coefficienti sono soluzione del sistema lineare y i = n 1 k=0 a k x k i dove la matrice dei coefficienti è M i k = x k i. La matrice è non singolare se i punti di interpolazione x 1, x,..., x n sono tutti distinti poiché il suo determinante è quello di Van der Monde. 1 x 1 x 1... x1 n 1 1 x x... x n 1 M = x n x n... x n 1 n Una base per i polinomi interpolanti è fornita da det M = i<j (x i x j ) L (n 1) k (x) = i k (x x i ) (x k x i ) L (n 1) k (x j ) = δ kj 4

25 ed il polinomio si riscrive nella forma P n 1 (x) = n k=0 y k L (n 1) k (x) Proposizione Il polinomio P n 1 (x) che interpola i punti (x i, y i ) con i = 1,..., n esiste ed è unico se x 1, x,..., x n sono distinti. Se i punti (x i, y i ) appartengono al grafico di una funzione f(x) di classe C n x 1 < x <... x n y 1 = f(x 1 ),..., y n = f(x n ) allora vale la formula seguente per il resto della interpolazione dove x 1 < ξ < x n. f(x) = P n 1 (x) + f (n) (ξ) n! U n (x) U n (x) = n (x x i ) Prova Consideriamo un nuovo punto z tale che x 1 < z < x n e definiamo la funzione i=1 g(x) = f(x) P n 1 (x) U n (x) f(z) P n 1(z) U n (z) È evidente che la funzione g(x) si annulla nei punti x 1, x,..., x n ed inoltre nel punto z. Per il teorema di Rolle se una funzione di classe C 1 si annulla agli estremi di un intervallo [a, b], allora la sua derivata prima si annulla in un punto dell intervallo f (α) = 0 per α [a, b]. Dato che g(x) si annulla in n + 1 punti di [a, b] allora g (x) si annullla in n punti di [a, b], g (x) in n 1 punti e finalmente g (n) (x) in un punto ξ di ]x 1, x n [. Scriviamo dunque 0 = g (n) (ξ) = f (n) (ξ) n! f(z) P n 1(z) U ( z) da cui segue che f(z) = P n 1 (z) + f (n) (ξ) n! U n (z) dove abbiamo assunto che z fosse un punto qualsiasi tranne che un punto di interpolazione x 1,.... In tutti i punti di interpolazione l ultima relazione è però banalmente verificata. Convergenza Per quanto attiene la converhenza per n si hanno esempi di funzioni continue come f(x) = x definita in [ 1 1] per la quale la successione P n (x) interpolante la funzione in n + 1 punti equispaziati non converge tranne che in ±1. 5

26 L esistenza di successioni di polinomi convergenti ad una funzione continua f(x) in un intervallo [a, b] è assicurata dal teorema di Weierstrass. Non si tratta pero di polinomi intepolanti. Ad esempio i polinomi di Bernstein B n (x) = n k=0 ( ) n x k (1 x) n k f k convergono uniformemente ad una f(x) continua in [0, 1] ( ) k n Un ruolo importante nella analisi numerica hanno i polinomi di Tchebicheff definiti da e soddisfa la relazione di ricorrenza T n (x) = cos(n arcos(x)) T n+1 = xt n (x) T n 1 T 0 = 1 T 1 (x) = x Se f(x) è una funzione di classe C definita in [ 1, 1] allora i polinomi di interpolazione P n 1 ove i punti x 1,..., x n sono gli zeri dei polinomi di Tchebicheff ( ) k 1 x k = cos n π convergono uniformemente a f(x) per n. Interpolzione a tratti k = 1,..., n Un modo per evitare problemi di convergenza consiste nell interpolare un funzione con polinomi di ordine basso m =, 3,... raccordandoli con continuità insieme con le derivate fino all ordine m 1. Se m = si parla di splines quadratiche, se m = 3 di splines cubiche. Splines quadratiche Consideriamo prima il caso in cui i punti di interpolazione siano soltanto due x 1, x, ove è noto il valore della funzione f(x). In questo caso scriviamo la spline quadratica P 1 (x) = f(x 1 ) + s 1 (x x 1 ) + a 1 (x x 1 ) x 1 x x Se nel punto x 1 assegnamo il valore della derivata prima della funzione f (x 1 ) resta indeterminato solo il coefficiente a 1 che è fissato dal valore della funzione nel punto x. P 1 (x ) = f(x ) a 1 = f(x ) f(x 1 ) s 1 (x x 1 ) (x x 1 ) In questo modo il valore s della derivata di P 1 (x) in x risulta a sua volta determinato s = P 1 (x ) = s 1 + a 1 (x x 1 ) 6

27 Se aggiungiamo un terzo punto di interpolazione x 3 allora risulta definita una seconda spline quadratica P (x) = f(x ) + s (x x ) + a (x x 1 ) x x x 3 Nel punto x le due splines si raccordano con continuità insieme con la derivata prima. Il coefficiente a viene determinato imponendo che P (x 3 ) = f(x 3 ) e questo determina il valore s 3 = P (x 3) della derivata prima in x 3 a = f(x 3) f(x ) s (x 3 x ) (x 3 x ) s 3 = P (x 3 ) = s + a (x 3 x ) Il procedimento continua in modo che assegnati n punti di interpolazione x 1,..., x n ed i corrispondenti valori della funzione f(x) in essi ed in aggiunta il valore della derivata prima nel primo punto s 1 = f (x 1 ) si ha una interpolazione del grafico della funzione con una retta y = f(x 1 ) + s 1 (x x 1 ) in ], x 1 ], con n 1 archi di parabola in [x 1, x ], [x, x 3 ],..., [x n 1, x n ] e con una retta y = f(x n ) + s n (x x n ) in [x n, + [, vedi figura y x x x 1 3 x Figura 8 Interpretazione geometrica della interpolazione con splines su tre punti x 1,x,x 3 Splines cubiche Se i punti di interpolazione sono due x 1, x la spline è data da P 1 (x) = f(x 1 ) + s 1 (x x 1 ) + a 1 (x x 1 ) + b 1 (x x 1 ) 3 x 1 x x e risulta determinata se viene dato il valore della funzione f(x) nei punti x 1, x e della sua derivata prima negli stessi punti s 1 = f (x 1 ) e s = f (x ). Poiché P 1 (x) dipende 7

28 da costanti a 1, b 1 queste sono determinate imponendo che P 1 (x ) = f(x ), P 1(x ) = s. Infatti il sistema lineare a 1 (x x 1 ) + b 1 (x x 1 ) 3 = f(x ) f(x 1 ) s 1 (x x 1 ) a 1 (x x 1 ) + 3b 1 (x x 1 ) = s s 1 è non singolare essendo x 1 x Nel caso in cui i punti di interpolazione siano x 1, x,..., x n+1, le incognite sono + 3(n 1), ed altrettante le condizioni da imporre ossia il raccordo (continuità fino alla derivata seconda) tra P ( k 1)(x) e P k (x) in x = x k e la condizione che in x = x n+1 il polinomio e la sua derivata prima siano uguali a f(x n+1 ) e s n+1. Si procede in due passi: prima si impone la continuità dei polinomi P 1, P,..., P n incluso L n+1 e delle loro derivate prime nei punti x,..., x n+1 determinando i coefficienti A 1, b 1,..., a n, b n in funzione di s 1,..., s n+1. I coefficienti incogniti s,..., s n vendono a loro volta determinati imponendo la contiuità delle derivate seconde di P 1, P,..., P n in x,..., x n Consideraimo dunque il sistema costistuito da n polinomi cubici e da due semirette y = L 0 (x) e y = L n+1 (x) uscenti dai punti estremi di ascissa x 1, x n+1 ed aventi pendenza assegnate s 1, s n+1 L 0 (x) = f(x 1 ) + s 1 (x x 1 ) x x 1 P 1 (x) = f(x 1 ) + s 1 (x x 1 ) + a 1 (x x 1 ) + b 1 (x x 1 ) 3 x 1 x x P (x) = f(x ) + s (x x ) + a (x x ) + b (x x ) 3 x x x 3... P n 1 (x) = f(x n 1 ) + s n 1 (x x n 1 ) + a n 1 (x x n 1 ) + b n 1 (x x n 1 ) 3 x n 1 x x n P n (x) = f(x n ) + s n (x x n ) + a n (x x n ) + b n (x x n ) 3 x n x x n+1 L n+1 (x) = f(x 1 ) + s 1 (x x 1 ) x x n+1 Imponiamo quindi la continuità tra P k (x) e P k+1 (x) e tra le loro derivate prime nel punto x k+1 per k = 1,..., n 1 e tra P n (x) e L n+1 nel punto x n+1. So ottiene quindi a k k + b k k = ( f) k s k k = 1,,..., n a k k + 3b k k = s k+1 s k dove abbiamo posto k = x k+1 x k ( f) k = f(x k+1 f(x k ) x k+1 x k Riesprimiamo a k e b k attraverso s k ed s k+1, ancora incogniti, risolvendo il sistema lineare a k k = 3( f) k s k s k+1 k = 1,,..., n b k k = ( f) k + s k + s k+1 8

29 Imponiamo le condizioni di continuità della derivata seconda nei punti x,..., x n. Questo da n 1 equazioni che determinano i coefficienti s,..., s n 1. Le equazioni che si ottengono sono date da a 1 + 6b 1 1 = a.. a k + 6b k k = a k+1.. a n 1 + 6b n 1 n 1 = a n Sostituendo ad a k e b k la loro espressione in funzione degli s i si ottiene il sistema di equazioni lineari con matrice dei coefficienti tridiagonale seguente ) s ( 1 + ) + s 3 1 = 3 ( ( f) ( f) 1 s 1 + ) s 3 + s 3 ( + 3 ) + s 4 = 3 ( 3 ( f) + ( f) 3.. ) s k k+1 + s k+1 ( k + k+1 ) + s k+ k = 3 ( k+1 ( f) k + k ( f) k+1.. ) s n n 1 + s n 1 ( n + n 1 ) + s n n = 3 ( n 1 ( f) n + n ( f) n 1 ) s n 1 n + s n ( n 1 + n ) = 3 ( n ( f) n 1 + n 1 ( f) n s n+1 n 1 Nel capitolo 5 si sviluppa l algoritmo per risolvere questo sistema di equazioni lineari. 9

30 4 Metodi di quadratura L integrale di una funzione f(x) su di un intervallo [a, b] si calcola interpolando la funzione integranda su n punti ordinati in una successione crescente x 1,..., x m [a, b] che di norma vengono scelti equispaziati con x 1 = a e x n = b. Utilizzando il polinomio interpolante P m 1 (x) si ottiene una formula di quadratura, detta di Newton-Cotes, che si scrive I = b a f(x) dx = m k=1 f(x x ) w k + E m dove w k sono coefficienti positivi detti pesi. L espressione per i pesi ed il resto si ottiene dalla formula di interpolazione f(x) = P (m 1) + f (m) (ξ) U m (x) P m 1 (x) = n! m k=1 f(x k ) L (m 1) k (x) Se la funzione è di classe C m in [a, b], allora risulta limitata f (m) (x) M per ogni x in [a, b]. I pesi ed il resto sono espressi da w k = b a L (m 1) k (x) dx E m M m! b a U m (x) dx dove abbiamo maggiorato il modulo dell integrale del resto della formula di interpolazione con l integrale del suo modulo usando la maggiorazione per f (n) (ξ). Il metodo dei trapezi Quando m = e x 1 = a, x = b la interpolazione della funzione è lineare ed il suo grafico è il segmento che congiunge i punti estremi nel grafico di f(x). Il valore dell integrale ottenuto con la interpolazione lineare della funzione è l area di un trapezio. In questo caso si ha quindi che w 1 = b a x b a b dx = b a w = b a x a b a dx = b a Per il resto abbiamo E M b a (x a)(b x) dx = M (b a)3 1 Quindi la formula dei trapezi è data da f(b) + f(a) ( ) I = (b a) + O (b a) 3 30

31 Il metodo di Simpson Se n = 3 la interpolazione con un polinomio di grado 3 conduce ad una formula di quadratura detta di Simpson. I punti di interpolazione sono x 1 = a, x = a+b, x 3 = b. I pesi sono allora w 1 = w = w 3 = (b a) 4 (b a) (b a) b a b a b a ( a + b ) x (b x) dx = b a 6 (x a)(b x) dx = (b a) 3 ( (x a) x a + b ) dx = b a 6 Per il resto si trova che E 3 M 3! b a (x a) x a + b (b x) dx = M (b a)4 3 Quindi la formula di quadratura di Simpson si scrive I = b a 6 ( f(a) + 4f ( ) a + b ) ( ) + f(b) + O (b a) 4 La formula non soltanto è esatta per un polinomio di grado come ma anche per un polinomio di grado 3 come si vede integrando x 3. Questa proprieta ulteriore è dovuta alla simmetria della formula. Propagazione dei punti Fissato l intervallo [a, b] è possibile migliorare la precisione aumentando l ordine m di interpolazione. Tuttavia è più semplice ripetere il metodo di integrazione a ordine fissato su un insieme di n sotointervalli in cui si suddivide l intervallo di integrazione [a, b]. In tal caso si ha una formula di quadratura che per n converge al valore esatto dell integrale. Detti dunque x k = k b a n k = 0, 1,..., n 1, n i punti di integrzione, il valore dell integrale è dato da I = n k=1 [ b a n f(x k 1 ) + f(x k ) + E ] ( b a E M 1 n ) 3 Si può riscrivere il risultato n ( ) (b a) 3 I = f(x k ) w k + O k=0 n w 0 = w n = b a, w 1 =... = w n 1 = b a 31

32 La convergenza per n è evidente perché il resto si annulla come n. Inoltre la formula di integrazione è una somma di Riemann questa converge all integrale se la funzione f(x) è continua. Integrali di Stieltjes. Se la funzione ha una singolarità intgrale nel dominio di integrazione, le precedenti stime sul resto non valgono più. Consideriamo ad esempio il caso di una singolarità all estremo x = a di integrazione b f(x) I = dx x a a Ci sono due strade possibili: effetuare un cambiamento di coordinate che rimuove la singolarità. Infatti se poniamo u = x a l integrale diventa I = b a 0 f(a + u ) du ed essendo stata rimossa la singolarità si può usare un metodo dei trapezi iterato con garanzia che l errore è di ordine n. In alternativa si può costruire una formula di quadratura interpolando f(x). I pesi quindi cambiano perché contengono il termine singolare w 1 = b a x b a b La formula di quadratura diventa dx dx = 4 b x a b a w = x a 3 a b a dx x a dx = 3 b a b a f(x) dx = ( ) ( ) x a 3 (b a)1/ f(a) + f(b) + O (b a) 5/ In generale dato un integrale di Stieljes definito da I = b a f(x) dµ(x) dove µ(x) è una misura positiva, vale a dire µ(x) è una funzione monotona non descrescente. La interpolazione di f(x), supposta di classe C m in [a, b], con un polinomio P m 1 (x) su m punti di [a, b] fornisce una formula di quadratura i cui pesi sono dati da w k = b a L (m 1) k (x) dµ(x) Nell esempio presedente si ha µ(x) = (x a) 1/ e quindi il differenziale della misura è dµ(x) = ρ(x) dx dove ρ(x) = (x a) 1/ è la densità della misaura. 3

33 Quadrature di Gauss. Un procedimento di quadratura che consente di raggiungere precisioni più elevate si ottiene con una scelta particolare dei punti di interpolazione. Anziché equispaziati nell intervallo [a, b] i punti di interpolazione vengono scelti negli zeri dei polinomi ortogonali rispetto alla misura µ(x). I polinomi ortogonali Q n (x) di grado n sono definiti da da b a x k Q n (x) dµ(x) = 0 0 k n 1 Si noti che in questo caso l intervallo [a, b] può anche essere illimitato. Esempi di polinomi ortogonali sono: Polinomio [a,b] dµ/dx simbolo Legendre [-1,1] 1 P n (x) Tchebycheff [-1,1] (1 x ) 1/ T n (x) Jacobi [-1,1] (1 x) α (1 + x) β P n (α,β) (x) Laguerre [0, + [ e x L n (x) Hermite ], + [ e x H n (x) I polinomi ortogonali vengono determinati univocamente dai momenti della misura µ n = b a x n dµ(x) Infatti la condizione di ortogonalità dà luogo ad un sistema lineare con matrice M ij = µ i+j non singolare. Basta considerare che l integrale di (c 0 + c 1 x +... c n x n ) è una forma quadratica definita positiva la cui matrice dei coefficienti è M. Per determinare il polinomio ortogonale Q n = x n + n 1 j=0 c j x j imponiamo la condizione di ortogonalità. Si ottiene un sistema lineare n 1 j=0 c j µ j+k + µ n+k = 0 k = 0, 1,..., n 1 la cui matrice è M ed i coefficienti c 0,..., c n 1 sono unicamente determinati. Proposizione I polinomi ortogonali soddisfano relazioni di ricorrenza a tre termini Q n+1 (x) = (x + c n ) Q n(x) + c n 1 Q n 1 Prova Si noti che con la scelta fatta di porre 1 il coefficiente di grado massimo possiamo scrivere xq n = Q n+1 + n 1 j=0 c j Q j(x) Imponiamo la condizione di ortogonalita moltiplicando per 1, x,..., x n successivamente. Ne segue che c 0 = 0, c 1 = 0,..., c n = 0 e la relazione è provata. 33

34 Si noti che i polinomi Q n non sono normalizzati. Imponendo questa condizione si ottiene una nuova relazione di ricorrenza a tre termini per i polinomi normalizzati ˆQn (x) che usualmente si scrive ˆQ n+1 (x) = (a n x + b n ) ˆQ n (x) c n ˆQn 1 b a ˆQ n (x) dµ(x) = 1 Consideriamo ad esempio i polinomi di Legendre che per n 4 sono dati da P 0 (x) = 1 P 1 (x) = x P (x) = x 1 3 P 3 (x) = x P 4 (x) = x x Con gli zeri di questi polinomi costruiamo il metodo di quadratura Per n = si trova che x 1 = 1 w 1 = 1 1 (1 x 3)dx = x = 1 3 w = 1 Possiamo notare che se usiamo la formula I = f(3 1/ ) + f( 3 1/ ) + E e la applichiamo a x otteniamo il risultato esatto. Poiché la simmetria della formula da zero se applicata ad un monomio di grado dispari, ne segue che la formula di quadratura integra esattamente un polinomio di grado 3 qualsiasi. La formula dei trapezi integra esattamente (E = 0) solo poinomi di grado 1. Questa è una proprietà generale dei metodi di quadratura di Gauss. Infatti una formula di quadratura ordinaria ad n punti integra esattamente ogni polinomio di grado non superiore a n 1 mentre le formule di quadratura di Gauss sono esatte per polinomi fino al grado n 1. Diamo in forma numerica gli zeri ed i pesi per la formula gi Gauss-Legendre con n = 4 x 1 = x = x 3 = x x 4 = x 1 w 1 = w = w 3 = w w 4 = w 1 Questi zeri si ottengono risolvendo l equazine biquadratica P 4 (x) = 0, mentre i pesi si ottengono tramite la formula indicata all inizio di questo capitolo. Proposizione La formula di Gauss è esatta per tutti i polinomi U s (x) di grado non superiore a n 1. Prova La cosa è ovvia se il grado s è minore di n in quanto vera per ogni formula di quadratura basata sulla interpolazione polinomiale. Supponiamo dunque che n s n 1 e dividiamo il polinomio U s (s) per il polinomio ortogonale Q n (x) U s (x) = Q n (x) V s n + R n 1 34

35 dove V s n e R n 1 sono i polinomi quoziente e resto con l indice che corrisponde al loro grado. Integriamo tenendo conto che s n n 1 e quindi per la condizione di ortogonalità l integrale di Q n (x) V s n si annulla. Quindi b a U s (x) dµ(x) = b a R n 1 (x) dµ(x) Per il polinomio R n 1 (x) ogni formula di quadratura a n punti è esatta e quindi detti x k, w k zeri e pesi si ha b n R n 1 (x) dµ(x) = R n 1 (x k ) w k a Ora se abbiamo scelto gli x k come zeri del polinomio ortogonale Q n (x) si ha che da cui segue che n U s (x k ) w k = k=1 b a U s (x) dµ(x) = k=1 n R n 1 (x k ) w k k=1 n U s (x k ) w k k=1 vale a dire la formula di quadratura è esatta per U s (x). Propagazione dei punti di Gauss-Legendre Come nel caso della intepolazione ordinaria, si può migliorare la precisione propagando i punti anziché scegliendo quadrature di ordine più elevato. Se propaghiamo ad esempio i punti di Gauss corrispondenti a m = 4 sopra indicati il metodo resta esatto soltanto per polinomi di grado non superiore a 7. Tuttavia se suddividiamo l intevallo a, b in n sottointervalli ed in ciascuno di questi applichiamo il metodo dopo aver riscalato ciascun intervallo riportandolo a [ 1, 1] la convergenza per n risulta comunque assicurata, sempre che la funzione integranda f(x) sia regolare in [a, b]. La formula per la quadratura di Gauss-Legendre propagata in n sottointervalli uguali di [a, b] diventa where J = 4(k 1) + j b a f(x) dx = 4n J=1 X J = a + b a n W J f(x J ) + E (n) 4 ( k x ) j W J = b a n e l errore E (n) 4 è di ordine n 4. Infatti definendo a k = a + (k 1) e b k = a + k, dove = (b a)/n, si ha b a f(x) dx = n k=1 bk a k f(x) dx = n k= f (a k + ) (u + 1) du w j

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