Matematica B - a.a 2006/07 p. 0

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1 Matematica B - a.a 2006/07 p. 0 Prodotto scalare Definizione 1. Sia V uno spazio vettoriale su R. Si chiama prodotto scalare una funzione che ad ogni coppia di vettori (u, v) associa un numero (reale) che indichiamo con u v e che verifica 1. v v 0 per ogni v e vale v v = 0 solo se v = 0 V 2. u v = v u 3. (ru) v = r(u v) 4. (u + w) v = u v + w v

2 Matematica B - a.a 2006/07 p. 1 Da queste proprietà si può dedurre che 0 V v = (0 V + 0 V ) v = 0 V v + 0 V v onde 0 V v = 0 per ogni vettore v. Come al solito riassumiamo le proprietà 3. e 4. con una sola (ru + sw) v = r(u v) + s(w v) Nel caso in cui V sia spazio vettoriale su C anziché su R, si sostituisce la proprietà 2 con la seguente 2 C. u v = v u cioè simmetria coniugata anziché simmetria; in questo modo la condizione 1. assieme alla 2 C. impone che v v è comunque

3 Matematica B - a.a 2006/07 p. 2 un numero reale non negativo. Si può possono riassumere 3. e 4. col dire che la funzione è lineare. L v : V R L v (u) = u v (1) Conosciamo già esempi di prodotti scalari: 1. Il prodotto scalare geometrico o (dei fisici) in R 2 o R 3 2. Il prodotto scalare canonico in R 2, R 3, o in generale, R n x y = x T y = n i=1 x i y i

4 Matematica B - a.a 2006/07 p Nello spazio C[0, 1] delle funzioni continue dall intervallo [0, 1] in R un prodotto scalare è definito tramite (f, g) f g = 1 0 f(t)g(t) dt 4. Sullo spazio T n dei polinomi trigonometrici si può definire un prodotto scalare col porre p 1 (x) p 2 (x) = π π p 1(t)p 2 (t) dt 5. Un altro prodotto scalare in R 2 è definito da [ x1 x 2 ] [ y1 y 2 ] = [ x1, x 2 ] ( ) [ ] y1 y 2

5 Matematica B - a.a 2006/07 p. 4 La verifica delle condizioni 3 e 4 è immediata; la condizione 2 segue dalla simmetria della matrice; anche verificare la condizione 1 (la cosidetta condizione di essere definita positiva ), non presenta problemi perché [ x1 x 2 ] [ x1 x 2 ] = x x 1 x 2 + 5x 2 2 = (x 1 + 2x 2 ) 2 + x 2 2 e dunque è sicuramente positivo a meno che x 1 = x 2 = 0. Gli ultimi esempi suggeriscono la generalità del concetto di prodotto scalare: si potrebbe usare altre matrici in 5, oppure altri intervalli, classi di funzioni, o funzioni di peso nell integrale nell esempio 3. Il risultato seguente, che porta il nome del matematico tedesco

6 Matematica B - a.a 2006/07 p. 5 H. A. Schwarz, dice in sostanza che il modulo del coseno è al più 1. Proposizione 2 (Disuguaglianza di Schwarz). Siano V spazio vettoriale dotato di un prodotto scalare, u e v V. Allora Proposizione 3. u v 2 (u u)(v v) (2) u v 2 = (u u)(v v) (3) se e solo se u e v sono linearmente dipendenti. Definizione 4. In uno spazio dotato di prodotto scalare si chiama norma di un vettore v il numero reale non negativo v v ; indichiamo la norma di v con v. Con questa nomenclatura, la disuguaglianza di Schwarz diventa u v u v (4)

7 Matematica B - a.a 2006/07 p. 6 Inoltre si vede che la norma soddisfa a 1. v 0 per ogni vettore v, e v = 0 se e solo se v = 0 V 2. u + v u + v (la disuguaglianza triangolare) 3. rv = r v Esempio 5. In P n ponendo f, g = n i=0 a i x i, n i=0 b i x i = n i=0 a i b i si definisce un prodotto scalare; lo si verifichi. Definizione 6. Sia V uno spazio vettoriale con prodotto scalare; due vettori x, y V, si dicono ortogonali tra loro se il loro prodotto scalare è uguale a zero.

8 Matematica B - a.a 2006/07 p. 7 Definizione 7. Un vettore x si dice ortogonale ad un insieme di vettori V se è ortogonale ad ogni vettore di V. Per la linearità del prodotto scalare, se un vettore x é ortogonale ad un insieme di vettori {v 1, v 2,..., v k } è anche ortogonale allo spazio < v 1, v 2,..., v k >. Il prodotto scalare permette di introdurre in modo naturale coppie di sottospazi complementari tra loro. Definizione 8. Due sottospazi W 1, W 2 di uno spazio vettoriale con prodotto scalare, V sono ortogonali tra loro se ciascun vettore di W 1 è ortogonale a ogni vettore di W 2. In simboli: W 1 W 2 se e soltanto se x y per ogni x W 1 e y W 2.

9 Matematica B - a.a 2006/07 p. 8 Dato un sottospazio W di V l ortogonale di W è l insieme W definito come: W = {y V : y x = 0 per ogni x W }. Esercizio 9. Dimostrare che W è un sottospazio di V. Esercizio 10. Dimostrare che W W = {0}. Dall esercizio 10 segue che la somma W + W è una somma diretta. Che dimensione ha W? Sia W sottospazio di V con dim V = n, dim W = k, {w 1,..., w k } una base di W ; per la linearità del prodotto scalare W = {v V v w i = 0, i = 1,..., k} (5) ma la (5) si traduce in un sistema omogeneo di k equazioni in n incognite, sistema il cui rango è k essendo i w i indipendenti;

10 Matematica B - a.a 2006/07 p. 9 questo significa che ci sono n k variabili libere e dunque che dim W = n k. La conseguenza ultima è che V = W W e dunque ogni vettore di V si scrive in modo unico come somma di un vettore di W e di un vettore di W. Definizione 11. Una base di uno spazio vettoriale V composta di vettori a due a due ortogonali tra loro e unitari si dice una base ortonormale. Ad esempio la base standard (canonica) K = {e 1, e 2,..., e n } di R n è una base ortonormale; un esempio di base ortonormale di R 3 diversa dalla base canonica è: B = {( 1, 2 1 2, 0 ), ( 1 2, 1 2, 0 ), (0, 0, 1) Esercizio 12. Se {x 1, x 2,..., x k } è un insieme ortonormale di vettori allora i suoi elementi sono tra loro linearmente indipendenti. }.

11 Matematica B - a.a 2006/07 p. 10 Le basi ortonormali permettono di esprimere in modo particolarmente semplice i vettori, infatti se X = {x 1, x 2,..., x k } è un insieme ortonormale di vettori allora v x i è la coordinata di v rispetto all elemento x i e dunque v = k i=1 (v x i ) x i per ogni v < x 1, x 2,..., x k >. Esiste un procedimento standard, noto come algoritmo di Gram-Schmidt, per ottenere da un insieme di vettori indipendenti {x 1, x 2,..., x k } un insieme di vettori ortonormali {w 1, w 2,..., w k } in modo che < x 1, x 2,..., x k >=< w 1, w 2,..., w k >. L idea dell algoritmo consiste nel selezionare in sequenza i vettori x j, per j = 1,..., k e di ottenere passo passo un insieme {w 1,..., w j } tale che

12 Matematica B - a.a 2006/07 p. 11 < x 1,..., x j >=< w 1,..., w j > e {w 1,..., w j } è un insieme di vettori ortonormali. Il metodo per ottenere questo insieme si basa sulla proiezione di un vettore lungo la direzione di un altro vettore. Prima di descrivere l algoritmo, diamo la Definizione 13. Se W =< w 1, w 2,..., w k > con {w j } j=1,...,k una base ortonormale, la proiezione (ortogonale) del vettore x sullo spazio W è: p W (x) = k j=1 (x, w j ) w j. (6)

13 Matematica B - a.a 2006/07 p. 12 Esercizio 14. Verificare che il vettore x p W (x) definito nella (6) è ortogonale a tutti i vettori w j e di conseguenza a tutti i vettori di W. (... moltiplicare per w j ed usare il fatto che i w j sono vettori ortonormali) Algoritmo di Gram-Schmidt input: {x 1, x 2,..., x k } insieme di vettori linearmente indipendenti. output: {w 1, w 2,..., w k } insieme di vettori ortonormali tali che < x 1,..., x k >=< w 1,..., w k >. 1. Porre w 1 = x 1 x 1 ; W 1 = {w 1 }

14 Matematica B - a.a 2006/07 p Per j = 2,..., k, eseguire: costruito Y j = {y 1,..., y j } insieme di vettori ortonormali estenderlo come segue: 2.1. calcolare w j = x j j 1 (x j, w i ) w i ; 2.2. calcolare w j = w j w j ; i= porre W j = W j 1 {w j }. La correttezza dell algoritmo dipende dall ipotesi che gli x j siano vettori linearmente indipendenti; se non lo fossero ad un qualche passo dell iterazione si otterrebbe w j = 0 e questo consentirebbe

15 Matematica B - a.a 2006/07 p. 14 di terminare comunque l algoritmo. Sempre con le notazioni della (6) si può notare che un generico passo dell algoritmo di Gram-Schmidt consiste nel sottrarre dal vettore x j la sua proiezione su < w 1,..., w j 1 > che, per l esercizio 14, è ortogonale a < w 1,..., w j 1 >.

16 Matematica B - a.a 2006/07 p. 15 Abbiamo visto che l algoritmo di Gram-Schmidt produce una base ortonormale di V, dunque un insieme di vettori {w 1,..., w n } tali che w i w j = w T i w j = δ ij i, j = 1,..., n. (7).. L equazione (7), dice che la matrice W = w 1 w n che.. ha come colonne i vettori w j di una base ortonormale verifica la condizione W T W = I n. Questa speciale situazione merita il riconoscimento di una Definizione 15. Una matrice quadrata A si dice ortogonale se A T A = I n cioè se A T = A 1. L equazione (7) è caratterizzante per le matrici ortogonali ed è la dimostrazione del seguente

17 Matematica B - a.a 2006/07 p. 16 Teorema 16. Una matrice di ordine n è ortogonale se e solo se le sue colonne costituiscono una base ortonormale di R n. Non è necessario insistere su un punto ovvio: le matrici ortogonali sono comode perché è molto facile calcolare le loro inverse; dalla definizione e dalle proprietà del determinante segue anche Teorema 17. Le matrici ortogonali hanno determinante uguale a 1 oppure a 1. Teorema 18. Se ϕ : V V è rappresentata da una matrice ortogonale, ϕ conserva la norma dei vettori. Definizione 19. Sia V spazio vettoriale con prodotto scalare; un applicazione lineare ϕ : V V che conserva la norma dei vettori si dice una isometria di V. Esercizio 20. Si provi che se A è una matrice ortogonale allora essa conserva i prodotti scalari nel senso che (Av) (Aw) = v w per ogni coppia di vettori.

18 Matematica B - a.a 2006/07 p. 17 Esempio 21. In questo esempio indaghiamo sulle matrici ortogonali 2 2. Sia A = [ ] a11 a 12 una matrice ortogonale, allora a 21 a 22 a a2 21 = 1 e dunque (a 11, a 21 ) è un punto sulla circonferenza x 2 + y 2 = 1. Dunque esiste un angolo φ con 0 φ < 2π tale che a 11 = cos φ, a 21 = sin φ. Ma la seconda colonna è ortogonale alla prima, e allora: [ ] a12 a 22 = r [ ] sin φ cos φ ed inoltre la norma della seconda colonna deve essere 1, onde r = ±1. Quindi [ ] [ ] cos φ sin φ cos φ sin φ A = oppure A = (8) sin φ cos φ sin φ cos φ che, al variare di φ, descrivono tutte le possibili matrici ortogonali 2 2.

19 Matematica B - a.a 2006/07 p. 18 L idea fondamentale che giustifica l introduzione di spazi vettoriali astratti e loro basi è che si può descrivere lo stesso fenomeno fisico tramite diversi sistemi di coordinate. La speranza, naturalmente, è che una scelta oculata del sistema di coordinate semplifichi la comprensione del problema in questione, o almeno non lo renda più complicato della necessità intrinseca. Facciamo un esempio molto semplice. Definiamo un applicazione lineare r θ/2 : R 2 R 2 fisicamente nel modo seguente: al punto (x, y) associo il punto del piano che è la riflessione ortogonale di (x, y) rispetto alla retta che passa per l origine (0, 0) ed ha coefficiente angolare m = tan(θ/2). È chiaro per motivi geometrici che si tratta di un applicazione lineare (anzi, di un moto rigido che rovescia gli orientamenti e su quest ultimo punto avremo da dire in seguito).

20 Matematica B - a.a 2006/07 p. 19 Non è difficile calcolare la matrice di questa trasformazione lineare individuando l immagine della base standard i = (1, 0) e j = (0, 1). L equazione della retta di riflessione (il nostro specchio ) è sin(θ/2)x cos(θ/2)y = 0 e un pó di geometria ci convince che il punto (1, 0) cioè i viene mandato in (cos θ, sin θ) mentre il punto (0, 1) = j va in (cos(θ π/2), sin(θ π/2)) ossia in (sin θ, cos θ). Questo vuol dire che abbiamo le equazioni p( i) = cos(θ) i + sin(θ) j p( j) = sin(θ) i cos(θ) j

21 Matematica B - a.a 2006/07 p. 20 Leggendo righe per colonne si ottiene la matrice che rappresenta r θ/2 rispetto alla base standard [ ] cos(θ) sin(θ) ; (9) sin(θ) cos(θ) una formula abbastanza compatta e trasparente, ma, in qualche modo, più complicata dello stretto necessario. Perchè più complicata del necessario? Se avessimo scelto le coordinate di modo che il nuovo asse delle X fosse lungo la retta sin(θ/2)x cos(θ/2)y = 0 ed il nuovo asse delle Y fosse lungo la retta ad essa ortogonale cos(θ/2)x + sin(θ/2)y = 0 allora in queste nuove coordinate, più adatte al problema, la matrice di r θ/2 sarebbe [ ] che è molto più illuminante e maneggevole.

22 Matematica B - a.a 2006/07 p. 21 C è una interessante relazione di equivalenza definita tra basi di uno spazio vettoriale V su R. Definizione 22. Siano B 1 = {v 1,..., v n }, B 2 = {w 1,..., w n } due basi di V. Diciamo che B 1 B 2 se la matrice di cambiamento di base dalla prima alla seconda ha determinante positivo. Si tratta di una vera relazione di equivalenza: Rif: B 1 B 1 tramite la trasformazione identità (determinante 1) Sim: B 1 B 2 = B 2 B 1 perché il determinante del inverso di A è l inverso del determinante di A, dunque positivo se det(a) lo è.

23 Matematica B - a.a 2006/07 p. 22 Tra: La transitività segue dal fatto che il determinante del prodotto di applicazioni lineari è il prodotto del loro determinanti, dunque esso è positivo se quelli dei fattori lo sono. In questa relazione ci sono soltanto due classi di equivalenza: o la trasformazione di cambiamento di coordinate tra due basi ha determinante positivo, o ha determinante negativo; d altra parte per ogni coppia di basi si può considerare la matrice di cambio di coordinate relativa, e dunque ogni base appartiene o ad una o all altra classe. Le due classi si chiamano orientamenti. Esempio 23. In R 2 la base {(1, 2), (3, 4)} ha orientamento diverso dalla base standard {(1, 0), (0, 1)}. Esempio 24. Per ogni θ la base {(cos θ, sin θ), ( sin θ, cos θ)} ha lo stesso orientamento della base standard mentre {(cos θ, sin θ), (sin θ, ha orientamento contrario.

24 Matematica B - a.a 2006/07 p. 23 Teorema 25. Sia A matrice di un cambiamento di base e una delle due basi coinvolte sia ortonormale. Allora A è una matrice ortogonale se e solo se anche l altra base è ortonormale. Alcune considerazioni della sezione precedente riguardavano forme semplici per le matrici che rappresentano una applicazione lineare; restringiamo l indagine agli endomorfismi di uno spazio vettoriale V, cioè alle applicazioni lineari di V in V. Ricordiamo la terminologia: indichiamo con (d 1,..., d n ) la matrice diagonale d d d n La vita sarebbe più semplice se fosse possibile scegliere una base di V in modo tale da far diventare diagonale la matrice di un.

25 endomorfismo ϕ: in tal caso l immagine di x = semplicemente Matematica B - a.a 2006/07 p. 24 x 1. x n sarebbe ϕ(x) = d d d n x 1. = x n d 1 x 1. d n x n Vedremo che questo non è sempre possibile (anche se un ruolo fondamentale sarà giocato del campo degli scalari, se R o C), ed anche quando lo è non è ovvio come vedere che lo è. Premettiamo una proposizione talvolta utile: Proposizione 26. Si considerino matrici quadrate di ordine n; allora.

26 Matematica B - a.a 2006/07 p (λ 1,..., λ n ) (µ 1,..., µ n ) = (λ 1 µ 1,..., λ n µ n ) 2. Il prodotto di due matrici triangolari superiori (inferiori) è triangolare superiore (inferiore), e sulla diagonale del prodotto nel posto (i, i) c è il prodotto degli elementi di posto (i, i) 3. Se A = H 1 H e A = H 1 H allora AA = H 1 H. In particolare A N = H 1 N H. Questo ultimo fatto è particolarmente utile una volta si ha H ed H 1 in mano, perché ci permette di ovviare il conto lungo di A N. (Come?) Definizione 27. Siano A e B matrici quadrate di ordine n; si dice che la matrice A è simile alla matrice B se esiste una matrice

27 Matematica B - a.a 2006/07 p. 26 invertibile H tale che B = H 1 AH. Definizione 28. Una matrice quadrata A si dice diagonalizzabile se è simile ad una matrice diagonale; invece, si dice che A è triangolarizzabile se è simile ad una matrice triangolare superiore. Un caso speciale di diagonalizzazione si ha quando la matrice H è una matrice ortogonale; in questo caso H rappresenta una isometria e fa passare da una base ortonormale ad un altra base ortonormale. Vedremo in seguito una importante applicazione di questo fatto; per il momento diamo solo la Definizione 29. Una matrice quadrata A si dice ortogonalmente diagonalizzabile esiste una matrice ortogonale H tale che H 1 AH è diagonale.

28 Matematica B - a.a 2006/07 p. 27 Negli esempi e negli esercizi abbiamo già incontrato matrici triangolari e diagonali che sorgono in modo naturale da problemi di analisi, fisica, o geometria. Ad esempio la matrice della riflessione r θ/2 rispetto alla retta per (0, 0) con coefficiente angolare tan θ/2, ossia, [ ] [ ] cos θ sin θ 1 0 è simile alla matrice sin θ cos θ 0 1 Pensando geometricamente, si può facilmente concludere che la rotazione in senso antiorario di θ/2 intorno all origine ci procura la matrice H della definizione. Vogliamo adesso capire quando una matrice sia diagonalizzabile, e quando lo è, a quali matrici diagonali sia simile, e quali matrici H la diagonalizzalino, cioè, per quali H si ha che il prodotto H 1 AH risulta una matrice diagonale.

29 Matematica B - a.a 2006/07 p. 28 Prima dimostriamo che la relazione di similitudine, data nella definizione 27, è una relazione di equivalenza: Rif: Ogni matrice è simile a se stessa: si prenda H = I n. Sim: Se A è simile a B allora B è simile ad A: in effetti da B = H 1 AH risulta A = HBH 1. Tra: Se A è simile a B e B è simile a C allora A è simile a C. In effetti, da B = H 1 AH e C = K 1 BK si ha che C = K 1 H 1 AHK = (HK) 1 A(HK).

30 Matematica B - a.a 2006/07 p. 29 Osservazione 30. Se = H 1 AH ha il valore λ sulla diagonale della i-esima colonna e 0 negli altri posti di tale colonna, allora questo vuol dire che H 1 AHe i = λe i equazione che è equivalente ad AHe i = λ He i, ma ormai sappiamo bene che He i non è altro che la i-esima colonna della matrice H; la indichiamo (al momento) con H(i), dunque abbiamo che AH(i) = λ H(i). Definizione 31. Data una matrice A di ordine n, un vettore non nullo v di R n si chiama un autovettore di A se Av è un multiplo scalare di v, ossia se esiste un numero λ tale che Av = λv. Un numero λ si dice autovalore di A se esiste un vettore non nullo, v tale che Av = λv

31 Matematica B - a.a 2006/07 p. 30 Osservazione 32. Si potrebbe benissimo dare la stessa definizione per applicazioni lineari anzichè per matrici; infatti, i concetti di autovettore ed autovalori non dipendono dalla base scelta per rappresentare le matrici: sono concetti geometrici (fisici). Osservazione 33. La restrizione sul vettore v, che esso sia non nullo è veramente necessaria, perché se si permettesse v = 0, allora dal fatto che A0 = 0 = λ0 si avrebbe che ogni numero sarebbe autovalore di A, decisamente troppo permissivo per un criterio che dovrebbe avere qualcosa di specifico a che fare con A. Un vero autovettore dovrebbe inchiodare il suo autovalore. D altra parte, non è per niente vero che l autovalore inchioda unicamente il suo autovettore. Anzi, se v è autovettore di A per l autovalore λ allora lo è pure ogni vettore rv, multiplo scalare di v (diverso da 0, naturalmente). Esempio 34. Due esempi:

32 Matematica B - a.a 2006/07 p. 31 a) In E n ogni funzione e jx è autovettore per l applicazione lineare D = d dx ; l autovalore di ejx è j. b) Se x 0 n è soluzione del sistema omogeneo Ax = 0 n allora x è autovettore di A con autovalore λ = 0. Lemma 35. La i-esima colonna di H è un autovettore di A e λ è l autovalore associato, se e solo se H 1 AH ha sulla i-esima colonna λ nel posto (i, i) e 0 altrove. Dimostrazione. Abbiamo visto in precedenza una delle implicazioni. Per il viceversa, sia e i come al solito (i-esimo elemento della base standard ) e sia v i la i-esima colonna di H, di modo che si ha v i = He i. Certamente si ha H 1 (v i ) = e i.

33 Matematica B - a.a 2006/07 p. 32 Ma ora si controlla facilmente che la i-esima colonna di H 1 AH, cioè (H 1 AH)(e i ) = (H 1 A)(H(e i )) = H 1 Av i = H 1 (λv i ) = λ H 1 (v i ) ha λ al posto richiesto = λ e i Si verifica senza difficoltà la seguente Proposizione 36. Data ϕ : V V applicazione lineare, l insieme V ϕ λ = {v Rn ϕ(v) = λ v} (spesso scritto solo V λ ) è uno sottospazio di V. Definizione 37. Lo spazio V ϕ λ si chiama l autospazio di ϕ relativo all autovalore λ.

34 Matematica B - a.a 2006/07 p. 33 Definizione 38. Se A è una matrice che rappresenta ϕ la definizione si traduce in V A λ = {v Rn Av = λ v}. e spazio Vλ A si chiama l autospazio della matrice A relativo all autovalore λ. Per il Lemma 35, la matrice H 1 AH è diagonale se e solo se ogni colonna di H è autovettore di A. Inoltre H è invertibile, e di conseguenza H 1 AH è diagonale, se e solo se le colonne di H costituiscono una base di V fatta tutto di autovettori di A. Qui è bene fare un pó di attenzione perché H è invertibile ma A potrebbe benissimo non esserlo; in altre parole H 1 AH potrebbe benissimo avere qualche colonna

35 di zeri (colonna nulla), pur essendo diagonale. Matematica B - a.a 2006/07 p. 34 Esistono matrici (cioè applicazioni) che non sono diagonalizzabili; Esempio 39. La rotazione di π/2 del piano in sé è rappresentata dalla matrice [ ] 0 1 A =. (10) 1 0 Si vede che A [ ] x y = [ ] y x onde se si ha y = λx e x = λy si trova che y = λ 2 y e x = λ 2 x. Per λ R l unica soluzione possibile è (x, y) = (0, 0). Perciò non ci sono autovettori o autovalori reali. D altra parte, pensando Notare che se si lavorasse sui numeri complessi, la situazione sarebbe ben diversa.

36 Matematica B - a.a 2006/07 p. 35 geometricamente, l esistenza di autovettori individua direzioni che vengono mantenute fisse dall applicazione lineare: nel caso di una rotazione tali direzioni non esistono. Esercizio 40. Con A come nella (10) (rotazione di π/2) provare che A 2 = I 2, e percio 1 è autovalore, ed ogni vettore è autovettore per 1. Esercizio è autovalore di A se e solo se A non è invertibile. Esercizio 42. L unica matrice simile ad r I n è la matrice stessa. Esercizio 43. Provare che matrici simili hanno lo stesso rango, ma ci sono matrici dello stesso ordine e rango che non sono simili. Esercizio 44. Provare che matrici simili hanno lo stesso determinante; ma esistono matrici con lo stesso determinante che non sono simili. Esercizio 45. Se λ è autovalore di A allora r λ è autovalore di ra e λ 2 è autovettore di A 2. Si può generalizzare....

37 Matematica B - a.a 2006/07 p. 36 Come si possono, almeno in teoria, trovare autovalori ed autovettori? Un criterio è nella seguente proposizione: Proposizione 46. Sia A una matrice quadrata di ordine n. Un numero λ è autovalore di A se e solo se det(a λi n ) = 0. Corollario 47. Una matrice di ordine n ha al più n autovalori. Dimostrazione. Gli autovalori sono gli zeri di det(a λi n ) polinomio in λ di grado n. Definizione 48. Il polinomio caratteristico p A (λ) di una matrice quadrata A di ordine n è p A (λ) = det(a λi n ) pensato come polinomio in λ. L equazione p A (λ) = 0 si chiama l equazione caratteristica di A. Le sue soluzioni sono tutti e soli gli autovalori di A. Teorema 49. Matrici simili hanno lo stesso polinomio caratteristico.

38 Matematica B - a.a 2006/07 p. 37 Dimostrazione. Sia B = H 1 AH. Allora si ha det(b λi n ) = det(h 1 AH λi n ) = det(h 1 (A λi n )H) = = det(a λi n ). Il Lemma 35 e le considerazioni che lo seguono permettono di descrivere una procedura (ottimistica) per diagonalizzare una matrice (meglio per tentare di diagonalizzare una matrice) 1. Si calcolano tutti gli autovalori. 2. Si calcolano gli autospazi associati.

39 3. Si prendono basi per tutti questi autospazi. Matematica B - a.a 2006/07 p Si spera, mettendo insieme tutte queste basi, di ottenere una base per V (con base, a questo punto, costituita di autovettori). In effetti, il Punto 1 è già problematico in pratica (non sappiamo fattorizzare polinomi bene) e si vede che lavorare su R non è la migliore scelta se vogliamo trovare zeri di polinomi dato che ci sono polinomi quadratici senza zeri reali: i numeri complessi C andrebbero molto meglio. I Punti 2 e 3 non destano difficoltà insuperabili, ma la speranza espressa al Punto 4 è infondata: esistono molte matrici (o applicazioni lineari) per cui non c è nessuna base di autovettori.

40 Matematica B - a.a 2006/07 p. 39 Esempio 50. Se si considera l operatore derivata D : P n P n (o una matrice che la rappresenta) si trova che il suo unico autovalore è 0, e che il suo unico autospazio è quello generato dalla costante 1, ossia i polinomi costanti. Inoltre, si calcola facilmente usando la matrice di D rispetto la base {1, x,..., x n } che il polinomio caratteristico di D è D n. Il fatto che gli autovalori di A siano le radici del polinomio caratteristico (il quale ha grado n, la dimensione dello spazio dominio di A), ci porta ad associare due numeri ad ogni autovalore λ 1. La molteplicità geometrica dell autovalore λ, cioè la dimensione dello autospazio V A λ,

41 Matematica B - a.a 2006/07 p La molteplicità algebrica dell autovalore λ, indicata con µ(λ), che è la sua molteplicità come radice del polinomio caratteristico, ossia il massimo intero k tale che (t λ) k divide il polinomio caratteristico (considerato come polinomio nel variabile t) Esempio 51. Per D : P n P n il suo (unico) autovalore è λ = 0 e l equazione caratteristica è D n = 0 e, come noto, (sebbene non con questo linguaggio nuovo) il suo unico autospazio è V D 0 = {costanti}. Dunque la molteplicità geometrica di D è 1, mentre la sua molteplicità algebrica è n. L esempio precedente viene precisato nel Teorema 52. Se A è una matrice quadrata di ordine n e λ è un suo autovalore. Allora si ha dim V A λ µ(λ),

42 Matematica B - a.a 2006/07 p. 41 in parole, la molteplicità geometrica è minore o uguale della molteplicità algebrica. Dimostrazione. Sia v 1,..., v k una base di Vλ A e prolunghiamo ad una base v 1,..., v n di R n. Sia H la matrice che ha v 1,..., v n per colonne, e B = H 1 AH. Sappiamo che per le prime k colonne di H 1 AH abbiamo λ sulla diagonale e zeri altrove, e dunque si vede facilmente che p A (t) = p B (t) = det(h 1 AH) = (λ t) k det(m ti n k ) ove M è il minore complementare a quello delle prime k righe e colonne. Dunque (t λ) k divide p A (t) e se t λ divide pure il fattore det(m ti n k ) la molteplicità algebrica è maggiore di k.

43 Matematica B - a.a 2006/07 p. 42 Ricordiamo che se V 1 e V 2 sono sottospazi di uno spazio vettoriale V, il sottospazio somma è V 1 + V 2 = {v 1 + v 2 v 1 V 1, v 2 V 2 } Si controlla facilmente che V 1 + V 2 è uno sottospazio di V e che esso contiene sia V 1 che V 2. Teorema 53. Unendo famiglie di vettori linearmente indipendenti associate ad autovalori distinti di una matrice, si ottiene una famiglia di vettori linearmente indipendenti. Notiamo che se λ 1,..., λ r sono autovalori di una matrice A lo spazio vettoriale V λ1 + + V λr ha una base di autovettori. Attenzione: dire questo è ben diverso dal dire tutti i vettori dello spazio somma sono pure essi autovettori; per convincersi di questo si svolga l esercizio

44 Matematica B - a.a 2006/07 p. 43 Esercizio 54. Nessun vettore di V λ1 + + V λr \ {V λ1 V λr } è un autovettore. Teorema 55. Sia A una matrice quadrata di ordine n. A è diagonalizzabile su R se e solo se 1. p A (t) si fattorizza in R[t] in fattori lineari, 2. dim V A λ = µ(λ) per ogni autovalore λ. La seconda condizione del teorema dice che la molteplicità algebrica è uguale alla molteplicità geometrica per ogni autovalore e la prima condizione ci garantisce che tutti gli autovalori sono numeri reali, ossia che p A (t) si fattorizza in R[t].

45 Matematica B - a.a 2006/07 p. 44 Si osservi che per decidere sulla diagonalizzabilità di una matrice (o applicazione lineare) non occorre costruire gli autospazi, ma basta sapere le loro dimensioni. Per definizione V A λ è l insieme delle soluzioni di un sistema omogeneo di equazioni la cui matrice (incompleta, ossia senza la colonna finale di costanti che nel caso omogeneo è una colonna di zeri) è A λ I n. Dunque dim V A λ = n rango (A λ I n). Completiamo la sezione con alcune considerazioni su similitudine tra matrici e diagonalizzabilità. Proposizione 56. Siano A e B due matrici simili (o applicazioni lineari simili), allora dim Vλ A = dim V λ B per ogni numero reale λ. Se A è simile ad una matrice diagonale allora deve avere sulla sua diagonale gli autovalori di A, ciascuno scritto tante volte

46 Matematica B - a.a 2006/07 p. 45 quant è la sua molteplicità come zero del polinomio caratteristico (e in questo caso anche come dimensione dell autospazio associato). Inoltre, se A è diagonalizzabile, il Lemma 35 dà la ricetta per determinare una matrice H che diagonalizza A, nel senso che H 1 AH = con diagonale: le colonne di H devono essere una base di V, che consiste di autovettori di A. Da notare che la scelta della base è ben lontano dall essere unica, ma non ci importa la sua unicità quanto la sua esistenza. Corollario 57. Se A e B sono simili, allora A è diagonalizzabile se e solo se B lo è. Corollario 58. Se A e B sono entrambe diagonalizzabili, allora sono simili se e solo se hanno lo stesso polinomio caratteristico. Esercizio 59. A è diagonalizzabile se e solo se A T è diagonalizzabile, e in tale caso A e A T sono simili.

47 Matematica B - a.a 2006/07 p. 46 Esercizio 60. Una matrice invertibile A è diagonalizzabile se e solo se A 1 è diagonalizzabile e comunque A ed A 1 hanno gli stessi autovettori. Definizione 61. La somma degli elementi della diagonale di una matrice A si chiama la traccia della matrice e si indica con Tr(A). Proposizione 62. La traccia è il coefficiente del termine di grado n 1 del polinomio caratteristico moltiplicato per ( 1) n 1. Dimostrazione. Per induzione su n; il caso n = 1 è ovvio. Per il passo induttivo, si nota che sviluppando lungo la prima riga del determinante che definisce p A (λ) si trova p A (λ) = (a 11 λ) p A11 (λ)+ ( termini di grado al più n 2 in λ ) ; i termini di grado al più n 2 non influiscono sul termine di grado n 1. Per l ipotesi induttiva si ha che a a nn = ( 1) n 2 ( coefficiente di λ n 2 in p A11 (λ) )

48 Matematica B - a.a 2006/07 p. 47 mentre il coefficiente direttivo (ossia di λ n 1 ) è proprio ( 1) n 1. Il risultato ora è chiaro. Esercizio 63. Provare che Tr(AB) = Tr(BA). Corollario 64. Matrici simili hanno la stessa traccia. Il fatto che p A (t) si fattorizzi su R in un prodotto di fattori di grado 1 non è in sé sufficiente per garantire la diagonalizzabilità di A, ma è un fatto rilevante. Infatti, si ha Teorema 65. Una matrice A è triangolarizzabile se e solo se il suo polinomio caratteristico si fattorizza in R[t] in fattori di grado 1. Sia V uno spazio vettoriale e V = W U una scomposizione di V in somma diretta; ricordiamo che ogni vettore v V si scrive in modo unico come v = v W + v U con v W W e v U U. (11)

49 Matematica B - a.a 2006/07 p. 48 Definizione 66. Nella situazione descritta dall equazione (11) si definisce proiezione di V su W secondo la direzione U, e si indica con p U W, l applicazione da V in sé p U W (v) = v W (12) e si definisce simmetria rispetto a W secondo la direzione U, e si indica con s U W, la funzione da V in sé data da s U W (v) = v W v U. (13)

50 Matematica B - a.a 2006/07 p. 49 Naturalmente i ruoli di W e U sono intercambiabili; sono immediati i seguenti fatti: Immp U W = W ker pu W = U, Imms U W = V ker su W = {0}. Esercizio 67. Dimostrare le seguenti proprietà di p W U e sw U, p U W pu W = pu W (14) s U W su W = id V (la funzione identità di V ) (15) In termini di matrici di rappresentazione, la (??) implica che se P è una matrice che rappresenta una proiezione essa è idempotente: P 2 = P, e la (??) implica che una matrice S che rappresenta una simmetria è involutoria: S 2 = I. Questo è evidente se si sceglie

51 Matematica B - a.a 2006/07 p. 50 su V la base B = {w 1,..., w k, u 1,..., u h } dove i primi k vettori sono base di W ed i rimanenti base di U. In questo caso le matrici sono P = ( ) Ik 0 0 0, S = ( Ik 0 0 I h ). (16) Si dimostra che, in generale, un applicazione lineare L : V V è una proiezione (sulla propria immagine secondo la direzione del suo proprio nucleo) se e solo se L L = L una simmetria (rispetto l immagine di L + id V ) se e solo se L L = id V oppure se e solo se (L + id V )/2 è proiezione.

52 Matematica B - a.a 2006/07 p. 51 Una forma particolarmente comoda per le proiezioni si ha quando sullo spazio V è assegnato un prodotto scalare; in questo caso, dato un sottospazio W di V, ogni vettore x V si scrive in modo unico come: x = p W (x) + p W (x). (17) Allora, se W =< w 1, w 2,..., w k > con {w j } j=1,...,k una base ortonormale, la proiezione (ortogonale) del vettore x su W è: p W (x) = k j=1 (x w j ) w j. (18) Se la base su V è come nella (??) la matrice ha una forma particolarmente semplice; se mettiamo su V la base canonica, la matrice P si ottiene da V E id p W W V B V B id V E.

53 id Matematica B - a.a 2006/07 p. 52 La matrice che rappresenta V B V E ha sulle colonne i vettori id di B e la matrice C che rappresenta V E V B è la sua inversa; se B è base ortonormale di V dal teorema 16 segue che C 1 = C T. Allora p W ( ) ( W Ik 0 V E V E ha matrice P = C C T Ck C = T ) k 0 ; (19) una matrice simmetrica in cui C k indica il minore principale di ordine k di C = w 1. w k w1. w n k Riassumendo: una matrice P rappresenta una proiezione ortogonale se e soltanto se

54 Matematica B - a.a 2006/07 p. 53 è idempotente: P 2 = P e simmetrica: P T = P. La presenza di un prodotto scalare su uno spazio vettoriale V permette di definire una distanza tra i vettori di V (la distanza tra x e y è x y ) e di affrontare anche aspetti analitici. Un fatto utile è stabilito nella Proposizione 68. La proiezione p W (x) del vettore x sul sottospazio W verifica l importante proprietà di minimo: d(p W (x), x) = min w W d(w, x) (20) A parole: la proiezione di x su W è il vettore di W a distanza minima da x.

55 Matematica B - a.a 2006/07 p. 54 Siano v 1,..., v n vettori di R k e sia V =< v 1,..., v n > lo spazio generato da essi; se si trattasse di vettori ortonormali di R k sappiamo che per un vettore qualsiasi v di R k si ha p V (v) = (v v 1 ) v (v v n ) v n ove p V indica la proiezione ortogonale da R k su V. In linea teorica se i vettori v i sono soltanto linearmente indipendenti (o, addirittura arbitrari) possiamo estrarre una base per V ed applicare il metodo di Gram-Schmidt per ridurre al caso di vettori ortonormali ma i calcoli possono essere lunghi; cerchiamo un approccio alternativo. Il problema che vogliamo affrontare (si rifletta sull equazione (??)) è determinare i coefficienti r 1,..., r n di modo che il vettore v r 1 v 1 r n v n

56 Matematica B - a.a 2006/07 p. 55 sia ortogonale ad ogni v i, per i = 1, 2,..., n. Queste condizioni corrispondono al sistema di equazioni omogenee ossia v i (v r 1 v 1 r n v n ) = 0 ; i = 1,..., n (21) r 1 v i v r n v i v n = v i v ; i = 1,..., n (22) Si osservi che il coefficiente di r j in questa i-esima equazione non è altro che v i v j ; possiamo riscrivere questo in forma matriciale e otteniamo una versione più compatta ed illuminante. Infatti se poniamo A = v 11.. v n1. v 1k v nk =..... v 1. v j. v n.....

57 Matematica B - a.a 2006/07 p. 56 con la colonna j che consiste nei componenti di v j sistema di equazioni (??) si scrive nella forma A T A r 1. r n allora il = A T v (23) In effetti per l associatività possiamo calcolare il primo membro come (A T A) r 1. r n

58 Matematica B - a.a 2006/07 p. 57 e chiaramente si ha che A T A = = v T 1 v T i v T n n k..... v 1. v j. v n..... v T 1 v 1 v T 1 v j v T 1 v n v T i v 1 v T i v j v T i v n v T n v 1 v T n v j v T n v n con v T i v j = v i v j nel posto (i, j) e dunque k n n n

59 Matematica B - a.a 2006/07 p. 58 mentre A T A r 1. r n = r 1 A T v = v1 T v 1. vi T v 1. vn T v 1 v1 T v. vi T v. vn T v = + + r 1 v 1 v. v i v. v n v. v1 T v n. vi T v n. vn T v n La matrice A T A (di dimensione n n) si chiama la matrice di Gram dei vettori v 1,..., v n. Se indichiamo con r la colonna dei

60 coefficienti r j (le incognite del problema) r = relazione precedente diventa A T Ar = A T v Matematica B - a.a 2006/07 p. 59 r 1. r n allora la Attenzione: qui A T A è di tipo n n mentre A T è di tipo n k, inoltre v fa parte della impostazione del problema, è un dato iniziale, mentre si tratta di trovare la soluzione r. Dunque r è soluzione di A T Ar = A T v se e solo se Ar è la proiezione di v sullo spazio generato dalle colonne di A (ossia i vettori v 1,..., v n ). Anche se il sistema ha un infinità di soluzioni in r, il vettore Ar che si trova è sempre lo stesso: questo risulta dall unicità della proiezione. Questi

61 Matematica B - a.a 2006/07 p. 60 risultati astratti puramente geometrici hanno, inaspettatamente, una ricaduta pratica in procedimenti di approssimazione. Si hanno k funzioni f 1,, f k di una variabile reale ed n punti (x 1, y 1 ),...,(x n, y n ) e si chiede di scegliere i coefficiente r 1,..., r k tali che la funzione minimizzi la quantità f(x) = r 1 f 1 (x) + + r k f k (x) (24) n i=1 (f(x i ) y i ) 2. (25) Valutando le k funzioni f j (x) negli x i si ottengono n vettori di R k v j = f j (x 1 ). j = 1,..., k. f j (x n )

62 Matematica B - a.a 2006/07 p. 61 Tenuto conto di questo la (??) è il quadrato della norma del vettore dove v = y 1. y n k j=1 r j v j v (26) ; per la proposizione?? sappiamo che tale norma (dunque anche il suo quadrato) è minima se i coefficienti r j individuano la proiezione di v sullo spazio generato dai v j. A questo punto la tecnica descritta in precedenza cade a pennello per risolvere il problema. Concretamente, le coppie (x i, y i ) provengono da misurazioni e le funzioni f j (x) dipendono dal fenomeno che si analizza; spesso si usano f 1 (x) = 1, la funzione costante 1, e f 2 (x) = x. In

63 Matematica B - a.a 2006/07 p. 62 questo caso f(x) = a + bx è una retta chiamata retta dei minimi quadrati o retta di regressione ed il problema diventa: dati n punti (x i, y i ) per 1 i n determinare la retta (detta la retta di regressione) y = ax + b che minimizza n i=1 (y(x i ) y i ) 2. Esempio 69. Un insieme di rilevazioni ha dato i valori P 1 (0, 0) P 2 (3, 2) P 3 (1, 1) P 4 (2, 3); determinare la retta di regressione dei dati trovati. a 0 + b = 0 a 3 + b = 2 Sostituendo le coordinate troviamo il sistema a 1 + b = 1 a 2 + b = 3 Allora:

64 Matematica B - a.a 2006/07 p. 63 A = ( 13 6 ) ; AT = ( ) ; A T A = ed il sistema di equazioni normali é: che dà: a = 4 5, b = ( ) ; A T b = { 14a + 6b = 13 6a + 4b = 6 Un problema descritto dalle (??) e (??) viene chiamato un problema lineare dei minimi quadrati; l aggettivo lineare dipende dal fatto che le funzioni f j (che possono anche essere non lineari) entrano in gioco tramite loro combinazioni lineari.

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