SID. Corso di alta formazione. Syllabus. Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete

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1 Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare Dipartimento di Medicina Sperimentale Dipartimento di Scienze Cliniche Società Italiana di Diabetologia Università degli Studi di Roma La Sapienza Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Corso di alta formazione SID Roma 9-10 novembre 2012 Policlinico Universitario Umberto I Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo Facciali ID ECM Syllabus

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3 Corso di alta formazione SID Indice Nuovi approcci terapeutici alla terapia insulinica dei pazienti con diabete tipo 1 Marco Giorgio Baroni, Daniela Bruttomesso, Paolo Pozzilli... pag. 5 Terapia insulinica del paziente con diabete tipo 2 Riccardo C. Bonadonna... pag. 11 Il paziente diabetico ospedalizzato: schemi di terapia insulinica Andrea Giaccari, Roberto Trevisan... pag. 17 Diabete autoimmune dell adulto: insulina subito? Raffaella Buzzetti, Marco Capizzi... pag. 25 Macroangiopatia: controllo glicemico e mortalità cardiovascolare Vincenzo Trischitta... pag. 31 Nefropatia: criteri per la diagnosi e la stadiazione Giuseppe Pugliese... pag. 35 Neuropatia diabetica: quali test eseguire Vincenza Spallone... pag. 47 Epidemiologia nell età adulta e pediatrica Paolo Sbraccia... pag. 59 Chirurgia bariatrica: il punto di vista del medico Frida Leonetti, Federica Coccia, Danila Capoccia... pag. 69 Il punto di vista del chirurgo Gianfranco Silecchia, Angelo Iossa... pag. 75 Modelli di gestione del paziente diabetico in ospedale Salvatore Caputo... pag. 79 Modelli di gestione del paziente diabetico sul territorio Mauro Ragonese... pag. 81 3

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5 Corso di alta formazione SID Nuovi approcci terapeutici alla terapia insulinica dei pazienti con diabete di tipo 1 tipo 1 mira al raggiungimento di questi obiettivi, e dal punto di vista del controllo glicemico e della riduzione delle complicanze i risultati appaiono positivi. Tuttavia, rimangono aperte alcune questioni che gli attuali strumenti terapeutici, insuline e microinfusori, non riescono ancora a risolvere. In particolare, la frequenza di ipoglicemie, l aumento di peso e la variabilità glicemica rimangono ancora difficili da controllare. Lo stesso DCCT aveva dimostrato quanto l intensità del trattamento insulinico si era accompagnato ad un aumento della frequenza e gravità delle ipoglicemie (Figura 2), ed al Marco Giorgio Baroni Cattedra di Endocrinologia e Malattie Metaboliche Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Cagliari Daniela Bruttomesso Responsabile di Struttura Semplice presso l UOC di Diabetologia e Malattie del metabolismo Azienda Ospedaliera di Padova Paolo Pozzilli Direttore UOC di Endocrinologia e Diabetologia Policlinico Universitario Campus Bio-medico di Roma Nel trattamento del diabete di tipo 1, già dallo studio DCCT (Diabetes 1996) è risultata chiara la relazione tra intensità del trattamento insulinico, controllo glicemico e riduzione delle complicanze (Figura 1). L attuale trattamento del diabete di Figura 2 tempo stesso ad un aumento progressivo del peso nel gruppo trattato intensivamente (Figura 3). Figura 3 Figura 1 La ricerca nella terapia del diabete di tipo 1 ha tra i suoi obiettivi principali quello di risolvere questi problemi. A questo scopo, il futuro della terapia insulinica viene sviluppato secondo diverse aree di ricerca (Figura 4), che vanno dalla ricerca di in- Figura 4 5

6 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete suline biosimilari, allo sviluppo di nuovi analoghi ultrarapidi e basali, alla ricerca di insuline capaci di essere attive in riposta allo stimolo glicemico (le smart-insulins), fino alla chiusura dell ansa con i microinfusori. Insuline biosimilari Le insuline biosimilari non sono da considerare una novità dal punto di vista di farmacocinetica e farmacodinamica. Si tratta infatti della produzione di insuline identiche a quelle presenti sul mercato, e che hanno il brevetto di prossima scadenza. Glargine, infatti, ha il suo brevetto in scadenza nel , e gli analoghi rapidi nel La prossima introduzione dei biosimilari ha un utilità dal punto di vista del prezzo, che si attende sia inferiore del 20-30% rispetto al prodotto originale, e quindi nella sua diffusione in paesi a livello socio-economico basso. La differenza tra un farmaco biosimilare un prodotto generico sta nella possibile differenza che può derivare nella produzione di un farmaco biologico come insulina o eritropoietina (Figura 5). Colture cellulari, Figura 7 biosimilari necessitano quindi di sperimentazione clinica per testarne la validità. Varie insuline biosimilari (Figura 8) sono in fase di sperimentazione. Figura 5 metodi d estrazione e purificazione, ad esempio, possono determinare differenze nell attività biologica, nell assorbimento, etc (Figura 6-7). I farmaci Figura 6 Figura 8 Nuovi analoghi basali e ultrarapidi Tra gli obiettivi principali della terapia insulinica da raggiungere vi sono la riduzione della variabilità glicemica e delle ipoglicemie. Le novità riguardano la possibile introduzione di insuline basali con lunga durata e stabilità, insieme ad insuline ultra rapide in grado di mimare il picco di secrezione insulinico post-prandiale nel modo più simile alla realtà (Figura 9). L introduzione della insulina glargine ha permesso un notevole miglioramento nel trattamento del diabete di tipo 1, ma non ha risolto completamente i problemi di ipoglicemia e variabilità glicemica, e la ricerca si è incentrata sullo sviluppo di insuline con maggiore stabilità e durata d azione. Tra queste, l insulina degludec ha mostrato negli studi clinici una durata d azione prolungata, con un emivita di circa 25 ore (Simon AC, DeVries JH. Diabetes Technol Ther. 2011) 6

7 Corso di alta formazione SID maggiore stabilità e durata sembra essere dovuta alla conformazione che l insulina Degludec assume nel sottocute, creando lunghe strutture multiesameriche che rilasciano monomeri di insulina (la forma attiva) in maniera prolungata e costante (Figura 12-13). Figura 9 e una stabilità nella dose che ha ulteriormente ridotto la frequenza ed intensità delle ipoglicemie, soprattutto notturne (Figura 10). Questa a parità Figura 12 Figura 10 di riduzione della HbA1c se confrontata con glargine (Figura 11) (Heller et al, Lancet 2012). La Figura 13 Figura 11 Per quanto riguarda le insuline ultrarapide, il loro uso potrebbe portare ad una migliore risposta post-prandiale con riduzione delle escursioni glicemiche. A differenza dello sviluppo di analoghi rapidi dell insulina attraverso le modificazioni della sequenza, un diverso approccio è stato identificato per le insuline ultrarapide, riguardante i meccanismi di dissociazione dei monomeri di insulina. All opposto di quanto studiato per le nuove insuline basali come degludec, si cercano nuovi metodi per favorire ed accelerare la dissociazione dei monomeri di insulina. Fra questi metodi, sono 7

8 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 15 Le smart-insulins L ipotesi di avere sistemi che siano in grado di regolare il rilascio di insulina in proporzione ai livelli di glucosio è molto affascinante (Figura 16), e Figura 14 disponibili dati per l insulina solubile Viaject (o Linjecta). Nella sua formulazione viene aggiunto EDTA come chelante dello zinco, che ha la funzione di mantenere associati gli esameri di insulina, e acido citrico, che previene il riassemblamento degli esameri. In questo modo il rilascio di monomeri di insulina è molto più rapido. I dati pre-clinici sembrano dimostrare una maggiore rapidità d azione (Figura 14), con una riduzione significativa della escursione glicemica (Heinemann L et al J Diab Sci Technol 2011). Un altra metodologia per accelerare l assorbimento di insuline è quella di legarla all enzima ialuronidasi. Il principio si basa sull osservazione che lo spazio intracellulare non è in realtà fluido, ma è una matrice solida di fibrille collagene inserite in un gel ricco di glicosaminoglicani. Questa matrice extracellulare limita volume, quantità e velocità di assorbimento di un farmaco che deve raggiungere il compartimento vascolare. È stato recentemente sviluppato l enzima recombinante ialuronidasi (rhuph20), che catalizza la rottura dei polimeri di acido ialuronico, e dati sperimentali sulla co-somministrazione dei insulina lispro e umana regolare insieme alla ialuronidasi rhuph20 (Hompesch M et al Diab care 2011) mostrano un picco più precoce e maggiore di insulina, associato ad una riduzione della escursione glicemica (Figura 15). Figura 16 alcuni metodi per ottenere questo risultato sono in via di sviluppo. Il principio si basa sulla possibilità di influenzare la conformazione di alcuni idrogel attraverso vari stimoli sia interni, quali ad esempio cambio di temperatura o di ph, che esterni, come i segnali magnetici o luminosi. Gli idrogel sono dei network di materiali polimerici legati fra di loro, che non sono solubili ma che possono assorbire grandi quantità d acqua. Sono biocompatibili e non tossici, costituendo ottimi bio materiali per i farmaci. Una volta in contatto con un segnale, gli idrogel possono cambiare la loro conformazione risultando permeabili al rilascio di farmaco. La reazione è reversibile, per cui il ritorno allo stato iniziale (di ph ad esempio) blocca l ulteriore rilascio del farmaco. 8

9 Corso di alta formazione SID Fra i vari sistemi che utilizzano segnali interni, prove sperimentali esistono per un sistema che utilizza un sistema catalitico, la glucosio-ossidasi, la cui attivazione determina un abbassamento del ph e l apertura dei pori degli idrogel contenenti insulina (Figura 17). Figura 17 La chiusura dell ansa: dal laboratorio alla pratica clinica La somministrazione ad ansa chiusa dell insulina attraverso il pancreas artificiale è stato l obiettivo comune per pazienti e curanti delle ultime 4 decadi. La possibilità di liberare i pazienti sia dalla somministrazione per iniezione dell insulina che dalla necessità dei controlli glicemici è stata ricercata con continuità. Per poter avere una somministrazione di insulina ottimizzata per i livelli di glicemia è necessaria la presenza di tre componenti (Figura 18): un sistema di rilevazione della Figura 18 glicemia in continuo, un algoritmo che tenga conto di tutte le variabili presenti nella regolazione della secrezione insulinica, ed un sistema di som- ministrazione dell insulina. Esistono 2 categorie principali di algoritmi: gli algoritmi di controllo proporzionale- integrato-derivativo (PID) e gli algoritmi di controllo modello-predittivo (MPC). Il primo algoritmo utilizza le deviazioni dalla glicemia attesa integrandole con l area sotto la curva e i cambiamenti nelle glicemie misurate. È quindi un sistema reattivo alle modifiche glicemiche in corso, mentre il sistema MPC è proattivo, anticipando i cambiamenti in glicemia proporzionali all insulina somministrata e agli eventi esterni, come pasti o attività fisica. Nella realizzazione di un sistema di somministrazione di insulina con la chiusura dell ansa possono essere individuati diversi obiettivi: dalla riduzione alla prevenzione delle ipoglicemie, dal controllo delle escursioni glicemiche notturne alla risposta a fattori esterni come pasti ed attività fisica. Dei vari approcci per raggiungere questi obiettivi, solo il sistema di sospensione al basso glucosio (low glucose suspend-lgs) ha raggiunto uno stadio di postmarketing, mentre gli altri sono ancora a livello sperimentale (Figura 19). Figura 19 Il sistema di sospensione a basso glucosio è il primo sistema a trovare un applicazione commerciale, utilizzando una pompa da infusione integrato con un sistema di misurazione continua della glicemia (CGM) che sospende automaticamente l erogazione di insulina quando e presente una ipoglicemia ed il paziente non se ne avvede. In uno studio di Buckingham (Diab Care 2010) è stato dimostrato che con questo sistema in soggetti con diabete di tipo 1 venivano prevenuto fino al 86% degli episodi ipoglicemici. In uno studio che ha valutato un sistema ad ansa chiusa per le ipoglicemie notturne (Hovork et al Lancet 2012) è stato dimostrato che il sistema 9

10 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete significativamente aumentava la percentuale di tempo che la glicemia restava tra 3.9 e 8 mmol/l, sia in bambini (dal 40% al 60%) che in adulti (dal 50% al 76%). Questi dati sono stati confermati da una studio che ha combinato dati in giovani ed adulti (Figura 20) (Kumareswaran K J Diabetes Figura 20 Sci Technol 2011). Altri approcci di sistemi chiusi hanno per ora passato solo gli studi di fattibilità, e si aspettano i trials randomizzati. Una serie di problematiche restano aperte e richiedono di essere risolte prima che i sistemi chiusi possano passare alla pratica clinica (Figura 21). Figura 21 Fra questi, la performance non ancora ottimale dei sistemi di misurazione della glicemia (CGM) nel tessuto interstiziale, compresi inaccuratezza e ritardo rispetto alle modificazioni rapide della glicemia. Inoltre, difficoltà nella somministrazione di piccole quantità di insulina dalle pompe di infusione, e l affidabilità dei sistemi di comunicazione wireless. Infine, insuline con azione più rapida di quelle attuali (vedi paragrafo su le insuline ultrarapide ) potrebbero permetter il miglioramento della risposta del sistema. In conclusione, il sistema ad ansa chiusa è un sistema di trattamento molto prossimo all impiego clinico, almeno per gli obiettivi più semplici. Il progresso tecnologico aiuterà ad accelerare i tempi per un sistema chiusa completo. Bibliografia Buckingham B et al. Prevention of nocturnal hypoglycemia using predictive alarm algorithms and insulin pump suspension. Diabetes Care 2010, 33: DCCT Research Group, Diabetes 1997;46: Heinemann L et al., Reduction of Postprandial Glycemic Excursions in Patients with Type 1 Diabetes: A Novel Human Insulin Formulation versus a Rapid-Acting Insulin Analog and Regular Human Insulin J Diabetes Sci Technol. Volume 5, Issue 3, May 2011 Heller S, et al. Insulin degludec, an ultra-longacting basal insulin, versus insulin glargine in basal-bolus treatment with mealtime insulin aspart in type 1 diabetes (BEGIN Basal-Bolus Type 1): a phase 3, randomised, open-label, treat-to-target non-inferiority trial. Lancet Apr 21;379(9825): Hompesch M et al. Accelerated insulin pharmacokinetics and improved postprandial glycemic control in patients with type 1 diabetes after coadministration of prandial insulins with hyaluronidase. Diabetes Care Mar;34(3): Hovorka R, et al. Manual closed-loop insulin delivery in children and adolescents with type 1 diabetes: a phase 2 randomised crossover trial. Lancet 2010, 375: Kumareswaran K, et al. Meta-analysis of overnight closed-loop randomised studies in children and adults with type 1 diabetes: the Cambridge cohort. J Diabetes Sci Technol Simon AC, DeVries JH. The future of basal insulin supplementation. Diabetes Technol Ther

11 Corso di alta formazione SID Terapia insulinica nel paziente con diabete di tipo 2 Riccardo C. Bonadonna Dipartimento di Medicina, Università di Verona e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Figura 3 Figura 4 Figura 1 Figura 5 Figura 2 Figura 6 11

12 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 7 Figura 8 12

13 Corso di alta formazione SID Figura 9 Figura 10 13

14 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 11 Figura 14 Figura 12 Figura 15 Figura 13 Figura 16 14

15 Corso di alta formazione SID Figura 17 Figura 20 Figura 21 Figura 18 Figura 22 Figura 19 Figura 23 15

16 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 24 Figura 26 Figura 25 Figura 27 16

17 Corso di alta formazione SID Il paziente diabetico ospedalizzato: schemi di terapia insulinica Andrea Giaccari Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Policlinico Gemelli, Roma Roberto Trevisan Direttore Struttura Complessa di Diabetologia, Ospedali Riuniti di Bergamo Il 30-40% degli individui che si rivolgono al Pronto Soccorso, il 25% di quelli ricoverati in ospedale, tanto nell area medica che chirurgica, ed il 30% circa dei pazienti sottoposti a by-pass aorto-coronarico sono diabetici. L iperglicemia, oltre ad essere un marcatore di gravità della malattia, si accompagna ad importanti eventi avversi che influenzano la prognosi e comprendono l aumento della mortalità, del tasso di infezioni e della durata del ricovero. Tutti ciò in maniera ancor più rilevante e significativa nei pazienti in cui l iperglicemia non era nota prima del ricovero. È primario interesse sia del paziente che del sistema sanitario ridurre la quota di rischio clinico per aumentata morbilità e mortalità del paziente ospedalizzato legato alla iperglicemia di per sé. Significato dell iperglicemia in ospedale nel paziente CRITICO Nel paziente critico l iperglicemia stress-indotta è dovuta ad aumentata neoglucogenesi epatica e all insulino-resistenza. In conseguenza del deficit relativo di insulina si determina anche una aumentata lipolisi con incremento di FFA e chetoni e un aumentato catabolismo proteico. Si innesca così una cascata catabolica che può condurre in breve tempo alla sequenza disidratazione-acidosicoma-morte. Teoricamente, la finalità di tali alterazioni metaboliche è quella di aumentare la disponibilità di glucosio quale fonte di energia per le cellule glucosio-dipendenti. In realtà, l iperglicemia produce i seguenti effetti negativi: a) sovverte il bilancio dei fluidi, b) predispone alle infezioni, c) aumenta il rischio di insufficienza renale, d) aumenta il rischio di polineuropatia, e) aumenta la mortalità nei pazienti in ICU (Intensive Care Unit). La terapia insulinca intensiva in ospedale: le prove di efficacia pre-nice-sugar. Numerosi studi hanno documentato in differenti contesti di condizioni critiche l utilità di un trattamento insulinico volto a controllare i valori glicemici elevati. Lo studio randomizzato multicentrico DIGAMI (Diabetes Mellitus, Insulin Glucose Infusion in Acute Myocardial Infarction) ha dimostrato che nei soggetti diabetici infartuati, con valori glicemici elevati al momento del ricovero, l impiego di un infusione di insulina e glucosio endovena durante la fase acuta dell infarto miocardico (con l obiettivo di ridurre la glicemia tra 125 e 180 mg/dl), seguito da un controllo glicemico ambulatoriale intensivo con somministrazione di insulina sottocute per almeno 3 mesi, riduceva di quasi un terzo la mortalità e la morbilità a distanza di 1 e 3 anni. Nel 2001 Van den Berghe et al dimostrarono come una terapia insulinica intensiva endovena, che aveva l obiettivo di raggiungere una glicemia compresa tra 80 e 110 mg/dl, riducesse del 34% la mortalità in pazienti critici ricoverati presso una terapia intensiva post-chirurgica (ARR 3.4%; NNT 29). Si osservò anche una riduzione delle sepsi del 46% ed un minor ricorso alla dialisi del 41% e alla emotrasfusione del 50%. In contrasto con questi iniziali studi positivi, i risultati dei recenti studi controllati randomizzati (RCTs randomized controlled trials) hanno suscitato dubbi sulla sicurezza e l efficacia del controllo glicemico stretto ( mg/dl) nel migliorare gli esiti clinici (ridotta morbilità ospedaliera e mortalità) senza aumentare il rischio di ipoglicemia grave. Lo studio DIGAMI 2 ha studiato 1253 pazienti con IMA e storia di diabete o glicemia all ingresso superiore a 198 mg/dl riportando nessuna differenza nella mortalità tra i pazienti randomizzati al protocollo intensivo di infusione insulina-glucosio o alla gestione metabolica routinaria secondo la pratica locale. In realtà in questo studio non c erano significative differenze tra i vari gruppi di trattamento. Il secondo RCT del gruppo di Leuven in ICU medica (ICU: Intensive Care Unit) fallì nel replicare i risultati ottenuti in ICU chirurgica. Nello studio in ICU medica, 1200 pazienti che avevano la necessità di terapia intensiva in ICU medica per almeno 3 giorni furono randomizzati al trattamento intensivo per raggiungere un target glicemico di mg/dl o alla terapia insulinica convenzionale 17

18 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete quando la glicemia fosse stata maggiore di 215mg/ dl per raggiungere un target glicemico di mg/dl. Nell analisi intention-to-treat, nonostante la riduzione delle glicemia, non si trovarono differenze significative nella mortalità intraospedaliera. Tra i 433 pazienti che furono in ICU per meno di 3 giorni, la mortalità era maggiore con il trattamento intensivo. Mentre, tra i pazienti che furono in ICU per 3 o più giorni, il trattamento insulinico intensivo ha ridotto la mortalità intra-ospedaliera (dal 52.5% al 43.0%, p =.009). Nel gruppo intensivo è stato osservato un aumento di sei volte degli eventi ipoglicemici gravi (definiti come glicemia < 40 mg/dl) (18.7% vs 3.1%) e l ipoglicemia è stata identificata come un fattore di rischio indipendente della mortalità. I risultati di questi studi hanno rappresentato vere pietre miliari nella revisione critica del problema, condizionando un cambiamento radicale nella valutazione dell importanza di migliorare il compenso glicemico durante l ospedalizzazione dei pazienti, in particolare nel contesto delle situazioni critiche con l utilizzo di insulina per via endovenosa. Va detto che la mancata differenza significativa tra i gruppi in studio sia nel DIGAMI 2 che nel secondo studio di Leuven in ICU medica è in parte spiegabile con il fatto che i ricercatori coinvolti non potevano ignorare quanto già dimostrato in precedenza e quindi lo studio ripetuto a distanza di molti anni difficilmente poteva realizzare nel gruppo di controllo le stesse condizioni di iperglicemia riscontrate anni addietro. Anche negli studi multicentrici Glucontrol e VI- SEP (Efficacy of Volume Substitution and Insulin Therapy in Severe Sepsis) non è stata osservata una differenza significativa nella mortalità. La terapia insulinica intensiva in ospedale: le metanalisi ed il NICE-SUGAR study. Tuttavia nel 2008, quando era ormai avviata in tutto il mondo l implementazione di protocolli di terapia insulinica intensiva, è stata pubblicata una metanalisi su JAMA che non ha confermato, dall analisi di 29 RCTs, alcuna riduzione significativa della mortalità con il trattamento insulinico intensivo. L anno successivo viene pubblicato lo studio NICE-SUGAR (Normoglycemia in Intensive Care Evaluation Survival Using Glucose Algorithm Regulation) che ha randomizzato 3054 pazienti al braccio di trattamento intensivo ( mg/dl) vs pazienti in trattamento convenzionale (glicemia mg/dl) dimostrando un aumento significativo della mortalità a 90 giorni nel gruppo intensivo (27.5% vs 24.9%; OR 1.14). I due gruppi di trattamento hanno mostrato una buona separazione glicemica con una differenza media assoluta di 29 mg/dl nei livelli glicemici globali (118 vs 145 mg/dl). È stato osservato un aumento assoluto nell obiettivo primario dello studio, le mortalità a 90 giorni, con il controllo glicemico intensivo (27.5% vs 24.9% conventional; odds ratio, 1.14; P = 0.02). Anche il tasso di ipoglicemia grave (<40 mg/dl) era significativamente più elevato nel gruppo intensivo (6.8% vs 0.5%, P <.001). L impatto dei risultati del NICE-SUGAR sulla comunità scientifica internazionale è stato notevole. Lo studio NICE- SUGAR ha confermato che uno stretto controllo glicemico (al di sotto di 140 mg/ dl) non era necessario e che si possono correre dei rischi quando si applicasse universalmente un controllo glicemico molto stretto (al di sotto di 110 mg/dl), sebbene la dimensione e la natura di tale rischio non sia ancora chiarita. I robusti risultati osservati nello studio di Leuven della Van den Berghe non possono essere più replicati, perché in questo studio il gruppo di controllo veniva mantenuto in un range di glicemie talmente elevate ( mg/dl) che in nessuno studio sarà possibile o etico riproporre. Lo stesso NICE-SUGAR, infatti, aveva un range di glicemie decisamente inferiore nel gruppo di controllo ( mg/dl). Questa non è l unica grande differenza tra i due studi più importanti. Altri aspetti riguardano la differente metodica nella misurazione delle glicemia che nel NICE-SUGAR avveniva anche con reflettometri da sangue capillare, mentre nello studio di Leuven veniva misurata esclusivamente con emogasanalizzatore da sangue arterioso; questo aspetto è particolarmente sensibile per cogliere adeguatamente una glicemia pericolosamente discendente verso l ipoglicemia grave. Ancora, ai pazienti dello studio belga veniva assicurata una nutrizione parenterale quasi totale durante la degenza in ICU, mentre nel NICE-SUGAR si utilizzava in prevalenza la nutrizione entrale, con conseguenti minori possibilità di risposta in corso di ipoglicemia. Ai pazienti belgi veniva anche dosato il potassio da sangue arterioso, contemporaneamente alla glicemia, durante il monitoraggio e questo potrebbe aver influito sensibilmente nel metabolismo del miocardio in condizioni critiche. 18

19 Corso di alta formazione SID Nonostante le grandi dimensioni dello studio NICE-SUGAR, dunque, è doverosa una cauta interpretazione dei suoi risultati. Infatti, una successiva metanalisi che ha analizzato 26 RCTs, includendo il NICE- SUGAR, ha nuovamente dimostrato che non ci sono differenze significative nella mortalità tra il trattamento insulinico intensivo e quello convenzionale (dunque neanche un aumento), anzi confermando una riduzione significativa della mortalità nel gruppo di studi realizzati in ICU chirurgica (Risk ratio 0.63), un effetto che dipendeva largamente dal primo studio belga. Il rischio relativo (RR) di morte era 0.92 non significativa, ma diventava significativa quando l analisi era limitata ai pazienti in ICU chirurgica, con un RR di 0.63 (IC95% ). Alla luce di questo background è stato recentemente pubblicato un documento di consenso SID-AMD-FADOI, denominato TRIALOGUE, che si è proposto di offrire ai colleghi ospedalieri delle linee guida pratiche per la gestione dell iperglicemia nel paziente iperglicemico ospedalizzato. Di seguito ecco i principali suggerimenti che possono aiutare la gestione del diabetico ricoverato. L iperglicemia nel paziente critico e/o che non si alimenta deve essere trattata con terapia insulinica per infusione venosa continua secondo un protocollo predefinito, condiviso con il personale medico e infermieristico, basato su frequenti controlli dei valori glicemici e validato nel contesto di applicazione. Il paziente critico dovrebbe sempre essere valutato dallo specialista diabetologo per la definizione del grado di compenso glicemico e dello stato delle eventuali complicanze, nonché per la definizione dell iter diagnostico e di raggiungimento della stabilizzazione metabolica. Commento: In situazioni di grave iperglicemia o instabilità metabolica, la terapia insulinica deve essere somministrata per via endovenosa continua secondo algoritmi predefiniti, condivisi con tutto il personale sanitario (medici e infermieri). Gli algoritmi devono essere semplici, sicuri, facili da applicare, a prevalente gestione infermieristica e devono tener conto del contesto assistenziale in cui si opera. La terapia insulinica endovenosa secondo algoritmi predefiniti garantisce un migliore controllo dell iperglicemia, una maggiore stabilità glicemica e soprattutto riduce il rischio di ipoglicemia. Non esistono protocolli di insulina validati da grandi studi, per tale motivo è importante che ogni ospedale adotti l algoritmo più facilmente applicabile e condivisibile nella realtà locale. Il protocollo per infusione di insulina va sempre applicato per valori glicemici almeno superiori a 200 mg/dl e in caso di grave instabilità glicemica. Commento: Infondere insulina umana regolare in soluzione fisiologica o glucosata al 5% con eventuale aggiunta di KCl secondo necessità, per via endovenosa tramite pompa di infusione, separatamente da altre infusioni. Per esempio: insulina regolare 50 U (0,5 cc) + fisiologica 49,5 cc in pompa-siringa da 50 cc (1 cc = 1 U) oppure insulina regolare 100 U in fisiologica 100 cc in pompa a ml/h (1 cc = 1 U). Raccomandazione: Gli obiettivi glicemici nel paziente critico sono valori di glicemia compresi tra mg/dl. Sono indispensabili accurati e frequenti controlli glicemici in accordo col protocollo. Commento: Obiettivi glicemici più ambiziosi nel paziente critico sono gravati da un aumento significativo del rischio di ipoglicemie e da un possibile peggioramento degli esiti clinici. Ripresa dell alimentazione per os Alla ripresa dell alimentazione si attua lo schema di transizione alla terapia sottocute. Metodo: si calcola la dose di insulina e.v. infusa nelle ultime 12 ore e la si moltiplica per 2 per ottenere il fabbisogno di U/die. Il 50% del fabbisogno insulinico viene somministrato sottocute sotto forma di analogo lento serale (con sospensione dell infusione ev. in pompa due ore dopo). Il 50% del fabbisogno insulinico viene somministrato ai pasti come analogo rapido secondo lo schema basal-bolus. Gestione dell iperglicemia nel paziente in nutrizione artificiale (NA) L alimentazione per via sia parenterale totale (NPT) sia enterale (NET) deve essere sommini- 19

20 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete strata preferibilmente in continuo nell arco delle 24 ore e deve essere iniziata quando la glicemia a digiuno è <250 mg/dl (per valori glicemici >250 mg/dl iniziare l infusione venosa continua di insulina per riportare i valori glicemici sotto controllo). In caso di difficoltà a ricorrere all infusione continua di insulina e per condizioni relativamente meno critiche, i soggetti iperglicemici in NA possono essere trattati con la somministrazione di una o due dosi/die di analogo lento, con aggiustamenti delle dosi in base ai valori glicemici del mattino e della sera. La nutrizione artificiale deve essere mantenuta in infusione continua nell arco delle 24 ore per evitare ipoglicemie. L obiettivo glicemico raccomandato è di mg/dl. Gestione dell ipoglicemia sintomatica Il paziente con ipoglicemia grave con obnubilamento dello stato di coscienza deve essere trattato con glucosata al 33% e.v. seguita da glucosata al 10% e da somministrazione di bevande zuccherate non appena lo stato di coscienza renda sicura la deglutizione. Il trattamento del paziente con ipoglicemia severa senza segni di obnubilamento dello stato di coscienza si basa sulla regola del 15. Commento: La regola del 15 consiste nella somministrazione di 15 g di zuccheri semplici per os e controllo della glicemia dopo 15 minuti. Se la glicemia è <100 mg/dl, ripetere la somministrazione di 15 g di zuccheri semplici e ricontrollare la glicemia dopo altri 15 minuti, fino ad avere una glicemia > 100 mg/dl. Nota: 15 grammi di glucosio equivalgono a: 3 bustine (o zollette) di zucchero un tè con 3 cucchiaini di zucchero un brik di succo di frutta mezza lattina di Coca-Cola 3 caramelle di zucchero morbide (quelle dure richiedono più tempo per l assorbimento e sono pertanto sconsigliate, al pari del cioccolato). LA GESTIONE DELL IPERGLICEMIA IN OSPE- DALE NEL PAZIENTE NON CRITICO L iperglicemia all ammissione in ospedale, con o senza pregressa diagnosi di diabete, si associa a una maggiore morbilità e mortalità in qualunque setting assistenziale. Al momento del ricovero tutti i pazienti devono essere sottoposti a un prelievo per il dosaggio della glicemia presso il laboratorio di chimica clinica dell ospedale, seguita il giorno dopo da un prelievo per il dosaggio della glicemia a digiuno. Nel paziente diabetico noto o in caso di riscontro di glicemia a digiuno 126 mg/dl o non a digiuno 200 mg/dl si deve sempre richiedere il dosaggio dell emoglobina glicata (HbA 1c ), da effettuarsi con metodo standardizzato secondo il sistema di riferimento IFCC. Commento: Nel paziente non noto come diabetico il dosaggio dell emoglobina glicata permette di differenziare l iperglicemia associata a diabete (HbA 1c 6,5%) dall iperglicemia da stress (HbA 1c <6,5%). Nel paziente diabetico noto essa fornisce importanti informazioni sul grado di compenso glicemico precedente il ricovero e quindi sull efficacia dell eventuale terapia ipoglicemizzante in corso. L iperglicemia nel paziente ospedalizzato deve essere sempre trattata: sia nel paziente diabetico noto, sia nel neo-diagnosticato, sia nel soggetto con iperglicemia da stress. Commento: L iperglicemia nel paziente diabetico noto, e ancor di più in quello non noto (neo-diagnosticato), si associa a un peggioramento degli esiti clinici. GESTIONE DELL IPERGLICEMIA NEL PAZIEN- TE ACUTO (NON CRITICO) IN GRADO DI ALI- MENTARSI, RICOVERATO PER UN EVENTO ACUTO Nei diabetici noti si raccomanda di norma di sospendere, al momento del ricovero, il trattamento con ipoglicemizzanti orali e di introdurre terapia insulinica. 20

21 Corso di alta formazione SID Commento: L uso degli antidiabetici orali ha sostanziali limitazioni nel paziente ospedalizzato. Nel paziente acuto ricoverato la capacità di alimentarsi può essere compromessa, lo stato nutrizionale essere variabile, le condizioni cliniche instabili e lo stato di coscienza compromesso. Gli antidiabetici orali hanno, generalmente, lunga durata d azione, il loro effetto sulla glicemia non è immediato e il dosaggio non è facilmente modificabile in rapporto alle necessità cliniche. Per tali motivi sono poco duttili e maneggevoli ed espongono il paziente al rischio di ipoglicemia o, all opposto, di inerzia terapeutica. La terapia insulinica nel paziente acuto ospedalizzato iperglicemico offre maggiori garanzie di maneggevolezza, efficacia e sicurezza rispetto agli antidiabetici orali. Quando è possibile mantenere o adottare la terapia con ipoglicemizzanti orali (OAD)? Quando il paziente è in condizioni cliniche stabili, ha una patologia acuta di modesta entità, si alimenta regolarmente, non ha insufficienza renale o epatica ed è in buon controllo glicemico. La terapia di scelta nel paziente ospedalizzato iperglicemico è l insulina. QUALE SCHEMA DI TERAPIA INSULINICA? Va scoraggiato il metodo della sliding scale, e cioè dosare l insulina da somministrare secondo l ultimo valore glicemico riscontrato (al bisogno). Commento: La terapia insulinica impostata secondo il metodo della sliding scale, cioè al bisogno, è poco efficace, comporta un rischio più elevato di ipoglicemie, non garantisce una adeguata insulinizzazione basale e non previene, ma corregge a posteriori e spesso in misura inappropriata, i picchi iperglicemici. Commento: La terapia insulinica sottocute secondo il metodo basal-bolus prevede la somministrazione secondo uno schema programmato in cui l analogo lento rappresenta circa il 50% della dose totale giornaliera e il resto è somministrato come analogo rapido prima dei tre pasti principali, in percentuale del 20-30% a colazione, 30-40% a pranzo e a cena. Questo schema terapeutico è flessibile, efficace, garantisce un adeguata insulinizzazione basale e permette un rapido cambiamento della terapia in funzione delle condizioni del paziente. Rispetto alla sliding scale ha dimostrato il raggiungimento di un miglior controllo glicemico, con un numero maggiore di pazienti a target, con rischio minore di ipoglicemie (Tabella 1). iniziare con 0,3-0,5 U/kg di questa 50% come insulina basale 50% / 3 ai pasti come analogo rapido di questa 20-30% a colazione, 30-40% a pranzo, 30-40% a cena Ad esempio: persona di 80 kg, diabete in buon compenso: 0,4 U/kg insulina totale 50% basale = 0,4 U/kg * 50 % * 80 kg = glargine 16 Unità ore % prandiali = glulisina 4 U a colazione, 6 U a pranzo, 6 U a cena Tabella 1 In ambito ospedaliero si dovrebbero impiegare gli analoghi rapidi dell insulina per via sottocutanea, mentre l insulina regolare dovrebbe essere utilizzata soltanto per via endovenosa. Commento: Nella gestione dell iperglicemia in ospedale l utilizzo di analoghi dell insulina per via sottocutanea, rispetto all insulina umana, presenta diversi vantaggi pratici (Tabella 2). La terapia insulinica deve essere somministrata per via sottocutanea secondo uno schema programmato, tipo basal-bolus (3 analoghi rapidi ai pasti e in base ai valori glicemici a digiuno 1 analogo lento la sera o due volte al giorno) che deve essere accompagnato da un algoritmo di correzione. 21

22 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Tabella 2. Vantaggi degli analoghi dell insulina nella terapia s.c. ospedaliera Analoghi rapidi (aspart, glulisina, lispro) Rapidità d azione (picco massimo entro 1 ora) Possibilità di somministrazione subito prima dei pasti e fino a 10 minuti dopo i pasti, in caso di dubbia assunzione del cibo da parte del paziente Miglior controllo dei picchi post-prandiali con riduzione delle ipoglicemie tardive Insulina glargine Profilo senza picchi per (circa) 24 ore Monosomministrazione giornaliera (di norma serale) Insulina detemir Profilo senza picchi per (circa) ore Mono- o bisomministrazione giornaliera (mattino-sera) Vantaggi degli analoghi rapidi rispetto all insulina umana regolare Insulina umana regolare (R) Somministrazione minuti prima dei pasti Maggior durata d azione, e quindi Maggiore probabilità di ipoglicemie nei periodi inter-prandiali Vantaggi degli analoghi lenti* rispetto all insulina umana NPH Insulina NPH Profilo caratterizzato da un picco pronunciato e variabile nelle prime ore della notte Rischio di ipoglicemie, in particolare nei pazienti in cui non è possibile prevedere l assunzione di cibo Rischio di iperglicemie mattutine di rimbalzo come conseguenza di ipoglicemie notturne (spesso inavvertite) * È in commercio in Italia un altro analogo lento, l insulina lispro protamina (ILPS): gli studi disponibili sono pochi e, generalmente, di dimensione limitata; pertanto non è chiaro se, a confronto con l insulina NPH, essa sia in grado di ridurre il rischio di ipoglicemie come glargine e detemir. PROTOCOLLI PER L ATTUAZIONE DELLO SCHEMA PROGRAMMATO (BASAL-BOLUS) L avvio dello schema programmato deve seguire il criterio seguente: dose totale iniziale = 0,2-0,5 U x kg di peso La scelta della dose insulinica iniziale dipende dalle caratteristiche del paziente (BMI e condizioni cliniche associate, in particolare grado dello scompenso glicemico e fattori che aumentano il fabbisogno di insulina, quali iperpiressia, nutrizione artificiale, terapia steroidea ecc). In caso di rischio elevato di ipoglicemia, iniziare con la dose/kg più bassa. Per esempio, se il peso è 80 kg e il paziente è obeso (resistenza insulinica maggiore): 0,5 x 80 = 40 U. Dose di analogo lento (insulina glargine o detemir) = 50% della dose totale giornaliera iniziale = 20 U; iniziare con il 30% in meno se non ha mai fatto terapia insulinica = U Dose di analogo rapido = 50% della dose giornaliera iniziale ai pasti = 20 U (4+8+8) Per calcolare correttamente la dose di insulina rapida da somministrare ai pasti è importante tenere conto del contenuto di carboidrati nella dieta. Per il corretto aggiustamento terapeutico nei giorni successivi è utile calcolare il fattore di correzione: Il calcolo del fattore di correzione per il singolo paziente può essere effettuato applicando la regola del 1700 : fattore di correzione (FC) = 1700 diviso per la dose totale giornaliera (DTG) di insulina (per es., se DTG = 56 unità: FC = 1700/56 = 30) mediamente 1 unità di insulina ridurrà la glicemia di 30 mg/dl. In alternativa, il fattore di correzione può essere determinato con la formula: 3000/peso in kg: FC = 3000/80 = 37. Obiettivi glicemici: nel paziente ospedalizzato la sicurezza è fondamentale. Gli obiettivi glicemici devono essere ragionevolmente adattati al setting ospedaliero in cui si gestiscono prevalentemente pazienti in fase acuta (controllare iperglicemia ed evitare ipoglicemie) e tendere alla stabilizzazione piuttosto che alla normalizzazione della glicemia, soprattutto per evitare il rischio di ipoglicemia. Commento: Gli Standard italiani per la cura del diabete mellito e le linee guida internazionali raccomandano che gli obiettivi glicemici nel paziente ospedalizzato siano <130 mg/dl a digiuno e <180 mg/dl in fase post-prandiale, se ottenibili senza rischi elevati di ipoglicemia (Tabella 3). Tab. 3. Schema degli obiettivi glicemici dagli Standard italiani per la cura del diabete mellito nel paziente ospedalizzato Situazione Paziente critico Paziente non critico (acuto) Obiettivo glicemico 140 e <180 mg/dl mg/dl a digiuno <140 mg/dl pre-prandiale <180 mg/dl post-prandiale 22

23 Corso di alta formazione SID Bibliografia Ali NA, O Brien JM, Dungan K et al (2008) Glucose variability and mortality in patients with sepsis. Crit Care Med 36: Avanzini F, Marelli G, Donzelli W et al; DDD study group (2009) Hyperglycemia during acute coronary syndrome: a nurse-managed insulin infusion protocol for stricter and safer control. Eur J Cardiovasc Nurs 8: Avanzini F, Marelli G, Donzelli W et al; Desio Diabetes Diagram Study Group (2011) Transition from intravenous to subcutaneous insulin: effectiveness and safety of a standardized protocol and predictors of outcome in patients with acute coronary syndrome. Diabetes Care 34: Baker EH, Janaway CH, Philips BJ et al (2006) Hyperglycemia is associated with poor outcomes in patients admitted to hospital with acute exacerbations of chronic obstructive pulmonary disease. Thorax 61: Bellodi G, Manicardi V, Malavasi V et al (1989) Hyperglycemia and prognosis of acute myocardial infarction in patients without diabetes mellitus. Am J Cardiol 64: Capes SE, Hunt D, Malmberg K, Gerstein HC (2000) Stress hyperglycaemia and increased risk of death after myocardial infarction in patients with and without diabetes: a systematic overview. Lancet 355: Capes SE, Hunt D, Malmberg K et al (2001) Stress hyperglycemia and prognosis of stroke in nondiabetic and diabetic patients: a systematic overview. Stroke 32: Diabetes Control and Complications Trial Research Group (1993) The effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med 329: Gaede P, Lund-Andersen H, Parving HH, Pedersen O (2008) Effect of a multifactorial intervention on mortality in type 2 diabetes. N Engl J Med 358: Kitabchi AE, Nyenwe E (2007) Sliding-Scale insulin: More evidence needed before final exit? Diabetes Care 30: Knecht LA, Gauthier SM, Castro JC et al (2006) Diabetes care in the hospital: is there clinical inertia? J Hosp Med 6: Kosiborod M, Rathore SS, Inzucchi SE et al (2005) Admission glucose and mortality in el- derly patients hospitalized with acute myocardial infarction: implication for patients with and without recognized diabetes. Circulation 111: Krinsley JS (2003) Association between hyperglycemia and increased hospital mortality in a heterogeneous population of critically ill patients. Mayo Clin Proc 78: Magaji V, Johnston JM (2011) Inpatient management of hyperglycemia and diabetes. Clinical Diabetes 29:3-9 Malmberg K, Rydén L, Efendic S et al (1995) Randomized trial of insulin-glucose infusion followed by subcutaneous insulin treatment in diabetic patients with acute myocardial infarction (DIGAMI study): effects on mortality at 1 year. J Am Coll Cardiol 25:57-65 Malmberg K, Rydén L, Wedel H et al; DIGAMI 2 Investigators (2005) Intense metabolic control by means of insulin in patients with diabetes mellitus and acute myocardial infarction (DI- GAMI 2): effects on mortality and morbidity. Eur Heart J 26: McAlister FA, Majumdar SR, Blitz S et al (2005) The relation between hyperglycemia and outcomes in 2,471 patients admitted to the hospital with community-acquired pneumonia. Diabetes Care 28: Meyer C, Boron A, Plummer E et al (2010) Glulisine versus human regular insulin in combination with glargine in noncritically ill hospitalized patients with type 2 diabetes: a randomized double-blind study. Diabetes Care 33: Moghissi ES, Korytkowski MT, DiNardo M et al; American Association of Clinical Endocrinologists; American Diabetes Association (2009) American Association of Clinical Endocrinologists and American Diabetes Association consensus statement on inpatient glycemic control. Endocr Pract 15: Moghissi ES, Korytkowski MT, DiNardo M et al; American Association of Clinical Endocrinologists; American Diabetes Association (2009) American Association of Clinical Endocrinologists and American Diabetes Association consensus statement on inpatient glycemic control. Diabetes Care 32: Selvin E, Steffes MW, Zhu H et al (2010) Glycated hemoglobin, diabetes, and cardiovascular risk in nondiabetic adults. N Engl J Med 362:

24 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Shetty S, Inzucchi SE, Goldberg PA et al (2011) Conforming to the New Consensus Guidelines for ICU Management of Hyperglycemia: The Updated Yale Insulin Infusion Protocol. American Diabetes Association 71st Scientific Sessions, San Diego, June SINPE/GASAPE (2002) Linee guida SINPE per la nutrizione artificiale ospedaliera. Rivista Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale 20[Suppl. 5]1-171 Standard Italiani per la cura del diabete mellito AMD-SID Tominaga M, Eguchi H, Manaka H et al (1999) Impaired glucose tolerance is a risk factor for cardiovascular disease, but not impaired fasting glucose. The Funagata Diabetes Study. Diabetes Care 22: Trence DL, Kelly JL, Hirsch IB (2003) The rationale and management of hyperglycemia for in-patients with cardiovascular disease: time for change. J Clin Endocrinol Metab 88: Umpierrez GE, Isaacs SD, Bazargan N et al (2002) Hyperglycemia: an independent marker of in-hospital mortality in patients with undiagnosed diabetes. J Clin Endocrinol Metab 87: Umpierrez GE, Hellman R, Korytkowski MT et al (2012) Management of hyperglycemia in hospitalized patients in non-critical care setting: an endocrine society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 97:16-38 UK Prospective Diabetes Study Group (1998) Tight blood pressure control and risk of macrovascular and microvascular complications in type 2 diabetes: UKPDS 38. BMJ 317: van den Berghe G, Wouters P, Weekers F et al (2001) Intensive insulin therapy in critically ill patients. N Engl J Med 345: Vascular Biology Working Group (2009) Evidence-based recommendations in hyperglycemia and ACS. The Portland Protocol. University of Florida 24

25 Corso di alta formazione SID Diabete autoimmune dell adulto: insulina subito? Raffaella Buzzetti, Marco Capizzi UOC di Diabetologia Universitaria, Polo Pontino Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Sapienza Università di Roma Introduzione Il diabete autoimmune dell adulto è un entità nosologica che fenotipicamente e fisiopatologicamente sembra collocarsi in una posizione intermedia tra il diabete di tipo 1 e il diabete di tipo 2 (Figura 1). Figura 1 La diagnosi di diabete autoimmune dell adulto ha implicazioni terapeutiche per l alto rischio di progressione a insulino-dipendenza. Ovvero sarebbe possibile ipotizzare una somministrazione insulinica nel paziente neo-diagnosticato. In questa sezione andremo ad analizzare in quale direzione le evidenze orientano rispetto a questa ipotesi clinica. Il principale impedimento nello stabilire la bontà di una strategia terapeutica nel LADA si deve attribuire alla mancanza di una chiara e condivisa definizione della malattia (età, tipo di anticorpi, titolo). È quindi essenziale - analizzare le dinamiche che hanno portato alla nascita e all evoluzione della definizione di diabete autoimmune dell adulto per comprenderne meglio la capacità e l entità di predizione nella progressione a insulino-dipendenza poiché la prospettiva di un deficit insulinico è uno dei motivi che potrebbe indurre il medico ad intraprendere la terapia insulinica. - Definire gli obiettivi terapeutici plausibili in base alle conoscenze fisiopatologiche sulla patologia, come la preservazione della riserva beta-cellulare e la prevenzione delle complicanze - Verificare nella pratica clinica il raggiungimento di questi obiettivi tramite la misurazione degli effetti clinici della somministrazione insulinica precoce in pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di diabete autoimmune dell adulto. Una nuova entità nosologica: limiti interpretativi e sviluppi teorici Il diabete di tipo 1 (T1DM), è una malattia immuno-mediata a patogenesi multifattoriale e poligenica caratterizzata dalla presenza di auto-anticorpi islet cell antibody (ICA) e glutamic acid decarboxylase (GADA), diretti verso la beta-cellula pancreatica, e dalla necessità di trattamento insulinico all esordio clinico. Circa 25 anni fa alcuni ricercatori dimostrarono che gli anticorpi ICA erano riscontrabili anche in alcuni soggetti con diagnosi di diabete tipo 2 (T2DM) (1). Questa categoria di diabetici è stata definita in vario modo nel tentativo di riassumerne le linee fondamentali ai fini dell inquadramento nosologico. Ripercorrendo solo alcune tappe di questo processo possiamo dire che all inizio degli anni 90 è stato coniato l eponimo LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adults) (2) ; nel 1998, sulla base dei dati disponibili, l OMS ha proposto l introduzione di un nuovo sottogruppo di diabetici, il diabete tipo 1 a lenta insorgenza (3), quindi è stato proposto il termine di NIRAD (Non Insulin Requiring Autoimmune Diabetes) (4) e diabete autoimmune dell adulto (5). Nel tentativo di standardizzare la definizione di LADA, la società di immunologia del diabete ha proposto i seguenti criteri: i pazienti dovrebbero avere almeno 30 anni, positivi per almeno uno dei 4 anticorpi comunemente trovati nel diabete di tipo 1: (ICA, GAD, IA-2 (tyrosine phosphataselike insulinoma-associated protein 2), o Znt8 (zinc transporter 8), gli IAA (anti insulina)), e non trattati con insulina nei primi 6 mesi dalla diagnosi (6). I parametri anagrafici e temporali citati possono essere analizzati criticamente poiché introducono valori soglia temporali arbitrari o frutto di decisioni cliniche soggettive. Per quanto riguarda i 6 mesi di assenza di trattamento insulinico dopo la diagnosi, tale soglia è utile per distinguere tra 25

26 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete LADA e le forme di diabete di tipo 1 che insorgono dopo i 30 anni di età. La lunghezza di questo periodo però può essere determinata da fattori che influenzano sia il momento della diagnosi che quello del passaggio a terapia insulinica: gli individui asintomatici diagnosticati precocemente, con la semplice valutazione della glicemia, soddisferanno con maggiore probabilità il criterio della indipendenza insulinica per almeno 6 mesi dalla diagnosi rispetto a coloro che vengono diagnosticati dopo l insorgenza dei sintomi. Infine il momento del passaggio alla terapia insulinica può essere influenzato dal bias terapeutico-decisionale del medico curante più che dal processo di malattia e dalla differente abitudine, nei paesi europei, di dosare o meno gli anticorpi GAD alla diagnosi, fattore che condiziona la successiva scelta terapeutica. Inoltre la descrizione nosologica di questa entità è stata resa più complessa da recenti sviluppi che hanno mostrato la possibilità di sottostratificare ulteriormente il diabete autoimmune dell adulto. Ad esempio lo studio NIRAD (7), uno dei lavori più estesi sul LADA in termini di numero di pazienti e studi pubblicati, ha mostrato ad esempio come ci siano altri marcatori che permettono la sottostratificazione dei pazienti: l analisi della distribuzione del titolo GADA ha rivelato un andamento bimodale (Figura 2) indipendente dalla durata Figura 2 del diabete mellito, ovvero la presenza di due sottopopolazioni di soggetti con LADA, una ad alto titolo ed una a basso titolo GADA, distinte in base ad un cut-off corrispondente al nadir della distribuzione GADA ed equivalente a 32 unità arbitrarie o 300 unità WHO. Tale distribuzione bimodale è stata recentemente confermata in Italia da uno studio effettuato nella popolazione sarda (8). L eterogeneità clinica del NIRAD è stata confermata dalla differente caratterizzazione fenotipica delle due sottopopolazioni GADA, con un alto titolo che si avvicina fenotipicamente al diabete mellito tipo 1 ed un basso titolo che si avvicina al fenotipo del diabete mellito tipo 2 (Figura 3). Figura 3 Questi e altri marker, quali il numero di anticorpi, hanno mostrato effetti sul rischio di progressione ad insulinodipendenza, ovvero uno dei motivi che possono influenzare la scelta del timing nella introduzione della terapia insulinica da parte del medico. Ad esempio nella popolazione italiana, uno studio effettuato in Sardegna (8) ha valutato il titolo GADA ed il numero di anticorpi nel rischio di progressione ad insulinoterapia. Quattro anni dopo la diagnosi di diabete mellito l alto titolo GADA non è risultato associato ad una progressione più rapida verso il trattamento insulinico (p=0.104). I pazienti positivi a GADA e anti TPO o IA-2A o tripla positività hanno mostrato, invece, una progressione di malattia significativamente maggiore (p=0.002). Nel 2011 uno studio giapponese invece ha confermato il ruolo dell alto titolo nella valutazione del rischio a progressione insulinica. Tale studio ha dimostrato che il valore predittivo positivo base della presenza di GADA al 42.7% cresce al 78.6% quando vengono selezionati solo pazienti con un titolo maggiore di 10 U/mL. La copresenza di altri anticorpi specifici di diabete autoimmune aumenta il valore predittivo positivo ma riduce la sensibilità (9). 26

27 Corso di alta formazione SID Dalla fisiopatologia all obiettivo terapeutico Conservazione della riserva beta-cellulare Se assumiamo che il processo patogenetico del LADA sia simile a quello del diabete di tipo 1, anche se più lento, sarebbe doveroso tentare di preservare le beta-cellule dalla distruzione completa, sia utilizzando il LADA come modello di prevenzione del diabete di tipo 1 sia attuando misure terapeutiche nei confronti del LADA stesso. L obiettivo comune su cui far concentrare i nostri sforzi terapeutici quindi potrebbe essere costituito dalla protezione del C-peptide come suggeriscono le evidenze nel T1DM dove si è trovato che gli individui con riserva pancreatica conservata avevano un livello minore di HbA1c e di complicanze microvascolari (proteinuria e retinopatia) rispetto ai pazienti con esaurimento beta-cellulare (10). La decisione di iniziare un intervento insulinico precoce (Figura 4) nel LADA potrebbe sembrare ni coinvolti nella patogenesi del DMT1 e quindi la terapia insulinica potrebbe indurre tolleranza immunologica e ridurre la conseguente cascata immunitaria I possibili effetti dell insulina sui meccanismi immunitari sono interpretabili anche grazie alla teoria della messa a riposo funzionale della beta-cellula che ipotizza come l insulina riesca a indurre la diminuzione del metabolismo beta-cellulare (11). Tale riposo causerebbe inizialmente la riduzione della produzione insulinica e la conseguente espressione antigenica di membrana e, quindi, determinerebbe una relativa diminuzione della risposta T cellulare e della severità dell insulite. Prevenzione complicanze L effetto della terapia insulinica nella prevenzione delle complicanze a lungo termine legate al LADA può essere solo estrapolato dagli studi sul ruolo che questa terapia esercita nella prevenzione delle complicanze micro e macroangiopatiche nei pazienti con DMT1, perché non sono disponibili studi specifici in questo gruppo di pazienti. Il DCCT ha dimostrato che il buon controllo glicemico ottenuto con terapia insulinica intensiva in pazienti diabetici tipo 1 ritarda l insorgenza e la progressione di retinopatia, nefropatia e neuropatia. I benefici della terapia sono maggiori quando questa viene effettuata in maniera intensiva fin dall esordio della malattia, e questo beneficio, per quel che riguarda la progressione della retinopatia, della nefropatia e la comparsa di eventi cardiovascolari (Figura 5), si mantiene per anni oltre il periodo di Figura 4 paradossale dal momento che uno dei criteri di diagnosi della malattia è l assenza di necessità di trattamento insulinico alla diagnosi, tuttavia risulta assai più ragionevole se si considerano gli obiettivi della terapia nel LADA. Tale obiettivo potrebbe essere perseguito grazie all implementazione di una terapia insulinica precoce che intervenga quando le riserve funzionali versino ancora in uno stadio di discreta plasticità e dinamismo replicativo. I precisi meccanismi attraverso i quali l insulina esercita effetti benefici sulla funzione beta-cellulare non sono totalmente noti. Sicuramente alcuni di essi interferiscono con il processo autoimmune. L insulina è considerata uno degli autoantige- Figura 5 ottimizzazione (12). Lo stesso effetto benefico è documentato per la progressione delle complicanze microangiopatiche nei pazienti con DMT2. 27

28 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Il LADA, rispetto al DMT2, presenta una prevalenza maggiore di nefropatia e retinopatia (13) e una simile prevalenza di complicanze neurologiche e cardiovascolari (14). Quando paragonato al DMT1, il LADA presenta complicanze neurologiche più frequenti ma una ridotta prevalenza di retinopatia (15). Non esistono a tutt oggi studi sulla prevenzione di complicanze in questa entità nosologica. Quale potrebbe essere la connessione tra insulina e la funzionalità vascolare? Nel DMT1 si è riscontrato un decremento della disponibilità di ossido nitrico (NO) vascolare durante l evoluzione della malattia a cui si è attribuito un ruolo nello sviluppo delle complicanze microvascolari (15). L anello di congiunzione risiede in alcuni studi proponenti un azione sinergica tra insulina e C-peptide che faciliti l aumento della disponibilità di NO, suggerendo quindi nuove modalità di trattamento per il diabete insulino-deficiente. Alcuni studi attribuiscono al C-peptide un attività biologica a livello recettoriale e un valore di prevenzione, nonchè un possibile utilizzo farmacologico nei confronti di fenotipi intermedi di complicanze microvascolari e macrovascolari (16). D altronde anche l insulina causa un graduale effetto vasodilatatorio dopo infusione intraarteriosa nell avambraccio e gli effetti della somministrazione contemporanea di entrambi gli ormoni sembrano suggerire che il C-peptide possa richiedere la presenza di insulina per esercitare le sue funzioni vascolari (17). Questa azione sinergica potrebbe porre la terapia insulinica nel LADA su un piano differente rispetto a quella nel tipo 1, dato che nel primo la quantità di C-peptide alla diagnosi utile per interagire con l insulina esogena è decisamente maggiore rispetto alla forma autoimmune giovanile. L incompleta conoscenza della storia naturale di questa forma di diabete non permette al momento attuale di definire quale possa essere l atteggiamento terapeutico migliore. Sono quindi necessari ulteriori studi volti a fare luce sui meccanismi patogenetici e a chiarire quale sia la migliore forma di terapia per questi pazienti al fine di preservare il più a lungo possibile la funzionalità delle beta-cellule pancreatiche ed evitare o dilazionare lo sviluppo delle complicanze. Prove di efficacia clinica Il Tokyo Study (18) mostra come i pazienti LADA - e in particolare coloro che hanno un titolo GADA >20 U/mL - beneficino di una terapia insulinica precoce ovvero introdotta quando la riserva betacellulare è ancora discretamente conservata. Nel Tokio Study i cambiamenti nella risposta al C-peptide continuavano ad essere significativamente differenti tra i gruppi trattati con insulina e sulfonilurea fino ai 60 mesi di follow-up. Inoltre la proporzione dei partecipanti che in media progrediva a uno stato di insulino-dipendenza era dell 11% per anno nel gruppo a sulfoniluree e del 2% per anno nel gruppo a insulina. Al termine dello studio soltanto il 3% dei pazienti trattati con insulina andava incontro a insulino-dipendenza contro il 43% del gruppo trattato con sulfoniluree, differenza che si accentuava nettamente quando venivano presi in considerazione pazienti con livelli anticorpali elevati ( 10 U/mL: 180 WHO U/mL) e con una risposta al C-peptide preservata alla diagnosi (sommatoria CPR 10 ng/ml) (Figure 6 e 7). Figura 6 L analisi dei risultati conduce a due fondamentali considerazioni: 1) il beneficio che si ottiene con il trattamento insulinico è tanto più elevato quanto maggiore è la riserva beta- cellulare e ciò implica l utilità di un precoce inizio della terapia insulinica 2) il beneficio che si ottiene con il trattamento insulinico è tanto più elevato quanto maggiore è il titolo degli anticorpi GADA, tanto che nei pazienti con titolo basso, a parità di funzione beta-cellulare iniziale, il trattamento insulinico non è in grado di preservare in maniera significativamente superiore la funzione betacellulare al termine dello studio rispetto al trattamento con sulfoniluree. 28

29 Corso di alta formazione SID In conclusione nonostante le evidenze raccolte fino ad oggi è opinione degli autori che siano auspicabili ulteriori studi di intervento, soprattutto in popolazioni caucasiche, per poter raccomandare una terapia precoce con insulina in soggetti neodiagnosticati con diabete autoimmune dell adulto o in soggetti con diabete autoimmune dell adulto ad alto titolo o positivi a più di un anticorpo. Bibliografia 1) Irvine WJ, McCallum CJ, Gray RS et al. Pancreatic islet-cell antibodies in diabetes mellitus correlated with the duration and type of diabetes, coexistent autoimmune disease, and HLA type. Diabetes 1977;26: Figura 7 2) Tuomi T, Groop LC, Zimmet PZ, et al. Antibodies to glutamic acid decarboxylase reveal latent autoimmune diabetes mellitus in adults with a non-insulindependent onset of disease. Diabetes 1993;42: ) Alberti KGMM, Zimmet PZ for the WHO consultation. Definition, diagnosis and classification of diabetes mellitus and its complications (Part 1). Diabet Med 1998;15: ) Pozzilli P, Di Mario U. Autoimmune diabetes not requiring insulin at diagnosis (latent autoimmune diabetes of the adult): definition, characterization, and potential prevention. Diabetes Care 2001;24: ) Fourlanos S, Dotta F, Greenbaum CJ, et al. Latent autoimmune diabetes in adults (LADA) should be less latent. Diabetologia. 2005;48(11): ) Naik RG, Brooks-Worrell BM, Palmer JP 2009 Latent autoimmune diabetes in adults. J Clin Endocrinol Metab Dec;94(12): ) Buzzetti R, Petrone A, Capizzi M, Bosi E. High Titer of Autoantibodies to GAD Identifies a Specific Phenotype of Adult-Onset Autoimmune Diabetes. Diabetes Care. 2007;;30(4): ) Maioli M, Pes GM, Delitala G, et al. Number of autoantibodies and HLA genotype, more than high titers of glutamic acid decarboxylase autoantibodies, predict insulin dependence in latent autoimmune diabetes of adults. European journal of endocrinology / European Federation of Endocrine Societies. 2010;163(4): ) Maruyama T, Nakagawa T, Kasuga A, Murata M. Heterogeneity among patients with latent autoimmune diabetes in adults. Diabetes Metab Res Rev Nov;27(8): ) Sjoberg S, Gunnarsson R, Gjotterberg M,et al. Residual insulin production, glycaemic control and prevalence of microvascular lesions and polyneuropathy in longterm type 1 (insulin-dependent) diabetes mellitus. Diabetologia 1987;30: ) Atkinson MA, Maclaren NK, Luchetta R. Insulitis and diabetes in NOD mice reduced by prophylactic insulin therapy. Diabetes 39: , ) The Diabetes Control and Complication Trial/ Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (DCCT/EDIC) Study Research Group. Intensive diabetes treatment and cardiovascular disease in patients with type 1 diabetes. N Engl J Med 353: , ) Arikan E, Sabuncu T, Ozer EM, Hatemi H. The clinical characteristics of latent autoimmune diabetes in adults and its relation with chronic complications in metabolically poor controlled Turkish patients with Type 2 diabetes mellitus. J Diabetes Complications 19: , ) Isomaa B, Almgren P, Henricsson M, et al. Chronic complications in patients with slowly progressing autoimmune type 1 diabetes. Diabetes Care 22: ,

30 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 15) Joshua IG, Zhang Q, Falcone JC, et al. Mechanisms of endothelial dysfunction with development of type 1 diabetes mellitus: Role of insulin and C-peptide. J Cell Biochem 96: , ) Johansson BL, Borg K, Fernqvist-Forbes E, et al. Beneficial effects of C-peptide on incipient nephropathy and neuropathy in patients with Type 1 diabetes mellitus. Diabet Med 17: , ) Johansson BL, Kernell A, Sjoberg S, et al. Influence of combined C-peptide and insulin administration on renal function and metabolic control in diabetes type 1. J Clin Endocrinol Metab 77: , ) Maruyama T, Tanaka S, Shimada A, et al 2008 Insulin intervention in slowly progressive insulin-dependent (type 1) diabetes mellitus. J Clin Endocrinol Metab Apr 8. 30

31 Corso di alta formazione SID Macronagiopatia: controllo glicemico e mortalità cardiovascolare Vincenzo Trischitta Dipartimento di Medicina Sperimentale Università Sapienza, Roma 1. il diabete rappresenta una della maggiori cause di mortalità generale. Figura 1 2. il diabete aumenta il rischio di mortalità per cause cardiovascolari, per tumori e per tutte le altre cause che non siano relate né alla malattia cardiovascolare né a quella tumorale (1). Figura 2 31

32 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 3. la meta-analisi di tutti i maggiori trials sul trattamento intensivo dell iperglicemia non dimostra alcun effetto positivo sulla mortalità generale e su quella cardiovascolare (2). Figura 3 4. studi di tipo osservazionale dimostrano che il tasso minore di mortalità generale e di rischio cardiovascolare si osserva per HbA1c di circa 7.5%. Il rischio di mortalità aumenta per HbA1c inferiore a 7% (3). Figura 4 32

33 Corso di alta formazione SID 5. l attività fisica riduce significativamente il rischio di mortalità generale e cardiovascolare in pazienti con diabete tipo 2. Questo effetto sembra indipendente dall effetto positivo sull indice di massa corporea. Figura 5 6. Diversi studi osservazionali suggeriscono che il trattamento con metformina riduce il rischio di mortalità in pazienti con diabete tipo 2. Figura 6 33

34 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 7. Una prima evidenza suggerisce che in pazienti con diabete tipo 2 la mortalità generale e cardiovascolare sia ridotta quando la gestione della malattia viene effettuata in accordo con le linee guida. L effetto positivo si osserva indipendentemente dal fatto che il paziente sia seguito dal medico di famiglia o dal centro diabetologico. Figura 7 8. le più recenti linee guida suggeriscono che uno stretto controllo glicemico sia perseguibile solo in pazienti con le seguenti caratteristiche: - alta motivazione e capacità di gestione della malattia; - basso rischio di ipoglicemia e delle sue conseguenze; - neo-diagnosticati o, comunque, con breve durata di malattia; - elevata aspettativa di vita; - assenza (o scarsa presenza) di co-morbilità; - assenza di complicanze vascolari clinicamente evidenti; - assenza di risorse e supporti adeguati per un stretto monitoraggio della malattia. Bibliografia 1. N Engl J Med 2011;364: BMJ 2011;343:d4169 doi: / bmj.d Lancet 2010; 375: Figura 7 34

35 Corso di alta formazione SID Nefropatia: criteri per la diagnosi e la stadiazione Giuseppe Pugliese Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare Università degli Studi La Sapienza, Roma La nefropatia diabetica rappresenta attualmente la principale causa di insufficienza renale terminale (End-Stage Renal Disease, ESRD) nel mondo (1) (Figura 1), sebbene non ancora in Italia, pur la sua prevalenza nei pazienti in trattamento sostitutivo sia in costante incremento anche nel nostro paese (2). Figura 1 La compromissione renale in corso di diabete mellito rappresenta un evenienza frequente, sia nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2, manifestandosi in circa il 30-40% dei pazienti diabetici (Figura 1), nella maggioranza dei casi entro anni dall esordio del diabete, anche se può presentarsi alla diagnosi nei diabetici di tipo 2. La prevalenza dell ESRD risulta in parte sottostimata nei pazienti diabetici a causa della aumentata mortalità per cause cardiovascolari (CV) cha si verifica prima della sua comparsa. Proprio a causa dell elevato rischio CV da cui è gravata la nefropatia, la spettanza di vita è infatti superiore a 5 anni soltanto nel 20-40% dei casi, peggiore nel diabete di tipo 2 (<10% in alcuni studi) rispetto al diabete di tipo 1 (35-50%). La diagnosi e la stadiazione della nefropatia diabetica sono basate sulla rilevazione dell albuminuria e sulla stima del filtrato glomerulare (glomerular filtration rate, GFR), due marcatori di danno renale non soltanto nel diabete, ma anche in altre malattie. Purtroppo essi non sono sufficientemente sensibili e specifici da consentire di individuare precocemente e con certezza quei pazienti diabetici che presentano un interessamento renale passibile di evoluzione fino all ESRD, donde la necessità di individuare nuovi marcatori. Le limitazioni dell albuminuria e del GFR riguardano sia il metodo impiegato per la loro determinazione che il significato clinico da attribuire ad alterazioni di questi parametri. Sul piano metodologico, la misurazione dell albuminuria, oltre ad essere inficiata dalla presenza di infezioni delle vie urinarie e da altre condizioni fisiologiche e patologiche che ne influenzano la variabilità biologica, è gravata da una elevata variabilità analitica, tra il 4% e il 103%, con un terzile centrale del 28-47%, che in parte dipende dalle modalità di raccolta del campione di urine e in parte dal dosaggio vero e proprio (3). Riguardo alla raccolta urinaria, se la determinazione del tasso di escrezione urinaria di albumina (urinary albumin excretion rate, AER) è da preferirsi al dosaggio della concentrazione di questa in un campione spot, le frequenti imprecisioni che si verificano nella raccolta giornaliera o comunque temporizzata e nella successiva determinazione del volume urinario, hanno indotto l American Diabetes Association (ADA) a raccomandare, per lo meno ai fini dello screening, il dosaggio su un campione spot, preferibilmente del mattino, con normalizzazione della concentrazione di albumina per quella di creatinina (4). Le linee guida invitano altresì ad eseguire almeno 3 dosaggi nell arco di 3-6 mesi ed indicano che almeno 2 di questi debbano risultare positivi per poter etichettare 35

36 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete il paziente come albuminurico. Tuttavia, queste raccomandazioni, che peraltro sono per lo più basate sull opinione di esperti, non vengono sempre applicate nella pratica clinica, per la difficoltà di eseguire determinazioni multiple dell albuminuria. In realtà, nella popolazione generale, nonostante l elevato coefficiente di variazione (5), la performance di un singolo dosaggio nel predire lo stadio di albuminuria è discreta (pari al 63% per la microalbuminuria) (6). Lo stesso risultato è stato di recente riportato in soggetti con diabete di tipo 2, peraltro con una performance del singolo dosaggio migliore (pari all 84% per la microalbuminuria), a suggerire che misurazioni multiple potrebbero non essere necessarie per stadiare i pazienti in ambito sia clinico che epidemiologico (7) (Figura 2). Figura 2 Ancora più problematica è la misurazione del GFR, in quanto il marcatore ideale di filtrazione glomerulare corrisponde ad una sostanza metabolicamente inattiva, liberamente filtrata a livello glomerulare e né secreta né riassorbita a livello tubulare. Marcatori esogeni quali inulina e iotalamato soddisfano questi criteri, ma il loro impiego è laborioso e costoso, in quanto debbono essere iniettati per via endovenosa e successivamente dosati in campioni di plasma e urine per ottenere la clearance urinaria (velocità di escrezione urinaria / concentrazione plasmatica) o soltanto di plasma per determinare la clearance plasmatica (velocità di infusione endovenosa / concentrazione plasmatica). Al contrario, l uso di marcatori endogeni, come la creatinina o la cistatina C, non comporta procedure complesse e dispendiose, ma nessuno di questi si avvicina sufficientemente alle caratteristiche ideali (8) (Figura 3). Tuttavia, mentre la creatinina è gravata da un elevata variabilità nel tasso di produzione muscolare e di secrezione tubulare, la cistatina C è meno influenzata da questi fattori, in quanto, pur se è stata descritta una sua produzione aumentata in corso di infiammazione (9), viene completamente riassorbita e degradata a livello tubulare. Pertanto, alla variabilità del GFR si aggiunge la variabilità legata a questi fattori, indipendenti dal GFR, di cui le equazioni per la stima del GFR stesso a partire dai livelli di creatininemia o cistatina C tengono conto mediante l uso di parametri clinici accessibili quali età, sesso, etnia o peso corporeo (Figura 4) (8). Le equazioni che utilizzano la creatininemia comprendono la formula di Cockroft- Gault, basata su età, sesso e peso corporeo (10) e l equazione semplificata dello studio Modification of Diet in Renal Disease (MDRD), basata invece su età, sesso, ed etnia, che è però limitata dal fatto di essere derivata soltanto da soggetti con CKD (11). Uno studio recente ha mostrato una maggiore precisione della seconda rispetto alla prima, sebbene entrambe tendano a sottostimare il GFR per valori 60 ml/min/1,73 m 2 (12), ma ancor più recentemente è stata proposta e validata una nuova equazione, la Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD- EPI), che utilizza gli stessi parametri della formula semplificata dello studio MDRD. In particolare, nell equazione CKD-EPI, l interpolazione spline per il logaritmo della creatininemia consente di ottenere pendenze della retta che mette in relazione lineare GFR e creatininemia maggiori e identiche nei due sessi o minori e diverse nei due sessi, 36

37 Corso di alta formazione SID Figura 3 Figura 4 anche nei pazienti diabetici (Figura 5). L uso di equazioni che utilizzano la cistatina C, da sola o insieme alla creatinina, fornisce stime ancor più accurate in quanto meno influenzate dalla massa muscolare (14). Riguardo invece agli aspetti più strettamente clinici, c è da rilevare come la presenza di albuminuria non si accompagni necessariamente alla presenza di danno renale significativo (15), così come si discute tuttora se una riduzione dell egfr al di sotto di 60 ml/min/1,73 m 2 sia comunque indicativa di nefropatia, anche se non accompagnata da altri segni di danno renale quali l albuminuria (16). Nonostante queste limitazioni, nel 2002, la National Kidney Foundation s (NKF s) Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (KDOQI) ha introdotto una classificazione della malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) (17), basata proprio su questi 2 marcatori, che ha prodotto un profondo impatto sulla gestione di questa condizione morbosa, promuovendo l esecuzione del dosaggio di albuminuria e creatininemia e della stima del GFR a partire da quest ultima e favorendo al tempo stesso il riconoscimento della CKD, soprattutto nei suoi stadi iniziali, e quindi il suo trattamento al fine di prevenirne l ulteriore evoluzione vero l ESRD (Figura 6). Detta classificazione prevede che i primi 2 stadi siano caratterizzati dalla presenza di segni di danno renale, quali appunto la micro o macroalbuminuria, in assenza di riduzione dell egfr al di sotto di 90 o 60 ml/min/1,73 m 2, rispettivamente. I 3 stadi successivi sono invece caratterizrispettivamente, per valori superiori o inferiori a 0.9 mg/dl nel maschio e 0.7 mg/dl nella femmina (13). Sebbene ancora inferiore alla misurazione diretta del GFR, la stima di questo mediante l equazione CKD-EPI consente una maggiore precisione e una minore sovrastima della prevalenza di CKD rispetto alla formula dello studio MDRD (13), 37

38 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 5 Figura 6 zati da livelli via via più ridotti di egfr, al di sotto rispettivamente di 60, 30 e 15 ml/min/1,73 m 2, indipendentemente dalla presenza o meno di albuminuria. I primi 4 stadi vengono ulteriormente suddivisi in base al fatto se il paziente sia stato o meno trapiantato, nel qual caso vengono contrassegnati con una T, e il quinto ed ultimo stadio in base al fatto se il paziente sia o meno in dialisi, nel qual caso viene contrassegnato con una D. Tuttavia, a fronte degli indubbi benefici da essa apportata, questa classificazione è stata criticata per il fatto di etichettare come affetti da CKD soggetti con solo egfr ridotto, ovvero <60 ml/min/1,73 m 2, anche in assenza di segni di danno renale, con il rischio di sovrastimare l effettiva prevalenza di questa condizione, soprattutto negli individui anziani e di sesso femminile (16). Di conseguenza, è stato suggerito dal Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) di suddividere ulteriormente gli stadi 3-5 in base alla presenza o meno di albuminuria, oltre che prevedere una sottoclassificazione dello stadio 3 in base all egfr > o < 45 ml/ min/1,73 m 2, e porre maggiore enfasi sulla causa della CKD (18) (Figura 7). Contestualmente, è stata proposta una classificazione alternativa basata sulla stratificazione del rischio di progressione verso l ESRD, validata su un ampia coorte di soggetti, che tiene in maggior conto la presenza e il grado, moderato o severo, dell albuminuria (corrispondenti alla micro e macroalbuminuria, rispettivamente) (Figura 8). (19) Poichè lo scopo di una classificazione è quello di assegnare i pazienti con la prognosi peggiore agli stadi più avanzati, rimane aperto il dibattito riguardo alla appropriatezza del sistema NKF s KDOQI nell attribuire un rischio maggiore ai soggetti con egfr <60 ml/min/1,73 m 2 (ovvero stadi 3-5) senza albuminuria rispetto a quelli con albuminuria ed egfr normale o subnormale (ovvero stadi 1-2) riguardo non solo all outcome 38

39 Corso di alta formazione SID Figura 7 Figura 8 renale, ma anche a quello CV, oltre che alle altre co-morbidità associate alla CKD. Un altra finalità di un sistema di classificazione è quella di riprodurre il più fedelmente possibile la storia naturale della condizione morbosa in questione, ovvero che i diversi stadi si presentino effettivamente nell ordine di sequenza numerica. Nel caso della classificazione NKF s KDOQI, l albuminuria dovrebbe comparire prime della riduzione dell egfr, mentre nel sistema alternativo, lo stadio 1 prevede indifferentemente la presenza o di microalbuminuria o di egfr ml/ min/1,73 m 2. La storia naturale della nefropatia diabetica è stata inizialmente derivata da studi su soggetti con diabete di tipo 1. In questi individui, la microalbuminuria rappresenta caratteristicamente il primo segno di danno renale e può eventualmente progredire a macroalbuminuria, che predice il successivo declino del GFR (Figura 9). Anche per questo motivo, l albuminuria ha assunto un ruolo centrale nello screening, nella diagnosi e nel trattamento della nefropatia diabetica. Tuttavia, diversi studi suggeriscono che una perdita di GFR indicativa di danno renale può avvenire anche in assenza di albuminuria (Figura 10). In 105 pazienti normoalbuminurici con diabete di tipo 1 di lunga durata (>10 anni), il 22% presentava GFR <90 ml/min/1,73 m 2 e lesioni istologiche più avanzate, rispetto a quelli con GFR 90 ml/min/1,73 m 2 (20). Successivamente, il follow-up di pazienti con diabete di tipo 1 del Diabetes Control and Complications Trial / Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (DCCT)/EDIC) ha mostrato che, sebbene la macroalbuminuria sia un potente fattore predittivo della perdita di egfr, il 24% dei soggetti presentava un egfr persistentemente <60 ml/min/m 2 in assenza di albuminuria (21), a conferma che il declino del GFR può precedere la comparsa di albuminuria (Figura 11). 39

40 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 9 Figura 10 Questa evenienza è risultata ancor più frequente nel diabete di tipo 2. Infatti, tra 301 pazienti diabetici di tipo 2 afferenti ad un ambulatorio in Australia, il 39% di quelli con CKD (GFR <60 ml/m/1,73 m 2, misurato mediante la clearance plasmatica di 99 mtc-dtpa), è risultato essere normoalbuminurico (22) (Figura 12). Inoltre, in uno studio trasversale condotto nel periodo su adulti di età 40 anni con diabete di tipo 2 nell ambito del Third National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) III, è stato rilevato che, nei soggetti con CKD, la micro o macroalbuminuria era assente nel 36% dei casi e, inoltre, albuminuria e retinopatia, riconosciuti criteri diagnostici per la nefropatia diabetica, erano entrambe assenti nel 30% dei casi (23) (Figura 13). È interessante notare che la prevalenza della forma non albuminurica di CKD di stadio 3 è andata aumentando nel tempo, fino a diventare maggioritaria rispetto a quella albuminurica. Dapprima, il follow-up dello UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) ha mostrato che il 51% dei soggetti che sviluppava egfr ridotto era normoalbuminurico (24) (Figura 14). Successivamente, nel National Evaluation of the Frequency of Renal Impairment coexisting with NIDDM (NEFRON) 11 (25) e nell Action in Diabetes and Vascular disease: preterax and diamicron-mr Controlled Evaluation (ADVAN- CE) (26), 920 e pazienti, rispettivamente, su e soggetti con egfr <60 ml/m/1,73 m 2 presentava normoalbuminuria (il 55% e il 62%, rispettivamente). Infine, lo studio multicentrico italiano Renal Insufficiency And Cardiovascular Events (RIACE) ha evidenziato una prevalenza della forma non albuminurica del 56,6% tra i soggetti diabetici di tipo 2 con CKD di stadio 3 esaminati negli anni ; solo il 30,8% di questi era microalbuminurico ed il 12,6% era macroalbuminurico (27) (Figura 15). In tutti questi studi (Figura 10), il GFR è stato sti- 40

41 Corso di alta formazione SID Figura 11 Figura 12 mato con la formula MDRD semplificata e, nello studio RIACE, anche con la più recente equazione CKD-EPI, che ha fornito risultati sovrapponibili in termini di prevalenza della forma non albuminurica. Inoltre, quest ultima, sempre nello studio RIA- CE (27), era più bassa nei soggetti di età <55 anni, ma stabilmente elevata in quelli compresi nelle classi di età successive. Queste evidenze sembrano escludere che l elevata prevalenza della CKD non albuminurica sia da attribuire ad un errata categorizzazione di soggetti anziani, dovuta ad imprecisione della formula utilizzata per la stima del GFR. Riguardo al sesso, sia il NEFRON 11 (25) che il RIACE (27) hanno evidenziato che i soggetti con il fenotipo non albuminurico sono soprattutto femmine, a suggerire che la prevalenza di questa forma possa invece essere sovrastimata nel sesso femminile, per una sottostima del GFR con le equazioni in uso (28). In ogni caso, è probabile che l incremento nel tempo della prevalenza della CKD non albuminurica sia da attribuire ai cambiamenti nel frattempo intervenuti nella terapia della nefropatia diabetica. In particolare, dall epoca degli studi di McIsaac et al (22) e Kramer et al (23), si è assistito ad un uso crescente di farmaci bloccanti il sistema renina-angiotensina (Renin-Angiotensin System, RAS), che, come è noto, sono molto più efficaci nel ridurre l albuminuria che il declino del GFR, per lo meno nel breve periodo. In pratica, è possibile che una parte dei pazienti normoalbuminurici con egfr ridotto abbiano presentato in precedenza livelli elevati di albuminuria, successivamente regrediti grazie al trattamento con inibitori dell enzima di conversione o con sartani. Sebbene questa ipotesi sia plausibile, nello studio RIACE, la percentuale dei soggetti in trattamento con questi farmaci era maggiore nei pazienti albuminurici che in quelli non albuminurici con CKD, per quanto questo possa rappresentare un effetto di indicazione (27). 41

42 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Figura 13 Figura 14 Più in generale, è possibile che un miglior controllo dei fattori di progressione del danno renale, sulla scorta dei risultati degli studi di intervento intensivo, abbia prodotto dei cambiamenti nella prevalenza delle diverse forme anatomiche che sottintendono la nefropatia diabetica nel diabete di tipo 2, con preponderanza della macroangiopatia ri- spetto alla microangiopatia. Ciò è in linea con la relazione inversa dell egfr con l indice di resistenza intrarenale e gli indici di aterosclerosi sistemica, quali lo spessore medio-intimale carotideo e la stiffness arteriosa, riportata in soggetti con diabete di tipo 2 (29), sebbene questa associazione si verifichi indipendentemente dall albuminuria (30). Il fatto che, nello studio RIACE (27), i livelli di HbA 1c correlassero in maniera indipendente con la forma albuminurica, ma non con quella non albuminurica di CKD, e l osservazione che l altra complicanza microangiopatica, la retinopatia, correlasse in misura maggiore con la prima che non con la seconda, sono altresì di supporto a questa ipotesi. Tuttavia, se nell UKPDS l HbA 1c è risultata un fattore di rischio indipendente per l albuminuria, ma non per la riduzione dell egfr (24), nello studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC), l associazione tra HbA 1c e CKD incidente era presente anche in assenza sia di albuminuria che di retinopatia (31). La riduzione dell egfr in assenza di albuminuria potrebbe quindi essere strettamente correlata, più che all iperglicemia cronica, agli altri fattori di rischio usualmente associati al diabete di tipo 2 (e all elevato rischio CV da cui esso è gravato), quali età, dislipidemia ed ipertensione arteriosa. Tuttavia, nello studio RIACE (27), la presenza di ipertensione era associata in misura maggiore al fenotipo albuminurico che non a quello non albuminurico, in accordo con il fatto che gli elevati livelli pressori rappresentano un fattore di rischio per la macroangiopatia, ma anche per la microangiopatia. 42

43 Corso di alta formazione SID vere il quesito ed eventualmente per identificare i presidi terapeutici più idonei per questi pazienti. Figura 15 Questi dati epidemiologici suggeriscono quindi un diverso significato clinico del fenotipo non albuminurico, tanto frequente quanto poco studiato, rispetto a quello albuminurico sia con che senza egfr ridotto. Quindi, come sottolineato di recente (32), l albuminuria e la riduzione dell egfr rappresentano due manifestazioni gemelle della nefropatia diabetica, che non necessariamente si presentano insieme e differiscono, almeno in parte, riguardo ai meccanismi patogenetici e alle implicazioni prognostico-terapeutiche. Si è già detto delle possibili differenze riguardo al substrato macro o microangiopatico delle lesioni renali e si dirà più avanti del significato prognostico dei diversi fenotipi di CKD. Riguardo invece al trattamento, se, da un lato, l uso estensivo di bloccanti del RAS potrebbe aver favorito l aumentata prevalenza della forma non albuminuria, dall altro, ci si potrebbe chiedere se questi farmaci siano indicati anche in questi pazienti. Certamente, nel medio-lungo termine, i bloccanti del RAS sono risultati in grado di ridurre significativamente la caduta del GFR e la progressione verso l ESRD, ma la maggior parte degli studi sono stati condotti in pazienti proteinurici, in cui il raggiungimento dell endpoint renale è risultato essere inversamente correlato al livello basale di AER e direttamente correlato all entità della sua riduzione sotto trattamento (33). Sono necessari quindi studi ad hoc per risol- Bibliografia 1. US Renal Data System, adr.htm 2. registro Italiano di Dialisi e Trapianto, miller WG, Bruns DE, Hortin GL, Sandberg S, Aakre KM, McQueen MJ, et al. Current issues in measurement and reporting of urinary albumin excretion. Clin Chem 2009; 55: American Diabetes Association. Standards of Medical Care in Diabetes Diabetes Care 2011; 34 (Suppl. 1):S11-S61 5. Dyer AR, Greenland P, Elliott P, Daviglus ML, Claeys G, Kesteloot H, et al. Evaluation of measures of urinary albumin excretion in epidemiologic studies. Am J Epidemiol 2004; 160: Coresh J, Astor BC, Greene T, Eknoyan G, Levey AS. Prevalence of chronic kidney disease and decreased kidney function in the adult US population: Third National Health and Nutrition Examination Survey. Am J Kidney Dis 2003; 41: Pugliese G, Solini A, Fondelli C, Trevisan R, Vedovato M, Nicolucci A, et al. Reproducibility of albuminuria in type 2 diabetic subjects. Findings from the Renal Insufficiency And Cardiovascular Events (RIACE) Study. Nephrol Dial Transplant 2011; 26: Rule AD. Understanding estimated glomerular filtration rate: implications for identifying chronic kidney disease. Curr Opin Nephrol Hypertens 2007; 16: Stevens LA, Schmid CH, Greene T, Li L, Beck GJ, Joffe MM, et al. Factors other than glomerular filtration rate affect serum cystatin C levels. Kidney Int 2009; 75: Cockcroft DW, Gault MH. Prediction of creatinine clearance from serum creatinine. Nephron 1976; 16:

44 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 11. Levey AS, Bosch JP, Lewis JB, Greene T, Rogers N, Roth D. A more accurate method to estimate glomerular filtration rate from serum creatinine: A new prediction equation. Modification of Diet in Renal Disease Study Group. Ann Intern Med 1999; 130: Froissart M, Rossert J, Jacquot C, Paillard M, Houillier P. Predictive performance of the modification of diet in renal disease and Cockcroft-Gault equations for estimating renal function. J Am Soc Nephrol 2005; 16: Levey AS, Stevens LA, Schmid CH, Zhang YL, Castro AF 3rd, Feldman HI, et al. A new equation to estimate glomerular filtration rate. Ann Intern Med 2009; 150: Stevens LA, Coresh J, Schmid CH, Feldman HI, Froissart M, Kusek J, et al. Estimating GFR using serum cystatin C alone and in combination with serum creatinine: a pooled analysis of 3,418 individuals with CKD. Am J Kidney Dis 2008; 51: Fioretto P, Mauer M, Brocco E, Velussi M, Frigato F, Muollo B, et al. Patterns of renal injury in NIDDM patients with microalbuminuria. Diabetologia 1996; 39: Glassock RJ, Winearls C. Screening for CKD with egfr: doubts and dangers. Clin J Am Soc Nephrol 2008; 3: National Kidney Foundation. Kidney Disease Outcomes Quality Initiative. Clinical Practice Guidelines for Chronic Kidney Disease: evaluation, classification, and stratification. Am J Kidney Dis 2002; 39(Suppl 1): s1 s Levey AS, de Jong PE, Coresh J, El Nahas M, Astor BC, Matsushita K, et al. The definition, classification, and prognosis of chronic kidney disease: a KDIGO Controversies Conference report. Kidney Int 2011; 80: Tonelli M, Muntner P, Lloyd A, Manns BJ, James MT, Klarenbach S, et al. Using proteinuria and estimated glomerular filtration rate to classify risk in patients with chronic kidney disease: a cohort study. Ann Intern Med 2011; 154: Caramori ML, Fioretto P, Mauer M. Low glomerular filtration rate in normoalbuminuric type 1 diabetic patients: an indicator of more advanced glomerular lesions. Diabetes 2003; 52: Molitch ME, Steffes M, Sun W, Rutledge B, Cleary P, de Boer IH, et al. Development and progression of renal insufficiency with and wi- thout albuminuria in adults with type 1 diabetes in the diabetes control and complications trial and the epidemiology of diabetes interventions and complications study. Diabetes Care 2010; 33: MacIsaac RJ, Tsalamandris C, Panagiotopoulos S, Smith TJ, McNeil KJ, Jerums G. Nonalbuminuric renal insufficiency in type 2 diabetes. Diabetes Care 2004; 27: Kramer HJ, Nguyen QD, Curhan G, Hsu CY. Renal insufficiency in the absence of albuminuria and retinopathy among adults with type 2 diabetes mellitus. JAMA 2003; 289: Retnakaran R, Cull CA, Thorne KI, Adler AI, Holman RR; UKPDS Study Group. Risk factors for renal dysfunction in type 2 diabetes: U.K. Prospective Diabetes Study 74. Diabetes 2006; 55: Thomas MC, Macisaac RJ, Jerums G, Weekes A, Moran J, Shaw JE, et al. Nonalbuminuric renal impairment in type 2 diabetic patients and in the general population (national evaluation of the frequency of renal impairment coexisting with NIDDM (NEFRON) 11). Diabetes Care 2009; 32: Ninomiya T, Perkovic V, de Galan BE, Zoungas S, Pillai A, Jardine M, et al. Albuminuria and kidney function independently predict cardiovascular and renal outcomes in diabetes. J Am Soc Nephrol 2009; 20: Penno G, Solini A, Bonora E, Fondelli C, Orsi E, Zerbini G, et al. Clinical significance of nonalbuminuric renal impairment in type 2 diabetes. J Hypertens 2011; 29: Rule AD. Understanding estimated glomerular filtration rate: implications for identifying chronic kidney disease. Curr Opin Nephrol Hypertens 2007; 16: Taniwaki H, Nishizawa Y, Kawagishi T, Ishimura E, Emoto M, Okamura T, et al. Decrease in glomerular filtration rate in Japanese patients with type 2 diabetes is linked to atherosclerosis. Diabetes Care 1998; 21: MacIsaac RJ, Panagiotopoulos S, McNeil KJ, Smith TJ, Tsalamandris C, Hao H, et al. Is nonalbuminuric renal insufficiency in type 2 diabetes related to an increase in intrarenal vascular disease? Diabetes Care 2006; 29: Bash LD, Selvin E, Steffes M, Coresh J, Astor BC. Poor glycemic control in diabetes and the 44

45 Corso di alta formazione SID risk of incident chronic kidney disease even in the absence of albuminuria and retinopathy: Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) Study. Arch Intern Med 2008; 168: de Boer IH, Steffes MW. Glomerular filtration rate and albuminuria: twin manifestations of nephropathy in diabetes. J Am Soc Nephrol 2007; 18: Holtkamp FA, de Zeeuw D, de Graeff PA, Laverman GD, Berl T, Remuzzi G, et al. Albuminuria and blood pressure, independent targets for cardioprotective therapy in patients with diabetes and nephropathy: a post hoc analysis of the combined RENAAL and IDNT trials. Eur Heart J 2011; 32:

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47 Corso di alta formazione SID Neuropatia diabetica: quali test eseguire Vincenza Spallone Endocrinologia Università degli Studi di Roma Tor Vergata Clinica della neuropatia diabetica Le neuropatie diabetiche sono entità cliniche eterogenee per fattori di rischio, meccanismi patogenetici, alterazioni istopatologiche, distribuzione regionale, presentazione di segni e sintomi, storia naturale e prognosi (Figure 1 e 2) (1-4). La polineuropatia sensitivomotoria simmetrica distale diabetica (PND) è la forma clinica più frequente, con una prevalenza del 30%, e si caratterizza per le ricadute sulla qualità di vita (QoL) della sua forma dolorosa (neuropatia diabetica dolorosa, NDD) e per il ruolo patogenetico dei deficit sensitivomotori nelle lesioni del piede diabetico. L identificazione della PND è quindi di particolare rilevanza clinica sia per la diagnosi delle forme sintomatiche sia per la prevenzione delle complicanze trofiche (Figura 3). La neuropatia autonomica diabetica è una patologia del sistema nervoso autonomo nell ambito del diabete senza altre cause, con una fase subclinica diagnosticata solo con misure strumentali e una clinica con presenza di segni e sintomi. Si manifesta in maniera multiforme potendo interessare in misura e tempi diversi le funzioni controllate dal sistema nervoso autonomo. Le forme cliniche più invalidanti e caratteristiche sono l ipotensione ortostatica, la gastroparesi, la diarrea diabetica e la disfunzione urogenitale. La localizzazione cardiovascolare della neuropatia autonomica diabetica (neuropatia autonomica cardiovascolare, CAN) è presente in circa il 20% dei pazienti diabetici ma può aumentare con l età e la durata di malattia fino al 65%. La CAN è associata ad incremento della mortalità e morbilità attraverso meccanismi non del tutto conosciuti (Figura 4) (5, 6). Diagnosi della PND La diagnosi clinica di PND si basa sull esame clinico di sintomi e segni e non richiede necessariamente il ricorso all esame elettrodiagnostico se la presentazione clinica è tipica, ma necessita 47

48 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete di un attenta valutazione dei sintomi, preferibilmente con questionari strutturati e validati, e di un esame neurologico focalizzato sugli arti inferiori, che esplori in particolare la funzione sensitiva nelle sue diverse modalità, e comprenda anche l ispezione del piede (Figure 5 e 6) (7, 8). Sistemi strutturati a punteggio per l esame neurologico sono stati sviluppati e validati rispetto a metodiche diagnostiche gold standard come l esame elettroneurografico, dimostrando un accetta- bile accuratezza diagnostica. La valutazione dei sintomi e l esame neurologico strutturato possono essere affiancati almeno da una modalità di valutazione quantitativa della sensibilità, quale la valutazione della soglia di percezione vibratoria o la sensibilità pressoria al monofilamento, quest ultima di semplice esecuzione (Figura 7) (9) e utilizzabile insieme con l ispezione del piede per uno screening rapido dei pazienti a rischio di ulcerazione del piede (3). Occorrono alcune cautele in questo approccio diagnostico. Innanzitutto, l esame neurologico è operatore dipendente e per questo l uso di sistemi strutturati o di metodiche di valutazione quantitativa delle sensibilità può garantire una maggiore accuratezza oltre al training degli operatori. Inoltre, occorre avere chiaro che un alto grado di certezza diagnostica si raggiunge solo con la conferma elettroneurografica dei sintomi e segni neuropatici evidenziati all esame clinico. Infatti, secondo il Toronto Consensus Panel sulla Neuropatia Diabetica la sola evidenza di sintomi sensitivi (positivi o negativi) o di segni (deficit sensitivi a distribuzione simmetricodistale o riduzione/assenza dei riflessi achillei) consente di formulare una diagnosi di PND con un grado di certezza diagnostica nell ambito della possibilità, la coesistenza di sintomi e segni configura una diagnosi di probabilità, ma è solo la presenza di anormalità dello studio di conduzione nervosa quando associate a sintomi o segni neuropatici che soddisfa i criteri per una diagnosi confermata (Figura 8) (1, 2). 48

49 Corso di alta formazione SID il sospetto di una forma diversa dalla PND e costituire motivo di invio al neurologo o di indagini elettroneurografiche. Occorre infine ricordare che il diabete secondo alcuni studi epidemiologici rappresenta un fattore di rischio per neuropatie non diabetiche, come la stenosi spinale e la CIDP e che la PND è la più frequente delle neuropatie diabetiche ma non l unica forma dolorosa di neuropatia diabetica. Quindi una presentazione atipica di sintomi e segni neurologici, cioè una distribuzione asimmetrica, o non esclusivamente o prevalentemente distale, o un impegno motorio importante, deve indurre Valutazione della neuropatia delle piccole fibre Nella PND si ritiene che siano interessate sia le piccole (Aδ e C) sia le grandi fibre nervose (Aα e Aβ) responsabili le prime della sensibilità termica e dolorifica oltre che della funzione autonomica, le seconde delle altre sensibilità e della funzione motoria. La disponibilità di nuove tecniche di studio delle piccole fibre, quali la biopsia di cute per valutare in maniera qualitativa e morfometrica le fibre nervose intraepidermiche (intraepidermal nerve fibre, IENF) e la microscopia confocale della cornea (Corneal Confocal Microscopy, CCM) che misura la ricca innervazione corneale ha richiamato l attenzione sul coinvolgimento delle piccole fibre nella neuropatia diabetica. Non vi è al momento comunque un consenso unanime sulla storia naturale di questo coinvolgimento. Vi sono alcune indicazioni sulla sua precocità che anticiperebbe anche la diagnosi di diabete, sulla sua possibile presentazione isolata, sulla sua maggiore suscettibilità agli interventi terapeutici (interventi sullo stile di vita, trapianto di pancreas) rispetto alle misure tradizionali di outcome, in primis lo studio della conduzione nervosa (Figura 9) (10). Nel paziente diabetico può manifestarsi una polineuropatia isolata delle piccole fibre, non specifica del diabete, caratterizzata dalla presenza di sintomi sensitivi (dolore) e segni di danno di queste fibre (ipoestesia termica e dolorifica, allodinia, iperalgesia) con distribuzione simmetrica e dista- 49

50 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete (rispettivamente C e A) che la biopsia di cute a livello distale con quantificazione della densità delle IENF è una tecnica validata e affidabile che consente la diagnosi della neuropatia delle piccole fibre (11, 13). Nel documento di consenso di Toronto si propone che la diagnosi di neuropatia delle piccole fibre è possibile in presenza di sintomi o segni di danno lunghezza-dipendente delle piccole fibre, se ai sintomi e segni si associa la normalità della conduzione nervosa del nervo surale la diagnosi diventa probabile, e se agli elementi precedenti si aggiunge l alterazione della densità delle IENF alla biopsia di cute alla caviglia o delle soglie termiche al piede la diagnosi è confermata (1) (Figura 10). Valutazione del dolore neuropatico Il dolore neuropatico è il dolore che nasce come diretta conseguenza di una lesione o malattia del sistema somatosensitivo (4). Il dolore neuropatico ha caratteristiche peculiari di qualità, andamento temporale e localizzazione, è modificato da alcune manovre interferenti, si associa a sintomi neurole, e dalla documentazione di ridotta densità delle IENF alla biopsia di cute e/o di ridotte soglie termiche con risparmio delle grandi fibre sensitive e quindi normalità dell esame elettroneurografico del nervo surale (10-13). La recente disponibilità di valori normativi consente oggi la diagnosi di neuropatia delle piccole fibre nel singolo paziente (10). Due documenti recenti delle società neurologiche americane (11) e della EFNS (13) affermano con qualche differenza nel livello di raccomandazione Percorso diagnostico NDD Il percorso che porta alla diagnosi di NDD comprende l identificazione e la valutazione del dolore neuropatico e l accertamento della presenza di PND, a cui il dolore neuropatico deve essere attribuito per definizione. Gli elementi chiave di questo percorso sono quindi: 1. accertamento della presenza di PND; 2. diagnosi e valutazione del dolore neuropatico; 3) diagnosi differenziale (7, 8) verso cause diverse di neuropatia o di dolore (Figura 5). 50

51 Corso di alta formazione SID patici come parestesie o disestesia, presenza di dolore evocato, e ha ricadute sulla QoL (Figura 11). Il dolore è un fenomeno clinico soggettivo che non si può misurare oggettivamente. Sono stati sviluppati quindi alcuni questionari autosomministrati per la diagnosi di dolore neuropatico (strumenti di screening), altri per la sua valutazione (questionari di valutazione) (14) e per il follow-up. L uso di strumenti validati di misura del dolore è parte essenziale sia del processo diagnostico sia del trattamento della NDD. Il principale vantaggio degli screening tool è di identificare potenziali pazienti con dolore neuropatico particolarmente da parte di non specialisti (grado A), con il limite però di una sensibilità imperfetta che impedisce di catturare il 10-20% dei pazienti con dolore neuropatico (15) (Figura 12). Il DN4 (Douleur Neuropathique en 4 Questions) è uno di questi dispositivi ed è composto da 2 domande con 7 item relativi al tipo di dolore e ai sintomi positivi associati nella stessa sede (DN4- interview) e 3 item di breve esame neurologico nell area del dolore. Risulta di facile compilazione; un punteggio di almeno 4 suggerisce un dolore neuropatico (15). È stata dimostrata una alta accuratezza diagnostica rispetto alla NDD con sensibilità del 80% e specificità del 91% (16) (Figure 13 e 14). La valutazione dell intensità del dolore avviene mediante l uso di scale analogiche visive (VAS), o ordinali numeriche (NRS) o verbali (VRS) (15). Il Neuropathic Pain Symptom Inventory (NPSI) (15, 17) è un autoquestionario costituito da 10 descrittori per distinguere e quantificare 5 distinte dimensioni clinicamente rilevanti del dolore neuropatico: 1. la componente superficiale del dolore spontaneo continuo (bruciore); 2. la componente profonda del dolore spontaneo continuo (stretta, compressione); 3. il dolore parossistico (scosse elettriche, pugnalata); 4. il dolore evocato (da sfioramento, pressione, freddo); 5. le parestesie/disestesie (aghi o spilli, formicolio). Queste misure di valutazione della qualità del dolore sono utili per discriminare tra diversi meccanismi del dolore associati a distinte dimensioni dell esperienza di dolore neuropatico 51

52 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete La Figura 15 propone un algoritmo del percorso diagnostico della NDD (18). (livello B) (15). Il Brief Pain Inventory (BPI) è un test multidimensionale, consente cioè di valutare più aspetti del medesimo oggetto, è costituito da una immagine del corpo umano, 8 item sull intensità del dolore e 7 sulla interferenza del dolore sulla vita quotidiana. È essenziale valutare la risposta al trattamento considerando anche la percezione soggettiva di cambiamento del paziente. Nella diagnosi della NDD infine è necessario, come già detto, escludere cause non diabetiche di neuropatia o dolore, come neoplasie, infezioni, infiammazione, malattie endocrine, sostanze tossiche, e traumi. Diagnosi della CAN Diverse modalità diagnostiche sono disponibili per la valutazione della CAN. I sintomi cardiovascolari sono aspecifici in particolare quelli ortostatici che pur frequenti non sempre corrispondono alla presenza di significativa caduta pressoria in ortostatismo. Per il carattere invalidante dei sintomi autonomici la loro presenza va comunque ricercata in ogni paziente e, se confermata, richiede ulteriori indagini diagnostiche (Figura 17). Le forme cliniche di CAN possono essere sospettate e individuate con modalità facilmente accessibili e diffuse in ambito clinico, ricercando la presenza di tachicardia a riposo, ipotensione ortostatica, allungamento dell intervallo QT all ECG e di nondipping o reverse dipping (perdita completa della caduta pressoria notturna) al monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (Figura 18). Con l eccezione della tachicardia a riposo, questi segni clinici sono marker specifici (specificità 86-98%) anche se non sensibili di CAN (sensibilità 26-31%) (6). La diagnosi di CAN si basa ancora sui test cardiovascolari, misure standardizzate e di alta accuratezza diagnostica riconosciute come il gold standard nella valutazione della funzione autonomica cardiovascolare (Figura 19) (5, 6). I criteri per la diagnosi e stadiazione di CAN sono: un test patologico individua una condizione di CAN possibile o precoce; almeno due test patologici sono richiesti per la diagnosi di CAN certa o confermata; la presenza di ipotensione ortostatica oltre all anormalità dei test di frequenza cardia- 52

53 Corso di alta formazione SID sario riconoscere quadri atipici che richiedono sempre il ricorso al neurologo e lo studio elettroneurografico. 6. La presenza di sintomi e segni riferibili a danno delle piccole fibre nervose in assenza di anormalità della conduzione nervosa può suggerire la presenza di neuropatia delle piccole fibre da confermare con la biopsia di cute o lo studio delle soglie termiche. 7. Per la diagnosi di neuropatia diabetica doloroca identifica una CAN grave o avanzata (Figura 20) (1, 6). La diagnosi di CAN consente di trattare le forme sintomatiche e viene proposta nella stratificazione del rischio cardiovascolare nei pazienti diabetici asintomatici. I test cardiovascolari sono anche necessari per la diagnosi delle forme cliniche non cardiovascolari di neuropatia autonomica diabetica suscettibili di trattamento (6). Altre modalità diagnostiche come le misure di variabilità della frequenza cardiaca e di sensibilità del baroriflesso sono usate più spesso in ricerca o come end-point negli studi clinici, ma stanno avendo una crescente applicazione anche in ambito clinico (Figura 21) (6). Messaggi chiave 1. Esistono diverse forme cliniche di neuropatia diabetica: la polineuropatia diabetica nelle varianti non dolorosa e dolorosa e la neuropatia autonomica sono le più frequenti. 2. La diagnosi di polineuropatia diabetica clinica si basa sulla valutazione dei sintomi neuropatici e dei segni di deficit sensitivi e motori. 3. L uso di questionari e di sistemi strutturati a punteggio per l esame neurologico possono migliorare la standardizzazione e riproducibilità dell esame clinico. 4. Per una diagnosi confermata di polineuropatia diabetica occorre l anormalità dell esame elettroneurografico in aggiunta ai sintomi e/o ai segni. 5. Nel paziente con diabete possono essere presenti neuropatie (diabetiche e non) diverse dalla polineuropatia diabetica. È quindi neces- 53

54 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete sa occorre dimostrare la presenza di dolore neuropatico riferibile alla polineuropatia diabetica: l uso di screening tool è utile nel discriminare il dolore neuropatico da quello nocicettivo. 8. La valutazione del dolore neuropatico è indispensabile sia per la diagnosi sia per il follow-up della neuropatia diabetica dolorosa. 9. I test cardiovascolari sono il gold standard per la diagnosi di neuropatia autonomica diabetica. 10. L identificazione dei segni clinici di CAN (allungamento dell intervallo QT, ipotensione ortostatica, reverse dipping) consente di mettere in atto utili misure terapeutiche. 11. Nei pazienti diabetici asintomatici, la diagnosi di CAN viene proposta nella stratificazione del rischio cardiovascolare. 12. I test cardiovascolari sono necessari per la diagnosi delle forme cliniche non cardiovascolari di neuropatia autonomica diabetica suscettibili di trattamento. Bibliografia 1. Tesfaye S, Boulton AJ, Dyck PJ, Freeman R, Horowitz M, Kempler P, Lauria G, Malik RA, Spallone V, Vinik A, Bernardi L, Valensi P; Toronto Diabetic Neuropathy Expert Group. Diabetic neuropathies: update on definitions, diagnostic criteria, estimation of severity, and treatments. Diabetes Care 33: , Dyck PJ, Albers JW, Andersen H, Arezzo JC, Biessels GJ, Bril V, Feldman EL, Litchy WJ, O Brien PC, Russell JW; on behalf of the Toronto Expert Panel on Diabetic Neuropathy*. Dia- betic Polyneuropathies: Update on Research Definition, Diagnostic Criteria and Estimation of Severity. Diabetes Metab Res Rev 27: , Boulton AJ, Vinik AI, Arezzo JC, Bril V, Feldman EL, Freeman R, Malik RA, Maser RE, Sosenko JM, Ziegler D; American Diabetes Association. Diabetic neuropathies: a statement by the American Diabetes Association. Diabetes Care 28: ,

55 Corso di alta formazione SID 55

56 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 4. Treede RD, Jensen TS, Campbell JN, Cruccu G, Dostrovsky JO, Griffin JW, Hansson P, Hughes R, Nurmikko T, Serra J. Neuropathic pain: redefinition and a grading system for clinical and research purposes. Neurology 70: , Spallone V, Bellavere F, Scionti L, Maule S, Quadri R, Bax G, Melga P, Viviani GL, Esposito K, Morganti R, Cortelli P; Diabetic Neuropathy Study Group of the Italian Society of Diabetology. Recommendations for the use of cardiovascular tests in diagnosing diabetic autonomic neuropathy. Nutr Metab Cardiovasc Dis 21: 69-78, Spallone V, Ziegler D, Freeman R, Bernardi L, Frontoni S, Pop-Busui R, Stevens M, Kempler P, Hilsted J, Tesfaye S, Low P, Valensi P; on behalf of the Toronto Consensus Panel on Diabetic Neuropathy*. Cardiovascular autonomic neuropathy in diabetes: clinical impact, assessment, diagnosis, and management. Diabetes Metab Res Rev 27: , Quattrini C, Tesfaye S. Understanding the impact of painful diabetic neuropathy. Diabetes Metab Res Rev 19 Suppl 1:S2-8, Argoff CE, Backonja MM, Belgrade MJ, Bennett GJ, Clark MR, Cole BE, Fishbain DA, Irving GA, McCarberg BH, McLean MJ. Consensus guidelines: treatment planning and options. Diabetic peripheral neuropathic pain. Mayo Clin Proc 81 (4 Suppl): S12-S25, Tan LS. The clinical use of the 10g monofilament and its limitations: a review. Diabetes Res Clin Pract 90:1-7, Lauria G, Lombardi R. Small fiber neuropathy: is skin biopsy the holy grail? Curr Diab Rep 12:384-92, England JD, Gronseth GS, Franklin G, Carter 56

57 Corso di alta formazione SID GT, Kinsella LJ, Cohen JA, Asbury AK, Szigeti K, Lupski JR, Latov N, Lewis RA, Low PA, Fisher MA, Herrmann D, Howard JF, Lauria G, Miller RG, Polydefkis M, Sumner AJ; American Academy of Neurology; American Association of Neuromuscular and Electrodiagnostic Medicine; American Academy of Physical Medicine and Rehabilitation. Evaluation of distal symmetric polyneuropathy: The role of autonomic testing, nerve biopsy, and skin biopsy (an evidence-based review). Neurology 72: , Devigili G, Tugnoli V, Penza P, Camozzi F, Lombardi R, Melli G, Broglio L, Granieri E, Lauria G. The diagnostic criteria for small fibre neuropathy: from symptoms to neuropathology. Brain 131: , Lauria G, Hsieh ST, Johansson O, Kennedy WR, Leger JM, Mellgren SI, Nolano M, Merkies IS, Polydefkis M, Smith AG, Sommer C, Valls-Solé J; European Federation of Neurological Societies; Peripheral Nerve Society. European Federation of Neurological Societies/ Peripheral Nerve Society Guideline on the use of skin biopsy in the diagnosis of small fiber neuropathy. Report of a joint task force of the European Federation of Neurological Societies and the Peripheral Nerve Society. Eur J Neurol 17:903-12, e44-9, Bennett MI, Attal N, Backonja MM, Baron R, Bouhassira D, Freynhagen R, Scholz J, Tölle TR, Wittchen HU, Jensen TS. Using screening tools to identify neuropathic pain. Pain 127, , Cruccu G, Sommer C, Anand P, Attal N, Baron R, Garcia-Larrea L, Haanpaa M, Jensen TS, Serra J, Treede RD. EFNS guidelines on neuropathic pain assessment: revised Eur J Neurol 17, , Spallone V, Morganti R, D Amato C, Greco C, Cacciotti L, Marfia GA. Validation of DN4 as a screening tool for neuropathic pain in painful diabetic polyneuropathy. Diabet Med 29:578-85, Padua L, Briani C, Jann S, Nobile-Orazio E, Pazzaglia C, Morini A, Mondelli M, Ciaramitaro P, Cavaletti G, Cocito D, Fazio R, Santoro L, Galeotti F, Carpo M, Plasmati R, Benedetti L, Schenone A, Marchettini P, Cruccu G. Validation of the Italian version of the Neuropathic Pain Symptom Inventory in peripheral nervous system diseases. Neurol Sci 30, , Spallone V, Lacerenza M, Rossi A, Sicuteri R, Marchettini P. Painful Diabetic Polyneuropathy: Approach to Diagnosis and Management. Clin J Pain 28:726-43,

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59 Corso di alta formazione SID Epidemiologia nell età adulta e pediatrica Paolo Sbraccia Dipartimento di Medicina dei Sistemi Università di Roma Tor Vergata Indice - Obesità - Obesità infantile - Diabete Dati dell Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sottolineano che l 86% delle morti e il 75% della spesa sanitaria in Europa e in Italia sono determinate da patologie croniche, che hanno come minimo comune denominatore 4 principali fattori di rischio: fumo, abuso di alcol, scorretta alimentazione, inattività fisica. Queste ultime due condizioni sono inoltre alla base dell epidemia di obesità che registra un aumento sempre crescente. Particolare risalto da parte dell OMS è stato dato all incremento della prevalenza dell obesità nell infanzia che riguarda certamente i paesi in via di sviluppo ma che coinvolge anche i paesi europei, dato che ha indotto l organizzazione mondiale della sanità ad istituire una iniziativa di sorveglianza (Figura 1 - European Childhood Obesity Surveillance Initiative - World Health Organization). La crescita apparentemente inarrestabile dell obesità in età pediatrica ha fatto suonare il campanello d allarme per la contemporanea comparsa, in tale fascia di età, di condizioni morbose quali diabete tipo 2, ipertensione arteriosa e dislipidemia che aumentano il rischio cardiovascolare e che da sempre sono state ritenute di esclusivo appannaggio dell età adulta. L Italia è uno dei Paesi europei con la prevalenza più alta di obesità in età evolutiva ed il trend è in costante aumento: si stima che, all età di 8 anni, addirittura il 36% dei bambini italiani sia sovrappeso. La prevalenza di obesità è più elevata nei bambini più grandi rispetto ai più piccoli, nei maschi rispetto alle femmine e nelle regioni meridionali del paese rispetto al nord. L obesità infantile è un forte predittore dell obesità in età adulta, uno dei componenti della Sindrome Metabolica, costellazione di anomalie metaboliche - inclusa obesità centrale, bassi livelli di colesterolo HDL, ipertrigliceridemia, ipertensione arteriosa ed elevati livelli di glicemia. La sindrome metabolica inoltre si associa ad un aumento del rischio di diabete (circa 5 volte) ed un aumento del rischio di malattie cardiovascolari (circa 2 volte). L obesità è stata giustamente definita dall Organizzazione Mondiale della Sanità come l epidemia del XXI secolo; nel suo Rapporto sulla salute in Europa 2002, l Ufficio regionale europeo dell OMS la definisce come un epidemia estesa a Figura 1 - Prevalenza di sovrappeso ed obesità in bambini di età 11 anni nelle principali nazioni europee (dati dal 1999 in avanti) 59

60 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete tutta la regione europea tanto che circa la metà della popolazione adulta è in sovrappeso ed il % degli individui, in molti Paesi, è definibile come clinicamente obeso. Questa situazione desta particolare preoccupazione per l elevata morbilità associata, specie di tipo cardiovascolare, oltre al diabete tipo 2, in genere preceduto dalle varie componenti della sindrome metabolica (ipertensione arteriosa e dislipidemia aterogena) con progressiva aterosclerosi e aumentato rischio di eventi cardio- e cerebrovascolari. Chi pesa il 20% in più del proprio peso ideale aumenta del 25%, rispetto alla popolazione normopeso, il rischio di morire di infarto e del 10% di morire di ictus. Ma se il peso supera del 40% quello consigliato, il rischio di morte per qualsiasi causa aumenta di oltre il 50%, per ischemia cerebrale del 75% e per infarto miocardico del 70%. In queste condizioni anche la mortalità per diabete aumenta del 400%. La prevalenza dell obesità nei Paesi industrializzati ha iniziato progressivamente ad aumentare dalla prima metà del XX secolo. La diffusione ha riguardato inizialmente soprattutto i Paesi sviluppati, come Stati Uniti e Europa, in cui è diventata un problema primario di sanità pubblica. Successivamente, i dati hanno indicato un incremento importante delle prevalenze anche in Paesi in via di sviluppo, come Messico, Cina e Thailandia. La prevalenza di obesità nel mondo negli adulti, in entrambi i generi, raggiunge i valori più elevati in alcune isole dell Oceania, come Tonga, Nauru e Cook Islands (anche oltre il 60% della popolazione); a seguire, nei maschi, Stati Uniti (44,2%) e Argentina (37,4%), e nelle femmine, alcune isole del Mar dei Caraibi e Giordania (oltre il 50%), Stati Uniti e Egitto (circa il 48%). Sempre nelle donne, valori che oscillano intorno al 40% si registrano in Paesi dell America Centro-meridionale (Bolivia, Messico, Nicaragua, Cile, Argentina, Perù). Nella Regione Europea dell OMS, la prevalenza dell obesità è triplicata negli ultimi venti anni. Sovrappeso e obesità sono poi responsabili dell 80% dei casi di diabete di tipo 2, del 35% dei casi di malattie ischemiche del cuore e del 55% dei casi di malattie ipertensive tra gli adulti che vivono in Europa. Tra i Paesi Europei in cui sono state effettuate le misurazioni, la prevalenza del soprappeso varia dal 32% al 79% nell uomo e dal 28% al 78% nella donna, mentre quella dell obesità varia dal 5% al 23% tra gli uomini e dal 7% e il 36% fra le donne. Nei Paesi più poveri ma con uno sviluppo rapido si riscontra un veloce aumento dell obesità, mentre nei Paesi più avanzati, con le maggiori disparità di reddito tra ricchi e poveri si misurano in genere livelli più alti di obesità. Per quanto riguarda gli uomini, le prevalenze maggiori si rilevano in Albania e Regno Unito (rispettivamente, 22,8% e 22%); anche nelle donne, i valori più alti si registrano in Albania (35,6%), seguita da Regno Unito (Scozia), Israele e Bosnia Erzegovina (26%, 25,8% e 25,2%). Secondo misure antropometriche autoriferite, le prevalenze variano dal 6,4% negli uomini e 5,9% nelle donne in Norvegia al 26,6% negli uomini e 20,4% nelle donne a Malta. A seguire, per quanto riguarda le prevalenze più alte, Grecia, Ungheria e Regno Unito (Galles). I dati, in genere autoriferiti, tendono a sottostimare la dimensione del fenomeno. Sembra non esserci un pattern uniforme nella distribuzione dell obesità nei due generi; globalmente, le prevalenze tendono ad essere più alte nelle donne, anche se questo non si verifica in tutti i Paesi. Le proiezioni per alcuni Paesi europei ed extraeuropei (Australia, Austria, Canada, Inghilterra, Francia, Ungheria, Italia, Corea, Spagna, Svezia e Stati Uniti), riferite alla popolazione adulta, indicano due modalità di evoluzione del fenomeno, che si basano sui trend recenti osservati. In Paesi considerati storicamente ad alta prevalenza di obesità come Australia, Canada, Inghilterra e Stati Uniti, è previsto un ulteriore incremento della diffusione, con valori di sovrappeso che invece si manterranno sostanzialmente stabili o in lento declino. Viceversa in Paesi in cui l obesità è meno diffusa, come Austria, Francia, Italia e Spagna, si prevede che i tassi cresceranno più lentamente, mentre più importante sarà la crescita del sovrappeso La rilevazione annuale ISTAT Aspetti della vita quotidiana, che raccoglie tra le altre informazioni le misure autoriferite di peso e altezza, indica che dal 2001 al 2009 la prevalenza dell obesità nei soggetti adulti (età maggiore o uguale a 18 anni) ha mostrato un trend temporale in lieve aumento, dall 8,3% al 10,1%. Questo andamento si osserva in entrambi i generi, ma più marcatamente nei maschi. Nel 2009, l obesità ha interessato l 11,1% dei maschi ed il 9,2% delle femmine. La percentuale di soggetti obesi è più alta nel Sud e nelle Isole (11,1%). Nel Nord e nel Centro Italia le quote si 60

61 Corso di alta formazione SID glianza PASSI ( Progressi nelle Aziende sanitarie per la salute in Italia), che fornisce un quadro dei dati riferiti alle ASL partecipanti all indagine durante un intervista telefonica da un campione di residenti di età compresa tra i 18 e i 69 anni. Secondo quanto raccolto nel 2009 dal pool delle ASL che partecipano al PASSI, circa tre adulti su dieci (32%) risultano in sovrappeso, mentre uno su dieci è obeso (11%): complessivamente, quindi, circa quattro adulti su dieci (42%) sono in eccesso ponderale. Il sovrappeso è una condizione diffusa e che tende ad aumentare con l età, è più frequente negli uomini, nelle persone con basso livello di istruzione e in quelle che dichiarano di avere molti problemi economici. Dal confronto con le stime dei due anni precedenti, nel triennio si nota che il valore delle persone in eccesso ponderale è rimasto stabile: 43% nel 2007 e nel 2008, 42% nel equivalgono (rispettivamente, 9,7% e 9,6%). La prevalenza negli adulti cresce con l età fino alla fascia anni, in cui si hanno i valori più elevati (15,6%); successivamente, risulta sempre meno diffusa (l 11,7% negli ultraottantaquattrenni). Anche per quanto riguarda la classe sociale familiare, si osserva una relazione inversa con la diffusione di obesità, con prevalenze più alte nelle classi più svantaggiate (circa il 12% nella classe sociale familiare bassa e medio-bassa; circa l 8% nella classe sociale familiare medio-alta e alta). Sovrappeso ed obesità quindi affliggono principalmente le categorie sociali svantaggiate che hanno minor reddito e istruzione, oltre che maggiori difficoltà di accesso alle cure. L obesità riflette e si accompagna dunque alle disuguaglianze, favorendo un vero e proprio circolo vizioso. Gli individui che vivono in condizioni disagiate devono far fronte a limitazioni strutturali, sociali, organizzative, finanziarie e di altro genere che rendono difficile compiere scelte adeguate sulla propria dieta e attività fisica. Le persone a basso reddito, di solito, hanno meno accesso a palestre e centri benessere, oltre a vivere in zone che tendenzialmente incoraggiano meno l attività fisica. Netta è poi la relazione tra livello di istruzione ed eccesso ponderale. In Italia tra gli adulti la percentuale degli obesi triplica tra le persone che hanno conseguito al massimo la licenza elementare. La tendenza si conferma anche controllando il fenomeno per fasce d età. Anche per le persone in sovrappeso si mantiene la relazione inversa tra livello d istruzione ed eccesso di peso, seppure con differenze meno marcate rispetto all obesità. All opposto la quota delle persone normopeso o sottopeso cresce all aumentare del titolo di studio tra le persone di anni. Evidentemente il grado di Figura 2 - Eccesso ponderale (sovrappeso/obesi) [pool di ASL, PASSI 2009]. informazione su questi argomenti aiuta a frenare l attuale tendenza all aumento Le differenze rilevate sul territorio sono considerevoli e nel confronto interregionale si osserva un del peso corporeo con correzione dei comuni errori nello stile di vita e nell alimentazione in particolare. con la percentuale più bassa di persone in sovrap- gradiente Nord-Sud: la P.A. di Trento è il territorio Tutto ciò è confermato anche dal sistema di sorve- peso o obese (35%), mentre la Calabria (con le ASL 61

62 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete La recente sperimentazione, realizzata in 7 Regioni italiane, di un sistema di sorveglianza della salute della popolazione anziana (PASSI d Argento) riporta i dati relativi alla situazione nutrizionale nelle persone con 65 e più anni. Questi indicano un aumento della popolazione in eccesso di peso fino a 75 anni di età: in questa fascia d età, infatti, sovrappeso e obesità sono pari al 60%. Poi inizia una diminuzione tra i 75 e gli 84 anni (53%) e ancor di più negli ultra 85enni (42%). L eccesso di peso appare più frequente neldi Cosenza e Vibo Valentia) è l area con la percentuale più alta (51%). I dati ISTAT evidenziano inoltre come l obesità sia un fenomeno in crescita in tutte le zone d Italia, con valori assoluti più elevati nel meridione. Figura 3 Figura 4 Eccesso ponderale (sovrappeso/obesi) pool di Asl, Passi 2009 I dati del sistema di sorveglianza PASSI confer- mano l impressione secondo cui le persone in sovrappeso spesso - e le persone chiaramente obese a volte - non hanno l esatta consapevolezza della propria condizione. Tra le persone in sovrappeso, infatti, ben il 46% ritiene il proprio peso giusto. Inoltre, un obeso su dieci addirittura lo percepisce come adeguato. Inoltre poco più della metà (54%) delle persone in eccesso ponderale dice di aver ricevuto, da un medico o altro operatore sanitario, il consiglio di fare una dieta per perdere peso. E solo il 38% dichiara di aver ricevuto il consiglio di fare regolarmente attività fisica. Il PASSI riesce a stimare anche la proporzione di grandi obesi, cioè coloro che hanno un indice di massa corporea maggiore o uguale a 40. Questa quota, nel 2008, è dello 0,5%. La percentuale di diabetici tra i grandi obesi è di oltre il 24%. (Tabella 2). 62

63 Corso di alta formazione SID Tabella 2 - Distribuzione obesi e grandi obesi per sesso - Pool di Asl, Passi 2008 le persone con bassa istruzione e con molte difficoltà economiche. Superati i 65 anni di età, l indice di massa corporea è soggetto a variazioni legate a fattori biologici e patologici. Progressivamente infatti aumenta la percentuale di persone che perdono peso (più del 5% del peso o più di 4,5 kg negli ultimi 12 mesi) indipendentemente dalla loro volontà. Questo aspetto, che è un fattore potenzialmente fragilizzante, si verifica più spesso nelle donne, con l avanzare dell età e con il crescere delle difficoltà economiche (Tabella 3). Le differenze di genere riguardano anche il diverso comportamento rispetto alla frequenza del controllo del peso. Quest ultimo rientra tra i comportamenti che pongono in primo piano la responsabilità individuale nella tutela della salute. Sembra quindi rilevante evidenziare che controllano il proprio peso almeno una volta al mese il 52,6 delle persone di 18 anni e più. La quota è più alta tra i sottopeso e i normopeso (54,8% e 54,1%) e più bassa tra le persone in sovrappeso (50,2%) e tra gli obesi (52,0%). Le donne controllano il proprio peso almeno una volta al mese e in misura maggiore rispetto agli uomini (60,1% contro il 44,5%) ma le differenze di comportamento si riducono molto tra gli anziani. Fino ai 44 anni si fa più attenzione al proprio peso, fra le donne la quota raggiunge il 67,4% e si mantiene costante in tutte le condizioni di peso, fra gli uomini fino a 44 anni il 45,8% controlla il proprio peso almeno una volta al mese, con una quota più alta tra gli obesi (48,8%). Ben il 13,9% delle persone obese e il 13,7% di quelle sovrappeso non hanno mai controllato il loro peso, contro il 12,9% dei normopeso. L obesità infantile In particolare, l obesità infantile è una delle più gravi questioni del XXI secolo. La prevalenza ha raggiunto livelli preoccupanti: secondo l OMS in tutto il mondo, nel 2005, ben 20 milioni di bambini sotto i 5 anni erano in sovrappeso. Il problema è globale: si stima che nel 2010 i bambini con meno di 5 anni di età in eccesso di peso siano stati oltre 42 milioni e, di questi, quasi 35 milioni in Tabella 3 - Situazione nutrizionale nelle persone con 65 e più anni (Passi d argento, 2008/2010) 63

64 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Paesi in via di sviluppo. La gravità della diffusione dell obesità infantile sta anche nel fatto che i bambini obesi rischiano di diventare adulti obesi. E l obesità è un fattore di rischio per serie condizioni e patologie croniche.. Analizzando i dati disponibili dagli anni 80, è stato osservato un incremento della prevalenza dell obesità in generale nei Paesi industrializzati ed anche, in maniera meno marcata, in alcuni a basso reddito. Le stime indicano che, a partire dal 2010, la prevalenza in bambini e adolescenti raggiungerà valori compresi tra il 5,3% nella Regione OMS del Sud Est Asiatico e il 15,2% nella Regione America, escludendo la Regione Africa per la quale non sono stati ricavati dati sufficienti. In Europa non esistono ancora sistemi di sorveglianza per bambini e adulti. Per i ragazzi in età scolare (11, 13 e 15 anni), invece, è attivo lo studio HBSC (Health Behaviour in School-aged Children). Secondo i dati presentati nel 2008 nella pubblicazione Inequalities In Young People s Health a cura dell Ufficio regionale Europeo dell OMS, la prevalenza dell eccesso ponderale (inclusa l obesità) tra i ragazzi di anni è molto alta, variando dal 6% a quasi il 31% in alcuni Paesi. I dati presentati sono tratti dall indagine HBSC A l l i n t e r - no della Regione, la prevalenza di obesità e sovrappeso varia tra il 6% e il 28% nei bambini di 11 anni, tra il 6% e il 31% nei ragazzi di 13 anni e dal 6% al 30% nei 2008). giovani di 15 anni. I ragazzi hanno una prevalenza maggiore rispetto alle ragazze. In media, la prevalenza di obesità e sovrappeso tra gli undicenni è del 16% nei bambini e del 12% nelle bambine, tra i tredicenni è del 16% tra i maschi e 10% tra le femmine, mentre tra i quindicenni è, rispettivamente, di 17% e 10%. In Italia, la sorveglianza in età infantile effettuata dal sistema di monitoraggio OKkio alla SALUTE fornisce dati misurati sullo stato ponderale dei bambini delle scuole primarie (6-10 anni), degli stili nutrizionali, dell abitudine all esercizio fisico e delle eventuali iniziative scolastiche che favori- scono una sana alimentazione e l attività fisica. Avviato per la prima volta nel 2008, OKkio alla Salute ha una periodicità di raccolta dati biennale, e fa parte del progetto dell OMS Europa Childhood Obesity Surveillance Initiative. Secondo le informazioni fornite da OKkio alla Salute, gli stessi genitori sembrano sottovalutare il problema: quasi 4 mamme su 10 (36%) di bambini con eccesso ponderale non ritengono che il proprio figlio abbia un peso eccessivo rispetto all altezza. Figura 5 - Percentuale di sovrappeso e obesità per Regione nei bambini di 8-9 anni delle classi terze della scuola primaria (Italia, OKkio alla SALUTE Percentuale di sovrappeso e obesità per Regione, bambini 8-9 anni delle classi terze della scuola primaria (Italia, OKkio alla SALUTE 2008) Nato dall esigenza di approfondire alcune informazioni sui bambini della scuola primaria, nell ambito dello stesso progetto è stato sviluppato lo studio Zoom8, condotto nel 2009 dall Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN), che ha esaminato un campione di 2100 bambini delle classi terze primarie (8-9 anni) selezionato in base alla classificazione preliminare delle Regioni italiane in tre aree: a bassa, media e alta prevalenza di sovrappeso e obesità. 64

65 Corso di alta formazione SID Tra i risultati dello studio, si è evidenziato che il tempo che i bambini dedicano alle attività outdoor risulta molto scarso specialmente al Sud; è correlato alla sicurezza dell ambiente circostante l abitazione e alla mancanza di strutture adeguate. Circa il 70% dei bambini, infatti, non ha l abitudine di andare a scuola a piedi e nei giorni feriali, solamente poco più di 1 bambino su 4 (26,8%) gioca per oltre due ore al giorno all aria aperta. Per quanto riguarda la raccolta di informazioni sulla corretta alimentazione, Zoom8 ha rilevato che i genitori fanno riferimento perlopiù agli operatori sanitari e ai pediatri e che risultano più aggiornati quelli residenti al Nord e con titolo di studio elevato. Secondo i genitori interpellati il benessere dei propri figli può essere migliorato: riducendo la pubblicità sugli alimenti confezionati aumentando le ore di attività fisica svolte a scuola potenziando le strutture sportive pubbliche. Figura 6 - Distribuzione dei soggetti secondo classi di indice di massa corporea e classe d età. Italia - ricomposizione di più fonti informative: OKkio alla SALUTE 2010 (dati misurati), HBSC (dati autoriferiti), Istat 2009 (dati autoriferiti). Figura 7 - PERSONE IN ITALIA CON ETÀ COMPRESA TRA 6 E17 ANNI IN ECCESSO DI PESO, PER GENERE E CLASSI DI ETÀ -- Anno 2010 (valori percentuali) - Fonte: Istat, Indagine Multiscopo Aspetti della vita quotidiana Diabete Si sta assistendo a un epidemia mondiale di diabete, con una prevalenza che arriverà fino al 6,3% nel 2025, coinvolgendo 333 milioni di persone in tutto il mondo. L OMS ha quindi inserito il diabete tra le patologie croniche su cui maggiormente investire per la prevenzione, dato il crescente peso assunto da questa patologia anche nei Paesi in via di sviluppo e vista la possibilità di attuare misure preventive efficaci e di basso costo (1). Questo fenomeno non è secondario all azione di agenti infettivi, come il termine lascerebbe supporre, bensì alle modificate abitudini di vita della popolazione mondiale. Il rischio di diabete tipo 2 (DT2) è in larga parte determinato da età, obesità, familiarità ed etnia. In Italia l allungamento della vita media e il cambiamento dello stile di vita (sedentarietà, obesità) sono in larga parte responsabili dell aumento atteso nella prevalenza del DT2. - nel 2011 le persone che in Italia dichiarano di essere affette da diabete sono il 4,9% della popolazione, ovvero quasi 3 milioni. Valori superiori alla media emergono al Sud (6,3%). I diabeti residenti al Sud sono 900 mila, 650 mila al Nordovest, 600 mila al Centro, 450 mila al Nord-est e circa 350 mila nelle Isole. - la prevalenza del diabete aumenta al crescere dell età; oltre i 75 anni almeno una persona su cinque è affetta da diabete. Su 100 diabetici 60 sono anziani, 30 hanno più di 75 anni. - la prevalenza è maggiore negli uomini per le età fino ai 74 anni. - negli ultimi dieci anni la prevalenza è in aumento: tra il 2000 e il 2011 si contano 800 mila diabetici in più, anche in conseguenza dell invecchiamento della popolazione, il tasso standardizzato passa da 3,9 per 100 persone nel 2001 a 4,6 nel

66 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete ta cresce all aumentare dell età fino a raggiungere il 29,9% tra gli anziani di 75 anni e più, anche in questo caso in crescita rispetto al 2001 di otto punti. Nel 2010, più di un ragazzo (6-17 anni) su quattro (26,2%) è obeso o in sovrappeso, proporzione analoga a Figura 8 - IL DIABETE IN ITALIA. NUMERO ASSOLUTO PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA. Anno 2011, valori in migliaia (ISTAT-2011) I principali fattori di rischio: obesità e sedentarietà È noto come obesità e sedentarietà rappresentino fattori di rischio per la salute connessi con l insorgenza di numerose patologie croniche. Di contro, una dieta salubre, l assenza di eccesso di peso, un attività fisica moderata e continua nel tempo riduce il rischio di diverse patologie degenerative e mortali, in particolare del diabete, influenzando i lipidi nel sangue, la pressione arteriosa, la trombosi, la tolleranza al glucosio, l insulino-resistenza ed altri cambiamenti metabolici. Come già osservato in molte indagini epidemiologiche il diabete è spesso associato alla presenza di obesità e a comportamenti sedentari. Infatti, se complessivamente nella popolazione adulta (di 18 anni e più) la prevalenza di diabete è pari al 5,8%, tra gli adulti obesi la quota raggiunge il 15,2%, in crescita di cinque punti rispetto al 2001; tale quo- Bibliografia - Preventing chronic diseases: a vital investment, WHO global report. World Health Organization, the challenge of obesity in the WHO European Region and the strategies for response. World Health Organization - Europe, The challenge of obesity in the WHO European Region and the strategies for response. World Health Organization-Europe,2007.( int/mediacentre/factsheets/fs311/en/index. html) Caballero B. The global epidemic of obesity: an overview. Epidemiol Rev 2007; 29:1-5. Who Global Infobase, anno 2010; who.int/infobase/index.aspx - Mladovky P, Allin S, Masseria C et al. Health in the European Union. Trends and analysis. WHO - European Observatory on Health Systems and Policies, Observatory Studies Series N 19. ( - Regional Office for Europe of the World Health Organization. Branca F., Nikogosian H., Lobstein T. (a cura di), The challenge of obesity in the WHO European Region and the Figura 9 - Prevalenza di persone di 18 anni e più affette da diabete per indice di massa corporea e distribuzione percentuale, in Italia per genere - Anno 2011 (per 100 persone con le stesse caratteristiche) 66

67 Corso di alta formazione SID strategies for response. Summary. Edizione italiana a cura di Centro Nazionale per la Prevenzione e il controllo delle Malattie (CCM) e Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) (2008). - OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development. The Obesity Epidemic: Analysis of Past and Projected Future Trends in Selected OECD Countries. OECD Health Working Paper n.45, Kuipers YM. Focusing on obesity through a health equity lens. EuroHealthNet, March Wang Y, Lobstein T. Worldwide trends in childhood overweight and obesity. International Journal of Pediatric Obesity 2006; 1: Lissner L, Sohlstrom A, Sundblom E, Sjoberg. Trends in overweight and obesity in Swedish schoolchildren : has the epidemic reached a plateau? Obesity reviews 2010; 11: Boddy LM, Hackett AF, Stratton G. Changes in BMI and prevalence of obesity and overweight in children in Liverpool, Perspect Public Health May;129(3): Barron C, Comiskey C, Saris J. Prevalence rates and comparisons of obesity levels in Ireland. Br J Nurs Jul 9-22;18(13): OECD - Obesity and the Economics of Prevention. Fit not fat PDF_Conferenza/Prevalenz

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69 Corso di alta formazione SID Chirurgia bariatrica: il punto di vista del medico Frida Leonetti, Federica Coccia, Danila Capoccia Dip.to Medicina Sperimentale Università di Roma, Sapienza Il sovrappeso e l obesità hanno raggiunto proporzioni epidemiche nella gran parte del mondo occidentale e anche in paesi in forte progressione economica quali Cina e India. L aumento della prevalenza dell obesità è associata ad un aumento delle complicanze ad essa correlate (es. diabete mellito tipo 2 (DMT2), dislipidemia, ipertensione arteriosa, apnee notturne, malattie cardiovascolari, diverse forme di cancro, malattie degenerative osteo-articolari) e ad una riduzione dell aspettativa di vita di circa 12 anni. La terapia farmacologica dell obesità si è dimostrata, ad oggi, fallimentare nel 90% dei casi, soprattutto nel mantenimento del calo di peso a lungo termine. (Figura 1) Figura 1 - Aumento della prevalenza dell obesità nel mondo a partire dal 1980 Di pari passo all obesità anche il DMT2 è in rapida espansione, contribuendo in maniera importante alla morbilità e mortalità della popolazione adulta. Il rischio relativo per un paziente obeso di sviluppare DMT2 è aumentato di 6 volte nel genere Figura 2 - Aumento dell incidenza del diabete nel sovrappeso e nell obesità maschile e di 12 volte nel genere femminile tanto che l Organizzazione Mondiale della sanità ha coniato il termine di Diabesità. (Figura 2) Nonostante i numerosi avanzamenti compiuti nel campo della terapia farmacologica del diabete un compenso glicemico ottimale si ottiene in meno del 50% dei pazienti diabetici (..). Numerosi dati in letteratura indicano che una modesta perdita di peso (5% 10%) è in grado di ridurre il rischio cardiometabolico, ma le terapie attualmente a diposizione (dietoterapia o terapia farmacologica) sono, purtroppo, spesso inefficaci soprattutto a lungo termine. Inoltre, la grande maggioranza dei farmaci utilizzati per la gestione del DMT2 hanno un impatto negativo sulla gestione del peso corporeo, comportandone un sensibile aumento nel corso del tempo. (Figura 3) La chirurgia bariatrica è a tutt oggi il trattamento più efficace per l obesità patologica, in termini di perdita di peso, riduzione dei fattori di rischio associati all obesità e miglioramento della qualità della vita. Uno studio di followup a 20 anni (Swedish Obese Subjects-SOS) ha dimostrato che la chirurgia bariatrica è una più valida opzione per il trattamento dell obesità severa, con un buon mantenimento della perdita di peso a lungo termine, quando confrontata con la terapia medica convenzionale. (Figura 4) Le indicazioni, controindicazioni, efficacia ed effetti collaterali delle diverse procedure bariatriche sono state esaminate in diverse Linee Guida nazionali ed internazionali, codificate nel 1991 dalla Consensus Conference NIH le quali stabiliscono che, per i pazienti di età compresa tra i 18 e i 65 anni, i criteri di selezione per la chirurgia bariatrica sono: 69

70 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete BMI> 40 kg/m 2 (o BMI>35 kg/m 2 se in presenza di comorbosità associata); età compresa tra 18 e 65 anni; Obesità di durata superiore ai 5 anni; Dimostrato fallimento di precedenti tentativi di perdere peso e/o di mantenere la perdita di peso con tecniche non chirurgiche; Piena disponibilità ad un prolungato follow-up postoperatorio Figura 3 - Impatto dei diversi farmaci ipoglicemizzanti sul peso corporeo Figura 4 - Studio SOS: risultati dopo 20 anni di follow up. Andamento del peso corporeo e incidenza della mortalità per eventi cardiovascolari Sebbene piccoli trials abbiano dimostrato un miglioramento del controllo glicemico dopo chirurgia bariatrica nei pazienti con diabete tipo 2 con BMI <35, allo stato attuale non vi sono evidenze sufficientemente solide da raccomandare tali interventi nei pazienti diabetici con BMI< 35. I dati della letteratura sono concordi nel sostenere che dopo chirurgia bariatrica, si ripristina nei pazienti con DMT2 un miglior controllo glicemico dovuto alla combinazione di diversi fattori come la restrizione calorica, l aumento della sensibilità e della secrezione insulinica; per alcune procedure bariatriche, tali cambiamenti avvengono prima di un evidente e significativo calo ponderale. I dati attuali non consentono di fornire specifiche indicazioni riguardo ai diversi tipi di intervento chirurgico. La scelta del tipo di intervento deve essere guidata dalla valutazione di età, grado di obesità, grado di scompenso glicemico del paziente, presenza di altre comorbilità, rischio anestesiologico, profilo psicologico del paziente, esperienza del chirurgo e del centro che seguirà il paziente, preferenza del paziente. L efficacia della chirurgia bariatrica nel migliorare e spesso normalizzare i livelli di glicemia in pazienti obesi con DMT2 sono stati confermati da un largo numero di studi osservazionali. La disponibilità di numerose evidenze in questo campo ha spinto le più importanti società scientifiche a considerare la chirurgia bariatrica come intervento di prima scelta nella gestione del paziente obeso e diabetico tipo 2. Una metanalisi di questi studi, recentemente condotta da Buchwald e altri, che includeva 135,246 pazienti, ha messo in evidenza che il 86,6% dei pazienti diabetici mostrava un netto miglioramento del compenso glico-metabolico e che il 78,1% andava incontro a completa risoluzione della malattia diabetica. La metanalisi di Buchwald ha mostrato sostanziali differenze nell efficacia delle diverse procedure sul controllo metabolico. La risoluzione del DMT2 era maggiore nei pazienti sottoposti a diversione bilio-pancreatica/duodenalswitch (95.1% di risoluzione), seguita dal gruppo di pazienti trattati con by pass gastrico (80,3%), gastroplastica verticale (79,7%) ed infine bendaggio gastrico regolabile (56,7%). Queste differenze sull efficacia metabolica erano strettamente correlate alla perdita di peso. (Figura 5) Lo studio svedese SOS (Swedish Obese Subjects), partito agli inizi degli anni 90, è stato il primo grande studio che ha confrontato, in maniera prospettica, l effetto della chirurgia bariatrica sul calo ponderale e sulla mortalità per tutte le cause in un numeroso gruppo di pazienti sottoposti a diversi tipi di intervento rispetto ad un altrettanto numeroso gruppo di controllo trattato con approccio medico convenzionale. Inoltre, per quanto riguardava l effetto sul diabete, il 72% dei pazienti trattati chirurgicamente andava incontro a completa remissione della malattia diabetica contro il 70

71 Corso di alta formazione SID medica convenzionale. Lo stesso numero del New England Journal of Medicine pubblicava lo studio di Shauer et al sul confronto tra terapia medica e chirurgica, in 150 pazienti obesi e diabetici in fase di scompenso glico-metabolico (con valori medi di HbA1c 9,2%). Dopo 12 mesi, il 93% dei pazienti aveva completato il follow-up. In questi pazienti veniva quindi valutata la riduzione dell HbA1c a livelli pari o inferiori al 6%, evento che si verificava nel 12 % dei pazienti trattati conservativamente, nel 42 % dei pazienti indirizzati all intervento di gastric bypass e nel 37 % dei quelli sottoposti a sleeve gastrectomy. (Figura 6) Figura 5 - Definizione di risoluzione del DMT2 e sua correlazione col calo ponderale 21% dei pazienti obesi che appartenevano al gruppo di controllo. Recentemente sono stati pubblicati altri studi di confronto, come quello di Mingrone et al sul New England Journal of Medicine del 26 Aprile 2012 in cui la remissione del diabete avveniva nel 75% dei pazienti sottoposti a gastric bypass, nel 95 % dei pazienti sottoposti a diversione bilio-pancreatica e in nessun paziente trattato con terapia Figura 6 - Chirurgia Bariatrica vs Terapia Medica Un nostro studio, recentemente pubblicato su Surgery Obesity and Related Diseases ha confrontato un gruppo di 30 pazienti sottoposti a Sleeve Gastrectomy con un gruppo di 30 pazienti trattati con terapia medica convenzionale per un followup di 18 mesi. La risoluzione del Diabete Mellito tipo 2 si è verificata nel 80% dei pazienti operati ed in nessuno dei pazienti trattati con approccio dieto-farmacologico (135). In accordo con altri reports della letteratura che hanno studiato l evoluzione del diabete tipo 2 dopo chirurgia bariatrica, nel nostro studio alcune caratteristiche cliniche e biochimiche dei pazienti diabetici sembrano essere importanti determinanti per la remissione della malattia. Primo fra tutti, la durata di malattia rappresenta il più importante fattore prognostico in termini di cura del diabete. Inoltre, i livelli pre-operatori di C-peptide, espressione della funzione beta cellulare residua, erano significativamente più alti nei pazienti in cui abbiamo osservato la remissione rispetto a quelli rimasti diabetici dopo la chirurgia. Anche il grado di compenso glicemico prima dell intervento sembra essere un importante fattore prognostico positivo ed, infatti, i pazienti 71

72 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Sono stati pubblicati diversi studi in letteratura che hanno valutato lo stato nutrizionale dei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica con lo scoin cui si è ottenuta la remissione del diabete avevano una HbA1c pre-operatoria di 6.6% rispetto a 10,9% dei pazienti non curati. (Figura 7) Figura 7 - Confronto Sleeve Gastrectomy vs Terapia Medica. In una recente review in cui sono stati analizzati 637 studi ed un totale di pazienti, è stata valutata l efficacia della chirurgia bariatrica non solo sul DMT2 ma anche su altre comorbidità associate all obesità patologica: dopo 34 mesi di follow up, gli autori hanno riportato una significativa riduzione della prevalenza del DMT2, dell ipertensione e della dislipidemia e una riduzione del 40% del rischio relativo per eventi cardiovascolari fatali a 10 anni. Anche per quanto riguarda le altre patologie correlate all obesità patologica, la chirurgia bariatrica appare quindi efficace nel ridurre il grado di comorbidità, sia nei diabetici che nei non diabetici, seppur con intensità diversa. Nel nostro studio, la comorbidità che mostra il maggior grado di risoluzione è l OSAS, che, a 18 mesi dall intervento, momento in cui è stato ripetuto l esame polisonnografico, interessava l 8% dei pazienti diabetici presi in esame e il 16% dei pazienti non diabetici, rispetto al 50% prima dell intervento in entrambi i gruppi. L ipertensione arteriosa si risolve solo nei pazienti diabetici passando da una prevalenza del 64% prima dell intervento ad una del 33% 3 anni e mezzo dopo la Sleeve. Nei pazienti non diabetici la prevalenza dell ipertensione rimane invariata nel tempo (37%). Per quel concerne la dislipidemia, questa diminuisce dal 26 al 8,2% nei pazienti diabetici. (Figura 8) Come altri autori in letteratura, anche nel no- stro studio abbiamo voluto valutare le variazioni nell uso delle terapie farmacologiche impiegate per il trattamento delle comorbidità che si associano all obesità patologica. Shauer et al, nel confrontare l effetto della chirurgia bariatrica e della terapia medica sull obesità e le sue complicanze, hanno mostrato una forte riduzione nell uso delle terapie con antipertensivi e ipolipemizzanti nei pazienti operati, mentre nei pazienti seguiti con approccio convenzionale l impiego dei farmaci rimaneva invariato nel tempo oppure, più spesso, aumentava. Nel nostro studio, l uso di questi farmaci diminuiva significativamente dopo la chirurgia. Come già detto in precedenza, tutti i pazienti diabetici con durata più breve di malattia interrompevano immediatamente l uso dei farmaci ipoglicemizzanti, senza mai riprenderli; i diabetici da più di 10 anni, venivano trattati nel 50% dei casi con terapia farmacologica (mentre prima dell intervento era trattato il 90% di essi). I pazienti trattati con approccio medico, raggiungevano 18 mesi dopo il reclutamento un miglioramento significativo dell HbA1c, senza ottenere però alcuna variazione di peso e richiedendo per questo risultato un maggior consumo di farmaci ipoglicemizzanti. Figura 8 - Prevalenza delle comorbidità dell obesità patologica dopo chirurgia bariatrica L uso di farmaci antipertensivi e ipolipemizzanti si riduceva del 45% per entrambe le classi di farmaci nel gruppo dei pazienti operati. Se confrontiamo il dato ottenuto nei pazienti operati con quello ottenuto nel gruppo dei non operati, osserviamo un maggior consumo di terapie farmacologiche ipolipemizzanti e antipertensive in quest ultimo gruppo. (Figura 9) 72

73 Corso di alta formazione SID Figura 9 - Parametri nutrizionali prima e dopo Sleeve Gastrectomy. Figura 10 - Management del paziente sottoposto a chirurgia bariatrica po di verificare se determinate supplementazioni fossero sufficienti a prevenire eventuali carenze minerali, vitaminiche ed elettrolitiche. Nostri recenti dati pubblicati hanno evidenziato come i parametri nutrizionali si mantenessero nei limiti della norma con la supplementazione proposta. (Figura 10) Nella gestione dell obesità e delle patologie ad essa associate, pertanto, il medico metabolista ha il compito di selezionare il paziente in relazione alle diverse opzioni terapeutiche sulla base delle linee guida e dell esperienza personale, di prepararlo all intervento chirurgico dopo aver condotto un dettagliato screening di tutte le comorbidità associate all obesità e, una volta operato, di seguirlo attentamente nel follow up. Nel follow up, sono necessari il monitoraggio delle terapie farmacologiche e un attenta valutazione dello stato nutri- zionale, con eventuale supplementazione vitaminica, al fine sia di evitare deficit di micronutrienti, sia di prevenire il regain. Bibliografia 1) Finucane MM, Stevens GA, Cowan MJ, Danaei G, Lin JK, Paciorek CJ, Singh GM, Gutierrez HR, Lu Y, Bahalim AN, Farzadfar F, Riley LM, Ezzati M. National, regional, and global trends in body-mass index since 1980: systematic analysis of health examination surveys and epidemiological studies with 960 country-years and 9 1 million participants. Lancet Feb 12;377(9765): ) Guh DP, Zhang W, Bansback N, Amarsi Z, Birmingham CL, Anis AH. The incidence of comorbidities related to obesity and overweight: a systematic review and meta-analysis. BMC Public Health Mar 25;9:88. 73

74 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 3) Cheng V, Kashyap SR. Weight considerations in pharmacotherapy for type 2 diabetes. J Obes. 2011; pii: ) Sjöström L, Peltonen M, Jacobson P, Sjöström CD, Karason K, Wedel H, Ahlin S, Anveden Å, Bengtsson C, Bergmark G, Bouchard C, Carlsson B, Dahlgren S, Karlsson J, Lindroos AK, Lönroth H, Narbro K, Näslund I, Olbers T, Svensson PA, Carlsson LM. Bariatric surgery and long-term cardiovascular events. JAMA Jan 4;307(1): ) Yermilov I, McGory ML, Shekelle PW, Ko CY, Maggard MA. Appropriateness criteria for bariatric surgery: beyond the NIH guidelines. Obesity (Silver Spring) Aug;17(8): ) Busetto L, Sbraccia P, Frittitta L, Pontiroli AE. The growing role of bariatric surgery in the management of type 2 diabetes: evidences and open questions. Obes Surg Sep;21(9): ) Buchwald H, Estok R, Fahrbach K, Banel D, Jensen MD, Pories WJ, Bantle JP, Sledge I. Weight and type 2 diabetes after bariatric surgery: systematic review and meta-analysis. Am J Med Mar;122(3): e5. 8) Abbatini F, Capoccia D, Casella G, Coccia F, Leonetti F, Basso N. Type 2 diabetes in obese patients with body mass index of kg/m2: sleeve gastrectomy versus medical treatment. Surg Obes Relat Dis Jan-Feb;8(1):20-4. Epub 2011 Jul 13. 9) Mingrone G, Panunzi S, De Gaetano A, Guidone C, Iaconelli A, Leccesi L, Nanni G, Pomp A, Castagneto M, Ghirlanda G, Rubino F. Bariatric surgery versus conventional medical therapy for type 2 diabetes. N Engl J Med Apr 26;366(17): ) Schauer PR, Kashyap SR, Wolski K, Brethauer SA, Kirwan JP, Pothier CE, Thomas S, Abood B, Nissen SE, Bhatt DL. Bariatric surgery versus intensive medical therapy in obese patients with diabetes. N Engl J Med Apr 26;366(17): ) Giovanni Casella, Francesca Abbatini, Benedetto Calì, Danila Capoccia, Frida Leonetti, Nicola Basso. Ten-year duration of type 2 diabetes as prognostic factor for remission after sleeve gastrectomy Surgery for Obesity and Related Diseases 7 (2011) ) Casella G. Abbatini F. Calì B, Capoccia D, Leonetti F, Basso N. Ten-year duration of type 2 diabetes as prognostic factor for remission af- ter sleeve gastrectomy. Surg for OBes and Relat Dis (7); ; 13) Basso N, Capoccia D, Rizzello M, Abbatini F, Mariani P, Maglio C, Coccia F, Borgonuovo G, De Luca ML, Asprino R, Alessandri G, Casella G, Leonetti F. First-phase insulin secretion, insulin sensitivity, ghrelin, GLP-1, and PYY changes 72 h after sleeve gastrectomy in obese diabetic patients: the gastric hypothesis Surg Endosc (2011) 25: ; 14) Leonetti F, Capoccia D, Coccia F, Casella G, Baglio G, Paradiso F, Abbatini F, Iossa A, Soricelli E, Basso N. Obesity, Type 2 Diabetes Mellitus, and Other Comorbidities: A Prospective Cohort Study of Laparoscopic Sleeve Gastrectomy vs Medical Treatment. Arch Surg Apr ) Heneghan HM, Meron-Eldar S, Brethauer SA, Schauer PR, Young JB. Effect of bariatric surgery on cardiovascular risk profile. Am J Cardiol Nov 15;108(10): ) Heber D, Greenway FL, Kaplan LM, Livingston E, Salvador J, Still C; Endocrine Society. Endocrine and nutritional management of the post-bariatric surgery patient: an Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab Nov;95(11): ) Capoccia D, Coccia F, Paradiso F, Abbatini F, Casella G, Basso N, Leonetti F. Laparoscopic gastric sleeve and micronutrients supplementation: our experience. J Obes. 2012;2012: Epub 2012 Mar 22 74

75 Corso di alta formazione SID Obesità e diabete: il punto di vista del chirurgo Gianfranco Silecchia, Angelo Iossa Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e Biotecnologie Sapienza, Università di Roma UOC Chirurgia Generale, ICOT Latina Chirurgia e diabete: mondi lontani? Nonostante le numerose opzioni terapeutiche farmacologiche e gli standard accettati per il controllo delle sue complicanze, il DMT2 rimane sempre una patologia incurabile, cronica, progressiva e gravata da alti indici di mortalità con una progressione dalla terapia farmacologica orale verso il trattamento insulinico (3). In questo scenario agli inizi degli anni Novanta andava sviluppandosi la moderna chirurgia bariatrica laparoscopica che apriva nuove strade per la cura di questi pazienti (obesi di tipo II BMI >35). Negli anni la chirurgia bariatrica veniva concepita come chirurgia dell eccesso ponderale e quasi come una chirurgia estrema. La chirurgia bariatrica laparoscopica conosce la sua affermazione e standardizzazione in due consecutive Consensus Conference (ASBS 2004 e EAES 2005) tanto che attualmente il chirurgo ha a disposizione numerose procedure chirurgiche standard come il by-pass gastrico, la diversione bilio-pancreatica con o senza duodenal switch, il bendaggio gastrico e la sleeve gastrectomy (Figura 1). Le dimensioni di un problema In Italia il 55% della popolazione adulta maschile e il 40% di quella femminile ha un BMI > 25 kg/m 2, mentre il 10% ha un BMI >35 con un dato altamente preoccupante nella fascia di popolazione infantile (35%): circa un milione di persone, risulta essere in sovrappeso e/o obeso (1) regalandoci, in Europa, il triste primato della più alta prevalenza di obesità in età pediatrica. (2) Il 20% dei pazienti affetti da obesità patologica è affetto da DMT2 e l 80% di essi ha un BMI >30 kg/m 2 (1-2) : una correlazione più che mai accertata e di grande impatto sociale, economico e sanitario tanto da far coniare il termine neologismo diabesità. L International Diabetes Federation stimava per l Italia il superamento di quota 3 milioni di diabetici entro il 2025, ma la soglia è stata abbattuta con 13 anni di anticipo. A tutto questo bisogna aggiungere che circa il 10-15% della spesa sanitaria è dedicata al trattamento del Diabete; (1) facile, dunque, darsi una risposta circa l impegno che la medicina sta dedicando al problema. Figura 1 - Procedure bariatriche standard Il concetto di come la chirurgia potesse diventare terapia di una malattia medica nasce nel lontano 1955; Friedman descrive il miglioramento della glicemia nei pazienti sottoposti a gastrectomia sub-totale (4). È solo l inizio di un lungo percorso: 40 anni dopo Poires con un esaltante titolo che suona come un moderno Eureka descrive la risoluzione o il miglioramento del diabete in pazienti sottoposti a gastric-by pass, e senza correlazione con la perdita di peso è l inizio della chirurgia metabolica (5). Bisognerà attendere il 2007 quando l International Summit di Roma composto da diabetologi/endocrinologi e chirurghi terranno a battesimo la neonata chirurgia metabolica laparoscopica (6). L unico studio prospettico randomizzato con risultati a 20 anni rimane ancora oggi il SOS (Swedish subjects obese) che ha dimostrato, sia pur considerando le procedure open dell epoca di inizio dello studio, che la chirurgia bariatrica rappresenta un arma efficace vs terapia medica in grado di allungare la spettanza di vita nei pazienti affetti da obesità patologica e di migliorare le co-morbidità tra cui il DMT2 (7). Nel 2009 una metanalisi condotta da Buchwald su 75

76 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica ha riportato una mortalità operatoria e perioperatoria (Figura 2) assolutamente accettabile se messa sulla bilancia dei vantaggi effettivi. (8) Figura 2 - Mortalità gobale per chirurgia bariatrica Uno studio condotto dalla Sicob nel 2007 ha documentato anche nel nostro Paese una mortalità p.o. dello 0,1-1% in linea con tutti gli studi internazionali (9). (Figura 3) Figura 3 - Mortalità della chirurgia bariatrica in Italia Tabella 1 Normal Target HbA1c < 6.0 % / 42 mmol/mol < 7.0 % /53 mmol/mol Fasting/pre-meal capillary plasma glucose Post meal capillary plasma glucose 5.5 mmol/l (100 mg/dl) 7.8 mmol/l (140 mg/dl) 6.5 mmol/l (115 mg/dl) 9.0 mmol/l (160 mg/dl) I dati a nostra disposizione oggi possono far affermare che la chirurgia bariatrica laparoscopica nei centri dedicati ha una morbi-mortalità operatoria sovrapponibile a quella di procedure chirurgiche standard (vedi colecistectomia laparoscopica). Per questi motivi le indicazioni trovano ogni anno nuovi sviluppi e applicazioni nel tentativo di offrire i vantaggi della chirurgia anche a pazienti con BMI <35. (10) Terapia medica e chirurgica i risultati di uno scontro Gli studi e le evidenze circa i risultati di risoluzione del diabete di tipo II (8) spingeranno i vari autori ad interrogarsi sui meccanismi ormonometabolici alla base dell effetto ed a confrontare i risultati della terapia chirurgica con la terapia medica convenzionale. Nella Tabella 1 vengono indicati i goals della terapia medica indicati dall International Diabetes Federation nelle linee guida (11) Nonostante il grande numero di pubblicazioni sull argomento solo tre studi randomizzati (chirurgia vs terapia medica nella diabesità) sono stati pubblicati nel corso degli ultimissimi anni. Dixon nel 2008 (12), Mingrone (13) e Schauer nel 2012 (14) hanno dimostrato ottimi risultati a favore della chirurgia vs terapia medica come si evince dalla Tabella 2. Le evidenze sono tali da indicare la chirurgia come un sicuro, efficace, riproducibile strumento terapeutico per la cura dei pazienti affetti da diabesità. Gli studi sono in continua evoluzione con innovativi approcci molecolari e genetici e follow-up sempre più lunghi, il tutto per permettere di chiarire i meccanismi di un effetto ancora in parte oscuro. La collaborazione tra le varie società medico-chirurgiche interessate al problema dovrà codificare più precisamente i criteri di operabilità, intesi come fattori predittivi di risposta a lungo termine. Tuttavia, il riconoscimento da parte del ADA e della IFD che la chirurgia sia un opzione valida per i pazienti affetti da diabesità (15) rappresenta certamente un grande passo avanti, così come la condivisione 76

77 Corso di alta formazione SID Dixon JAMA 2008 Mingrone NEJM 2012 Schauer NEJM 2012 Numero pazienti Intervento chirurgico Bendaggio gastrico laparoscopico Diversione biliopancreatica(bpd)/ By pass gastrico(rygbp RYGBP/Sleeve Gastrectomy(LSG) Remissione del DMT2 dopo chirurgia Remissione del DMT2 dopo terapia medica aggressiva Follow-up 73% 13% 2 anni 75% dopo RYGBP/95% dopo BPD 42% dopo RYGBP/ 37% dopo LSG 0% 2 anni 12% 1 anno Tabella 2 dei criteri per valutare la risposta alla terapia del DMT2, intesa come sua remissione totale o parziale (16). (Figura 4) Sicuramente la chirurgia bariatrica rappresenta un efficace e sicuro nonché riproducibile standard terapeutico per il controllo a lungo termine del calo ponderale sia pur in maniera differenziata per tipologia di procedura. (Figura 5) (17,18) L efficacia sull omeostasi glucidica e sull insulino - resistenza è indipendente dal calo ponderale in alcune procedure non puramente restrittive anche se uno dei fattori principali per il conseguimento di un efficace e duraturo controllo del diabete è sicuramente rappresentato dal calo ponderale. (Figura 6) (19) Figura 4 - Definizione di cura del DMT2 Figura 5 - Effetto delle varie procedure bariatriche sulla perdita di peso Figura 6 - Risultati a medio termine delle varie procedure bariatriche sulla risoluzione del DMT2; prime esperienze personali 77

78 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Sul tappeto rimangono numerosi quesiti irrisolti che rappresentano i topics della ricerca in corso: efficacia nel pazienti con BMI <30, età adolescenziale, durabilità della remissione della malattia a seconda delle procedure, regain del peso dopo chirurgia bariatrica, nuove procedure mini-invasive. Concetti chiave: L Obesità rappresenta un grave problema mondiale con una dimostrata correlazione con il Diabete Mellito tipo 2 (DMT2). Non esiste attualmente terapia medica in grado di garantire la cura del DMT2. La chirurgia bariatrica, nata come cura dell eccesso ponderale, ha dimostrato eccellenti risultati sulla risoluzione anche delle comorbidità. La moderna chirurgia bariatrica laparoscopica è riconosciuta come l unica terapia in grado di determinare uno stabile e duraturo calo ponderale. Alcune procedure chirurgiche bariatriche laparoscopiche(definite metaboliche) sono in grado di determinare un miglioramento dell omeostasi glucidica e dell insulino-resistenza a prescindere dal calo ponderale. Alcuni recenti studi prospettici randomizzati (chirurgia metabolica vs terapia medica) indicano un significativo vantaggio terapeutico della chirurgia nei pazienti affetti da diabesità. Bibliografia 1) Dati Istat ) WHO Obesity and overweight Fact sheet N 311 May ) UKPDS 35. BMJ 2000; 321: ) Friedman mn, Sancetta aj, Magovern gj. The amelioration of diabetes mellitus following subtotal gastrectomy. Surg Gynecol Obstet ) Pories WJ et al, Who would have thought it? An operation proves to be the most effective therapy for adult-onset diabetes mellitus. Ann Surg ) International Conference on Gastrointestinal Surgery to treat type 2 diabetes. Clinical and Research Guidelines Development. Rome,Italy. March 29-31,2007 7) Sjöström L, et al. Lifestyle, Diabetes, and Cardiovascular Risk Factors 10 Years after Bariatric Surgery. N Engl J Med 2004 ; Sjöström R, Effects of Bariatric Surgery on Mortality in Swedish Obese Subjects. The New England Journal of Medicine ) Buchwald H et al. Bariatric surgery: a systematic review and meta-analysis. JAMA ) Morino M, et al. Mortality after bariatric surgery: analysis of 13,871 morbidly obese patients from a national registry. Ann Surg ) SAGES guideline for clinical application of laparoscopic bariatric surgery. Surg. Endosc ) IDF Clinical Practice Guidelines ) Dixon JB et al. Adjustable gastric banding and conventional therapy for type 2 diabetes: a randomized controlled trial. JAMA ) Mingrone G et al. Bariatric surgery versus conventional medical therapy for type 2 diabetes. N Engl J Med ) Schauer PR, et al. Bariatric surgery versus intensive medical therapy in obese patients with diabetes. N Engl J Med ) Standard di cura dell American Diabetes Associations (ADA,2011) 16) Buse JB et al, How do we define cure of diabetes? Diabetes Care Nov 17) Buchwald H, et al,weight and type 2 diabetes after bariatric surgery: systematic review and meta-analysis. Am J Med ) Sarela AI, et al, Long-term follow-up after laparoscopic sleeve gastrectomy: 8-9-year results. Surg Obes Relat Dis ) F. Abbatini, G. Silecchia, V. Bacci et al, Midterm Effect of Different Laparoscopic Bariatric Procedures on Glucose Metabolism.Obes Surg

79 Corso di alta formazione SID Modelli di gestione del paziente diabetico in ospedale Salvatore Caputo Istituto di Medicina Interna e Geriatria UCSC Roma Tutta la letteratura scientifica mondiale, sia con trial clinici randomizzati che con studi osservazionali, concorda sul fatto che la presenza di un Servizio di Diabetologia all interno di un ospedale, o sul territorio, ma comunque collegato all ospedale, si associa ad una ridotta frequenza di ricoveri ospedalieri dei diabetici e ad una minore durata del ricovero. Fra questi studi, alcuni dati raccolti in Piemonte e pubblicati nel 2006 evidenziano come un elevato numero di ore di assistenza presso un Servizio di Diabetologia riduca di circa il 65 per cento i ricoveri nella popolazione diabetica e di circa il 25 per cento la relativa durata. In particolare, diminuiscono i ricoveri in urgenza e le riammissioni in ospedale entro poco tempo dalla dimissione. Tale riduzione azzera, di fatto, la differenza fra diabetici e non diabetici. Mancano tuttavia dati aggiornati e diffusi sulla qualità dell assistenza diabetologica fornita in Italia alla persona con diabete in ricovero ospedaliero. Si ha l impressione che la volontà di «despecializzare» e «deospedalizzare» il percorso di cura del diabete sia giunta al paradosso di dimenticare che comunque il rapporto fra diabetico ed ospedale non possa essere completamente eliminato anche in un ipotetico mondo ideale. Vi sono, infatti, almeno tre possibilità di interazione che si verificano ogni giorno in Italia, come del resto in tutto il mondo: più raramente il ricovero ospedaliero è dovuto a eventi metabolici acuti legati alla malattia (iperglicemia, iperosmolarità, chetoacidosi o ipoglicemie), più spesso, invece, lo si deve a eventi acuti che richiedono un ricovero urgente (ictus, infarto miocardico, infezioni, frattura o trauma) o a interventi chirurgici in elezione in persone con diabete. 1. Percorso pre-operatorio del paziente con diabete La preospedalizzazione in vista di un intervento chirurgico è particolarmente delicata in una persona con diabete per la valutazione del rischio operatorio e la preparazione all intervento. La possibilità di eseguire una consulenza diabetologica consente di ottimizzare la cura in vista dell intervento e di programmare il tipo di trattamento dell iperglicemia nel perioperatorio e nel postoperatorio. La letteratura scientifica concorda sul fatto che l esecuzione della consulenza permette di azzerare le giornate di degenza pre-intervento; ridurre la degenza media; ottimizzare le liste di attesa; migliorare gli esiti. 2. Accesso dei pazienti con diabete in Pronto Soccorso Il paziente diabetico può accedere in urgenza al pronto soccorso per problemi connessi alla malattia, quali ipoglicemia o iperglicemia, iperosmolarità o chetoacidosi, ulcere del piede, o per iperglicemia di nuovo riscontro (neodiagnosi). Il Pronto Soccorso è l ultimo filtro dove è possibile ridurre i ricoveri inappropriati. A questo proposito, è indispensabile che siano predisposti e condivisi dei percorsi di presa in carico da parte dei Servizi di Diabetologia, e dei protocolli di gestione delle urgenze. Ciò al fine di: garantire continuità assistenziale al paziente con diabete; prendere in carico il paziente neodiagnosticato da parte del team diabetologico; educare e addestrare all utilizzo di insulina e dell autocontrollo pazienti in cui è necessaria una modifica terapeutica; gestire in team multidisciplinare le urgenze del piede diabetico, riducendo al minimo il rischio di amputazioni; gestire con competenza il paziente critico con iperglicemia mediante protocolli di trattamento insulinico intensivo condivisi; ridurre i ricoveri inappropriati. 3. Assistenza al paziente con diabete ricoverato Dimissione «protetta» o presa in carico pre-dimissione. In ospedale, il diabete costituisce una realtà trasversale a tutti i reparti: è presente, infatti, in almeno un paziente su quattro nei reparti di degenza e in un paziente su due/tre in terapia intensiva cardiologica. La presenza di diabete (noto o di nuova diagnosi) aumenta il rischio di infezioni e di complicanze, peggiora la prognosi, prolunga la degenza media e determina un incremento significativo dei costi assistenziali. L iperglicemia è un indicatore prognostico negativo in qualunque setting assistenziale, ma le evidenze scientifiche da ormai quindici anni dimostrano che la sua gestione ottimale migliora l outcome dei pazienti, riduce la mortalità e i costi. In tutti i pazienti con diabete che accedono al ricovero ospedaliero per qualunque causa, è opportuno il coinvolgimento del Servizio di Diabetologia di competenza per la 79

80 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete presa in carico del paziente e la gestione della fase acuta. Devono essere previsti percorsi assistenziali condivisi: per il paziente critico; per la gestione del paziente in degenza ordinaria; per l educazione terapeutica strutturata. In qualunque contesto assistenziale sia ricoverato il paziente con diabete, deve essere condiviso con il Servizio di Diabetologia (ospedaliero o territoriale) un percorso di dimissione protetta, che garantisca: la presa in carico pre-dimissione da parte del team diabetologico di riferimento; l educazione terapeutica del paziente da parte del personale infermieristico del Servizio di Diabetologia. La gestione ottimale del paziente diabetico in ospedale richiede, in conclusione, una formazione continua rivolta a tutti gli operatori sanitari coinvolti per migliorare la loro conoscenza sulle modalità di gestione, trattamento e cura delle persone con diabete, e richiede interventi educativi indirizzati ai pazienti per favorire l autogestione della malattia. Il ricovero ospedaliero, che rappresenta una criticità nella vita del diabetico, può così diventare un opportunità per migliorare l assistenza al paziente stesso e l outcome della malattia. Il paziente con diabete è un paziente fragile, che richiede un attenta e competente «continuità di cura», e una «dimissione protetta» dall ospedale al territorio. Il concetto di interdisciplinarietà nella gestione del diabete è chiaramente espresso già nella legge 115 del Anche documenti recenti quali la dichiarazione del Parlamento Europeo del 12 marzo 2012 e il Quaderno n 10 del Ministero della Salute del luglio-agosto 2011 ribadiscono la necessità di un impostazione interdisciplinare. Il mondo diabetologico ha sempre privilegiato il concetto di team riconoscendo l importanza di un modello di cura incentrato sui bisogni della singola persona con diabete che elimini la frammentazione della presa in carico. Perché un gruppo multidisciplinare risulti efficace, tutti i membri devono accettare che nessuno ha tutte le risposte per tutte le domande, dato che ognuno, in qualche modo, dipende dalla cultura e dalla competenza degli altri. Il concetto di team multiprofessionale nel quale il processo di cura era costituito dalla somma di singole decisioni indipendenti si è evoluto nel concetto di team interprofessionale che è un insieme unito d operatori sanitari con differenti e specifiche professionalità, che lavorano per raggiungere obiettivi comuni. È solo in questo ambito che si può configurare un coinvolgimento totale della persona con diabete all interno del team, fino a di- ventarne la componente più importante. Esempi di applicazione ormai ben collaudati di gestione interprofessionale nel campo del diabete sono la gravidanza diabetica e il piede diabetico. 80

81 Corso di alta formazione SID Modelli di gestione del paziente diabetico sul territorio Mauro Ragonese Responsabile UOS2 Centri Diabetologici e Polispecialisitci ACISMOM La relazione trae sostegno dalla consensus AMD, SID, SIEDP, OSDI, sull organizzazione dell assistenza al paziente con diabete in ospedale e sul territorio (Organizzazione dell assistenza al paziente con diabete in ospedale e sul territorio. Il giornale di AMD. 2012; vol 15, n.1: 9-25) e dal recente documento del gruppo di lavoro nazionale AMD per la diabetologia ambulatoriale (Riorganizzazione in team multiprofessionale di strutture aziendali di diabetologia sul territorio - Luglio 2012). Attualmente nell ambito della rete italiana di Diabetologia sono comprese diverse tipologie di strutture: complesse, semplici, ambulatoriali in ambito ospedaliero ed ambulatoriali in ambito territoriale. Le strutture diabetologiche distribuite sul territorio dovrebbero essere anch esse organizzate secondo le disposizioni della legge 115/87, che ha previsto l istituzione di centri diabetologici (CD) in relazione alla densità abitativa e con organizzazione assistenziale strutturata in team diabetologico multidisciplinare (TDM) coordinato dallo specialista diabetologo. Solo alcune Regioni hanno promulgato una Legge Regionale per regolamentare l assistenza diabetologica, in attuazione della legge nazionale 115/87. Di fatto però, le strutture diabetologiche che operano all interno delle ASL nelle diverse regioni si organizzano in maniera autonoma e non coordinata, anche all interno della medesima azienda sanitaria, determinando un evidente eterogeneità assistenziale. Una consistente parte delle strutture diabetologiche territoriali opera come ambulatorio diabetologico in cui il carico assistenziale è sostenuto dal solo specialista diabetologo, di frequente non affiancato da personale infermieristico dedicato e che, sebbene ubicato nell ambito di un Poliambulatorio dell ASL, non interagisce in maniera strutturata con le figure professionali proprie del team diabetologico. Solo una fetta più ridotta dell assistenza diabetologica territoriale si avvale di strutture che rispondono ai requisiti organizzativi previsti per un Centro Diabetologico con locali, attrezzature e personale infermieristico dedicato. Questi aspetti critici comportano ricadute qualitative in termini di efficacia ed appropriatezza della cura del diabete e delle sue complicanze. Inoltre, ha trovato scarsa applicazione il modello assistenziale articolato in livelli differenti di cura che impegnano, in base ai bisogni relativi alla diversa gravità della malattia diabetica, di volta in volta i medici di medicina generale, i centri diabetologici territoriali - ospedalieri e gli istituti di ricovero. Di fatto, esistono disparità sia per le modalità di accesso dei pazienti nei diversi distretti sanitari (DS), sia per le modalità di prenotazione a livello del CUP aziendale, sia per il tempo dedicato all erogazione delle prestazioni. Infine, non esiste un livello organizzativo aziendale che governi e controlli le diverse dimensioni della qualità dell assistenza erogata e, più in generale, si osserva un grado molto scarso di coinvolgimento degli operatori nei processi di cura. L eterogeneità organizzativa, presente spesso anche all interno di una stessa ASL, pregiudica la valutazione complessiva di efficacia, efficienza, appropriatezza e sicurezza e rende difficile il coinvolgimento degli operatori nel miglioramento dei risultati. La carenza di tutti questi fattori rappresenta una minaccia al requisito di equità dell assistenza e mette a rischio l empowerment del paziente. A questa fotografia dell esistente si deve aggiungere che: a) Dati recenti relativi a studi di popolazione effettuati a Torino, Firenze, Venezia, così come l annuario statistico Istat 2010, indicano che è affetto da diabete il 4,9% degli italiani (5% donne e 4,6% uomini) (Figure 1, 2). b) L assistenza al diabete è una componente essenziale nel controllo degli alti costi sanitari della malattia che, nei paesi europei, Italia inclusa, rappresentano circa il 7-10% della spesa sanitaria globale (Figure 3, 4, 5). c) Ogni anno, un numero crescente di persone con diabete si rivolge alle strutture specialistiche, con una frequenza che è funzione dell aumento d incidenza del diabete, e della complessità e gravità del quadro clinico. Discende da questa premessa la necessità prioritaria di un adeguata allocazione di risorse per il potenziamento di un modello organizzativo di cura, che si è dimostrato efficace nel migliorare gli esiti e i costi della malattia. d) In Italia, la cura delle persone con diabete è sancita dalla legge 115/87, la quale garantisce 81

82 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete 3) Franciosi M, De Berardis G, Rossi MC, Sacco M, Belfiglio M, Pellegrini F, Tognoni G, Valentini M, Nicolucci A. Use of the diabetes risk score for opportunistic screening of undiagnosed diabetes and impaired glucose tolerance: the IGLOO (Impaired Glucose Tolerance and Long- Term Outcomes Observational) study. Diabetes Care 2005;28: ) Lucioni C, Mazzi S, Serra G. L impatto delle complicanze diabetiche su costi sanitari e quaa tutti i pazienti diabetici l assistenza specialistica diabetologica e identifica, in base all art. 2, la Struttura di diabetologia come l unità organizzativa per l erogazione delle prestazioni e dei presidi necessari. Date queste premesse ampio spazio devono trovare, nell immediato futuro, le strategie per migliorare la qualità e l appropriatezza delle cure nell assistenza alla persona con diabete. Tali strategie non possono prescindere da un adeguata integrazione dei vari livelli assistenziali coinvolti nel percorso di cura della patologia diabetica [ASSISTENZA DI BASE PRIMARIA - SPE- CIALISTICA (TERRITORIO - CENTRI DIABETOLO- GICI) - OSPEDALE]. Dati internazionali sottolineano come siano la strutturazione del percorso di cura (Structured Care o PDTA), la qualità dell assistenza, valutata sia come processo sia come esito intermedio e il richiamo periodico a garantire la miglior prognosi del paziente diabetico. Altri studi evidenziano come l assistenza specialistica operi con particolare tempestività nell avvio di terapie più complesse e risolutive e si dimostri efficace nel prevenire le complicanze. Dati italiani dimostrano che la sinergia tra l assistenza specialistica delle Strutture di diabetologia e la Medicina generale riduce sino al 65% i ricoveri ospedalieri del paziente diabetico e sino al 25% la degenza ospedaliera e triplica la probabilità che il paziente sia seguito secondo le linee guida. Recentemente, uno studio di coorte su tutti i pazienti con diabete mellito della città di Torino, seguiti prospetticamente per quattro anni, ha evidenziato che i diabetici in carico alle strutture, e con buona aderenza alle linee guida, presentano una riduzione sino a due volte della mortalità totale, cardiovascolare e per cancro rispetto ai pazienti non in carico alle strutture e nei cui confronti non siano state applicate le linee guida. Bibliografia 1) Organizzazione dell assistenza al paziente con diabete in ospedale e sul territorio. Il giornale di AMD. 2012; vol 15, n.1: ) Mazzaglia G, Yurgin N, Boye KS, Trifirò G, Cottrell S, Allen E, Filippi A, Medea G, Cric elli C.Prevalence and antihyperglycemic prescribing trends for patients with type 2 diabetes in Italy: a 4-year retrospective study from national primary care data. Pharmacol Res 2008;57: Figura 1 Figura 2 Figura 3 82

83 Corso di alta formazione SID Figura 4 Figura 5 G; AMD-Annals Study Group. Four-year impact of a continuous quality improvement effort implemented by a network of diabetes outpatient clinics: the AMD-Annals initiative. Diabet Med 2010;27: ) Rossi MC, Comaschi M, Ceriello A, Coscelli C, Cucinotta D, De Cosmo S et al. Correlation between structure characteristics, process indicators and intermediate outcomes in DM2: the QUASAR (Quality Assessment Score and Cardiovascular Outcomes in Italian Diabetic Patients) study. 68th Scientific Session, American Diabetes Association, June 6-10, San Francisco, CA 2008:1187-P, A338. 8) Giorda C, Petrelli A, Gnavi R, Regional Board for Diabetes Care of Piemonte. The impact of second-level specialized care on hospitalization in persons with diabetes: a multilevel population-based study. Diabet Med 2006;23: ) Gnavi R, Picariello R, Karaghiosoff L, Costa G, Giorda C. Determinants of quality in diabetes care process: The population-based Torino Study. Diabetes Care 2009;32: ) Giorda C, Marafetti L, Nada E, Tartaglino B, Costa G, Gnavi R. Impatto sulla mortalità e morbilità di modelli assistenziali con e senza l integrazione di un Servizio di diabetologia. Abstract del XVIII Congresso Nazionale AMD, Rossano Calabro maggio ) AMD, SID, SIMG, FIMMG, SNAMI, SNAMID. Nuovi standard di cura e team di cura integrati per il diabete. L assistenza integrata alla persona con diabete mellito tipo Luglio ) AMD-SID. Standard Italiani per la cura del Diabete Mellito Figura 6 lità della vita nei pazienti con diabete di tipo 2: i risultati dello studio CODE-2. Il Diabete sett. 2000; ) Lucioni C, Garancini MP, Massi-Benedetti M, et al. Il costo sociale del diabete di tipo 2 in Italia: lo studio CODE-2. PharmacoEconomics - Italian Research Articles 2000;2: ) Nicolucci A, Rossi MC, Arcangeli A, Cimino A, de Bigontina G, Fava D, Gentile S, Giorda C, Meloncelli I,Pellegrini F, Valentini U, Vespasiani 83

84 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Note 84

85 Corso di alta formazione SID Note 85

86 Diabete tipo 2, terapia insulinica e gestione delle complicanze del diabete Note 86

87 Corso di alta formazione SID 87

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