Geometria Analitica e Algebra Lineare

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1 UNIVERSITÁ DI PISA FACOLTÁ DI MATEMATICA APPUNTI DI Geomeria Analiica e Algebra Lineare Giacomo Mezzedimi fruo della rielaborazione delle lezioni enue dai professori E Foruna R Frigerio aa /5/217

2 INTRODUZIONE Quesi appuni nascono dall esigenza mia (ma credo anche di alri) di un supporo per lo sudio del corso Geomeria Analiica e Algebra Lineare al primo anno; a differenza infai di moli alri corsi, non è facile rovare del maeriale adao da affiancare durane lo sudio Sosanzialmene quese pagine conengono gli argomeni svoli dalla professoressa E Foruna e dal professore R Frigerio durane l anno accademico , anno in cui io ho seguio il corso; mole pari sono prese dai lucidi della professoressa Foruna, ma alcune sono sae riadaae/modificae/compleae per dare una coninuià al eso I paragrafi 36 (Basi cicliche per endomorfismi) e 53 (Geomeria affine euclidea) sono sai aggiuni nel giugno del 215, in quano svoli nell aa ; voglio ringraziare a al proposio Dario Balboni, che ha realizzao quesi due paragrafi, olre ad avermi aiuao nell opera di correzione del eso Voglio infine ringraziare ui quelli che hanno conribuio o conribuiranno a migliorare quesi appuni: è impossibile rendere un eso compleamene privo di errori, ma l obieivo è quello di ripulirlo più possibile; invio dunque ui a segnalarmi qualunque ipo di errore/imprecisione presene in quese pagine (la mia è mezzedimi@maildmunipii) Nella speranza che quesi appuni vi siano uili, vi auguro un buono sudio Giacomo Mezzedimi (con l acceno sulla seconda e) 1

3 SOMMARIO CAPITOLO 1: Prime definizioni e proprieà 3 11 Prime definizioni 3 12 Sruure algebriche 6 CAPITOLO 2: Spazi veoriali e applicazioni lineari Spazi veoriali Spazi di marici Soospazi e combinazioni lineari Applicazioni lineari Sisemi lineari Basi e dimensione 3 27 Rango SD-equivalenza Spazio duale 47 CAPITOLO 3: Endomorfismi 5 3 Alcune nozioni sulle permuazioni 5 31 Deerminane Endomorfismi simili 6 33 Diagonalizzabilià Triangolabilià Forma canonica di Jordan Basi cicliche per endomorfismi 9 CAPITOLO 4: Forme bilineari Forme bilineari e forme quadraiche Congruenza e decomposizione di Wi Isomerie Aggiuno Spazi euclidei Il eorema sperale reale 123 CAPITOLO 5: Spazi affini Isomerie affini Spazi e soospazi affini Geomeria affine euclidea Affinià di K n Quadriche 148 2

4 1 PRIME DEFINIZIONI E PROPRIETÁ 11 PRIME DEFINIZIONI DEFINIZIONE 111: Siano A, B insiemi Diciamo che: A è sooinsieme di B (A B oppure A B) se a A, a B; A è uguale a B (A = B) se A B B A Se un insieme è finio, si può definire elencando ui i suoi elemeni: A = {a 1,, a n } Se un insieme è infinio, si definisce enunciando la proprieà che caraerizza ui i suoi elemeni: A = {x P(x)} Esempio: P = {a N a (2)} è l insieme dei numeri pari DEFINIZIONE 112: Dai A, B insiemi, definiamo: unione di due insiemi A B = {x x A x B}; inersezione di due insiemi A B = {x x A x B}; differenza di due insiemi A B = A\B = {x x A x B}; prodoo caresiano di due insiemi A B = {(a, b) a A, b B} DEFINIZIONE 113: Una applicazione è una erna f: A B, dove A e B sono insiemi, chiamai rispeivamene dominio e codominio, e f è una legge che associa ad ogni elemeno x A uno e un solo elemeno f(x) di B id A : A A è l applicazione idenica, ale che x A, id A (x) = x DEFINIZIONE 114: Daa un applicazione f: A B, si definisce immagine di f l insieme Im(f) = {y B x A ale che f(x) = y} Vale sempre Im(f) B Esempio: f: N N f(x) = 2x; Im(f) = {pari} In generale, se W A, allora f(w) = {y B x W ale che f(x) = y} perciò f(w) B DEFINIZIONE 115: Si definisce resrizione di f a W, dove f: A B e W A, come la funzione f W : W B ale che x W (f W )(x) f(x) In parole povere, f W agisce come f ma in un dominio risreo; si parla infai di una resrizione del dominio Perciò: Im(f W ) = f(w) DEFINIZIONE 116: Sia f: A B e Z B Si indica con f 1 (Z) il sooinsieme del dominio che coniene ui gli elemeni che hanno immagine in Z, cioè: f 1 (Z) = {x A f(x) Z} 3

5 f 1 (Z) viene chiamaa conroimmagine di Z DEFINIZIONE 117: Una applicazione f: A B si dice: surgeiva se Im(f) = B oppure equivalenemene se y B, x A f(x) = y; inieiva se x, y A, x y f(x) f(y) oppure equivalenemene se f(x) = f(y) x = y; bigeiva (o biunivoca) se è sia inieiva che surgeiva DEFINIZIONE 118: Daa un applicazione f: A B bigeiva, si definisce funzione inversa f 1 : B A ale che y B, f 1 (y) = x, dove x f(x) = y L unicià della x viene garania dalla bigeivià di f DEFINIZIONE 119: Dae f: A B e g: B C, si definisce composizione di funzioni la funzione g f: A C ale che x A (g f)(x) g(f(x)) PROPOSIZIONE 111: Im(g f) = Im(g Im(f) ) Enrambi i conenimeni derivano direamene dalla definizione di composizione DEFINIZIONE 111: Dao un insieme E, si definisce relazione R su E come un sooinsieme di E E ale che (x, y) R per alcuni x, y E (x, y) R viene comunemene scrio xry (x è in relazione con y) DEFINIZIONE 1111: Una relazione R si dice di equivalenza se: è riflessiva, cioè x E, xrx; è simmerica, cioè xry yrx; è ransiiva, cioè xry yrz xrz DEFINIZIONE 1112: Sia R una relazione di equivalenza x E, si definisce classe di equivalenza di x l insieme [x] = {y E xry}, cioè l insieme degli elemeni di E in relazione con x Evidenemene x E, [x], poiché x [x] LEMMA 112: Siano x, y E e sia R una relazione di equivalenza su E Allora [x] = [y] xry ) x [x] x [y] xry ) Sia z [x]; allora zrx Ma xry per ipoesi, quindi per ransiivià zry z [y] Perciò [x] [y] Analogamene si prova che [y] [x], da cui la esi PROPOSIZIONE 113: Le classi di equivalenza formano una parizione, cioè: 1) ogni classe è non vuoa; 2) x E [x] = E; 4

6 3) [x] [y] [x] = [y] 1) già faa 2) x E, [x] E x E[x] E; x E, x [x] E x E [x], da cui segue la esi 3) [x] [y] z [x] [y] zrx zry xry e per il lemma precedene ho che [x] = [y], cioè la esi Esempio: E = R, (x, y) R x y Z Quesa relazione è di equivalenza, in quano: 1) è riflessiva, poiché x x = Z; 2) è simmerica, poiché se x y = k Z y x = k Z; 3) è ransiiva, poiché se x y = k 1 Z e y z = k 2 Z x z = k 1 + k 2 Z DEFINIZIONE 1113: Si definiscono rappresenani di una classe di equivalenza ui gli elemeni di una cera classe DEFINIZIONE 1114: Sia E e R una relazione di equivalenza su E Si definisce insieme quoziene E/ R {[x] x E} (si legge E modulo R) DEFINIZIONE 1115: Si definisce proiezione naurale al quoziene l applicazione: π R : E E/ R π R (x) = [x] π R è surgeiva poiché ogni classe di E/ R è immagine di ui i suoi rappresenani Per lo sesso moivo non è inieiva PROPOSIZIONE 114 (Leggi di De Morgan): Sia X un insieme e A, B X Allora, se A = X\A: 1) (A B) = A B 2) (A B) = A B 1) x (A B) x A B x A x B x A x B x A B 2) Analoga PROPOSIZIONE 115: Sia f: X Y Allora: 1) g: Y X f g = id Y (inversa desra) f è surgeiva; 2) g: Y X g f = id X (inversa sinisra) f è inieiva; 3) g è unica sia in 1) che in 2) 1) ) y Y, y = f(g(y)) ogni y Y appariene a Im(f) f è surgeiva ) f surgeiva y Y x X f(x ) = y Scelgo g g(y ) = x y Y Allora f(g(y )) = y y Y f g = id Y 2) Analoga 3) g è fissaa y Y, dunque è sicuramene unica 5

7 12 STRUTTURE ALGEBRICHE DEFINIZIONE 121: Dao un insieme A, si definisce operazione su A un applicazione: : A A A Esempio: la somma su Z è definia come +: Z Z Z + (x, y) = x + y DEFINIZIONE 122: La coppia (A, ), con A insieme e operazione su A, si chiama gruppo se valgono le segueni proprieà: 1) associaiva: a, b, c A, (a b) c = a (b c); 2) dell elemeno neuro: a A e A a e = e a = a; 3) dell inverso: a A b A a b = b a = e Se vale anche la proprieà commuaiva (cioè a, b A, a b = b a), allora (A, ) si dice gruppo abeliano Esempi: (N, +) non è un gruppo (non vale la proprieà dell inverso) (Z, +) è un gruppo abeliano (R, ) non è un gruppo perché non esise l inverso di (R\{}, ) è un gruppo abeliano TEOREMA 121: Dao un gruppo (A, ): 1) l elemeno neuro è unico 2) l inverso di un elemeno è unico 3) se a, b, c A e a b = a c, allora b = c (legge di cancellazione) 1) Siano e 1, e 2 elemeni neuri Allora: e 1 = e 1 e 2 = e 2, da cui e 1 = e 2 2) Sia a A Se a 1 e a 2 sono inversi di a allora: a 1 = e a 1 = (a 2 a) a 1 = a 2 (a a 1 ) = a 2 e = a 2 da cui a 1 = a 2 3) Se a 1 è l inverso di a, allora a b = a c a 1 a b = a 1 a c e b = e c b = c DEFINIZIONE 123: Siano f, g: A B Si dice che f = g x A, f(x) = g(x) DEFINIZIONE 124: Siano +, operazioni in A, con A insieme La erna (A, +, ) si dice anello se: 1) (A, +) è un gruppo abeliano; 2) (associaiva di ) a, b, c A, (ab)c = a(bc); 3) (elemeno neuro per ) 1 a A, a 1 = 1 a = a; 4) (disribuiva) a, b, c A, (a + b) c = ac + bc; a (b + c) = ab + ac Se inolre l operazione è commuaiva, cioè a, b A, a b = b a, l anello si dice commuaivo Esempio: (Z, +, ) è un anello commuaivo 6

8 DEFINIZIONE 125: (A, +, ) è un campo se: 1) (A, +, ) è un anello commuaivo; 2) a A, a (dove lo rappresena l elemeno neuro per la somma) b A ab = ba = 1 Noazione: l inverso rispeo alla somma a 1 si denoa con a Esempi: (Q, +, ) è un campo (R, +, ) è un campo (Z, +, ) non è un campo perché a 1 b Z ab = 1 PROPOSIZIONE 122: Sia (A, +, ) un anello Allora: 1) a A, a = a = ; 2) a A, ( 1) a = a ( 1 rappresena l inverso rispeo alla somma dell elemeno neuro per il prodoo) 1) a = a ( + ) = a + a Sommando da enrambe le pari l inverso dell elemeno a : a a = a + a a a = 2) Dobbiamo verificare che ( 1) a + a = ( 1) a + a = ( 1) a + 1 a = (( 1) + 1) a = a = PROPOSIZIONE 123: Sia (K, +, ) un campo Allora ab = a b = a 1, dunque: ab = a 1 ab = a 1 = 1 b = b = Queso significa che in un campo non esisono divisori di, cioè, dao un a K\{}, b K\{} ab = DEFINIZIONE 126: Definiamo l insieme dei numeri complessi C = {a + ib a, b R}, dove i è l unià immaginaria ale che i 2 = 1 DEFINIZIONE 127: Definiamo su C una somma e un prodoo: +: C C C (a + ib, c + id) (a + ib) + (c + id) (a + c) + i(b + d); C C C (a + ib, c + id) (a + ib) (c + id) (ac bd) + i(ad + bc) DEFINIZIONE 128: a + ib, c + id C, a + ib = c + id a = c b = d PROPOSIZIONE 124: (C, +, ) è un campo (C, +) è evidenemene un gruppo abeliano; è associaiva; ha un elemeno neuro, il numero 1 = 1 + i; gode della proprieà disribuiva: 7

9 ((a + bi) + (c + di)) (e + if) = ((a + c) + i(b + d)) (e + if) = (ae + ce bf df) + i(af + cf + be + de), (a + bi) (e + if) + (c + di) (e + if) = (ae bf) + i(af + be) + (ce df) + i(cf + de) = (ae bf + ce df) + i(af + be + cf + de); (a + bi) (c + di) = (c + di) (a + bi) = (ac bd) + i(ad + bc), dunque gode della proprieà commuaiva; z = a + bi C, w C wz = zw = 1 a b Infai poniamo w = i a 2 +b 2 a 2 +b2 Allora: a zw = (a + bi) ( a 2 + b 2 i b a 2 + b 2) = a2 + b 2 a 2 + b 2 + i ( ab a 2 + b 2 ab a 2 + b 2) = 1 DEFINIZIONE 129: Sia K un campo Si definisce polinomio nell indeerminaa x a coefficieni in K p(x) = a i x i, con a i K i n n i= DEFINIZIONE 121: Sia K[x] l insieme dei polinomi in x a coefficieni in K n K[x] = {p(x) = a i x i a i K i} DEFINIZIONE 1211: Due polinomi p(x) = n i= a i x i, q(x) = n i= b i x i K[x] si dicono uguali si a i = b i i n Noiamo che se gli esponeni massimi di p(x) e q(x) sono diversi, è sufficiene aggiungere ermini del ipo x k per renderli uguali Noazione: Si denoa con K[x] il polinomio con ui i coefficieni nulli i= DEFINIZIONE 1212: Dao p(x) = deg(p(x)) = max{i N a i } n i= a i x i K[x]\{}, si definisce grado del polinomio DEFINIZIONE 1213: Dai p(x) = n i= a i x i e q(x) = n i= b i x i (p + q)(x) n i= (a i + b i )x i ; (pq)(x) 2n i= c i x i i, dove c i = j= a j b i j K[x], definiamo: PROPOSIZIONE 125: (K[x], +, ) è un anello commuaivo ma non un campo (K[x], +) è evidenemene un gruppo abeliano; inolre valgono le proprieà associaiva, disribuiva e commuaiva di perché valgono in K; ha l elemeno neuro p(x) 1 Dunque è un anello commuaivo Poiché deg(pq(x)) = deg(p(x)) + deg(q(x)) (basa vedere che il coefficiene di grado massimo è il prodoo di due ermini ), allora se esisesse p 1 (x), = deg 1 = deg(p(x)) + deg(p 1 (x)) p(x) deg p > p 1 (x) (K[x], +, ) non è un campo TEOREMA 126 (di divisione in Z): a, b Z b unici q, r Z: a = bq + r; r < b 8

10 TEOREMA 127 (di divisione in K[x]): a(x), b(x) K[x]\{} unici q(x), r(x) K[x]: a(x) = b(x)q(x) + r(x); deg(r(x)) < deg(b(x)) Noiamo una similiudine fra la divisione in Z e in K[x], poiché c è una similiudine srea fra la funzione valore assoluo e la funzione deg Osservazione: se r(x) = b(x) a(x) DEFINIZIONE 1214: a K si dice radice di p(x) se p(a) = TEOREMA 128 (di Ruffini): se a è radice di p(x), allora (x a) p(x) Applico il eorema di divisione; q(x), r(x) K[x] ali che: p(x) = (x a)q(x) + r(x) {, dunque r(x) = cosane deg(r(x)) < deg(x a) = 1 Valuo in a: = p(a) = (a a)q(a) + r(a) = r(a), da cui segue la esi DEFINIZIONE 1215: Sia a una radice di p(x) Si definisce moleplicià algebrica della radice a il massimo numero naurale m ale che (x a) m p(x) TEOREMA 129 (fondamenale dell algebra): Ogni polinomio p(x) C[x] di grado n 1 ha almeno una radice COROLLARIO 121: Ogni polinomio p(x) C[x] di grado n 1 ha esaamene n radici (conae con moleplicià) Per induzione su n: Passo base): n = 1, ovvio Passo induivo): Per il eorema, so che a radice di p(x), quindi per Ruffini p(x) = (x a) p 1 (x), con deg(p 1 (x)) = n 1, dunque per ipoesi induiva p 1 (x) ha esaamene n 1 radici conae con moleplicià Dunque p(x) ne ha n, da cui la esi DEFINIZIONE 1216: Un polinomio p(x) K[x] si dice irriducibile su K[x] se non può essere scrio come p(x) = a(x)b(x), con a(x), b(x) K[x] non cosani Esempi: I polinomi di grado 1 sono sempre irriducibili ax 2 + bx + c è riducibile su R[x] se ha radici (poiché la faorizzazione di un polinomio di secondo grado può avvenire solo per mezzo di due polinomi di grado 1), quindi è riducibile Δ b 2 4ac x 2 2 è riducibile su R[x], ma non è riducibile su Q[x] 9

11 DEFINIZIONE 1217: Si definisce l operazione prodoo per scalari in K[x]: :K K[x] K[x] (α, p(x)) αp(x), con α K e p(x) K[x] Se p(x) = n i= a i x i, allora αp(x) = n i= (αa i )x i PROPOSIZIONE 1211: (K[x], +, ), dove è il prodoo per scalari, è un anello (nel senso che + e K K[x] soddisfano le proprieà di anello) Poiché (K[x], +) è un gruppo abeliano, le resani verifiche sono immediae Riprendiamo la noazione S(X) = {f: X X f bigeiva}, dove X è un insieme PROPOSIZIONE 1212: La funzione inversa f 1 di una funzione f: X Y bigeiva è bigeiva f 1 è inieiva, poiché se non lo fosse due elemeni del dominio sarebbero immagine di un solo elemeni del codominio, quindi f 1 f id X Poiché f f 1 = id, allora x X, (f f 1 )(f(x)) = f(x), ma f è bigeiva, dunque (f 1 f)(x) = x f è un inversa desra, quindi f 1 è surgeiva PROPOSIZIONE 1213: (S(X), ) è un gruppo (in generale non abeliano) L elemeno neuro è evidenemene id X, e poiché abbiamo viso che l inversa di una funzione bigeiva è bigeiva, resa la banale verifica dell associaivià Abbiamo inolre viso che in generale le funzioni non commuano, dunque ho la esi PROPOSIZIONE 1214: (S(X), ) è un gruppo abeliano X 2 Sicuramene se X = 1 S(X) = {id} (S(X), ) è gruppo abeliano Se X = 2 S(X) = {id, f}, dove f f = id, dunque (S(X), ) è gruppo abeliano Se X = 3, supponiamo X = {a, b, c} Sia f: X X f(a) = b, f(b) = a, f(c) = c e sia g: X X g(a) = b, g(b) = c, g(c) = a Allora (f g)(a) = f(g(a)) = f(b) = a; (g f)(a) = g(b) = c, quindi per X = 3, (S(X), ) non è un gruppo abeliano Per X > 3 il ragionameno è analogo, basa scegliere come conroesempio il precedene eseso con l idenià agli alri elemeni di X Osservazione: Ogni gruppo G di due elemeni è abeliano La dimosrazione è analoga alla precedene Osservazione: Esisono campi con un numero finio di elemeni Prendiamo F = {[] 3, [1] 3, [2] 3 }, dove [a] 3 è la classe di reso a nella divisione per 3 Definendo [a] 3 [b] 3 = [ab] 3 e [a] 3 + [b] 3 = [a + b] 3, non è difficile mosrare che (F, +, ) è un campo 1

12 Noazione: Sia K un campo e n N, n 1 Si denoa con: K n = K K il prodoo caresiano di K per se sesso n vole Perciò K n = {(x 1,, x n ) x i K i} n vole DEFINIZIONE 1218: Definiamo una somma e un prodoo per scalari su K n : +: K n K n K n (x 1,, x n ) + (y 1,, y n ) (x 1 + y 1,, x n + y n ); K K n K n α (x 1,, x n ) (αx 1,, αx n ) PROPOSIZIONE 1215: (K n, +, ) è un anello (nello sesso senso della PROPOSIZIONE 1211) Le semplici verifiche sono lasciae al leore PROPOSIZIONE 1216: Siano f(), g() polinomi in R[], con f() Sia h() un polinomio in C[] f() = g() h() in C[], allora h() R[] Dimosrazione 1: Siano f() = a n n + +a, g() = b m m + +b, h() = c l l + +c, a n, b m, c l La nosra ipoesi è che a i, b j R i, j Mosriamo con l induzione II su i che c l i R Passo base): Poiché f() = g() h() e b m c l = a n b m R Passo induivo): Mosriamo che se c l i R i k c l k 1 R a n k 1 = b m c l k 1 + b m 1 c l k + +b m k 1 c l, perciò c l k 1 = a n k 1 b m 1 c l k b m k 1 c l b m Ma ui i ermini della frazione R, dunque ho la esi Dimosrazione 2: Poiché in C[] ho che f() = g() h() e f(), allora g() Dunque divido f() per g() in R[]: f() = g() q() + r() in R[] e dunque in C[] deg r() < deg g() Allora g()h() = g()q() + r() in C[] g()(h() q()) = r() in C[], ma deg r() < deg g() e poiché il grado è addiivo, allora h() q() = h() = g() R[] DEFINIZIONE 1218: Sia c: C C l applicazione definia in modo ale che associ ad ogni numero complesso z = a + bi il suo coniugao z = a bi c prende il nome di coniugio ed è evidenemene biunivoca PROPOSIZIONE 1217: 1) z = z z R 2) z 1 + z 2 = z 1 + z 2 3) z 1 z 2 = z 1 z 2 4) z = z 5) z + z R, z z R Quese semplici verifiche sono lasciae al leore per esercizio 11

13 COROLLARIO 1218: 1) n i=1 z i = i=1 z i 2) n n i=1 z i = i=1 z i 3) z n = z n 1) Per induzione su n 2: Passo base): n = 2, già viso; n Passo induivo): n i=1 z i = n 1 i=1 z i + z n = (ip ind ) = i=1 z i + z n = z i 2) Analoga 3) È un caso paricolare del 2) con z 1 = = z n = z n 1 n i=1 PROPOSIZIONE 1218: Sia f() R[]\{} e sia α un numero complesso non reale Allora, se α è radice di f(): 1) anche α è radice di f(); 2) la moleplicià algebrica di α è uguale a quella di α 1) Poiché α è radice di f(), allora f(α) = n i= a i α i = Allora: = a n α n + +a = a n α n + +a = a n α n + +a = (poichè a i R) = a n α n + +a = a n α n + +a = f(α) 2) Dimosriamolo per induzione II su n = deg f(): Passo base): n = f() = β f() non ha radici, quindi moleplicià algebrica di α = moleplicià algebrica di α = Passo induivo): Supponiamo che l enunciao sia vero k n e dimosriamo che è vero per n + 1 Se né α né α sono radice, ho la esi Alrimeni f(α) = e f(α) = Dunque f() = ( α)g() per Ruffini in C[] Valuando in α: = f(α) = (α α)g(α), ma α α, dunque g(α) = e quindi ( α) g() f() Per cui f() = ( α)( α)h() = ( 2 (α + α) + αα)h() Sappiamo che α + α, αα R, dunque per la proposizione 1216 so che h() R[] Applicando l ipoesi induiva a h(), vediamo che la moleplicià algebrica μ di α e μ di α in h() coincidono, ma le loro moleplicià in f() sono semplicemene μ + 1 e μ + 1, che quindi coincidono 12

14 2 SPAZI VETTORIALI E APPLICAZIONI LINEARI 21 SPAZI VETTORIALI DEFINIZIONE 211: Un K-spazio veoriale è una quaerna (V, +,, K), dove K è un campo e V insieme +: V V V K V V ali che: 1) (V, +) è un gruppo abeliano; 2) α, β K, x V, (αβ)x = α(βx); 3) α, β K, x V, (α + β)x = αx + βx; 4) α K, x, y V, α(x + y) = αx + αy; 5) x V, 1 x = x PROPOSIZIONE 211: Sia (V, +,, K) un K-spazio veoriale Allora: 1) è unico; 2) x V, x è unico; 3) x V, x = ; 4) α K, α = 5) α K, x V, αx = α = x = ; 6) x V, ( 1) x = x 1), 2) derivano dal fao che (V, +) è un gruppo abeliano 3) x = ( + ) x = x + x x = 4) analoga alla 3) 5) Se α =, abbiamo subio la esi Se α = α 1 = α 1 a x = 1 x = x 6) x + ( 1) x = 1 x + ( 1) x = (1 + ( 1)) x = x = DEFINIZIONE 212: Ogni elemeno di uno spazio veoriale si definisce veore Noazione: Al poso di x + ( y) scriveremo x y PROPOSIZIONE 212: K n è un K-spazio veoriale n 1 La verifica è lasciaa al leore Osservazioni: Se V = K, il prodoo per scalari è definio K K K, dove il primo K rappresena il campo degli scalari, menre il secondo lo spazio veoriale Per l osservazione precedene C è un C-spazio veoriale Consideriamo ora una resrizione dell operazione prodoo per scalari su R, cioè R C C 13

15 Poiché R C, le definizioni che valgono su C valgono anche su R; perciò C è un R-spazio veoriale In generale possiamo effeuare una resrizione del campo degli scalari, cioè se K è soocampo di K (K K e K è chiuso rispeo a + e ), ogni K-spazio veoriale è anche un K -spazio veoriale Fissiamo nel piano due assi caresiani Allora la funzione: Piano R 2 P (x P, y P ) è biunivoca Inolre la funzione: Piano veori usceni da O è biunivoca, dunque possiamo idenificare P con (x P OP P, y P ) e con OP Quindi la somma in R 2 corrisponde alla regola del parallelogramma 22 SPAZI DI MATRICI DEFINIZIONE 221: Definiamo l insieme M(p, n, K) come l insieme delle marici p n, cioè con p righe e n colonne, a coefficieni in K DEFINIZIONE 222: Una marice di dice quadraa se p = n e l insieme delle marici n n si indica con M(n, K) (o più semplicemene con M(n)) Noazioni: Per indicare l elemeno di poso i, j della marice A si usa il simbolo [A] ij ; A i indica l i-esima riga di A; A j indica la j-esima colonna di A; rappresena la marice nulla, cioè [] ij = i, j DEFINIZIONE 223: Siano A, B M(p, n, K) marici Allora si dice che A e B sono uguali se [A] ij = [B] ij i, j DEFINIZIONE 224: A, B M(p, n, K), poniamo: [A + B] ij [A] ij + [B] ij i, j; [αa] ij α[a] ij i, j PROPOSIZIONE 221: M(p, n, K) è un K-spazio veoriale Le verifiche sono immediae Osservazione: L applicazione: K n M(n, 1, K) x 1 (x 1,, x n ) ( ) x n è bigeiva, quindi scriveremo indifferenemene un veore di K n come n-upla o come colonna 14

16 DEFINIZIONE 225: A M(n) si dice: diagonale se [A] ij = i j; simmerica se [A] ij = [A] ji i, j; anisimmerica se [A] ij = [A] ji i, j (dunque [A] ii = i); riangolare superiore se [A] ij = i > j Noazione: Denoeremo: D(n) = {A M(n) A è diagonale}; S(n) = {A M(n) A è simmerica}; A(n) = {A M(n) A è anisimmerica}; T(n) = {A M(n) A è riangolare superiore} PROPOSIZIONE 222: Ogni spazio di polinomi K[x] è un K-spazio veoriale DEFINIZIONE 226: Sia A un insieme e V un K-spazio veoriale Definiamo F(A, V) = {f: A V} ale che f, g F(A, V), α K: (f + g)(x) f(x) + g(x) x A; (αf)(x) αf(x) x A PROPOSIZIONE 223: F(A, V) è uno spazio veoriale di funzioni Osservazioni: F(N, K) = {successioni a valori in K} F({1,, n}, K) = K n F({1,, p} {1,, q}, K) = M(p, q, K) 23 SOTTOSPAZI E COMBINAZIONI LINEARI DEFINIZIONE 231: Dao V K-spazio veoriale, W V si dice soospazio veoriale di V se: 1) V W; 2) x, y W, x + y W (cioè W è chiuso rispeo alla somma); 3) α K, x W, αx W (cioè W è chiuso rispeo al prodoo per scalari) Quindi, poiché se le 8 proprieà di spazio veoriale valgono per V, allora valgono anche per W e poiché + e sono chiusi rispeo a W, allora W è uno spazio veoriale PROPOSIZIONE 231: D(n), S(n), A(n), T(n) sono soospazi veoriali di M(n) Dimosriamolo per D(n), per gli alri il procedimeno è analogo 1) D(n), poiché [] ij = i j; 2), 3) Evidenemene, se A, B D(n), allora A + B D(n) e αa D(n) Noazione: Fissao m N, si denoi con K m [x] = {p(x) K[x] deg p(x) m} l insieme dei polinomi di K[x] di grado m 15

17 PROPOSIZIONE 232: m N, K m [x] è soospazio veoriale di K[x] La verifica è lasciaa al leore PROPOSIZIONE 233: Le ree in R 2 per l origine sono soospazi veoriali di R 2 Le ree e i piani per l origine in R 3 sono soospazi veoriali di R 3 Semplice verifica PROPOSIZIONE 234: Se {W i } i I è una famiglia arbiraria di soospazi veoriali di V, allora i I W i è soospazio veoriale di V 1) V W i i I, perciò V i I W i 2), 3) Se + e sono chiusi in W i i I, a maggior ragione saranno chiusi in i I W i DEFINIZIONE 232: Dai v 1,, v n V e α 1,, α n K, si definisce combinazione lineare dei v 1,, v n il veore α 1 v 1 + +α n v n V DEFINIZIONE 233: Dao S V, denoiamo con: Span(S) {v V v 1,, v n S, α 1,, α n K per cui v = α 1 v 1 + +α n v n } Esempio: V = R 2, S = {(1,1)} Span(S) = {a(1,1) a R}, cioè Span(S) è semplicemene la rea passane per l origine e per (1,1) (che è quindi uno spazio veoriale) PROPOSIZIONE 235: 1) Span(S) è soospazio veoriale di V S V 2) S Span(S) 3) Se W è soospazio veoriale di V S W Span(S) W = Span(S) 1) Semplice verifica 2) Ovvia 3) Sappiamo che W Span(S) per ipoesi, dunque basa dimosrare che Span(S) W Se v Span(S) v = α 1 v 1 + +α n v n per ceri v 1,, v n S, α 1,, α n K Ma v 1,, v n S W, dunque, poiché W è soospazio veoriale, v = α 1 v 1 + +α n v n W, da cui segue immediaamene la esi PROPOSIZIONE 236: Span(S) = Evidenemene S Inolre W ssv di V W S W ssv di V W S W ssv di V W S W W, poiché inerseco insiemi che conengono S W Span(S), poiché fra i W che inerseco c è anche Span(S), dunque l inersezione sarà sicuramene più piccola di Span(S) 16

18 Grazie alla proposizione precedene, ho la esi Osservazione: In generale l unione di soospazi veoriali non è un soospazio veoriale Esempio: V = R 2 e prendiamo due ree per l origine disine come soospazi Vediamo che evidenemene la somma non è chiusa, dunque u v non è soospazio di R 2 DEFINIZIONE 234: Siano U, W soospazi veoriali di V Definiamo l insieme somma: U + W {x V u U, w W c x = u + w} Osservazione: Se ad esempio U e W sono due ree per l origine disine, con combinazioni lineari di veori su di esse posso individuare qualsiasi alro veore di R 2, semplicemene scomponendolo nelle due componeni Dunque U + W = R 2 PROPOSIZIONE 237: U + W è soospazio veoriale di V ed è il più piccolo soospazio conenene U e W Evidenemene U + W è soospazio veoriale Ovviamene U U + W, poiché u U, u = u + U + W; analogamene W U + W Prendiamo Z soospazio di V ale che U Z e W Z e mosriamo che U + W Z Infai u U, w W, u, w Z, ma Z è soospazio veoriale u + w Z esi Osservazioni: In R 2 se sessa se collineari, rea + rea =< R 2 ; alrimeni In R 3, rea + rea = piano che le coniene; In R 3, piano + rea = R 3 DEFINIZIONE 235: Se U W = {}, la somma U + W si denoa con U W e prende il nome di somma direa PROPOSIZIONE 238: Ogni veore in U W si scrive in modo unico come u + w, con u U e w W Supponiamo che il veore v si scriva v = u 1 + w 1 e v = u 2 + w 2 Allora: 17

19 u 1 + w 1 = u 2 + w 2 u 1 u 2 = w 2 w 1, ma u 1 u 2 U e w 2 w 1 W, perciò u 1 u 2 = w 2 w 1 U W = {} u 1 = u 2 e w 1 = w 2 DEFINIZIONE 236: Se V = U W, con U e W soospazi veoriali di V, sono ben definie le applicazioni: V U π U : v = u + w u ; π V W W: v = u + w w, dee proiezioni di V su U e su W Esempio: In R 2 siano U, W gli assi caresiani Allora se v = (x, y), semplicemene π U (v) = x e π W (v) = y DEFINIZIONE 237: Sia U un soospazio veoriale di V Si definisce supplemenare di U ogni soospazio W di V ale che V = U W Osservazione: Il supplemenare non è unico, ad esempio in R 2 il supplemenare di una rea per l origine è una qualsiasi alra rea per l origine di R 2 24 APPLICAZIONI LINEARI DEFINIZIONE 241: Siano V, W K-spazi veoriali f: V W si dice K-lineare (o semplicemene lineare) se: 1) x, y V, f(x + y) = f(x) + f(y); 2) α K, x V, f(αx) = αf(x) Osservazione: Se f è lineare f() = Infai f() = f( + ) = f() + f() f() = DEFINIZIONE 242: Definiamo l applicazione rasposa: : M(p, q, K) M(q, p, K) [ A] ij = [A] ji i, j DEFINIZIONE 243: Definiamo l applicazione raccia: n r: M(n) K r(a) = [A] ii DEFINIZIONE 244: Definiamo l applicazione valuazione in a K: v a : K[x] K v a (p(x)) = p(a) PROPOSIZIONE 241: Le segueni applicazioni sono lineari: 1) l applicazione nulla : V W f(v) = v V; 2) l applicazione idenica; 3) l applicazione rasposa; 18 i=1

20 4) l applicazione raccia; 5) la valuazione; 6) le proiezioni indoe dalla scomposizione V = U W Mosriamo che la 3) è lineare, per le alre il ragionameno è analogo A, B M(p, q, K), [ (A + B) ] ij = [A + B] ji = [A] ji + [B] ji = [ A] ij + [ B] ij ; α K, A M(p, q, K), [ (αa)] ij = [αa] ji = α[a] ji = α[ A] ij PROPOSIZIONE 242: M(n, R) = S(n, R) A(n, R) Sia C M(n, R) Poniamo S = Vediamo che: A S C + C = ( ) 2 C C = ( ) 2 C+ C 2 = 1 2 ( C = 1 2 ( C e A = C C 2 + C C S + A = 19 ) = 1 2 ( C + C) = S S S(n, R) ) = 1 2 ( C C) = A A A(n, R) C + C 2 + C C 2 Poiché evidenemene S(n, R) A(n, R) = {}, ho la esi PROPOSIZIONE 243: L applicazione coniugio è R-lineare (ma non C-lineare) Sicuramene z, w C, z + w = z + w; inolre α R, z C, αz = αz, poiché α = α Se invece prendiamo C come campo di scalari, in generale αz αz DEFINIZIONE 245: Sia K un campo Definiamo la caraerisica char(k) del campo: se n N, n 1 char(k) = ; se n N n 1 = char(k) = min{p N p 1 = } Osservazione: È vero che M(n, K) = S(n, K) A(n, K) per qualsiasi campo K? Vediamo che A S(n, R) A(n, R) [A] ij = [A] ij i, j 2[A] ij = i, j Queso implica A = solamene se char(k) 2 In queso caso vediamo anche che ha senso dividere per 2 nella prima pare della dimosrazione, dunque possiamo affermare che M(n, K) = S(n, K) A(n, K) char(k) 2 Infai prendiamo un campo F 2 char(f 2 ) = 2, ad esempio F 2 = {[] 2, [1] 2 }, dove [a] 2 è la classe di reso a modulo 2: ( [1] 2 [1] 2 [1] 2 [1] 2 ) + ( [1] 2 [1] 2 [1] 2 [1] 2 ) = ( [] 2 [] 2 [] 2 [] 2 ), = C e M = ( [1] 2 [1] 2 [1] 2 [1] 2 ) S(2, F 2 ) A(2, F 2 ) (poiché [1] 2 = [1] 2 ) e M DEFINIZIONE 246: Siano V, W K-spazi veoriali Allora definiamo l insieme degli omomorfismi:

21 Hom(V, W) {f: V W f è lineare} F(V, W) PROPOSIZIONE 244: Hom(V, W) è soospazio veoriale di F(V, W) DEFINIZIONE 247: Sia f Hom(V, W) Si definisce kernel (o nucleo) di f: Ker(f) {x V f(x) = } PROPOSIZIONE 245: Sia f Hom(V, W) Allora: 1) Ker(f) è soospazio veoriale di V; 2) Im(f) è soospazio veoriale di W; 3) f è inieiva Ker(f) = {} 1), 2) ovvie 3) ) Sia x Ker(f) Allora f(x) = = f(), in quano f è lineare Ma f è inieiva x = ) Per dimosrare che f è inieiva, dobbiamo mosrare che se f(x) = f(y) x = y Prendiamo f(x) = f(y) Allora per linearià f(x) f(y) = f(x y) =, quindi x y Ker(f) = {} Dunque x y = x = y b 1 DEFINIZIONE 248: Siano (a 1 a n ) M(1, n, K) e ( ) M(n, 1, K) Si definisce prodoo b n fra la riga e la colonna: b n 1 (a 1 a n ) ( ) a 1 b 1 + +a n b n = a i b i b n DEFINIZIONE 249: Sia A M(p, n), x M(n, 1) Si definisce prodoo fra la marice e la colonna: A 1 A 1 X A X = ( ) (X) ( ) M(p, 1) A p A p X Osservazione: Possiamo noare che fare il prodoo fra la marice e la colonna nel modo illusrao sopra è equivalene a eseguire il prodoo: x 1 2 i=1 X A = ( ) (A 1 A n ) x 1 A 1 + +x n A n x n Esempio: ( ) ( ) = ( ) = (7 6 ) 1 5 ( ) ( ) = 5 (1 1 ) + ( 1 ) + 1 (2 1 ) = (7 6 ) 1 Perciò A ( x 1 x n ) = x 1 A 1 + +x n A n Span(A 1,, A n )

22 DEFINIZIONE 241: Definiamo spazio delle colonne di una marice A C(A) = Span(A 1,, A n ) PROPOSIZIONE 246: Sia A M(p, q, K) Allora l applicazione: L A : Kq K p X A X è lineare Sfruando la definizione A X = x 1 A 1 + +x q A q, la dimosrazione è immediaa Noazione: Fissiamo il campo K q Denoiamo: 1 e 1 = ( ) K q,, e q = ( ) K q 1 1 Osservazione: L A (e 1 ) = A ( ) = A 1,, L A (e q ) = A ( ) = A q, quindi: 1 A = (Ae 1 Ae q ) Esempio: Prendiamo A = ( 1 1 ), L A: R 2 R 2 L A ( x y ) = ( 1 1 ) (x y ) = (y x ) Dunque A rappresena la riflessione nel piano rispeo alla biserice del 1 o /3 o quadrane TEOREMA 247: Ogni applicazione lineare K q K p è indoa da una marice, ossia g: K q K p lineare! A M(p, q, K) ale che g(x) = A X X K q Grazie all osservazione precedene è chiaro che l unica marice di queso ipo può essere solo: A = (g(e 1 ) g(e q )) poiché per imposizione nel eorema g(e 1 ) = A e 1 = A 1 Verifichiamo che con una ale scela g(x) = A X X K q : A X = x 1 g(e 1 )+ +x q g(e q ) = (per linearià) = g(x 1 e 1 + +x q e q ) = g ( ) = g(x) x q Esempio: L applicazione g: R 2 R 3 g(x, y) = (y, 2x y, 5x) è indoa dalla marice: 1 A = (g(e 1 ) g(e 2 )) = ( 2 1) 5 DEFINIZIONE 2411: f: V W lineare si dice isomorfismo se è bigeiva PROPOSIZIONE 248: L applicazione: f: M(p, n, K) Hom(Kn, K p ) è un isomorfismo A L A a f è lineare: 21 x 1

23 X K n L A+B = (A + B) X = x 1 (A + B) 1 + +x n (A + B) n = = x 1 (A 1 + B 1 )+ +x n (A n + B n ) = A X + B X = L A (X) + L B (X) Analogamene per il prodoo per scalari b f è surgeiva per il eorema precedene c f è inieiva: Sia A Ker(f) L A (X) = X L A (e i ) = A e i = A i = i A = Ker(f) = {} PROPOSIZIONE 249: Se f: V W è un isomorfismo, allora f 1 : W V è un isomorfismo Sappiamo già che l inversa di una funzione bigeiva è bigeiva, dunque dobbiamo mosrare che f 1 è lineare Siano w 1, w 2 W e sia v 1 = f 1 (w 1 ), v 2 = f 1 (w 2 ) Allora: f 1 (w 1 + w 2 ) = f 1 (f(v 1 ) + f(v 2 )) = f 1 (f(v 1 + v 2 )) = v 1 + v 2 = f 1 (w 1 ) + f 1 (w 2 ) Per il prodoo per scalari il ragionameno è analogo PROPOSIZIONE 241: Dai V, W, Z K-spazi veoriali Siano f: V W e g: W Z lineari Allora g f: V Z è lineare La verifica è immediaa COROLLARIO 2411: La composizione di isomorfismi è un isomorfismo DEFINIZIONE 2412: Definiamo GL(V) = {f: V V f è isomorfismo} COROLLARIO 2412: (GL(V), ) è un gruppo, deo gruppo lineare generale DEFINIZIONE 2413: Siano V, W K-spazi veoriali V e W si dicono isomorfi (si scrive V W) se f: V W isomorfismo Osservazione: M(p, q, K) Hom(K q, K p ) Osservazione: L essere isomorfi è una relazione di equivalenza: 1) è riflessiva, poiché sicuramene V V ramie f = id V ; 2) è simmerica, poiché se V W ramie f, allora W V ramie f 1, che sappiamo essere un isomorfismo; 3) è ransiiva, poiché se V W ramie f e W Z ramie g, V Z ramie g f, che sappiamo essere un isomorfismo DEFINIZIONE 2414: Si definisce endomorfismo ogni applicazione f: V V lineare DEFINIZIONE 2415: Si definisce spazio degli endomorfismi End(V) = {f: V V f è lineare} Osservazione: End(V) = Hom(V, V), dunque End(V) è soospazio di F(V, V) PROPOSIZIONE 2413: (End(V), +, ) è un anello 22

24 Lasciaa al leore DEFINIZIONE 2416: Una quaerna (S, +,, ) si dice algebra se (S, +, ) è uno spazio veoriale, (S, +, ) è un anello e (S,, ) ha la seguene proprieà: α K, f, g S α(f g) = (αf) g = f (αg) PROPOSIZIONE 2414: (End(V), +,, ) è un algebra L ulima verifica è lasciaa al leore Osservazione: Dae f: K n K p, g: K p K q lineari, sappiamo che: A M(p, n, K) f(x) = A X x K n ; B M(q, p, K) g(x) = B X x K p ; g f: K n K q è lineare Quindi C M(q, n, K) (g f)(x) = C X X K n Vediamo che C i = (g f)(e i ) = g(f(e i )) = g(a i ) = B A i i, perciò: C = (BA 1 BA n ) DEFINIZIONE 2417: Si definisce prodoo fra due marici B M(q, p) e A M(p, n) la marice C M(q, n) ale che: C = B A = (BA 1 BA n ) ossia [C] ji = B j A i Queso prodoo viene chiamao prodoo righe per colonne PROPOSIZIONE 2415: Valgono le segueni proprieà A, B, C di formao opporuno: 1) (AB)C = A(BC); 2) (λa)b = λ(ab) = A(λB); 3) (A + B)C = AC + BC; 4) A(B + C) = AB + AC; 1 5) IA = AI = A, dove I = ( ) è la marice idenica 1 Osservazioni: 1) Non ha senso parlare in generale di commuaivià del prodoo fra marici, poiché se A, B non sono quadrae, se posso eseguire A B non posso eseguire B A e viceversa 2) Anche se in M(n) ha senso parlare di commuaivià del prodoo, in generale AB BA: ( ) (2 3 1 ) = (4 3 3 ); ( ) ( ) = ( ) 3) AB = A = B = : ( 1 1 ) ( ) = ( ) Queso significa che M(n) non è un campo, quindi vuol dire che esisono marici che non hanno un inversa: ( 1 1 b + c b + d b ) (a ) = (a ) I (a c d c d ) 4) A n = A = : 23

25 A = ( 1 ), A2 = ( ) DEFINIZIONE 2418: A M(n) si dice nilpoene se s N A s = PROPOSIZIONE 2416: 1) (AB) = B A A, B M(n) 2) A M(n), S S(n), ASA S(n) 3) r(ab) = r(ba) A, B M(n) 1) [ (AB)] ij = [AB] ji = A j B i n = k=1 [A] jk [B] ki ; [ B A] ij = ( B) i ( A) j = B i n A j = k=1 [B] ki [A] jk Dunque [ (AB)] ij = [ B A] ij i, j (AB) = B A 2) Dimosriamo che ( ASA) = ASA: ( ASA) = (SA) A = A SA = ASA 3) r(ab) = n k=1 A k B k n = n k=1 s=1[a] ks [B] sk r(ba) = n k=1 B k A k n = n k=1 s=1[b] ks [A] sk, che sono uguali perché ogni elemeno della prima sa nella seconda con s, k scambiai DEFINIZIONE 2419: Definiamo GL(n, K) = {A M(n, K) A è un isomorfismo di K n } Osservazione: So che A, B GL(n, K), A B GL(n, K), poiché ho definio il prodoo fra marici come composizione di A e B So anche che la composizione di isomorfismi è un isomorfismo, perciò è un operazione in GL(n, K) PROPOSIZIONE 2417: (GL(n, K), ) è un gruppo, deo gruppo lineare generale in K Il prodoo fra marici è associaivo in M(n, K) GL(n, K), dunque lo è anche in GL(n, K); I n GL(n, K); A GL(n, K), A 1 A 1 GL(n, K), poiché ho già dimosrao che l inversa di un isomorfismo esise ed è un isomorfismo PROPOSIZIONE 2418: 1) A GL(n, K), allora A 2) Se A, B GL(n, K), allora (AB) 1 = B 1 A 1 ; 3) Se A GL(n, K), B M(n, K) e AB = I BA = I GL(n, K) e ( A ) 1 = (A 1 ) ; 1) (A 1 ) A = (AA 1 ) = I = I; A (A 1 ) = (A 1 A) = I = I, dunque A ha un inversa desra che è anche un inversa sinisra, dunque A GL(n, K) 2) (B 1 A 1 )AB = B 1 IB = B 1 B = I; AB(B 1 A 1 ) = A 1 IA = A 1 A = I Perciò (AB) 1 = B 1 A 1 3) A è bigeiva e B inversa sinisra di A, quindi B è anche inversa desra, cioè BA = I 24

26 Osservazione: Siano A M(p, n, K), B M(n, q, K), e siano p 1 p 2, n 1, n 2, q 1, q 2 ali che p = p 1 + p 2, n = n 1 + n 2, q = q 1 + q 2 Allora osserviamo che il prodoo fra marici può essere fao a blocchi: A 1 A 2 A = ( }p 1 A 3 A 4 ) }p 2 n 1 n 2 p B 1 B 2, B = ( B 3 B 4 ) q 1 q 2 }n 1 }n 2 p A 1 B 1 + A 2 B 3 A 1 B 2 + A 2 B 4 A B = ( A 3 B 1 + A 4 B 3 A 3 B 2 + A 4 B 4 q 1 colonne q 2 colonne Il leore può verificare per esercizio che il prodoo così definio coincide con il prodoo definio precedenemene ) }p 1 righe }p 2 righe p 25 SISTEMI LINEARI DEFINIZIONE 251: Definiamo sisema lineare di p equazioni in n incognie: a 11 x 1 + +a 1n x n = b 1 { a p1 x 1 + +a pn x n = b p Osservazione: Un sisema lineare si può scrivere nella forma AX = B, dove: a 11 a 1n A = ( ) M(p, n, K), a p1 a pn x 1 b 1 X = ( ) K n ; B = ( ) K p x n b p y 1 Quindi Y = ( ) è soluzione del sisema AY = B y n DEFINIZIONE 252: Se B =, il sisema si dice omogeneo Osservazione: I sisemi omogenei ammeono sempre K n come soluzione DEFINIZIONE 253: Risolvere il sisema AX = B significa rovare ue le soluzioni del sisema Osservazione: AX = B è risolubile B Im(A) Noazione: Denoiamo l insieme delle soluzioni del sisema AX = B con: Sol B = {X K n AX = B} Osservazione: Sol = {X K n AX = } = Ker(A), dunque Sol è un soospazio veoriale di K n (menre Sol B non lo è perché non coniene ) DEFINIZIONE 254: Definiamo sisema omogeneo associao al sisema AX = B il sisema AX = PROPOSIZIONE 251: Sia y B una qualsiasi soluzione di AX = B Allora: 25

27 Sol B = y B + Sol {y B + X X Sol } ) Sia X Sol Devo verificare che y B + X Sol B : y B + X Sol B A(y B + X) = B e A(y B + X) = Ay B + AX = B + = B ) Sia X Sol B Poiché X = y B + (X y B ), verifico che X y B Sol Infai A(X y B ) = AX Ay B = B B = DEFINIZIONE 255: Due sisemi lineari si dicono equivaleni se hanno esaamene le sesse soluzioni DEFINIZIONE 256: Definiamo operazioni elemenari sul sisema le segueni operazioni: 1 o ipo: Scambiare due equazioni; 2 o ipo: Moliplicare un equazione per uno scalare ; 3 o ipo: Sosiuire un equazione con quella oenua sommando ad essa un muliplo di un alra equazione Osservazione: In noazione mariciale, ciò corrisponde ad eseguire sulla marice A = (A B), dea marice complea del sisema, una delle segueni operazioni elemenari per riga: 1 o ipo: Scambiare due righe; 2 o ipo: Moliplicare una riga per uno scalare ; 3 o ipo: Aggiungere ad una riga un muliplo di un alra riga Tue quese operazioni non modificano l insieme delle soluzioni del sisema Esempio: { x 1 x 2 + 2x 3 x 4 = 1 2x 1 2x 2 + 5x 3 + x 4 = ) ( 1 A 2 A 2 2A 1 A = ( 1 2 Perciò x 3 = 3x Sosiuendo nell alra equazione: x 1 x 2 + 2( 3x 4 + 1) x 4 = 1 x 1 x 2 7x 4 = 1 x 1 = x 2 + 7x 4 1 Quindi: Sol B = {( x 2 + 7x 4 1 x 2 ) x 3x , x 4 R} = {( x ) + x 2 ( 1 ) + x 4 ( ) ) x 2, x 4 R} 1 Osservazione: Il ermine ( ) non è alro che una soluzione y 1 B del sisema (nel caso x 2 = 1 7 x 4 = ), menre il ermine x 2 ( 1 ) + x 4 ( ) è la soluzione generale del sisema omogeneo 3 1 associao, perciò: 26

28 1 Sol B = ( ) + Span 1 1 ( 1 ), ( ( =Sol Osservazione: Un sisema del ipo: a 11 x 1 + a 12 x 2 + a 13 x 3 + a 14 x 4 +a 1n x n = b 1 a 2j2 x j2 + a 2(j2 +1)x (j2 +1)+ +a 2n x n = b 2 { a pjp x jp + +a pn x pn = b p con a 11, a 2j2,, a pjp, cioè se in una riga sono nulli i coefficieni di x 1,, x k, nella successiva sono nulli almeno quelli di x 1,, x k, x k+1, è facilmene risolubile Infai ricavo x jp nell ulima equazione (poiché a pk ), poi x jp 1 dalla penulima e così via fino a x 1 dalla prima equazione, ui in funzione dei x i con i 1, j 1,, j p DEFINIZIONE 257: Una marice A del ipo: p 1 p 2 A = p r ( ) cioè in cui se nella n-esima riga ci sono k zeri iniziali, nella (n + 1)-esima ce ne sono almeno k + 1, viene dea a scalini Il primo ermine di ogni riga viene deo pivo Osservazione: Se A = (A B) è a scalini, il sisema AX = B è risolubile la colonna B non coniene nessun pivo In al caso, se i pivos sono conenui nelle colonne A j 1,, A j r, ricavo le incognie x j1,, x jr in funzione delle alre ALGORITMO DI GAUSS: Daa una M M(p, q), l algorimo rasforma M in una marice a scalini araverso un numero finio di operazioni elemenari per riga Sia M j 1 la prima colonna da sinisra non nulla A meno di scambi di riga, posso supporre [M] 1,j1 Per i = 2,, p sosiuisco la riga M i con la riga M i [M] i,j1 ([M] 1,j1 ) 1 M 1 (cioè rendo [M] i,j1 = ) Oengo: ) ) M = ( [M] 1,j1 Considero in M la soomarice oenua eliminando la prima riga e le prime j 1 colonne Iero il procedimeno ) 27

29 Termino quando ho raao ue le righe o quando resano solo righe nulle TEOREMA DI GAUSS: Ogni sisema lineare AX = B è equivalene ad un alro sisema lineare SX = T, dove S = (S T) è a scalini Il sisema AX = B è risolubile le marici S e S hanno lo sesso numero di pivos (cioè se T non coniene pivos) Osservazione: La riduzione a scalini di una marice non è unica DEFINIZIONE 258: Definiamo forma paramerica di un soospazio di K n W = Span(w 1,, w p ) = {X K n 1,, p K c x = 1 w p w p } la scriura: W = Im(A) dove A: K p K n è la marice: A = (w 1 w p ) con i veori w 1,, w p per colonne DEFINIZIONE 259: Definiamo forma caresiana di un soospazio W di K n la scriura: W = {X BX = } = Ker(B) con M(q, n) B: K n K q Le equazioni del sisema BX = si dicono equazioni caresiane di W Osservazione: Si passa dalle equazioni caresiane BX = alla forma paramerica risolvendo il sisema BX = Per passare dalla forma paramerica alla forma caresiana, si cosruisce il sisema (A X), x 1 dove A è ale che W = Im(A) e X = ( ) x n x 1 Si pora il sisema (A X) nella forma a scalini (S X ), dove X = ( ), e, dee S k1,, S kr x n le righe con pivo di S, poniamo x i = i k 1,, k r (oenendo quindi un sisema con n r equazioni) x = Esempio: Sia W R 3 il soospazio veoriale { y = + s z = 3 + 2s x = x Perciò X = ( y) W, s R { + s = y il sisema ( z 3 + 2s = z 1 x 1 ( 1 y x ) ha soluzione ( 1 2 z 3x Quindi la forma caresiana per W è: W = {x + 2y z = } = Ker(B) dove B = (1 2 1) 1, ossia W = Span (( 1), ( 1)) x 1 1 y) ha soluzione x 3 2 z y x ) ha soluzione z x 2y = z x 2y 28

30 DEFINIZIONE 251: Sia V uno spazio veoriale e v V Si definisce raslazione di v l applicazione: τ v : V V τ v (x) = x + v PROPOSIZIONE 252: 1) v V, τ v è bigeiva; 2) v, w V, τ v+w = τ v τ w = τ w τ v ; 3) v V, (τ v ) 1 = τ v 1) τ v è inieiva, poiché se x y V, τ v (x) = x + v y + v = τ v (y); τ v è surgeiva, poiché x V, f 1 (x) V f 1 (x) + v = x 2) x V: τ v+w (x) = x + v + w; (τ v τ w )(x) = τ v (τ w (x)) = τ v (x + w) = x + v + w; (τ w τ v )(x) = τ w (τ v (x)) = τ w (x + v) = x + v + w 3) (τ v τ v )(x) = τ v (τ v (x)) = τ v (x v) = x x V Quindi le raslazioni di V formano un gruppo abeliano DEFINIZIONE 2511: Sia W un soospazio veoriale di V e v V Si definisce soospazio affine di V con giaciura W l immagine di τ v, cioè: H = τ v (W) = {v + w w W} Esempi: 1) Sia dao il sisema AX = B, con A M(p, n, K) Sol B = y + Sol, quindi Sol B è soospazio affine di K n ; 2) Ogni rea r di R 3 è un soospazio affine con giaciura la rea r //r e passane per l origine Se P r, r = τ P (r ); se r = Span(v ), r = {X R 3 X = P + v, R} Graficamene: Possiamo rappresenare un soospazio affine di K n in forma paramerica e caresiana: Sia W soospazio veoriale di K n e sia H = P + W Per la forma paramerica, scrivo W = Im(A) = {AY Y K p } Allora H = {AY + P Y K p } Per la forma caresiana, scrivo W = Ker(B) = {X K n BX = } 29

31 Allora: H = {X K n X = Y + P, Y W} = {X K n X P W} = {X K n B(X P ) = } = = {X K n BX = BP } Si passa da una rappresenazione all alra in modo analogo al caso veoriale 26 BASI E DIMENSIONE DEFINIZIONE 261: Uno spazio veoriale V si dice finiamene generao se v 1,, v n V v V α 1,, α n K v = α 1 v 1 + +α n v n, ossia V = Span(v 1,, v n ) In al caso, v 1,, v n sono dei generaori di V 1 Esempio: e 1 = ( ),, e n = ( ) generano K n 1 Osservazione: K[x] non è finiamene generao, poiché se per assurdo K[x] = Span(1, x,, x a ), con a N, non si porebbero rappresenare i polinomi di grado > a DEFINIZIONE 262: v 1,, v n V sono dei linearmene indipendeni se a 1 v 1 + +a n v n = a 1 = = a n = Alrimeni sono dei linearmene dipendeni Esempio: e 1,, e n K n sono linearmene indipendeni, infai: a 1 a 1 e 1 + +a n e n = ( ) = a 1 = = a n = a n Osservazione: v V è linearmene indipendene v Osservazione: Se uno fra i veori v 1,, v n è nullo, allora v 1,, v n sono linearmene dipendeni Infai, se ad esempio v 1 = : av 1 + v 2 + +v n = a = PROPOSIZIONE 261: Sia n 2 I veori v 1,, v n sono linearmene dipendeni almeno uno di essi si può esprimere come combinazione lineare degli alri ): Per ipoesi a 1,, a n non ui nulli a 1 v 1 + +a n v n = Se a 1, allora v 1 = a 1 1 (a 2 v 2 + +a n v n ), esi ): Se v 1 = a 2 v 2 + +a n v n, allora v 1 a 2 v 2 a n v n =, da cui la esi Osservazione: Se v 1,, v n sono linearmene indipendeni e k n, allora v 1,, v k sono linearmene indipendeni 3

32 PROPOSIZIONE 262: Se v m Span(v 1,, v m 1 ), allora Span(v 1,, v m ) = Span(v 1,, v m 1 ) ) Se v Span(v 1,, v m ) v = a 1 v 1 + +a m v m = a 1 v 1 + +a m 1 v m 1 + a m (b 1 v b m 1 v m 1 ) = (a 1 + a m b 1 )v 1 + +(a m 1 + a m b m 1 )v m 1 v Span(v 1,, v m 1 ) ) Se v Span(v 1,, v m 1 ) v = a 1 v 1 + +a m 1 v m 1 = a 1 v 1 + +a m 1 v m 1 + v m, quindi v Span(v 1,, v m ) DEFINIZIONE 263: Un insieme ordinao {v 1,, v n } di veori di V è deo base di V se v 1,, v n sono linearmene indipendeni e generano V Esempio: {e 1,, e n } è una base di K n, dea base canonica PROPOSIZIONE 263: Se B = {v 1,, v n } è una base di V, allora ogni v V può essere scrio in modo unico come combinazione lineare dei v 1,, v n Poiché i v 1,, v n sono generaori, allora v V = Span(v 1,, v n ), dunque supponiamo: v = a 1 v 1 + +a n v n ; v = b 1 v 1 + +b n v n Allora (a 1 b 1 )v 1 + +(a n b n )v n =, ma i v i sono linearmene indipendeni, dunque a i = b i i, da cui segue la esi DEFINIZIONE 264: I coefficieni dell unica combinazione lineare dei v 1,, v n che dà v si chiamano coordinae di v rispeo alla base B e denoai con [v] B DEFINIZIONE 265: Fissando una base B si deermina quindi una corrispondenza biunivoca: [ ] B : V K n v [v] B chiamaa coordinae rispeo a B PROPOSIZIONE 264: B base, [ ] B è un isomorfismo [ ] B è evidenemene lineare; inolre è inieiva, poiché Ker([ ] B ) = {v V [v] B = } = {v V v = v 1 + +v n } = {}, menre è surgeiva in quano ogni (a 1 a n ) K n è immagine di v = a 1 v 1 + +a n v n V COROLLARIO 265: Se V è un K-spazio veoriale che ammee una base formaa da n veori, allora V K n PROPOSIZIONE 266: Sia {v 1,, v n } base di V e w 1,, w k dei veori di V Se k > n, allora w 1,, w k sono linearmene dipendeni Si ha: w 1 = a 11 v 1 + a 1n v n w 2 = a 21 v 1 + a 2n v n w k = a k1 v 1 + a kn v n 31

33 Devo rovare degli α i non ui nulli ali che: α 1 (a 11 v 1 + a 1n v n )+ +α k (a k1 v 1 + a kn v n ) =, ossia: (a 11 α 1 + a k1 α k )v 1 + +(a 1n α 1 + a kn α k )v n = Ma v 1,, v n sono linearmene indipendeni, perciò: a 11 α 1 + a k1 α k = { a 1n α 1 + a kn α k = Poiché è un sisema omogeneo di n equazioni in k > n incognie, ha infinie soluzioni, dunque in paricolare ne ha una non nulla, per cui i w i sono linearmene dipendeni COROLLARIO 267: Se {v 1,, v n } e {w 1,, w k } sono basi di V, allora n = k Se k > n, i w i sono linearmene dipendeni per la proposizione precedene; se n < k, i v i sono linearmene dipendeni, perciò k = n DEFINIZIONE 266: Se V possiede una base finia {v 1,, v n }, diciamo che V ha dimensione n (dim V = n) Se V = {}, poniamo dim V = Esempi: 1) dim K n = n; 2) dim C C = 1, in quano {1} è una base di C come C-spazio veoriale; 3) dim R C = 2, in quano {1, i} è una base di C come R-spazio veoriale; 4) dim M(p, n) = p n, in quano {E ij } 1 i p è una base, dove: 1 j n 1 se (i, j) = (h, k) [E ij ] hk = δ ih δ jk =< se (i, j) (h, k) (δ 1 se i = j ij < è deo dela di Kronecker) se i j 5) dim K n [x] = n + 1, in quano {1, x,, x n } è una base DEFINIZIONE 267: Siano V, W K-spazi veoriali Definiamo una somma e un prodoo per scalari in V W: (v 1, w 1 ) + (v 2, w 2 ) (v 1 + v 2, w 1 + w 2 ); α(v, w) (αv, αw) PROPOSIZIONE 268: V W è spazio veoriale e dim(v W) = dim V + dim W Lasciamo la verifica che V W è spazio veoriale Sia {v 1,, v n } base di V e {w 1,, w k } base di W È immediao mosrare che {(v 1, ),, (v n, ), (, w 1 ),, (, w k )} è base di V W, dunque segue la esi ALGORITMO PER L ESTRAZIONE DI UNA BASE: Sia V {} uno spazio veoriale Da ogni insieme finio di generaori di V si può esrarre una base 32

34 Siano v 1,, v k generaori di V Posso supporre v i i, poiché, se ce ne fossero, li porei ogliere e non alererei lo spazio generao Allora v 1 è linearmene indipendene Guardo {v 1, v 2 }: se v 1, v 2 sono linearmene indipendeni, li engo; alrimeni v 2 Span(v 1 ) e quindi Span(v 1,, v k ) = Span(v 1, v 3,, v k ) Allora elimino v 2 Coninuo così fino a quando ho considerao ui i veori COROLLARIO 269: Sia dim V = n Se v 1,, v k sono generaori di V, allora k n PROPOSIZIONE 261: Se v 1,, v k sono linearmene indipendeni e v Span(v 1,, v k ), allora v, v 1,, v k sono linearmene indipendeni Sia a 1 v 1 + +a k v k + av = Deve essere a =, poiché alrimeni v = a 1 (a 1 v 1 + +a k v k ) v Span(v 1,, v k ) Allora a 1 v 1 + +a k v k = Poiché i v 1,, v k sono linearmene indipendeni, segue a 1 = = a k = e quindi la esi TEOREMA DI COMPLETAMENTO A BASE: Sia V uno spazio finiamene generao Se v 1,, v k V sono linearmene indipendeni, esisono v k+1,, v n V {v 1,, v k, v k+1,, v n } è una base di V Se {v 1,, v k } generano V, allora {v 1,, v k } è una base di V Se non lo generano, allora v k+1 Span(v 1,, v k ) Per la proposizione precedene, i v 1,, v k, v k+1 sono linearmene indipendeni Se generano V, ho rovao una base Alrimeni iero il procedimeno V è finiamene generao, perciò dopo un numero finio di passi il procedimeno deve finire Osservazione: È un procedimeno non algorimico, poiché non c è un meodo semplice e direo per rovare i v k+h, con h > ALGORITMO DI COMPLETAMENTO A BASE: Se v 1,, v k sono linearmene indipendeni e se conosco una base {z 1,, z n } di V, posso compleare {v 1,, v k } a base applicando l algorimo di esrazione di una base all insieme di generaori {v 1,, v k, z 1,, z n } PROPOSIZIONE 2611: Ogni soospazio veoriale W di uno spazio veoriale V finiamene generao ha un supplemenare Sia dim V = n Allora dim W = k n Sia {w 1,, w k } una base di W Posso complearla a una base {w 1,, w k, v k+1,, v n } di V Perciò V = W Span(v k+1,, v n ) e dunque Span(v k+1,, v n ) è un supplemenare 33

35 PROPOSIZIONE 2612: Sia V = U W, {u 1,, u k } base di U, {w 1,, w m } base di W Allora {u 1,, u k, w 1,, w m } è base di V Ogni v V si può scrivere come v = u + w, con u U e w W, ma u = a 1 u 1 + +a k u k e w = b 1 w 1 + +b m w m, dunque i u 1,, u k, w 1,, w m generano V Inolre sono linearmene indipendeni, poiché: a 1 u 1 + +a k u k =u U + b 1 w 1 + +b m w m =w W = u + w = u = w, dunque W w = u U, perciò u, w U W = {}, cioè u = e w = Poiché {u 1,, u k } e {w 1,, w m } sono linearmene indipendeni, allora a 1 = = a k = b 1 = = b m =, da cui la esi PROPOSIZIONE 2613: Se V {} non è finiamene generao, allora n 1 esisono v 1,, v n V linearmene indipendeni Per induzione su n: Passo base): n = 1, basa scegliere v 1 ; Passo induivo): Per ipoesi induiva v 1,, v n 1 linearmene indipendeni Osservo che Span(v 1,, v n 1 ) V, poiché V non è finiamene generao Dunque v n Span(v 1,, v n 1 ) v 1,, v n sono linearmene indipendeni PROPOSIZIONE 2614: Se V è finiamene generao e W è un soospazio veoriale di V, allora: 1) W è finiamene generao; 2) dim W dim V; 3) se dim W = dim V W = V 1) Sia n = dim V Se W non fosse finiamene generao, per la proposizione precedene esiserebbero w 1,, w n+1 W V linearmene indipendeni, assurdo 2) Sia n = dim V Se dim W > n, allora esiserebbero w 1,, w n+1 W V linearmene indipendeni, assurdo 3) Se dim W = n e {w 1,, w n } è base di W, allora w 1,, w n sono linearmene indipendeni anche in V e, poiché dim V = n, devono essere una base di V Dunque W = V FORMULA DI GRASSMANN: Siano U, W soospazi veoriali di dimensione finia di V Allora: dim(u + W) = dim U + dim W dim(u W) Sia dim U = h, dim W = k, dim(u W) = s Sia {z 1,, z s } una base di U W Allora z 1,, z s sono linearmene indipendeni in U e W Per il eorema di compleameno a base u 1,, u h s U, w 1,, w k s W ali che: {z 1,, z s, u 1,, u h s } è base di U; {z 1,, z s, w 1,, w k s } è base di W Se mosro che {z 1,, z s, u 1,, u h s, w 1,, w k s } è base di U + W ho la esi, poiché dimosro che dim(u + W) = h + k s Quei veori generano, in quano, preso v U + W, u U, w W v = u + w 34

36 Inolre u = a 1 z 1 + +a s z s + b 1 u 1 + +b h s u h s e w = α 1 z 1 + +α s z s + β 1 w 1 +β k s w k s, dunque v = (a 1 + α 1 )z 1 + +(a s + α s )z s + b 1 u 1 + +b h s u h s + β 1 w 1 + +β k s w k s Mosriamo quindi che sono linearmene indipendeni: sia a 1 z 1 + +a s z s =z + b 1 u 1 + +b h s u h s =u + c 1 w 1 + +c k s w k s =w Allora z + u = w Ma z + u U, w W, quindi z + u = w U W Posso dunque scrivere w = α 1 z 1 + +α s z s, per cui ho: a 1 z 1 + +a s z s + b 1 u 1 + +b h s u h s + α 1 z 1 + +α s z s = (a 1 + α 1 )z 1 + +(a s + α s )z s + b 1 u 1 + +b h s u h s = Quesi veori sono una base di U, quindi b 1 = = b h s = Allora: a 1 z 1 + +a s z s + c 1 w 1 + +c k s w k s =, ma quesi veori sono una base di W, quindi sono linearmene indipendeni, per cui a 1 = = a s = c 1 = = c k s =, da cui segue la esi Osservazione: dim S(n) = n(n+1), dim A(n) = n(n 1) 2 2 Infai, dea {E ij } la base canonica di M(n), {E 1 i,j n ij + E ji } 1 i<j n {E ii } 1 i n è una base di 35 = S(n) Lasciamo quesa verifica per esercizio Il numero dei veori di base è n(n 1) + n Inolre per Grassmann, dim A(n) = dim M(n) dim S(n) = n 2 n(n+1) 2 2 = n(n 1) 2 TEOREMA 2615: Siano V, W K-spazi veoriali, con V finiamene generao Sia {v 1,, v n } una base di V; siano w 1,, w n veori di W Allora! f: V W lineare ale che f(v i ) = w i i Esisenza: Sia v V unici a 1,, a n K v = a 1 v 1 + +a n v n Poniamo f(v) = a 1 w 1 + +a n w n Si ha evidenemene che f(v i ) = w i i Inolre f è lineare, infai, se v = a 1 v 1 + +a n v n e z = b 1 v 1 + +b n v n, allora v + z = (a 1 + b 1 )v 1 + +(a n + b n )v n ; quindi f(v + z) = (a 1 + b 1 )w 1 + +(a n + b n )w n = a 1 w 1 + +a n w n + b 1 w 1 + +b n w n = f(v) + f(z) Analogamene per il muliplo Unicià: Prendiamo una qualsiasi g lineare ale che g(v i ) = w i i Per linearià: dunque f è unica n g(v) = g ( a i v i ) = a i g(v i ) = a i w i = f(v) i=1 PROPOSIZIONE 2616: Sia f: V W lineare Allora: 1) Se v 1,, v n sono linearmene indipendeni e f è inieiva, allora f(v 1 ),, f(v n ) sono linearmene indipendeni; 2) Se v 1,, v n generano V, allora f(v 1 ),, f(v n ) generano Im(f) n i=1 n i=1

37 1) Sia a 1 f(v 1 )+ +a n f(v n ) = Allora per linearià f(a 1 v 1 + +a n v n ) =, dunque a 1 v 1 + +a n v n Ker(f) = {}, ma v 1,, v n sono linearmene indipendeni, per cui a 1 = = a n =, esi 2) Sia y = f(x) Im(f) Mosriamo che può essere scrio come combinazione lineare dei f(v i ) So che a 1,, a n K x = a 1 v 1 + a n v n Allora: da cui la esi n y = f(x) = f ( a i v i ) = a i f(v i ) Osservazione: Se A M(p, n, K), allora sappiamo che A è una applicazione lineare e la sua immagine è lo spazio generao dalle colonne Quindi Im(A) = Span(A 1,, A n ) = C(A) i=1 COROLLARIO 2617: f: V W è un isomorfismo f rasforma ogni base di V in una base di W Prendo una base di V Poiché f è inieiva, allora le immagini dei veori della base sono linearmene indipendeni Inolre quegli sessi veori generano V, quindi le loro immagini generano Im(f), ma f è surgeiva, quindi Im(f) = W FORMULA DELLE DIMENSIONI: Sia V uno spazio veoriale finiamene generao, e sia f: V W lineare Allora: dim V = dim Ker(f) + dim Im(f) Sia n = dim V e k = dim Ker(f) Sia {v 1,, v k } una base di Ker(f); la compleo a {v 1,, v k,, v n } base di V Allora f(v 1 ),, f(v n ) generano Im(f), ma f(v 1 ) = = f(v k ) =, poiché apparengono a Ker(f) Perciò posso oglierli e i rimaneni f(v k+1 ),, f(v n ) generano comunque Im(f) Dimosriamo che f(v k+1 ),, f(v n ) sono linearmene indipendeni: a k+1 f(v k+1 )+ +a n f(v n ) = f(a k+1 v k+1 + +a n v n ) = a i v i Ker(f) n n i=1 a 1,, a k K a i v i = a 1 v 1 + +a k v k i=k+1 n i=k+1 a 1 v 1 + +a k v k a k+1 v k+1 a n v n = Ma v 1,, v n sono linearmene indipendeni, quindi a i = i Per cui {f(v k+1 ),, f(v n )} è una base di Im(f), cioè dim Im(f) = n k, esi COROLLARIO 2618: Sia f: V W lineare Se dim V = dim W, allora f è inieiva f è surgeiva 36

38 f è inieiva Ker(f) = {} dim V = dim Im(f) dim W = dim Im(f) Im(f) = W (poiché Im(f) W) f è surgeiva COROLLARIO 2618: V W dim V = dim W ) Se dim V = dim W, allora V K n W ) Se f: V W isomorfismo, per la formula delle dimensioni dim V = + dim W Osservazione: Siano V 1, V 2 soospazi veoriali di V e sia f: V 1 V 2 V daa da f(v 1, v 2 ) = v 1 + v 2 f è evidenemene lineare e Im(f) = V 1 + V 2 Inolre Ker(f) è canonicamene isomorfo a V 1 V 2, infai: Ker(f) = {(v 1, v 2 ) V 1 V 2 v 1 + v 2 = } = {(v 1, v 2 ) V 1 V 2 v 1 = v 2 } = = {(v, v) v V 1 V 2 }, poiché V 1 v 1 = v 2 V 2, dunque: L: V 1 V 2 V 1 V 2 L(v) = (v, v) induce l isomorfismo cercao (le proprieà sono immediaamene verificabili) Per cui, per la formula delle dimensioni, dim(v 1 + V 2 ) = dim Im(f) = dim(v 1 V 2 ) dim Ker(f) = dim V 1 + dim V 2 dim(v 1 V 2 ), che conclude quindi la dimosrazione alernaiva della formula di Grassmann Osservazione: Nell insieme quoziene {K spazi veoriali finiamene generai}/ esisono ane classi di equivalenza quane N e in ognuna un rappresenane è K n La dimensione è un sisema compleo di invarianza per la relazione di equivalenza, perciò se dim V dim W, allora sicuramene V e W non sono isomorfi DEFINIZIONE 268: Due K-spazi veoriali V, W si dicono canonicamene isomorfi se f: V W isomorfismo che non dipende dalla scela di una base PROPOSIZIONE 2619: Sia V = U W e V = U W w W,! u U, w W w = u + w Allora è ben definia l applicazione φ: W W φ(w) = w φ è un isomorfismo canonico φ è lineare, poiché dai w 1 = u 1 + w 1 e w 2 = u 2 + w 2, allora: φ(w 1 + w 2 ) = φ((u 1 + u 2 ) + (w 1 + w 2 )) = w 1 + w 2 = φ(w 1 ) + φ(w 2 ); φ(λw) = φ(λu + λw ) = λw = λφ(w) φ è inieiva, poiché se w Ker(φ), φ(w) = w = u + w U W = {} U =φ(w) Poiché dim W = dim V dim U = dim W e φ è inieiva, allora φ è surgeiva Infine evidenemene φ non dipende dalla scela di una base, dunque ho la esi Osservazione: Se π W è la proiezione indoa da V = U W e i W : W V è l inclusione (cioè i W (w) = w w W), allora φ = π W i W 37

39 27 RANGO PROPOSIZIONE 271: Siano f: V W, g: W Z lineari Allora: 1) dim Im(g f) min(dim Im(f), dim Im(g)); 2) Se f è un isomorfismo, dim Im(g f) = dim Im(g); 3) Se g è un isomorfismo, dim Im(g f) = dim Im(f) 1) Im(g f) = Im(g Im(f) ) e g Im(f) è lineare, poiché resrizione di g lineare Quindi dim Im(g f) = dim Im(f) dim Ker(g Im(f) ) dim Im(f) Inolre Im(g f) Im(g), quindi dim Im(g f) dim Im(g), esi 2) Se f è un isomorfismo, allora f(v) = W, perciò Im(g f) = Im(g Im(f) ) = Im(g), esi 3) Se g è un isomorfismo, allora Ker(g) = {}, dunque dim Im(g f) = dim Im(f), esi DEFINIZIONE 271: Sia f: V W lineare Definiamo rango di f rk(f) = dim Im(f) In paricolare, se A M(p, n, K) e dunque A: K n K p X AX, allora rk(a) = dim Im(A) = dim C(A) DEFINIZIONE 272: Sia A M(p, n, K) Definiamo spazio delle righe R(A) = Span(A 1,, A p ) Definiamo inolre rango per righe il numero dim R(A) PROPOSIZIONE 272: Sia S una ridoa a scalini di A Allora: 1) R(A) = R(S); 2) dim C(A) = dim C(S), cioè rk(a) = rk(s) 1) Facendo operazioni elemenari di riga, non alero lo spazio delle righe, dunque R(A) = R(S) 2) I sisemi AX = e SX = sono equivaleni, perciò Ker(A) = Ker(S) Per la formula delle dimensioni: n = dim Ker(A) + rk(a) e n = dim Ker(S) + rk(s), dunque rk(a) = rk(s) PROPOSIZIONE 273: Sia S una marice a scalini con r pivos nelle colonne S j 1,, S j r Allora: 1) {S 1,, S r } è una base di R(S), dunque dim R(S) = r; 2) {S j 1,, S j r} è una base di C(S), dunque rk(s) = r 1) Poiché le alre righe sono nulle, sicuramene S 1,, S r generano R(S) S 1,, S r sono linearmene indipendeni, poiché se: a 1 S 1 + +a r S r = allora a 1 = in quano S 1 è l unica riga ad avere un elemeno nella colonna S j 1, a 2 =, in quano a 1 = e quindi S 2 è l unica riga ad avere un elemeno nella colonna S j 2, e così via 2) S j 1,, S j r sono linearmene indipendeni, la dimosrazione è analoga alla precedene nel caso delle righe 38

40 Mosriamo che S j 1,, S j r generano C(S), cioè che S i Span(S j 1,, S j r) i j 1,, j r, cioè che a 1,, a r K S i = a 1 S j 1+ a r S j r, cioè che il sisema (S j 1 S j r) ( ) = (S i ) a r ha soluzione Ma la marice è a scalini, perciò ha r pivos Se aggiungo la colonna dei ermini noi non posso dunque aggiungere pivos Dunque #pivos(s) = #pivos(s ), quindi il sisema è risolubile, esi Osservazione: Se in qualche modo riesco a calcolare rk(a), allora: so calcolare dim Sol(AX = ) = dim Sol, poiché dim Sol = dim Ker(A) = n rk(a); se voglio calcolare dim Span(v 1,, v k ), pongo A = (v 1 v k ) e dunque dim Span(v 1,, v k ) = dim C(A) = dim Im(A) = rk(a) Osservazione: Un modo per calcolare rk(a) è via l algorimo di Gauss; infai abbiamo viso che rk(a) = #pivos(s), dove S è una ridoa a scalini di A Per formalizzare meglio queso procedimeno, ci serviremo del seguene risulao: PROPOSIZIONE 274: Sia A M(p, q) Allora: 1) il numero di pivos di una sua ridoa a scalini non dipende dalla riduzione a scalini; 2) dim R(A) = dim C(A); 1) Se S è una ridoa a scalini di A, con r pivos, allora r = dim R(S) = dim R(A) Quindi r dipende solamene da A 2) dim R(A) = dim R(S) = r = dim C(S) = dim C(A) = rk(a) COROLLARIO 275: A M(p, q), rk( A) = rk(a) rk( A) = dim C( A) = dim R(A) = rk(a) TEOREMA DI ROUCHÉ CAPELLI: AX = B è risolubile rk(a) = rk(a ), dove A = (A B) Se S è una ridoa a scalini di A, sapevamo che AX = B è risolubile rk(s) = rk(s ), ma rk(s) = rk(a), dunque segue la esi DEFINIZIONE 273: Una marice A M(n, K) si dice inveribile se B M(n, K) A B = B A = I DEFINIZIONE 274: Una marice A M(n, K) si dice singolare se rk(a) < n PROPOSIZIONE 276: Sia A M(n, K) Allora sono fai equivaleni: 1) A è inveribile; 2) A: K n K n è un isomorfismo; 39 a 1

41 3) rk(a) = n 1) 2): ovvia 2) 3): ovvia 3) 2): So che A è lineare e che A è surgeiva, in quano rk(a) = dim Im(A) = n, perciò A è inieiva, dunque ho la esi Osservazione: A M(n) è singolare non è inveribile DEFINIZIONE 275: Definiamo marice elemenare di M(n, K) ogni marice oenua da I n eseguendo una sola operazione elemenare per riga: 1 o ipo: Denoiamo con E ij la marice oenua da I n scambiando l i-esima riga con la j-esima riga; 2 o ipo: Denoiamo con E i (λ) la marice oenua da I n moliplicando l i-esima riga per la cosane λ ; 3 o ipo: E ij (λ) è la marice oenua da I n sommando alla riga i-esima λ vole la riga j-esima Osservazione: Se B è oenua da A con un operazione elemenare per riga, allora B = EA, dove E è la marice elemenare corrispondene all operazione effeuaa Esempio: A = ( a b c d ) a b B = ( A 2 +3A 1 c + 3a d + 3b ); E A = ( 1 b ) (a 3 1 c d ) = ( a b c + 3a d + 3b ) Osservazione: Le marici elemenari sono ue inveribili: 1) E ij E ij = I, poiché scambio le righe i e j e poi le riscambio; perciò (E ij ) 1 = E ij 2) E i (λ 1 ) E i (λ) = I, poiché moliplico la riga i-esima prima per λ 1 e poi per λ; perciò (E i (λ)) 1 = E i (λ 1 ) 3) E ij (λ) E ij ( λ) = I, dunque (E ij (λ)) 1 = E ij ( λ) Quindi se prendo una marice A M(p, q, K) e gli applico n operazioni di riga, oengo la ridoa a scalini S: A M 1 A M 2 M 1 A M n M 1 A = S Se A è inveribile, allora è un isomorfismo; gli M i sono ui isomorfismi, e la composizione di isomorfismi è un isomorfismo, perciò S è inveribile Dunque, dea M = M n M 1 GL(p): K n A K p M K p K n K p S=M A Sappiamo che S j = M A j, ma M è un isomorfismo, quindi rasforma basi in basi Inolre {S j 1,, S j r} è una base di Im(S), dunque {A j 1,, A j r} è una base di Im(A) ALGORITMO PER L ESTRAZIONE DI UNA BASE DA UN GRUPPO DI GENERATORI: Dai v 1,, v k K n, sia A = (v 1 v k ) Dea S una ridoa a scalini di A, se S j 1,, S j r sono le colonne coneneni i pivos di S, allora {v j1,, v jr } è una base Span(v 1,, v k ) 4

42 Osservazione: Per esendere v 1,, v m K n linearmene indipendeni a base di K n cosruiamo A = (v 1 v m e 1 e n ) Poiché i veori in colonna generano K n, applicando l algorimo precedene esendo v 1,, v m a base di K n Osservazione: Sia A M(p, n, K) So che M GL(p) MA = S a scalini Per rovare una ale M riduco (A I p ) a scalini fino a oenere (S B) Sicuramene M GL(p) M(A I p ) = (S B); allora: MA = S M = B { { MI = B BA = S dunque la marice cercaa è B CALCOLO DELL INVERSA: Sia A M(n, K) Riduco per righe (A I n ) fino a (S ), con S a scalini Poiché rk(a) = rk(s), A è inveribile rk(s) = n Se rk(s) < n, l algorimo si ferma, poiché A non è inveribile Se rk(s) = n, proseguo con la riduzione fino a oenere (I B) Per l osservazione precedene, BA = I, cioè B è un inversa sinisra di A Ma essendo A inveribile, allora B è anche inversa desra: B = A 1 Noazione: Sia A M(p, n) Denoiamo con (A i1,, A im A j 1,, A j q ) la soomarice di A oenua in modo che conenga gli elemeni nelle inersezioni fra le righe e le colonne considerae DEFINZIONE 276: Una soomarice quadraa si dice minore PROPOSIZIONE 277: Sia A M(p, n) Sia B un minore inveribile di A Allora le righe (o le colonne) che concorrono a formare B sono linearmene indipendeni Sia B = (A i1,, A iq A j 1,, A j q ) Se α 1 A i1 + +α q A iq =, a maggior ragione α 1 B 1 + +α q B q = Ma B 1,, B q sono linearmene indipendeni perché rk(b) = q, quindi α 1 = = α q = TEOREMA 278: Il rango di una marice coincide con il massimo degli ordini dei suoi minori inveribili Sia A M(p, n); sia r = rk(a); sia ρ il massimo degli ordini dei minori di A inveribili ρ r: Sia B un minore ρ ρ di A inveribile Allora, per la proposizione precedene, esisono in A ρ righe indipendeni, quindi r ρ ρ r: Siano A i1,, A ir r righe indipendeni in A Allora ho la soomarice B = (A i1,, A ir A 1,, A n ) di rango r Allora il rango per colonne è r, dunque esisono in B r colonne indipendeni B j 1,, B j r Allora la soomarice M di B, M = (B 1,, B r B j 1,, B j r) ha rango r, cioè è un minore r r inveribile di A Dunque ρ r, da cui la esi 41

43 DEFINIZIONE 277: Sia B = (A i1,, A iq A j 1,, A j q ) un minore di A Definiamo minore orlao di B un qualunque minore B = (A i1,, A iq, A h A j 1,, A j q, A k ), con h i 1,, i q e k j 1,, j q TEOREMA DEGLI ORLATI: Sia A M(m, n, K) Allora rk(a) = k un minore k k inveribile i cui orlai sono ui non inveribili ) Sappiamo che se rk(a) = k allora esise un minore k k inveribile e ui i minori h h, con h > k, sono non inveribili Gli orlai apparengono a queso ipo di minori, dunque segue la esi ) Se esise un minore Q k k inveribile, so che rk(a) k Dunque devo mosrare che se ui gli orlai di Q sono non inveribili, effeivamene non può essere rk(a) > k Ovvero se rk(a) > k, rovo un orlao di Q inveribile Sia Q dao dalle righe R i1,, R ik e dalle colonne C j1,, C jk L inveribilià di Q implica che la marice (C j1 C jk ) ha rango k Dunque C j1,, C jk sono elemeni di K n linearmene indipendeni Se rk(a) > k, allora dim Span(C 1,, C m ) > k, per cui C jk+1 C j1,, C jk, C jk+1 sono linearmene indipendeni Quindi rk(c j1 C jk C jk+1 ) = k + 1 Inolre le righe i 1,, i k di quesa marice sono linearmene indipendeni, perché idenificano una soomarice che coniene Q Dunque riga R ik+1 le righe R i1,, R ik, R ik+1 di quesa marice (k + 1) (k + 1) sono linearmene indipendeni Queso è un orlao inveribile di Q, dunque ho la esi 28 SD-EQUIVALENZA DEFINIZIONE 281: Sia f: V W lineare e siano S = {v 1,, v n } una base di V e T = {w 1,, w m } una base di W Definiamo marice associaa a f rispeo a S e T: M S,T (f) = ([f(v 1 )] T [f(v n )] T ) α i,1 dove [f(v i )] T = ( ) sono le coordinae di f(v i ) rispeo a T, cioè ali che α i,m f(v i ) = α i,1 w 1 + +α i,m w m Osservazione: Sia v V; allora v = x 1 v 1 + +x n v n f(v) = x 1 f(v 1 )+ +x n f(v n ) = x 1 (α 1,1 w 1 + +α 1,m w m )+ +x n (α n,1 w 1 + +α n,m w m ) = = (α 1,1 x 1 + +α n,1 x n )w 1 + +(α 1,m x 1 + +α n,m x n )w m, cioè: α 1,1 x 1 + +α n,1 x n x 1 [f(v)] T = ( ) = M S,T (f) ( ) = M S,T (f) [v] S α 1,m x 1 + +α n,m x n x n 42

44 TEOREMA 281: Siano V, W spazi veoriali ali che dim V = n, dim W = m Sia S = {v 1,, v n } base di V e T = {w 1,, w m } base di W Allora l applicazione: M S,T : Hom(V, W) M(m, n, K) f M S,T (f) è un isomorfismo M S,T è evidenemene lineare; È inieiva, poiché se f Ker(M S,T ), [M S,T (f)] 1 = = [M S,T (f)] n =, cioè f(v 1 ) = = f(v n ) =, e per il eorema che dice che! applicazione lineare che manda una base in veori preassegnai, allora f è l applicazione nulla M S,T è surgeiva, poiché A M(m, n)! f: V W lineare ale che [f(v 1 )] T = A 1,, [f(v n )] T = A n, dunque M S,T (f) = A COROLLARIO 282: Siano V, W spazi veoriali ali che dim V = n, dim W = m Allora dim Hom(V, W) = m n Segue dal fao che basi di V e W, l applicazione M S,T : Hom(V, W) M(m, n, K) è un isomorfismo e dim M(m, n, K) = m n Noazione: Se V è uno spazio veoriale e B è base di V, denoiamo con V B lo spazio V rispeo alla base B PROPOSIZIONE 283: Siano f: U S V T e g: V T W R lineari e siano A = M S,T (f) e B = M T,R (g) Allora M S,R (g f) = B A u U, [(g f)(u)] R = [g(f(u))] R = B [f(u)] T = B A [u] S, da cui la esi Osservazione: Se S è base di V, T è base di W e A = M S,T (f), allora il diagramma [ ] S V f K n A 43 W K m [ ] T è commuaivo, cioè per andare da uno spazio all alro si può seguire un qualsiasi percorso (dunque ad esempio A [ ] S = [ ] T f) Inolre il diagramma: è commuaivo [ ] S V K n f A g f W K m B A g [ ] T B Z K p [ ] R PROPOSIZIONE 284: Sia f: V W lineare, A = M S,T (f) Allora rk(f) = rk(a) Sia S = {v 1,, v n }; allora Im(f) = Span(f(v 1 ),, f(v n ))

45 Inolre [f(v i )] T = A i i Se φ = [ ] T : W K m è l isomorfismo indoo dalla base T, allora φ(im(f)) = C(A) = Im(A) Per cui rk(f) = dim Im(f) = dim Im(A) = rk(a) Osservazione: Per la proposizione precedene, se {A j 1,, A j r} è una base di Im(A), allora {f(v j1 ),, f(v jr )} è una base di Im(f) COROLLARIO 285: Sia f: V W lineare, dim V = dim W = n Allora f è inveribile A = M S,T (f) è inveribile f è inveribile rk(f) = n rk(a) = n A è inveribile DEFINIZIONE 282: Siano S, T basi di V Definiamo marice del cambiameno di base da S a T la marice M S,T (id) Osservazioni: 1) Se N = M S,T (id) e v V, allora [v] T = N [v] S Dunque N rasforma le coordinae di v rispeo a S nelle coordinae di v rispeo a T 2) Evidenemene M S,T (id) M T,S (id) = I, dunque M S,T (id) è inveribile e (M S,T (id)) 1 = M T,S (id) 3) Se B = {v 1,, v n } è base di V, allora [ ] B (v i ) = e i, cioè [ ] B rasforma B nella base canonica di K n 4) Se g: V K n è un isomorfismo, allora! base B di V ale che g = [ ] B Infai, per l osservazione precedene, B = {g 1 (e 1 ),, g 1 (e n )}, dunque è unica PROPOSIZIONE 286: Sia V uno spazio veoriale, dim V = n, B base di V, A GL(n) Allora: 1)! base S di V A = M S,B (id); 2)! base T di V A = M B,T (id) 1) Le ipoesi creano una siuazione del genere: V K n id A V K n [ ] B A è un isomorfismo, dunque anche A 1 è un isomorfismo Allora! isomorfismo g: V K n il diagramma: g V K n id A V K n [ ] B commui In paricolare g = A 1 [ ] B Per l osservazione 4)! base S di V ale che g = [ ] S (che dunque sarà S = {g 1 (e 1 ),, g 1 (e n )} = {[ ] B 1 (A(e 1 )),, [ ] B 1 (A(e n ))} = {[A 1 ] B 1,, [A n ] B 1 ) 2)! g = A [ ] B isomorfismo che rende commuaivo il diagramma: 44

46 [ ] B V K n id A V K n g Per l osservazione 4)! base T di V ale che g = [ ] T Osservazione: Sia f: V W lineare, S, S basi di V, T, T basi di W Siano A = M S,T (f) e A = M S,T (f) Siano inolre N = M S,S (id) e M = M T,T (id) La siuazione dei dai è dunque: V S N V S A A W T W T M Il diagramma è commuaivo e dunque A = MAN, ossia: M S,T (f) = M T,T (id) M S,T (f) M S,S (id) DEFINIZIONE 283: f, g Hom(V, W) f e g si dicono SD-equivaleni (f SD g) h GL(W), k GL(V) g = h f k Osservazioni: 1) SD è una relazione di equivalenza (la verifica è lasciaa al leore); 2) Se f SD g, allora rk(f) = rk(g), poiché componendo isomorfismi il rango non cambia (il rango è dunque un invariane per SD ); DEFINIZIONE 284: A, B M(p, n, K) A SD B M GL(p), N GL(n) B = MAN Osservazione: Dalle definizioni segue immediaamene che, se A = M B,S (f), B = M B,S (g), allora f SD g A SD B Osservazione: Se B = MAN, con M, N inveribili, posso vedere A come un applicazione lineare: A = M C,C (A), dove C è la base canonica Inolre, se inerpreo N = M S,C (id K n), M = M C,T (id K p): n n p p K S K C K C K T N Allora B = M S,T (A) Per cui A SD B rappresenano la sessa applicazione lineare in basi diverse Esendiamo quesa osservazione al caso delle applicazioni lineari con la seguene proposizione: PROPOSIZIONE 287: f, g Hom(V, W) Allora: f SD g B, B basi di V, S, S base di W ali che M B,S (f) = M B,S (g) ) Fisso B base di V e S base di W Per ipoesi h GL(W), k GL(V) g = h f k: A M 45

47 [ ] B V K n k V [ ] B N K n g=h f k f A [ ] S W K p h M W K p [ ] S Allora M B,S (g) = MAN, con A = M B,S (f) Inerpreo N e M come marici del cambiameno di base:! B base di V M B,B (id V) = N,! S base di W M S,S (id W ) = M Allora M B,S (f) = M S,S (id W) M B,S (f) M B,B (id V) = MAN = M B,S (g) ) Analogo PROPOSIZIONE 288: f: V W lineare, dim V = n, dim W = p, rk(f) = r Allora B base di V, S base di W: M B,S (f) = ( I r ) M(p, n, K) dim Ker(f) = n r Sia {v r+1,, v n } una base di Ker(f) Sia B = {v 1,, v r, v r+1,, v n } base di V Allora {f(v 1 ),, f(v r )} è una base di Im(f) (in quano f(v i ) = r + 1 i n) La compleo a S = {f(v 1 ),, f(v r ), w r+1,, w p } base di W Allora B e S verificano la esi TEOREMA 289: f SD g rk(f) = rk(g) ) Già visa ) Se rk(f) = rk(g) = r, allora per la proposizione precedene B, S basi M B,S (g) = ( I r ), B, S basi M B,S (f) = (I r ) Poiché SD è una relazione di equivalenza, ho la esi Osservazione: Il rango è dunque un invariane compleo per SD, in alre parole l insieme quoziene Hom(V, W)/ SD ha r = min(dim V, dim W) + 1 classi di equivalenza, in quano il rango di una marice m n può oscillare fra e min(dim V, dim W) Esprimiamo le due precedeni proposizioni anche a livello mariciale: PROPOSIZIONE 281: A M(p, n, K) Se rk(a) = r A SD ( I r ) TEOREMA 2811: A, B M(p, n, K) Allora A SD B rk(a) = rk(b) 46

48 Si rirova dunque il seguene risulao: COROLLARIO 2812: rk(a) = rk( A) Denoiamo J r (p, n) = ( I r ) M(p, n) Se rk(a) = r, M, N inveribili A = M J r (p, n) N Dunque A = N J r (p, n) M = N J r (n, p) M Ma M e N sono inveribili, dunque A SD J r (n, p) Poiché rk(j r (n, p)) = r, segue che rk( A) = r 29 SPAZIO DUALE DEFINIZIONE 291: Sia V un K-spazio veoriale Si definisce spazio duale V = Hom(V, K) Gli elemeni v i di V sono dei funzionali lineari PROPOSIZIONE 291: Sia B = {v 1,, v n } base di V i, sia v i : V K il funzionale definio da v i (v j ) = δ ij, dove δ ij è il dela di Kronecker Allora B = {v 1,, v n } è base di V, dea base duale di B I v i sono linearmene indipendeni, infai se a 1 v 1 + +a n v n =, allora (a 1 v 1 + +a n v n )(v j ) = j Poiché = (a 1 v 1 + +a n v n )(v j ) = (a j v j )(v j ) = a j j, concludiamo che a 1 = = a n = Dimosriamo che generano: sia f V ; cerco a 1,, a n K f = a 1 v 1 + +a n v n Poiché j, f(v j ) = (a 1 v 1 + +a n v n )(v j ) = a j, basa scegliere a i = f(v i ) e oengo la esi f(v 1 ) Osservazione: Per la dimosrazione precedene, [f] B = ( ) f(v n ) DEFINIZIONE 292: Si definisce spazio biduale V = (V ) = Hom(V, K) Osservazione: dim V = dim V = dim V Noazione: Sia B = {v 1,, v n } una base di V Poniamo φ B : V V v i φ B (v i ) = v i i Quindi: V φ B V φ B V TEOREMA 292: L applicazione ψ V : V V v ψ V (v), dove ψ V (v): V K g ψ V (v)(g) = g(v): 1) è un isomorfismo canonico; 2) base B di V, φ B φ B = ψ V 47

49 1) Dimosriamo innanziuo che effeivamene ψ V (v) V, cioè che ψ V (v) è lineare v: v V, λ, μ K, f, g V, ψ V (v)(λf + μg) = (λf + μg)(v) = λf(v) + μg(v) = λψ V (v)(f) + μψ V (v)(g), che implica che ψ V (v) è lineare perché conserva le combinazioni lineari; dunque ψ V : V V è ben definia Lasciamo la verifica che ψ V è lineare, cioè che v 1, v 2 V, ψ V (a 1 v 1 + a 2 v 2 ) = a 1 ψ V (v 1 ) + a 2 ψ V (v 2 ), cioè che ψ V (a 1 v 1 + a 2 v 2 )(g) = (a 1 ψ V (v 1 ) + a 2 ψ V (v 2 ))(g) g V Poiché dim V = dim V, dimosriamo solo l inieivià di ψ V : sia v Ker(ψ V ) ψ V (v) = ψ V (v)(g) = g(v) = g V v =, poiché se v, g: V K lineare g(v), assurdo Dunque ψ V è un isomorfismo ed evidenemene non dipende da nessuna base 2) Devo mosrare che, fissaa B = {v 1,, v n }, (φ B φ B )(v i ) = ψ V (v i ) i, poiché se due applicazioni lineari coincidono su una base, evidenemene coincidono su qualunque elemeno dello spazio e dunque sono uguali Ma poiché (φ B φ B )(v i ) e ψ V (v i ) sono due funzionali di V, per mosrare che sono uguali bisogna far vedere che coincidono su una base di V, cioè che (φ B φ B )(v i )(v j ) = ψ V (v i )(v j ) j Ora: (φ B φ B )(v i )(v j ) = (φ B (φ B (v i ))) (v j ) = (φ B (v i ))(v j ) = (v i )(v j ) = δ ij ; ψ V (v i )(v j ) = (v j )(v i ) = δ ij, dunque ho la esi DEFINIZIONE 293: Sia S V Si definisce annullaore di S Ann(S) = {f V f S } PROPOSIZIONE 293: 1) S V, Ann(S) è soospazio veoriale di V 2) S T Ann(T) Ann(S) 3) Se U è soospazio veoriale di V e dim U = k dim Ann(U) = n k 4) f V, Ann(f) = ψ V (Ker(f)) 5) U soospazio veoriale di V, Ann(Ann(U)) = ψ V (U) 1) È una semplice verifica 2) Se f Ann(T) f(v) = v T S f Ann(S) 3) Sia {u 1,, u k } base di U La compleo a {u 1, u k, v k+1,, v n } base di V Provo che {v k+1,, v n } è base di Ann(U): Sicuramene v i Ann(U) i k + 1, poiché v i (u j ) = j k; v k+1,, v n sono linearmene indipendeni perché elemeni della base duale; Mosriamo ora che v k+1,, v n generano: Sia f Ann(U) V a 1,, a n K f = a 1 u 1 + +a k u k + a k+1 v k+1 + +a n v n Poiché f Ann(U), allora f(u i ) = i k, quindi a 1 = = a k = Dunque f = a k+1 v k+1 + +a n v n, da cui la esi 4) Ann(f) = {h V h(f) = } = {ψ V (x) V ψ V (x)(f) = f(x) = } = ψ V ({x V f(x) = } = ψ V (Ker(f)) 5) Poiché dim ψ V (U) = dim U = n dim Ann(U) = n n + dim Ann(Ann(U)) = dim Ann(Ann(U)), dimosro solo che ψ V (U) Ann(Ann(U): x U, ψ V (x) Ann(U) =, perché f Ann(U), ψ V (x)(f) = f(x) = 48

50 Noazione: Al poso di ψ V (U) scriveremo semplicemene U DEFINZIONE 294: Sia f: V W lineare Definiamo rasposa di f: f: W V f(g) = g f Osservazione: È una buona definizione, poiché se g: W K, allora g f: V W K, cioè g f V PROPOSIZIONE 294: 1) f: W V è lineare 2) ( f) = f (grazie all idenificazione degli isomorfismi canonici ψ V e ψ W ), cioè è commuaivo il diagramma: f 3) Se h: W Z è lineare, allora (h f) 4) Ker( f) = Ann(Im(f)) 5) Im( f) = Ann(Ker(f)) ψ V V V = f ( f) h 49 W ψ W W 6) Se B è base di V e S è base di W, M S,B ( f) = (M B,S (f)) 1) a 1, a 2 K, g 1, g 2 W : f(a 1 g 1 + a 2 g 2 ) = (a 1 g 1 + a 2 g 2 ) f = a 1 (g 1 f) + a 2 (g 2 f) = a 1 f(g 1 ) + a 2 f(g 2 ) 2) Devo mosrare che ψ W f = ( f) ψ V, ossia che v V, (ψ W f)(v) = ( ( f) ψ V )(v), ossia che g W, (ψ W f)(v)(g) = ( ( f) ψ V )(v)(g) (ψ W f)(v)(g) = ψ W (f(v))(g) = g(f(v)) = (g f)(v); ( ( f) ψ V )(v)(g) = ( f) (ψ V (v))(g) = (ψ V (v) f)(g) = ψ V (v)( f(g)) = = ψ V (v)(g f) = (g f)(v) 3) g Z, (h f) (g) = g h f = h(g) f = f( h(g)) = ( f h)(g) 4) ) Sia g Ker( f), cioè f(g) = g f = f(x) Im(f), g(f(x)) =, quindi g Ann(Im(f)); ) Sia g Ann(Im(f)) x V, g(f(x)) =, cioè ( f(g))(x) = x V, quindi f(g) =, cioè g Ker( f) 5) Per la 4) so che Ker( ( f) ) = Ann(Im( f)), cioè Ker(f) = Ann(Im( f)), quindi, applicando l annullaore, Ann(Ker(f)) = Ann (Ann(Im( f))) = Im( f) 6) B = {v 1,, v n }, S = {w 1,, w p } Sia A = M B,S (f), N = M S,B ( f) (w j f)(v 1 ) Allora N j = [ f(w j )] = ( B ), dunque [N] ij = (w j f)(v i ) = w j (f(v i )) (w j f)(v n ) Ora [f(v i )] S = A i, cioè f(v i ) = [A] 1i w 1 + +[A] pi w p, da cui: w j (f(v i )) = [A] ji, ossia [N] ij = [A] ji, da cui N = A Osservazione: Ancora: rk( A) = dim Im( A) = dim Ann(Ker(f)) = n dim Ker(f) = rk(a)

51 3 ENDOMORFISMI 3 ALCUNE NOZIONI SULLE PERMUTAZIONI Noazione: Denoeremo J n = {1,, n} e S n = S(J n ) le permuazioni di J n Noazione: Denoeremo con ( 1 n ) la permuazione σ ale che i σ(i) i σ(1) σ(n) DEFINIZIONE 31: Definiamo orbia di i secondo σ la successione: i σ(i) σ k (i) = i L orbia si dice banale quando consise di un solo elemeno, cioè σ(i) = i DEFINIZIONE 32: c S n si dice ciclo se coniene una sola orbia non banale Due cicli si dicono disgiuni se non hanno elemeni in comune Noazione: Denoeremo con (n 1 n k ) il ciclo ale che n i n i+1 1 i < k e n k n 1 PROPOSIZIONE 31: Cicli disgiuni commuano Esempio: Se σ = (1 2 4) (3 5) e τ = (3 5) (1 2 4), σ, τ S 5 : σ = ( ), τ = ( ) PROPOSIZIONE 32: Ogni σ S n si scrive come composizione di cicli disgiuni, in modo unico a meno dell ordine Esempio: σ = ( ) La decompongo in cicli: , cioè ho il ciclo (1 4), , cioè ho il ciclo (2 3 5), 6 6, cioè ho il ciclo banale Quindi σ = (1 4) (2 3 5) DEFINIZIONE 33: Se c = (n 1 n k ) è un ciclo, definiamo lunghezza di c l(c) = k Per convenzione l(id) = 1 DEFINIZIONE 34: Definiamo rasposizione un ciclo di lunghezza 2: τ = (n 1 n 2 ) DEFINIZIONE 35: Se σ = c 1 c p, con c 1,, c p cicli disgiuni: 1) poniamo N(σ) = (l(c 1 ) 1)+ +(l(c p ) 1) 2) diciamo che σ è pari (dispari) se N(σ) è pari (dispari) 3) definiamo segno di σ sgn(σ) = ( 1) N(σ) 5

52 Osservazioni: Tue le rasposizioni sono permuazioni dispari PROPOSIZIONE 33: Ogni ciclo c di lunghezza k si può scrivere come composizione di N(c) = k 1 rasposizioni (non disgiune) Se c = (n 1 n k ), non è difficile verificare che c = (n 1 n k ) (n 1 n 2 ) Osservazione: La decomposizione di un ciclo nel prodoo di rasposizioni non è unica, ad esempio (1 2 3) = (1 3)(1 2) = (1 2)(1 3)(2 3)(1 2) Si può però dimosrare il seguene fao: PROPOSIZIONE 34: La parià del numero di rasposizioni che compongono un ciclo è cosane PROPOSIZIONE 35: Sia σ S n Allora N(σ) = N(σ 1 ) Sia σ = c 1 c p la decomposizione di σ in cicli disgiuni Allora σ 1 = c p 1 c 1 1 Inolre l(c i ) = l(c i 1 ), poiché (n 1 n k ) 1 = (n k n 1 ) Perciò i, N(c i ) = N(c i 1 ) N(σ) = N(σ 1 ) Osservazione: Poiché σ σ 1 = id, componendo σ con N(σ) rasposizioni si oiene l idenià 31 DETERMINANTE DEFINIZIONE 311: Sia A M(n, K) Definiamo deerminane una funzione D: M(n, K) K ale che D(A) = le righe di A sono linearmene dipendeni ( rk(a) < n) Osservazione: Cerchiamo una ale D 2 nello spazio M(2, K) Sia A = ( a b c d ) Se a = c = le righe sono dipendeni; Se a = c, allora le righe sono dipendeni b = Se a, riduco a scalini: A = ( a b d bca 1), dunque le righe di A sono dipendeni d bca 1 = ad bc = Riassumendo, se pongo D 2 (A) = ad bc, ho l applicazione volua, ale che D(A) = le righe di A sono linearmene dipendeni DEFINIZIONE 312: Siano V, W K-spazi veoriali Sia f: V V W n vole i = 1,, n fisso w 1,, w i 1, w i+1,, w n V e sia f i = f(w 1,, w i 1, v, w i+1,, w n ): V W L applicazione f si dice mulilineare se f i è lineare i 51

53 Osservazione: L applicazione deerminane che siamo cercando deve essere mulilineare, poiché deve essere lineare in ogni riga PROPOSIZIONE 311: La funzione D 2 : M(2, K) K D 2 ( a b ) = ad bc verifica le c d segueni proprieà: 1) D 2 è lineare in ogni riga; 2) Se A ha due righe uguali, D 2 (A) = ; 3) D 2 (I) = 1 1) Verifichiamolo solo per la prima riga; poniamo B = (a 1 b 1 ), C = (a 2 b 2 ) Allora: λb + μc D 2 ( ) = D A 2 ( λa 1 + μa 2 λb 1 + μb 2 ) = (λa 2 c d 1 + μa 2 )d (λb 1 + μb 2 )c = λ(a 1 d b 1 c) + μ(a 2 d b 2 c) = λd 2 ( B A 2 ) + μd 2 ( C A 2 ), da cui la esi 2) Ovvia 3) 1 1 = 1 PROPOSIZIONE 312: Se D verifica le proprieà 1), 2), 3), allora verifica anche le segueni: a) Se A ha una riga nulla, D(A) = ; b) D(, A i,, A j, ) = D(, A j,, A i, ); c) Se B è oenua da A sommando ad una riga una combinazione lineare delle alre righe (operazione elemenare di 3 o ipo), allora D(B) = D(A); d) Se le righe di A sono linearmene dipendeni, D(A) = ; a 1 e) Se A = ( a n ), allora D(A) = a 1 a n a) Se A i =, allora A = (A 1 B A n ) Dunque D(A) = D(A 1 B A n ) = b) Considero la marice (, A i + A j,, A i + A j, ) Per la proprieà 2), D(, A i + A j,, A i + A j, ) = Per mulilinearià: = D(, A i + A j,, A i + A j, ) = D(, A i,, A i, ) + D(, A i,, A j, ) + D(, A j,, A i, ) + D(, A j,, A j, ) = + D(, A i,, A j, ) + D(, A j,, A i, ) +, da cui la esi n c) Supponiamo B = A 1 + i=2 α i A i Allora: n n D(B) = D(A 1 + i=2 α i A i, A 2,, A n ) = D(A) + i=2 α i D(A i, A 2,, A n ) Ma la sommaoria è nulla, in quano per la proprieà 2) ui i ermini sono nulli, dunque D(B) = D(A) n d) Supponiamo A 1 = i=2 α i A i Allora: n n D(A) = D( i=2 α i A i, A 2,, A n ) = i=2 α i D(A i, A 2,, A n ) = e) Se A è diagonale, allora A i = a i I i i Perciò: D(A) = a 1 D(I 1, a 2 I 2,, a n I n ) = = a 1 a n D(I) = a 1 a n 52

54 Nella seguene esposizione riguardo al deerminane dimosreremo prima che, se la funzione deerminane esise, allora è unica, e solo dopo ne mosreremo l esisenza PROPOSIZIONE 313: Se D verifica 1), 2) e 3), allora è unico Sia S a scalini oenua da A con m operazioni di 1 o ipo e k di 3 o ipo Allora D(A) = ( 1) m D(S) Se S ha una riga nulla D(S) = D(A) = a 1 Alrimeni con solo operazioni di 3 o ipo poriamo S nella forma S = ( ) a n Dunque D(S) = D(S ) = a 1 a n D(A) = ( 1) m a 1 a n, perciò in ogni caso è unico COROLLARIO 314: Se D è una funzione che verifica 1), 2) e 3), allora: D(A) = le righe di A sono linearmene dipendeni ) Già faa ) Se le righe di A fossero indipendeni, allora D(A) = ( 1) m a 1 a n, assurdo PROPOSIZIONE 315: Se D: M(n, K) K verifica 1), 2) e 3), allora: dove a i,j = [A] ij D(A) = D ( n a 1,i1 I i1 i 1 =1 A 2 A n ) D(A) = sgn(σ) a 1,σ(1) a n,σ(n) n σ S n = a 1,i1 D i 1 =1 ( n I i1 a 2,i2 I i2 i 2 =1 A 3 A n ) = = a 1,i1 a n,in D ( ) I in i 1 J n i n J n Ma se fra gli i j ce ne sono due uguali, allora D ( ) =, poiché ha due righe uguali I in Perciò: I i1 I i1 I σ(1) D(A) = a 1,i1 a n,in D ( ) = a 1,σ(1) a n,σ(n) D ( ) {i 1,,i n } Jn n I in I σ(n) I σ(1) σ S n Si ripora la marice ( ) a I con N(σ) scambi di righe, per cui: I σ(n) D(A) = ( 1) N(σ) σ S n sgn(σ) a 1,σ(1) a n,σ(n) D(I) =1 = sgn(σ) a 1,σ(1) a n,σ(n) σ S n I i1 53

55 Osservazione: La precedene proposizione è una dimosrazione alernaiva dell unicià di D Esempi: Applichiamo la formula rovaa ai casi più semplici (è molo laborioso applicarla alle marici di ordine > 3): n = 2: S 2 = {id, (1 2) } e sgn(id) = 1, sgn(σ) = 1 σ D ( a 11 a 12 a 21 a ) = 1 a 1,id(1) a 2,id(2) + ( 1) a 1,σ(1) a 2,σ(2) = a 11 a 22 a 12 a 21, che coincide 22 con la formula che già avevamo n = 3: S 3 = { id sgn=1 a 11 a 12 a 13 D ( a 21 a 31 a 22 a 32 a 23 ) = a 33, (1 2), (1 3), (2 3) sgn= 1, (1 2 3), (1 3 2) }; sgn=1 = a 11 a 22 a 33 + a 12 a 23 a 31 + a 13 a 21 a 32 a 12 a 21 a 33 a 11 a 23 a 32 a 13 a 22 a 31 Osservazione: La precedene espressione per il deerminane nel caso n = 3 è dea regola (o formula) di Sarrus DEFINIZIONE 313: Definiamo D n : M(n, K) K la funzione definia da: se n = 1, D 1 (a) = a; se n = 2, D 2 ( a b ) = ad bc; c d n se n > 2, D n (A) = i=1 ( 1) i+1 [A] i1 D n 1 (A i1 ), dove A ij è la soomarice di A di ordine n 1 oenua da A cancellando la riga A i e la colonna A j Quesa soomarice prende il nome di complemeno algebrico dell elemeno a ij L applicazione D n appena definia si chiama sviluppo di Laplace secondo la prima colonna Osservazione: L applicazione D n è saa definia ricorsivamene PROPOSIZIONE 316: L applicazione D n verifica le proprieà 1), 2) e 3) Procediamo in ogni caso con l induzione su n; in ui e re i casi abbiamo già provao il passo base, dunque qua mosriamo solo il passo induivo 1) Siano A = A 1 λb + μc A j, A = A 1 B A j, A = A 1 C A j A n ) ( A n ) ( A n ) ( Dobbiamo dimosrare che D n (A) = λd n (A ) + μd n (A ) Osserviamo che: { [A] i1 = [A ] i1 = [A ] i1 i j [A] j1 = λ[a ] j1 + μ[a, inolre A ] j1 = A j1 = A j1, j1 menre se i j il minore A i1 ha una riga che è combinazione lineare di due righe dei minori e A i1 A i1 54

56 Dunque per ipoesi induiva: i j, D n 1 (A i1 ) = λd n 1 (A i1 ) + μd n 1 (A i1 Allora: n D n (A) = ( 1) i+1 [A] i1 D n 1 (A i1 ) = i=1 ) = (( 1) i+1 [A] i1 D n 1 (A i1 )) + ( 1) j+1 [A] j1 D n 1 (A j1 ) = i j = (( 1) i+1 [A] i1 (λd n 1 (A i1 ) + μd n 1 (A i1 ))) i j (λ[a ] j1 + μ[a ] j1 ) D n 1 (A j1 ) = n 55 + ( 1) j+1 = λ (( 1) i+1 [A ] i1 D n 1 (A i1)) + μ (( 1) i+1 [A ] i1 D n 1 (A i1)) i=1 = λd n (A ) + μd n (A ) 2) Supponiamo che A abbia due righe uguali, ad esempio A j = A h, j < h Se i j e i h, anche il minore A i1 ha due righe uguali e quindi, per ipoesi induiva, D n 1 (A i1 ) = Dunque: D n (A) = ( 1) j+1 [A] j1 D n 1 (A j1 ) + ( 1) h+1 [A] h1 D n 1 (A h1 ) Poiché A j = A h, si ha che [A] j1 = [A] h1 Inolre i minori A j1 e A h1 conengono le sesse righe ma in posizioni diverse Più precisamene, se A m denoa la riga A m privaa del primo elemeno, si ha: A j1 = A j 1 A j+1 A h = A j A h+1 ; A h1 = A j 1 A j = A h A h 1 A h+1 ( ) ( ) Allora A j1 può essere rasformao in A h1 araverso h 1 j scambi di righe, per cui D n 1 (A h1 ) = ( 1) h 1 j D n 1 (A j1 ) Dunque: D n (A) = ( 1) j+1 [A] j1 D n 1 (A j1 ) + ( 1) h+1 [A] h1 ( 1) h 1 j D n 1 (A j1 ) = = [A] j1 D n 1 (A j1 ) (( 1) j+1 + ( 1) 2h j ) Ma j h j = 2h + 1 dispari, allora (( 1) j+1 + ( 1) 2h j ) =, da cui la esi 3) L unico conribuo allo sviluppo di Laplace è dao da [A] 11 = 1, il cui complemeno algebrico è I n 1 Per ipoesi induiva D n 1 (I n 1 ) = 1 e dunque D n (I n ) = 1 Osservazione: Con la precedene dimosrazione abbiamo dimosrao l effeiva esisenza della funzione deerminane DEFINIZIONE 314: Chiamiamo deerminane l unica funzione de : M(n, K) K che verifica 1), 2) e 3) n i=1

57 Osservazione: Abbiamo viso che de(a) = le righe di A sono dipendeni A è singolare Inolre A è inveribile de(a) Osservazione: Con la sessa dimosrazione si prova che lo sviluppo di Laplace secondo una colonna A j : n D n (A) = ( 1) i+j [A] ij D n 1 (A ij ) i=1 verifica 1), 2) e 3) e dunque coincide con de(a) (per l unicià) Osservazione: Dalla definizione, de(λa) = λ n de(a) TEOREMA DI BINET: A, B M(n, K), de(ab) = de(a) de(b) Se de(b) = rk(b) < n e dunque rk(ab) < n de(ab) = Se de(b), si consideri f: M(n, K) K definia da f(a) = de(ab) de(b) ; f verifica le proprieà 1), 2) e 3), infai: 1) Se una riga di A è combinazione lineare di due righe, allora lo sesso vale per AB Ne segue che f è lineare nelle righe (poiché il denominaore de(b) è una cosane) 2) Se A ha due righe uguali, allora ce le ha anche AB (poiché ancora B è isomorfismo); dunque de(ab) = f(a) = 3) f(i) = de(ib) de(b) = 1 Per l unicià della funzione de, f(a) = de (A) e dunque de(a) = de(ab) de(b), esi COROLLARIO 317: Se A è inveribile, allora de(a 1 ) = (de(a)) 1 1 = de(i) = de(a A 1 ) = de(a) de(a 1 ) de(a 1 ) = (de(a)) 1 PROPOSIZIONE 318: A M(n, K), de( A) = de(a) de( A) = sgn(σ) [ A] 1,σ(1) [ A] n,σ(n) = sgn(σ) [A] σ(1),1 [A] σ(n),n σ S n 56 σ S n Sia τ = σ 1 Se σ(i) = j τ(j) = i, dunque [A] σ(i),i = [A] j,τ(j) Riordinando il prodoo e poiché sgn(σ) = sgn(σ 1 ): de( A) = sgn(τ) [A] 1,τ(1) [A] n,τ(n) = de(a) τ S n COROLLARIO 319: de(a) può essere calcolao mediane sviluppo di Laplace secondo una qualsiasi riga n ( 1) i+j [A] ji de(a ji ) = ( 1) i+j [ A] ij de( A ji i=1 = de( A) = de (A), n i=1 ) n = ( 1) i+j [ A] ij de(( A) ij ) = i=1

58 dove il passaggio = deriva dal fao che quella precedene è esaamene lo sviluppo di Laplace della j-esima colonna di A Osservazione: Poiché de( A) = de(a), la funzione deerminane verifica le proprieà 1), 2) e 3) anche per le colonne REGOLA DI CRAMER: Sia AX = B un sisema lineare quadrao con n equazioni e n incognie, de(a) Allora la sua unica soluzione è Y = ( ), dove: y n y i = de(b(i)), dove B(i) = de(a) (A1 B i esima colonna y 1 A n ) Poiché Y è soluzione di AX = B, allora AY = y 1 A 1 + +y n A n = B Allora: n de(b(i)) = de (A 1 y j A j A n ) = y j de(a 1 A j A n ) = y i de(a) j=1 poiché se j i, allora (A 1 A j A n ) ha due colonne uguali e dunque de(a 1 A j A n ) = Quindi, viso che de(a), si ha la esi CALCOLO DELL INVERSA: Se A è inveribile, allora la marice B definia da [B] ij = ( 1) de(a ji) i+j de(a) è l inversa di A Poiché A è inveribile, mi basa mosrare che AB = I, poiché se B è inversa desra allora è anche inversa sinisra n n j=1 [AB] hk = [A] hi [B] ik = ( 1) i+k de(a ki ) [A] hi de(a) i=1 n Se h = k [AB] hh = ( 1) i+h de(a [A] hi ) hi i=1 de(a) n i=1 = de(a) de(a) = 1; se h k [AB] hk =, poiché il numeraore è lo sviluppo secondo la riga k-esima di una marice oenua da A sosiuendo ad A k la riga A h e che quindi ha due righe uguali esi Osservazione: La formula dell inversa implica la regola di Cramer Infai sia dao il sisema lineare n n AX = B L unica soluzione è Y = A 1 B y 1 Se Y = ( ) y i = [A 1 n B] i1 = [A 1 n j=1 ] ij [B] j1 = ( 1) i+j de(a ji) j=1 [B] de(a) j1 y n L ulimo passaggio deriva dal fao che quello sulla sinisra è lo sviluppo secondo la prima colonna di una marice oenua da A sosiuendo la colonna B alla colonna A i = de(b(i)) de(a) 57

59 Osservazione: Siano A, C marici quadrae Allora, sfruando il prodoo a blocchi, possiamo vedere che: A B ( C ) = (I C ) (A B I ) Dunque: A B I B de ( ) = de ( ) de (A ) = de(c) de (A) C C I poiché eseguendo lo sviluppo di Laplace secondo la prima riga nella marice ( I ), si oiene C 1 1 de(c) = de(c) Analogamene per l alra marice Osservazione: Sia A = ( a c Posso supporre a > Caso 1): b =, d > b ) M(2, R) Sia P il parallelogramma con lai (a, b) e (c, d) d Area(P) = ad = de ( a b ) = de (a c d c d ) Caso 2): b =, d < Ribaliamo P rispeo all asse x oenendo P : Area(P) = Area(P ) = de ( a b ) = de (a c d c d ) 58

60 Dunque se b = Area(P) = de ( a b c d ) Caso generale): Sia R θ la roazione anioraria degli assi di angolo θ cos θ sin θ R θ = ( sin θ cos θ ); sia P il parallelogramma P nei nuovi assi Sicuramene Area(P) = Area(P ) P ha lai (a, ), (c, d ), perciò: ( a θ sin θ ) = (cos b sin θ cos θ ) (a b ) a = a cos θ b = a sin θ ; ( c θ sin θ ) = (cos d sin θ cos θ ) (c d ) c = c cos θ d sin θ d = c sin θ + d cos θ Vediamo che: de ( a b c d ) = ad bc = a cos θ (c sin θ + d cos θ) a sin θ (c cos θ d sin θ) = a c cos θ sin θ + a d (cos θ) 2 a c sin θ cos θ + a d (sin θ) 2 = a d = de ( a c d ) = Area(P ) = Area(P) Dunque in generale de(a) = Area(P), dove A M(2, R) e P è il parallelogramma con lai i veori riga di A DETERMINANTE DI VANDERMONDE: Siano λ 1,, λ n K e sia: 2 1 λ 1 λ n 1 1 λ 1 A(λ 1,, λ n ) = ( 1 λ 2 2 λ 2 n 1 λ 2 ) 1 λ 2 n λ n n 1 λ n Allora de(a(λ 1,, λ n )) = i<j (λ j λ i ) (in paricolare è λ i λ j i j) Dimosrazione 1: Per induzione su n: Passo base): n = 2: de ( 1 λ 1 1 λ 2 ) = λ 2 λ 1, verificao Passo induivo): Consideriamo A(λ 1,, λ n+1 ) e 2 i n + 1 olgo λ 1 C i 1 a C i Oengo: 59

61 Dunque: 1 1 λ 2 λ 1 1 λ 3 λ 1 ( 1 λ n+1 λ 1 λ 2 2 λ 1 λ 2 λ 2 3 λ 1 λ 3 2 λ 1 λ n+1 λ n+1 λ 2 λ 1 A(λ 1,, λ n+1 ) = de ( λ n+1 λ 1 λ 2 (λ 2 λ 1 ) λ n+1 (λ n+1 λ 1 ) λ n n 1 2 λ 1 λ 2 λ n n 1 3 λ 1 λ 3 n λ n+1 A A n 1 ) λ 1 λ n+1 λ n 1 2 (λ 2 λ 1 ) ) n 1 (λ n+1 λ 1 ) λ n+1 = (λ 2 λ 1 )(λ 3 λ 1 ) (λ n+1 λ 1 ) de A(λ 2,, λ n+1 ) = (λ j λ i ) Dimosrazione 2: 1 x x 2 x n Sia p(x) = de ( 1 λ 2 n 2 λ 2 λ 2 ) 1 λ 2 n n+1 λ n+1 λ n+1 p(x) è un polinomio in x di grado al più n (per sviluppo lungo la prima riga); 2 i n, p(λ i ) = (poiché la marice avrebbe due righe uguali) Per Ruffini (λ i x) p(x) i 2 Supponiamo i λ i ui diversi (alrimeni la esi è banale); allora: (λ 2 x) (λ n+1 x) p(x) Confronando i due gradi, deduco che p(x) = k (λ 2 x) (λ n+1 x), k K Ma: 1 2 n p() = de ( 1 λ 2 λ 2 λ 2 ) = λ 2 λ n+1 (λ j λ i ) 2 n i<j 1 λ n+1 λ n+1 λ n+1 i 2 Perciò k = i<j(λ j λ i ) p(λ 1 ) = k (λ 2 λ 1 ) (λ n+1 λ 1 ) esi i 2 i<j 32 ENDOMORFISMI SIMILI Noazione: Indicheremo M B,B (f) come M B (f) Riprendiamo per un aimo il conceo di SD-equivalenza Sappiamo che, dao f End(V), M B,B (f) SD M S,S (f) Supponiamo che B = B e S = S ; allora: M B (f) SD M S (f) M, N GL(V) M S (f) = N M B (f) M In paricolare, M = M S,B (id) e N = M B,S (id) Dunque N = M 1 Queso può essere riassuno nel seguene schema: [ ] S V S K n id V B [ ] B M K n f A 6 [ ] B V B K n id M 1 V S K n [ ] S

62 dove A = M B (f) Dunque M S (f) = M 1 A M DEFINIZIONE 321: f, g End(V) di dicono coniugai (f g) se h GL(V) g = h 1 f h DEFINIZIONE 322: A, B M(n, K) si dicono simili (A B) se M GL(n, K) B = M 1 AM Osservazioni: 1) Coniugio e similiudine sono relazioni di equivalenza (le verifiche sono lasciae al leore); 2) f, g End(V) Sono fai equivaleni: a) f g; b) B base di V, M B (f) M B (g); c) B, S basi di V, M B (f) = M S (g) Queso fao può essere dimosrao ricalcando l analoga dimosrazione per endomorfismi SDequivaleni 3) f g f SD g Dunque il rango è un invariane di coniugio, ma non è un sisema compleo di invariani Infai rk(i) = rk ( ) = 2, ma M GL(2) M 1 IM = ( 1 1 ), poiché M 1 GL(2), M 1 IM = I PROPOSIZIONE 321: A, B M(n, K) A B de(a) = de(b) B = M 1 AM de(b) = de(m 1 AM) = de(m 1 ) de(a) de(m) = de (A), poiché per Bine de(m 1 ) = (de(m)) 1 Osservazione: Dunque il deerminane è un invariane di similiudine Per la proposizione precedene sicuramene #(M(n, K)/ ) #(K), dunque se K è infinio anche M(n, K)/ ha infinie classi di similiudine DEFINIZIONE 323: f End(V) Definiamo de(f) = de(m B (f)), dove B è una base di V Osservazione: È una buona definizione, cioè non dipende dalla scela della base Infai, se S è un alra base di V, allora le marici M B (f) e M S (f) sono simili e dunque hanno lo sesso deerminane PROPOSIZIONE 322: f g de(f) = de (g) Sia B una base di V Allora: f g M B (f) M B (g) de(m B (f)) = de(m B (g)) de(f) = de(g) Osservazione: Quindi il deerminane è un invariane di coniugio; con lo sesso conroesempio di prima vediamo che {rango, deerminane} non è un sisema compleo di invariani per coniugio DEFINIZIONE 324: f End(V) λ K si dice auovalore per f se v V, v f(v) = λv 61

63 In al caso v è deo auoveore relaivo a λ DEFINIZIONE 325: Definiamo spero di f Sp(f) = {λ K λ è auovalore per f} DEFINIZIONE 326: Diciamo che W soospazio di V è un soospazio f-invariane se f(w) W Osservazioni: 1) Se v è auoveore f(span(v)) Span(v), quindi Span(v) è f-invariane In paricolare, se λ f(span(v)) = Span(v), se λ = f(span(v)) = {} 2) L auovalore relaivo ad un auoveore è univocamene deerminao; infai: f(v) = λv = μv (λ μ)v = (poiché v ) λ = μ 3) v è auoveore relaivo a v Ker(f) f non è inieiva DEFINIZIONE 327: Definiamo auospazio relaivo all auovalore λ V λ (f) = {v V f(v) = λv} (poremo scrivere V λ al poso di V λ (f)) Osservazioni: 1) V λ è un soospazio veoriale di V, poiché V λ = Ker(f λid) 2) λ è auovalore per f dim(v λ ) 1 In al caso V λ = {} {auoveori relaivi a λ} 3) f(v λ ) V λ, cioè V λ è f-invariane 4) f Vλ = λid Vλ DEFINIZIONE 328: Se λ è auovalore per f End(V), poniamo μ g (λ) = dim(v λ ), dove μ g (λ) è dea moleplicià geomerica di λ Osservazione: auovalore λ, 1 μ g (λ) dim(v) PROPOSIZIONE 323: Sia f g Allora: 1) Sp(f) = Sp(g); 2) λ Sp(f), dim(v λ (f)) = dim(v λ (g)); (ossia lo spero e la moleplicià geomerica degli auovalori sono invariani di coniugio) 1) Per ipoesi h GL(V) g = h 1 f h ) Sia λ Sp(f) Allora v f(v) = λv Sia w = h 1 (v) Allora w g(w) = (h 1 f h)(h 1 (v)) = h 1 (f(v)) = λh 1 (v) = λw Dunque λ Sp(g) ) Analogo 2) Abbiamo appena provao che h 1 (V λ (f)) V λ (g) e dunque V λ (f) h(v λ (g)) Allo sesso modo si prova che V λ (f) h(v λ (g)), allora V λ (f) = h(v λ (g)) Essendo h un isomorfismo, dim(v λ (f)) = dim(v λ (g)), esi PROPOSIZIONE 324: f End(V), B base di V, A = M B (f) 62

64 Sia [ ] B l isomorfismo indoo da B ([ ] B : V K n ) Allora: 1) λ è auovalore per f λ è auovalore per A; 2) V λ (A) = [V λ (f)] B 1) λ è auovalore per f v f(v) = λv v [f(v)] B AX X K n \{} AX = λx λ è auovalore per A 2) ) Sia X V λ (A) e sia v V [v] B = X AX = λx [f(v)] B = λ[v] B f(v) = λv v V λ (f) ) Sia v V λ (f) f(v) = λv e sia X = [v] B Allora [f(v)] B = λ[v] B AX = λx X = [v] B V λ (A) = λ [v] B X Osservazione: Dunque possiamo calcolare gli auovalori e gli auospazi di f usando una qualsiasi marice associaa CALCOLO DI AUTOVALORI E AUTOVETTORI PER A M(n, K): λ è auovalore per A X AX = λx X X Ker(A λi) de(a λi) = (poiché se de(a λi), allora il sisema (A λi)x = avrebbe una soluzione, X =, assurdo) DEFINIZIONE 329: Il polinomio p A () = de (A I) è deo polinomio caraerisico di A Osservazione: Gli auovalori di A sono le radici del polinomio caraerisico p A Osservazioni: 1) Se T T(n, K) è riangolare superiore, cioè è del ipo: a 1 T = ( ) a n allora: a 1 T I = ( ) a n Perciò p T () = (a 1 ) (a n ), dunque gli auovalori sono gli elemeni sulla diagonale M N 2) Se A = ( ), con M, P M(n, K), de(a) = de(m) de(p) P M I A I = ( N P I ) Quindi p A () = de(a I) = de(m I) de(p I) = p M () p P () PROPOSIZIONE 325: A M(n, K), p A () = ( 1) n n + ( 1) n 1 r(a) n 1 + +de (A) Sicuramene il coefficiene di n è ( 1) n ; inolre p A () = de(a I) = de(a) Mosriamo per induzione su n che il coefficiene di n 1 è ( 1) n 1 r(a) 63

65 a Passo base): n = 2, A I = ( b c d ) de(a I) = 2 (a + d) + ad bc, verificao Passo induivo): Sia A M(n, K) e siano a ij = [A] ij n de(a I) = ( 1) i+1 [A I] 1i de((a I) 1i ) i=1 = (a 11 ) de((a I) 11 ) + ( 1) i+1 a 1i de((a I) 1i ) n Noiamo che l addendo i=2 ( 1) i+1 a 1i de((a I) 1i ) coniene al massimo ermini di grado n 2, poiché cancellando la prima riga e l i-esima colonna, con i 1, vengono cancellai due elemeni sulla diagonale che conengono la variabile, dunque con il prodoo degli alri n 2 ermini sulla diagonale si raggiunge al massimo l esponene n 2 Per ipoesi induiva de((a I) 11 ) = ( 1) n 1 n 1 + ( 1) n 2 n ( j=2 a jj ) n 2 + r(), con deg(r()) n 2 Dunque: (a 11 ) de((a I) 11 ) = (a 11 ) (( 1) n 1 n 1 + ( 1) n 2 ( a jj ) n 2 + r()) = ( 1) n n + ( 1) n 1 a 11 n 1 + ( 1) n 1 ( a jj ) n 1 + r () con deg(r ()) n 2 Quindi il coefficiene del ermine di grado n 1 di de(a I) è: esi n ( 1) n 1 a 11 + ( 1) n 1 ( a jj ) = ( 1) n 1 a jj = ( 1) n 1 r(a), j=2 Osservazione: Si può dimosrare in generale che il coefficiene del ermine di grado n i di p A () è: ( 1) n i n i+1 n i=2 n j=1 de(m A (j, i)) j=1 dove M A (j, i) è la soomarice quadraa di A che ha come diagonale gli elemeni dal j-esimo al (i + j 1)-esimo della diagonale di A Osservazioni: 1) Abbiamo dimosrao che r(a) è la somma degli auovalori di A (conai con moleplicià), poiché se a 1,, a n sono gli auovalori di A (evenualmene K), p A () = (a 1 ) (a n ), quindi il coefficiene del ermine di grado n 1 di p A () è la somma degli auovalori 2) Se K = R e A = ( 1 1 ) M(n, R), cioè A è una roazione di 9, p A() = 2 + 1, che è irriducibile su R, dunque A non ha auovalori reali 3) In ogni caso A M(n, K) ha al massimo n auovalori disini n j=2 n j=2 64

66 PROPOSIZIONE 326: Se A B, allora p A () = p B () B = M 1 AM, dunque: p B () = de(b I) = de(m 1 AM I) = de(m 1 (A I)M) = de(a I) = p A (), dove il passaggio conrassegnao con = deriva dalla formula di Bine Osservazione: Dunque il polinomio caraerisico è un invariane di similiudine; con esso lo sono anche ui i suoi coefficieni, in paricolare de(a) e r(a) DEFINIZIONE 321: f End(V) Poniamo p f () = p A (), dove A è la marice associaa a f in una qualsiasi base di V Osservazione: È una buona definizione, poiché se A è la marice associaa ad f in un alra base di V, A A ed abbiamo dimosrao che se A A p A () = p A () COROLLARIO 327: Se f g, allora p f () = p g () Sia B base di V f g M B (f) M B (g) p f () = p g () DEFINIZIONE 3211: λ Sp(f) denoiamo con μ a (λ) la moleplicià algebrica di λ come radice di p f () PROPOSIZIONE 328: n N, A B A n B n A B M GL(n) B = M 1 AM, dunque B n = M 1 AM M 1 AM B n A n n vole = M 1 A n M Osservazione: La lisa di invariani per coniugio/similiudine rovai fin qui è: rk(f); de(f); Sp(f); p f ; λ Sp(f), μ g (λ) e μ a (λ) Quesa lisa è ridondane, infai: de(f) = de(g) Se p f = p g { Sp(f) = Sp(g), infai il deerminane è il ermine noo λ Sp(f), μ a (λ, f) = μ a (λ, g) del polinomio caraerisico e gli auovalori sono le radici Se λ Sp(f) = Sp(g), μ g (λ, f) = μ g (λ, g) rk(f) = rk(g) Infai: rk(f) = n dim(ker(f)) = n dim(v (f)) = n μ g (, f); rk(g) = n dim(ker(g)) = n dim(v (g)) = n μ g (, g) 65

67 Dunque gli invariani significaivi rovai finora sono: 1) il polinomio caraerisico; 2) la dimensione degli auospazi Queso non è un sisema compleo di invariani, infai: 1 1 sia A = ( 1 ), B = ( ) 1 p A () = p B () = 4 ; dim(v (A)) = dim(ker(a)) = 2; dim(v (B)) = dim(ker(b)) = 2 Ma poiché A 2 e B 2 =, allora sicuramene A 2 B 2 A B PROPOSIZIONE 329: f End(V), λ Sp(f) Allora 1 μ g (λ) μ a (λ) dim(v) Sia d = μ g (λ) = dim(v λ ) Sia {v 1,, v d } una base di V λ La compleo a una base B di V Allora A = M B (f) = ( λi d M N ), da cui p f() = (λ ) d p N () e quindi μ a (λ) d PROPOSIZIONE 321: Sia V uno spazio veoriale e siano W 1,, W k soospazi di V Sono fai equivaleni: 1) dim(w 1 + +W k ) = dim(w 1 ) + + dim(w k ) 2) Se B i è base di W i, allora B = B 1 B k è base di W W k 3) Se w i W i i e w 1 + +w k = w 1 = = w k = 4) v W 1 + +W k, v si scrive in modo unico come v = w 1 + +w k, con w i W i i 2) 1): Poiché B i è base di W i #B = #B #B k dim(w 1 + +W k ) = dim(w 1 ) + + dim(w k ) 1) 2): B = B 1 B k genera W 1 + +W k per 1) Inolre #B = dim(w 1 + +W k ), quindi B è una base di W 1 + +W k 2) 3): Scrivo ogni w i come combinazione lineare di B i : w 1 + +w k = cl(b 1 )+ +cl(b k ) Ma B 1,, B k fanno pare di B e dunque sono indipendeni, dunque ui gli addendi sono nulli w i = i 3) 4): Sia v = w 1 + +w k = w 1 + +w k Allora: (w 1 w 1 ) + + (w k w k ) = W 1 W k Quindi per 3), w i w i = i, da cui la esi 4) 2): B = B 1 B k genera W 1 + +W k Basa mosrare che B è un insieme indipendene cl(b 1 ) + + cl(b k ) = =w 1 =w k Allora w 1 + +w k = + + = Ma poiché la scriura è unica, w i = i 66

68 Poiché B i è base di W i, ui i coefficieni della combinazione lineare sono nulli esi DEFINIZIONE 3212: Se vale una qualsiasi delle precedeni condizioni equivaleni, diciamo che W 1,, W k sono in somma direa (mulipla) e W 1 W k = W 1 + +W k k Si ha che dim( W 1 W k ) = dim(w i ) i=1 PROPOSIZIONE 3211: Sia f End(V), Sp(f) = {λ 1,, λ k } Allora gli auospazi V λ1,, V λk sono in somma direa Basa provare che se v 1 V λ1,, v k V λ k e v 1+ +v k =, allora v i = i Per induzione su k: Passo base): k = 1: v 1 = implica ovviamene v 1 = Passo induivo): Dall ipoesi v 1 + +v k = oengo, applicando f: λ 1 v 1 + +λ k v k = e, moliplicando invece per λ k : λ k v 1 + +λ k v k = Soraendo oengo: (λ 1 λ k )v (λ k 1 λ k )v k 1 = V λk 1 V λ 1 Per ipoesi induiva: (λ 1 λ k )v 1 =,, (λ k 1 λ k )v k 1 = Ma λ i λ k i, poiché gli auovalori sono disini Dunque v 1 = = v k 1 = e quindi anche v k = Osservazione: In generale V λ1 V λk V PROPOSIZIONE 3212: Siano A, B M(n, R) Allora A e B sono simili su R lo sono su C Precisiamo che: A R B M GL(n, R) M 1 AM = B; A C B M GL(n, C) M 1 AM = B ) ovvia ) Per ipoesi M GL(n, C) M 1 AM = B, cioè AM = MB Sia M = X + iy, con X, Y M(n, R) (NB: non è deo che X e Y siano inveribili!) A(X + iy) = (X + iy)b AX + iay = XB + iyb AX = XB, AY = YB, separando pare reale e pare immaginaria Noiamo che: R, A(X + Y) = AX + AY = XB + YB = (X + Y)B, dunque per arrivare alla esi mi basa rovare R X + Y sia inveribile, poiché in quel caso A e B sarebbero simili grazie a X + Y M(n, R), cioè simili su R de (X + Y) è un polinomio p() R[], ma p(i) = de(x + iy) = de(m), dunque p() non è il polinomio nullo R p( ), cioè X + Y GL(n, R), esi 67

69 33 DIAGONALIZZABILITÁ DEFINIZIONE 331: f End(V) si dice diagonalizzabile se esise una base B M B (f) è diagonale Osservazione: M B (f) è diagonale B è cosiuia da auoveori per f PROPOSIZIONE 331: f End(V), Sp(f) = {λ 1,, λ k } Allora f è diagonalizzabile V = V λ1 V λk ) Per ipoesi B base di auoveori La suddivido in B = B 1 B k, con B i V λi V = Span(B 1 ) Span(B k ) V λ1 V λk Ma V λ1 V λk V esi ) Se B i è base di V λi B 1 B k è base di auoveori di V, dunque segue la esi Osservazioni: 1) La proprieà di essere diagonalizzabile è un invariane di coniugio f g g = h 1 f h Se {v 1,, v n } è base di auoveori per f, {h 1 (v 1 ),, h 1 (v n )} è base di auoveori per g 2) A M(n, K) è diagonalizzabile A D diagonale (poiché D ha una base di auoveori quindi ce l ha anche A) 3) Sia S base di V f diagonalizzabile M S (f) è diagonalizzabile 4) A = ( 1 1 ) M(2, R) non è diagonalizzabile (infai se lo fosse sarebbe simile a una 1 marice diagonale, ma A ha come auovalore solo 1 la marice simile sarebbe I = ( 1 1 ), ma A I) 5) B = ( 1 ) M(2, R) non è diagonalizzabile perché non ha auovalori reali 1 6) f End(V) f 2 = f (si dice che f è un proieore) f è diagonalizzabile Sicuramene v V, v = (v f(v)) + f(v) Noiamo che: f(v f(v)) = f(v) f(f(v)) = f(v) f(v) = v f(v) Ker(f) = V (f); f(f(v)) = f(v) f(v) Im(f) = V 1 (f) Poiché sappiamo che V = Ker(f) Im(f) V = V (f) V 1 (f), da cui la esi 7) f End(V) f 2 = id (si dice che f è un involuzione) f è diagonalizzabile Sicuramene v V, v = v+f(v) 2 f ( v+f(v) ) = f(v)+v 2 2 f ( v f(v) ) = f(v) v 2 2 v+f(v) 2 v f(v) 2 + v f(v) Noiamo che: 2 V 1 (f); V 1 (f) Abbiamo mosrao che V 1 (f) e V 1 (f) generano V, dunque V 1 (f) + V 1 (f) V Poiché ovviamene V 1 (f) + V 1 (f) V, allora V 1 (f) + V 1 (f) = V 68

70 Inolre V 1 (f) V 1 (f) = {}, dunque V 1 (f) V 1 (f) = V, esi TEOREMA DI DIAGONALIZZABILITÁ: f End(V), dim(v) = n, Sp(f) = {λ 1,, λ k } Allora f è diagonalizzabile { μ a(λ 1 )+ +μ a (λ k ) = n μ a (λ i ) = μ g (λ i ) i ) B base di auoveori di f λ 1 I d1 M B (f) = ( ) λ k I dk con d 1 + +d k = n Allora p f () = (λ 1 ) d 1 (λ k ) d k Da queso segue che μ a (λ i ) = d i, quindi è provaa la prima condizione Poiché B coniene d i auoveori relaivi a λ i, si ha che dim(v λi ) d i = μ a (λ i ) Ma μ g (λ i ) μ a (λ i ) μ g (λ i ) = μ a (λ i ) ) So che V λ1 V λk V e che f è diagonalizzabile vale l uguaglianza Ma dim(v λ1 V λk ) = dim(v λ1 ) + + dim(v λk ) = i μ g (λ i ) = i μ a (λ i ) = n esi Osservazione: La condizione μ a (λ 1 )+ +μ a (λ k ) = n equivale a dire che k p f () = (λ i ) m i, cioè che p f () è compleamene faorizzabile i=1 COROLLARIO 332: Se f End(V), con dim(v) = n, ha n auovalori disini, allora f è diagonalizzabile Poiché μ a (λ i ) >, allora sicuramene μ a (λ i ) = 1 i e dunque i μ a (λ i ) = n Inolre 1 μ g (λ i ) μ a (λ i ) = 1 μ g (λ i ) = 1 = μ a (λ i ) i esi grazie al eorema di diagonalizzabilià Osservazione: Se K = C (o in generale se K è algebricamene chiuso), la condizione i μ a (λ i ) = n è sempre verificaa Osservazioni: 1) Se A è diagonalizzabile, anche A n lo è n N A diagonalizzabile A D diagonale A n D n e sicuramene D n è diagonale n N (la dimosrazione formale può essere faa in queso modo: a) dimosrare per induzione su m che, prese B, C D(m, K), BC D(m, K); b) sfruare il fao a) per dimosrare per induzione che D n 1 D(m, K) D n D(m, K)) 2) Se λ è auovalore per A, allora λ m è auovalore per A m m N Se AX = λx A 2 X = A(AX) = A(λX) = λ(ax) = λ 2 X In generale, se A n 1 X = λ n 1 X, procedendo come sopra si mosra che A n X = λ n X PROPOSIZIONE 333: Siano f, g End(V) f g = g f e sia V λ l auospazio relaivo a λ per f Allora g(v λ ) V λ 69

71 Sia v V λ Allora f(g(v)) = g(f(v)) = g(λv) = λg(v) g(v) V λ esi Osservazione: Dunque se due endomorfismi commuano, gli auospazi dell uno sono invariani per l alro PROPOSIZIONE 334: f End(V), V = A B, A, B soospazi di V f-invariani Allora f è diagonalizzabile f A e f B sono diagonalizzabili ) B A base di A di auoveori per f; B B base di B di auoveori per f; Perciò B = B A B B è base di V di auoveori per f ) B = {v 1,, v n } base di V di auoveori per f f(v i ) = λ i v i i; inolre i! a i A, b i B v i = a i + b i f(v i ) = λ i v i = λ i (a i + b i ) = λ i a i + λ i b i A Ma f(v i ) = f(a i + b i ) = f(a i ) + f(b i ), poiché A, B sono f-invariani A B B Ma lo spezzameno è unico, quindi f(a i ) = λ i a i ; f(b i ) = λ i b i i Dunque ho rovao a 1,, a n A, b 1,, b n B f(a i ) = λ i a i e f(b i ) = λ i b i i Ma a 1,, a n A provengono, ramie la proiezione π A : V A, da una base di V, dunque gli a i sono generaori di Im(π A ) Ma π A è surgeiva, dunque gli a i generano A Dunque posso esrarre una base per A che è di auoveori perché sono (se ci fossero l algorimo di esrazione li eliminerebbe) e verificano f(a i ) = λ i a i Il discorso per B è analogo esi PROPOSIZIONE 335: f End(V) diagonalizzabile; W soospazio di V f-invariane Allora f W è diagonalizzabile Dimosrazione 1: Per la proposizione precedene mi basa rovare U soospazio di V f(u) U e V = W U f è diagonalizzabile base di auoveori {v 1,, v n } di V per f Se {w 1,, w p } è una base di W, {w 1,, w p, v 1,, v n } generano V e se applico l algorimo di esrazione a base oengo una base {w 1,, w p, v j1,, v jn p } di V Sia U = Span (v j1,, v jn p ) Per cosruzione V = U W e inolre f(u) U poiché quesi sono elemeni di una base di auoveori Dimosrazione 2: V = V λ1 V λk Proviamo che W = (W V λ1 ) (W V λk ) w W, v 1,, v k w = v 1 + +v k e v i V λi Se provo che v i W i ho la esi, poiché avrei che W è composo solo da auoveori w = v 1 + +v k ; f(w) = λ 1 v 1 + +λ k v k ; f 2 (w) = λ 1 2 v 1 + +λ k 2 v k ; f k 1 (w) = λ 1 k 1 v 1 + +λ k k 1 v k Dunque: 7

72 ( w f(w) ) = ( f k 1 (w) 1 λ 1 λ 1 k 1 1 λ 2 λ 2 k 1 =V 1 λ k ) k 1 λ k ( v 1 v 2 ) v k V è inveribile perché è una marice di Vandermonde con λ i λ j i, j, poiché i corrispondeni auospazi sono in somma direa, perciò: v 1 w v 2 f(w) ( ) = V 1 ( ) v k f k 1 (w) Quindi i v i si oengono come combinazione lineare degli f j (w) v i Span(w, f(w),, f k 1 (w)) i Ma i f j (w) sono ui conenui in W, poiché W è un soospazio f-invariane, dunque v i W i, da cui la esi DEFINIZIONE 332: f, g End(V) si dicono simulaneamene diagonalizzabili se ammeono una base comune di auoveori TEOREMA DI DIAGONALIZZAZIONE SIMULTANEA: Siano f, g End(V) f g = g f Allora: 1) Se f è diagonalizzabile con n = dim(v) auovalori disini, allora g è diagonalizzabile e f e g sono simulaneamene diagonalizzabili 2) Se f e g sono diagonalizzabili lo sono simulaneamene 1) B base di V, B = {v 1,, v n } ciascun Span(v i ) coincide con un auospazio (in quano ui gli auospazi di f hanno dimensione 1 per ipoesi) Dunque sappiamo che g(span(v i )) Span(v i ), cioè g(v i ) = λ i v i per qualche λ i K i (infai in generale so che g(span(v i )) V λi, ma V λi = Span(v i )) Dunque segue la esi 2) f diagonalizzabile V = V λ1 V λk f g = g f g(v λi ) V λi i Sappiamo che g diagonalizzabile e g(v λi ) V λi implica che g Vλi è diagonalizzabile Se B λi è una base di auoveori per g Vλi, allora B = B λ1 B λk è una base di V (poiché V = V λ1 V λk ) di auoveori per f e g (queso per cosruzione, perché prendendo un x B λi ho sicuramene un auoveore per f, ma quesi sono auoveori per i g Vλi, dunque sono auoveori anche per g) Dunque segue la esi 71

73 34 TRIANGOLABILITÁ DEFINIZIONE 341: f End(V) si dice riangolabile se B base di V M B (f) è riangolare Osservazioni: 1) A M(n, K) è riangolabile A T riangolare 2) f diagonalizzabile f riangolabile Il viceversa è falso, infai: A = ( 1 1 ) è riangolabile ma non è diagonalizzabile 1 3) f End(V), S base qualsiasi di V Allora f è riangolabile A = M S (f) è riangolabile DEFINIZIONE 342: dim(v) = n Si chiama bandiera per V ogni famiglia {V i } i Jn di soospazi veoriali di V ali che: 1) V 1 V 2 V n 2) i dim(v i ) = i Osservazioni: 1) Ogni base {v 1,, v n } di V induce una bandiera per V: V i = Span(v 1,, v i ) 2) bandiera per V, B base che la induce (basa scegliere come i-esimo veore di base un veore V i e V i 1 ) DEFINIZIONE 343: f End(V), B base di V B si dice base a bandiera per f se i soospazi della bandiera indoa da B sono f-invariani, cioè i f(span(v 1,, v i )) Span(v 1,, v i ) PROPOSIZIONE 341: f riangolabile base a bandiera per f ) f riangolabile A = M B (f) riangolabile A T riangolare se S è la base ale che M S (f) = T, allora S è evidenemene a bandiera ) Se f(v i ) Span(v 1,, v i ) i, allora i le coordinae di f(v i ) dalla (i + 1)-esima alla n-esima sono nulle, da cui la esi Osservazione: Non ui gli endomorfismi sono riangolabili (poiché il primo veore di una base a bandiera deve essere auoveore per f) Ad esempio: A = ( 1 ), non avendo auovalori reali, non è riangolabile 1 TEOREMA DI TRIANGOLABILITÁ: f è riangolabile p f () è compleamene faorizzabile (cioè se x μ a (x) = dim(v)) ) Per ipoesi B base di V ale che: λ 1 A = M B (f) = ( ) λ n k Allora p f () = p A () = (λ 1 ) (λ n ) = (λ i ) m i, esi i=1 72

74 ) Per induzione su n = dim(v): Passo base): n = 1: ovvio, poiché ogni marice 1 1 è riangolare Passo induivo): Per ipoesi λ 1 auovalore per f (poiché p f () è compleamene faorizzabile e dunque ha almeno una radice) Sia v 1 auoveore relaivo a λ 1 Compleo v 1 a base S = {v 1,, v n } di V Sia V 1 = Span(v 1 ) e W = Span(v 2,, v n ) Allora V = V 1 W λ 1 M S (f) = C ( ) Siano π V1 : V V 1, π W : V W le proiezioni indoe dalla somma direa Osservo che T = {v 2,, v n } è base di W e M T (π W f W ) = C Ora: p f () = (λ 1 ) p C () Ma p f () è compleamene faorizzabile, quindi anche p C () lo è Inolre π W f W End(W), quindi per ipoesi induiva {w 2,, w n } base di W a bandiera per π W f W È ovvio che {v 1, w 2,, w n } è base di V, ma è anche a bandiera, infai: f(v 1 ) = λ 1 v 1, poiché v 1 è auoveore; f(w i ) = ((π V1 + π W ) f) (w i ) = (π V1 f)(w i ) + (π W f)(w i ), =id V 1 Span(w 2,,w i ) e (π W f)(w i ) Span(w 2,, w i ) poiché per ipoesi induiva {w 2,, w n } è una base di W a bandiera per π W f W Dunque f(w i ) Span(v 1, w 2,, w n ), da cui la esi COROLLARIO 342: Se K è algebricamene chiuso (cioè ogni polinomio in K è compleamene faorizzabile), allora ui gli endomorfismi di V sono riangolabili COROLLARIO 343: La proprieà di essere riangolabile è una proprieà invariane per coniugio/similiudine (poiché dipende solo dal polinomio caraerisico) Osservazione: Le marici ( ) e (1 2 ) sono simili poiché enrambe rappresenano 1 l endomorfismo f f(e 1 ) = v 1 e f(e 2 ) = v 1 + v 2, la prima nella base B 1 = {( 1 ), ( )}, la 1 seconda nella base B 2 = {( 1 ), (1 )} D alra pare, enrambe le marici sono riangolabili (in 1 quano riangolari), ma la forma riangolabile è sosanzialmene diversa Dunque, poiché nella sessa classe di similiudine possono coesisere elemeni molo diversi, si dice che le marici riangolari non sono forme canoniche DEFINIZIONE 344: A M(n, K) si dice nilpoene se n N A n = PROPOSIZIONE 344: A M(n, K) A è nilpoene è auovalore con moleplicià n ( p A () = n ) 73

75 ) Per ipoesi p N A p = Sia λ K un auovalore per A (K è la chiusura algebrica di K, cioè un campo dove ui i polinomi di K[] sono compleamene faorizzabili) Allora λ p è auovalore per A p =, ma l unico auovalore per è λ p = λ = ) Per ipoesi A è riangolabile, cioè A T riangolare sreamene (poiché marici simili hanno gli sessi auovalori, quindi T ha solo come auovalore e dunque ha la diagonale nulla) Dimosriamo ora per induzione su n che se T M(n, K) riangolare sreamene T n = : Passo base): n = 2: ( a )2 = ( ) Passo induivo): Sia T M(n, K) riangolare sreamene: T = T X T n+1 = ( ) ( ) Ma per ipoesi induiva (poiché T è riangolare sreamene), T n =, quindi T n+1 = Quindi, poiché A n T n = A n =, esi 74 T n+1 T n X Osservazione: L esempio già viso: 1 1 A = ( 1 ); B = ( ) 1 prova che gli invariani di similiudine rovai finora non sono un sisema compleo di invariani neppure nella classe degli endomorfismi riangolabili DEFINIZIONE 345: f, g End(V) si dicono simulaneamene riangolabili se base B di V a bandiera sia per f sia per g TEOREMA DI TRIANGOLAZIONE SIMULTANEA: Siano f, g End(V) riangolabili ali che f g = g f Allora: 1) Se W V è un soospazio f-invariane, allora f W è riangolabile; 2) f e g ammeono un auoveore comune; 3) f e g sono simulaneamene riangolabili 1) Sia B W una base di W; esendiamola a base B di V Sia inolre A W = M BW (f W ) Allora: A = M B (f) = ( A W C ) Dunque p f () = p A () = de(a I) = de(a W I) de(c I) = p AW () q() = = p f W () q() Poiché p f () si faorizza compleamene, anche p f W () si faorizza compleamene f W è riangolabile 2) f riangolabile auospazio V λ per f di dimensione > g(v λ ) V λ per 1) g Vλ è riangolabile v V λ auoveore per g Vλ, dunque per g v è l auoveore sia di f che di g cercao

76 3) Per induzione su n = dim(v): Passo base): n = 1: ovvio Passo induivo): Per 2) sappiamo che v auoveore sia per f che per g Sia V 1 = Span(v) Esendiamo v a base B = {v, v 2,, v n } di V Sia W = Span(v 2,, v n ) Evidenemene V = V 1 W Allora: λ μ A 1 = M B (f) = C 1 ( ) ; A 2 = M B (g) = C 2 ( ) Siano π V1 : V V 1 e π W : V W le proiezioni indoe dalla somma direa V = V 1 W Allora π W f, π W g End(W), inolre: (π W f) (π W g) = π W f g = π W g f = (π W g) (π W f) dove il passaggio conrassegnao con = segue dal fao che π W f π W = π w f, infai, se v V v = v 1 + w, con v 1 V 1 e w W, dunque: (π w f π W )(v) = (π W f)(w) = π W (f(w)); (π w f)(v) = (π w f)(v 1 + w) = π W (λv 1 + f(w)) = π W (f(w)) Quindi si può applicare l ipoesi induiva a π W f e π W g, che dunque ammeono una base {w 2,, w n } di W a bandiera sia per π W f che per π W g Sicuramene {v, w 2,, w n } è base di V e la verifica che è evidenemene a bandiera per f e per g è analoga a quella nel eorema di riangolabilià 35 FORMA CANONICA DI JORDAN DEFINIZIONE 351: f End(V), p() = a + +a s s K[], poniamo p(f) = a f + +a s f s End(V), dove f = id e j N, f j = f f j vole DEFINIZIONE 352: S K[] si definisce ideale di polinomi in K[] se: p(), q() S, p + q S; p() S, q() K[], pq S DEFINIZIONE 353: f End(V), definiamo ideale di f, I(f) = {p() K[] p(f) = } Osservazioni: 1) Se g = h 1 f h, con h GL(V), allora p() K[], p(g) = h 1 p(f) h, poiché p(g) = a (h 1 id h) + a 1 (h 1 f h) + + a s (h 1 f h h 1 f h) = = a id + a 1 (h 1 f h)+ +a s (h 1 f s h) = h 1 p(f) h Dunque f g p(f) p(g) p() K[] 2) p(), q() K[] si ha che: (p + q)(f) = p(f) + q(f); (pq)(f) = p(f) q(f) = q(f) p(f) (le semplici verifiche sono lasciae al leore) s vole 75

77 Dunque f End(V) l applicazione: (K[], +, ) (End(V), +, ) F: p() p(f) è un omomorfismo di anelli 3) Se B è base di V e A = M B (f), allora p(a) = M B (p(f)) PROPOSIZIONE 351: f, g End(V) Allora: 1) Se f g allora I(f) = I(g); 2) I(f) è un ideale di K[]; 3) Se A = M B (f), allora I(f) = I(A) 1) Le due inclusioni sono ovvie grazie al fao che g = h 1 f h p(g) = h 1 p(f) h 2) Le due verifiche sono immediae 3) p() I(f) p(f) = M B (p(f)) = p(a) = p() I(A) Osservazione: Quindi I(f) è un invariane di coniugio Osservazione: I(f) coniene polinomi di grado 1 Infai, se f =, s I(f) s N Se f e dim(v) = n, allora {f,, f n2 } sono linearmene dipendeni in End(V), poiché sono n elemeni in uno spazio di dimensione n 2 Dunque a,, a n 2 K non ui nulli ali che: a f + +a n 2f n2 = Allora p() = a + a 1 + +a n 2 n2 K[] ha grado 1 e p() I(f) TEOREMA DI HAMILTON-CAYLEY: f End(V), p f I(f) Sia B una base di V e A = M B (f) p f = p A M B (p f (f)) = p f (A) = p A (A), dunque per provare che p f (f) = mi basa provare che p A (A) = Procediamo per induzione su n = dim(v): Passo base): n = 1: ovvio, poiché se A = (a), allora p A () = a, quindi p A (A) = ai A = Passo induivo): 1 CASO: A è riangolabile Allora v 1 K n auoveore per A Lo compleo a base di K n, S = {v 1,, v n } Allora: λ A = M S (A) = A 1 ( ) Poiché A A, allora p A (A) p A (A ), quindi la esi è provare che p A (A ) =, cioè non è resriivo supporre A = A Osserviamo che m N: 76

78 quindi q() si ha che: A m = ( λ A 1 ) m q(λ) q(a) = q(a 1 ) ( ) Ora, p A () = (λ )p A1 () Ma poiché p A (A) è compleamene faorizzabile, allora anche p A1 () è compleamene faorizzabile A 1 è riangolabile Per ipoesi induiva p A1 (A 1 ) =, dunque: p A1 (λ) p A1 (λ) p A1 (A) = = ( = p A1 (A 1 ) ) ( λ m A 1 m ) ( ) Allora v K n : p A (A)(v) = (λi A) p A1 (A)(v) =, poiché v 1 Ker(λI A) in quano v 1 è auoveore Span(v 1 ) relaivo all auovalore λ CASO GENERALE: Uilizziamo il fao che esise un campo F esensione di K p A () è compleamene faorizzabile in F[] (ad esempio se K = R, F = C) Si procede come nel caso precedene lavorando in F e si rova che p A (A) = in M(n, F), dunque ale relazione vale anche in M(n, K), da cui la esi PROPOSIZIONE 352: Sia I un ideale {} di K[] Allora esise un unico polinomio monico g() I che genera I, ossia I = {g()q() q() K[]} (se g genera I, scriviamo I = (g)) Esisenza): Sia g() I monico, di grado e minimo (cioè il polinomio con grado più basso in I) Sia a() I Per il eorema di divisone in K[],! q(), r() K[] ali che: a() = g()q() + r() { deg(r()) deg(g()) Allora r() = a() g()q() Ma a() I, g() I g()q() I r() I Poiché deg(r()) deg(g()), avrei rovao un polinomio di grado più piccolo di g in I, assurdo r() = Unicià): Se g 1, g 2 I sono due polinomi monici di grado minimo e, allora: I = (g 1 ) = (g 2 ), quindi g 1 g 2 e g 2 g 1, poiché sono enrambi generaori Allora g 1 = k g 2, quindi g 1 = g 2, in quano sono monici 77

79 PROPOSIZIONE 353: Siano a(), b() K[] non nulli Sia I(a(), b()) = {φ()a() + ψ()b() φ(), ψ() K[]} Allora: 1) I(a(), b()) è un ideale di K[] che coniene polinomi non nulli; 2) Se d() è il generaore monico di I(a(), b()), allora d() è il MCD di a() e b() 1) Le semplici verifiche sono lasciae al leore Sicuramene a(), b() I(a(), b()), dunque l ideale coniene polinomi non nulli 2) Sicuramene d() divide a() e b(), poiché quesi ulimi apparengono all ideale e d() è il generaore dell ideale Sia d 1 () ale che divide sia a() che b() Allora qualsiasi q() I(a(), b()) è diviso da d 1 (), in quano q() = φ ()a() + ψ ()b() = d()(φ ()a () + ψ ()b ()) Ma d() I(a(), b()), dunque d 1 () d(), esi IDENTITÁ DI BEZOUT: Se d() = M C D (a(), b()), allora φ(), ψ() K[] ali che d() = φ()a() + ψ()b() È un corollario immediao della precedene proposizione DEFINIZIONE 354: Sia f End(V) Si definisce polinomio minimo di f il generaore m f () monico dell ideale I(f) Osservazione: dal eorema di Hamilon-Cayley segue che m f p f f End(V) Osservazione: Non conosciamo un meodo praico e/o algorimico per calcolare il polinomio minimo di un endomorfismo Quindi è uile calcolare prima il polinomio caraerisico e poi risalire (a enaivi) al polinomio minimo Esempi: 1 1 1) A = ( 1); p A () = 3, inolre A 2 = ( ), dunque sicuramene m A () = 3 1 2) B = ( ); p A () = 3 e B 2 =, dunque m A () = 2 Osservazione: Se W è soospazio veoriale di V e f(w) W, allora m f W m f Infai f W è un endomorfismo e poiché m f si annulla su V, a maggior ragione si annulla su W; inolre evidenemene m f W è polinomio minimo di f W, dunque m f W m f PROPOSIZIONE 354: Sia λ auovalore per f Allora q() I(f), q(λ) = Sia v, v V f(v) = λv Per ipoesi q(f) = e dunque q(f)(v) = Se q() = a + a 1 + +a s s, = q(f)(v) = (a id+ +a s f s )(v) = a v + a 1 λv+ +a s λ s v = q(λ) v Ma poiché v q(λ) = 78

80 Osservazione: Abbiamo appena dimosrao che ogni polinomio dell ideale di f (dunque in paricolare il polinomio minimo) si annulla su ogni auovalore Dunque segue: COROLLARIO 355: Se f è riangolabile, allora, se λ 1,, λ k sono gli auovalori di f: con 1 s i h i i k p f () = ( λ i ) h i ; m f () = ( λ i ) s i i=1 PROPOSIZIONE 356: Sia N = ( A B ), con A, B M(n, K) Allora m N = m c m(m A, m B ) Noiamo innanziuo che q() K[], q(n) = ( q(a) q(b) ) Dunque, poiché m N (N) =, allora ( m N(A) m N (B) ) =, dunque m N(A) = m N (B) =, cioè m N I(A) e m N I(B), ossia m A m N e m B m N Sia ora g ale che m A g e m B g; allora sicuramene g(a) = g(b) =, quindi g(n) =, ossia g I(N) m N g, esi Osservazione: Il polinomio minimo, in quano generaore di I(f), è un invariane di coniugio/similiudine Inolre m f disingue le già sudiae marici non simili: 1 1 A = 1 ; B = 1 ( ) ( ) Infai m A () = m c m( 3, ) = 3 e m B () = m c m( 2, 2 ) = 2 Nonosane queso, gli invariani rovai finora: il polinomio caraerisico; la dimensione degli auospazi; il polinomio minimo; non sono un sisema compleo di invariani per coniugio/similiudine, infai: C = ; D = k i= ) ( ) ( p C () = p D () = 7 ; m C () = m c m( 3, 3, ) = 3 ; m D () = m c m( 3, 2, 2 ) = 3 ; Inolre V (C) = 7 rk(c) = 3; V (D) = 7 rk(d) = 3, ma C D, in quano rk(c 2 ) = 2 e rk(d 2 ) = 1 79

81 LEMMA 357: f End(V), g() K[], allora W = Ker(g(f)) è f-inviariane Dobbiamo provare che f(w) W, ossia che x W, g(f)(f(x)) = Poiché g() = g(), si ha che g(f) f = f g(f) e dunque: g(f)(f(x)) = (g(f) f)(x) = (f g(f))(x) = f(g(f)(x)) = f() =, dove il passaggio conrassegnao da = segue dal fao che x Ker(g(f)) TEOREMA DI DECOMPOSIZIONE PRIMARIA: f End(V), q() I(f) Sia q() = q 1 ()q 2 (), con q 1 (), q 2 () K[] e M C D(q 1, q 2 ) = 1 Allora: 1) V = Ker(q 1 (f)) Ker(q 2 (f)); 2) Gli addendi Ker(q 1 (f)) e Ker(q 2 (f)) sono f-invariani; 3) Se f g, allora { dim (Ker(q 1(f))) = dim (Ker(q 1 (g))) dim (Ker(q 2 (f))) = dim (Ker(q 2 (g))) 1) Per Bezou a(), b() K[] ali che 1 = a()q 1 () + b()q 2 () Valuando in f ho: id = a(f) q 1 (f) + b(f) q 2 (f) v V, v = (a(f) q 1 (f))(v) + (b(f) q 2 (f))(v) Noiamo che (a(f) q 1 (f))(v) Ker(q 2 (f)), infai: q 2 (f)(a(f) q 1 (f))(v) = (a(f) q 1 (f) q 2 (f))(v) = (a(f) (q 1 q 2 )(f))(v) = = (a(f) q(f))(v) =, in quano q(f) = Analogamene si prova che (a(f) q 2 (f))(v) Ker(q 1 (f)) Dunque abbiamo dimosrao che V = Ker(q 1 (f)) + Ker(q 2 (f)) Sia ora z Ker(q 1 (f)) Ker(q 2 (f)); allora: z = (a(f) q 1 (f))(z) = poichè z Ker(q 1 (f)) + (b(f) q 2 (f))(z) = poichè z Ker(q 2 (f)) =, da cui la esi 2) Già provao 3) Se g = k 1 f k, con k GL(V), sappiamo che q 1 (g) = k 1 q 1 (f) k, cioè q 1 (g) q 1 (f), per cui rk(q 1 (g)) = rk(q 1 (f)), da cui dim (Ker(q 1 (f))) = dim (Ker(q 1 (g))) Analogamene per q 2 COROLLARIO 358: f End(V), q() I(f) Sia q = q 1 q m, con M C D(q i, q j ) = 1 i j Allora V = Ker(q 1 (f)) Ker(q m (f)) e gli addendi sono f-invariani Per induzione su m: Passo base): m = 2: già fao Passo induivo): Poiché m > 2, poniamo q = q 2 q m Allora q = q 1 q e M C D(q 1, q ) = 1 Per il eorema di decomposizione primaria abbiamo che: 8

82 V = Ker(q 1 (f)) Ker(q (f)) W è f-invariane e q I(f W ) Per ipoesi induiva: W = Ker(q 2 (f W )) Ker(q m (f W )) Ora 2 j m, Ker (q j (f W )) = Ker(q j (f) W ) = Ker (q j (f)) W D alra pare Ker (q j (f)) W, in quano se x Ker (q j (f)): q (f)(x) = (q 2 q m )(f)(x) = ( q j )(f)(x) = Dunque W = Ker(q 2 (f)) Ker(q m (f)), da cui la esi COROLLARIO 359: f End(V) riangolabile, Sp(f) = {λ 1,, λ k } p f = ( 1) n ( λ i ) h i ( λ k ) h k; m f = ( λ i ) s i ( λ k ) s k, con 1 s i h i i Allora: e ogni addendo è f-invariane k 81 =W V = Ker(f λ j id) h j j=1 k V = Ker(f λ j id) s j PROPOSIZIONE 351: f è diagonalizzabile m f = ( λ 1 ) ( λ k ) ) B ale che: λ 1 I d1 j=1 M B (f) = ( ) λ k I dk m f = m c m(( λ 1 ),, ( λ k )) = ( λ 1 ) ( λ k ) ) Per la proposizione precedene V = Ker(f λ 1 id) Ker(f λ k id), dunque segue la esi =V λ 1 =V λk LEMMA 3511: Sia φ End(V) Allora: 1) Ker(φ j ) Ker(φ j+1 ) j N; 2) Se m N Ker(φ m ) = Ker(φ m+1 ), allora Ker(φ m ) = Ker(φ m+ ) 1; 3) La successione {dim (Ker(φ j ))} j è un invariane di coniugio 1) Se φ j (x) =, allora φ j+1 (x) = φ (φ j (x)) = φ() = 2) Basa provare che Ker(φ m+1 ) = Ker(φ m+2 ) e poi ierare Ovviamene per 1) Ker(φ m+1 ) Ker(φ m+2 ), quindi resa da mosrare il conenimeno opposo Sia x Ker(φ m+2 ) Allora φ m+2 (x) = φ m+1 (φ(x)) =, cioè φ(x) Ker(φ m+1 ) Ma Ker(φ m ) = Ker(φ m+1 ), dunque φ(x) Ker(φ m ), cioè x Ker(φ m+1 ), esi

83 3) Già provao Osservazione: Se applichiamo il lemma a φ = f λ j id: Ker(f λ j id) Ker(f λ j id) sj Ker(f λ j id) hj Ma poiché: k V = Ker(f λ j id) h j = Ker(f λ j id) s j j=1 allora Ker(f λ j id) sj = Ker(f λ j id) hj j, quindi le due decomposizioni primarie coincidono DEFINIZIONE 355: auovalore λ j, il soospazio f-invariane V j = Ker(f λ j id) sj è deo auospazio generalizzao relaivo a λ j Osservazione: Se M B (f) = A, gli auospazi generalizzai si possono calcolare risolvendo i sisemi lineari (A λ j I) hj X = Si ha dunque V = V λ1 V λk PROPOSIZIONE 3512: Sia f End(V) e Sp(f) = {λ 1,, λ k } Allora: 1) j, f Vλj ha solo l auovalore λ j ; 2) f Vλj ha polinomio caraerisico = ±( λ j ) hj e polinomio minimo = ( λ j ) sj ; 3) dim (V λj ) = h j = μ a (λ j ); 4) Se poniamo d i = dim (Ker(f λ j id) i ) 1 i s j, i numeri d 1 < < d sj sono invariani k j=1 di coniugio (Osservazione: d 1 = μ g (λ j ), d sj = μ a (λ j )) 1) Sicuramene V λj V λj Se f Vλj avesse un alro auovalore μ, allora V μ V λj {} e dunque V μ V λj {}, assurdo, poiché sono in somma direa 2,3)Sia B j una base di V λj Allora B = B 1 B k è una base di V M 1 M B (f) = ( ), M k con M j blocco quadrao di ordine = dim (V λj ) p f = p M1 p Mk Poiché ogni blocco M j ha solo l auovalore λ j, segue che p Mj = p f Vλj = ±( λ j ) hj e h j = ordine di M j = dim (V λj ) Inolre m f = m c m(m M1,, m Mk ) = m M1 m Mk, da cui m f Vλj = ( λ j ) sj 4) Già provao 82

84 Osservazione: Dunque possiamo ricondurci a sudiare la resrizione di f a ciascun auospazio generalizzao; se λ è auovalore, W = V λ e φ = f W, allora: dim(w) = μ a (λ) = h p φ = ±( λ) h m φ = ( λ) s, con 1 s h se d i = dim(ker(φ λid) i ), la sringa [λ, s, [d 1 < < d s = h]] è un invariane di coniugio Osservazione: Possiamo in ogni caso ridurci al caso nilpoene, poiché se ψ = φ λid, allora ψ ha solo l auovalore (cioè è nilpoene) p ψ = ± h ; m ψ = s La sringa di invariani di ψ è [, s, [d 1 < < d s = h]] PROPOSIZIONE 3513: Sia ψ End(V), dim(v) = h, ψ nilpoene Sono fai equivaleni: 1) m ψ = h (ossia m ψ = ±p ψ ) 1 2) B base di V M B (ψ) = 1 ( 1 ) 1 h 1 h ) Ovvio, poiché = e ( 1 ) ( 1 ) ) Ker(ψ) Ker(ψ h ), con dim(ker(ψ h )) = h ψ h 1 v Ker(ψ h 1 ), v Mosriamo che B = {ψ h 1 (v),, ψ(v), v} è una base di V e in queso modo giungo alla esi, poiché nella prima colonna di M B (ψ) ci andrebbe ψ(ψ h 1 (v)) =, nella seconda ψ(ψ h 2 (v)) = ψ h 1 (v) e così via Poiché i veori sono in numero adeguao, basa che siano linearmene indipendeni Sia a v + a 1 ψ(v)+ +a h 1 ψ h 1 (v) = Se applico ψ h 1, oengo a ψ h 1 (v) =, ma ψ h 1 (v), quindi a = Allo sesso modo se applico ψ h 2 oengo a 1 = ; ierando il processo si oiene a = = a h 1 =, da cui la esi DEFINIZIONE 356: La marice r r: λ J(λ, r) = ( è dea blocco di Jordan di ordine r relaivo a λ 1 λ ) 1 λ DEFINIZIONE 357: Si chiama marice di Jordan ogni marice diagonale a blocchi: 83

85 J = ( in cui ogni blocco J i è un blocco di Jordan J 1 J n ) DEFINIZIONE 358: Se f End(V), si chiama base di Jordan per f ogni base B ale che M B (f) è una marice di Jordan Osservazione: L ulima proposizione afferma dunque che: m ψ = ±p ψ = ± h B M B (ψ) = J(, h) In al caso la sringa di invariani è [, h, [1,2,, h 1, h]] LEMMA 3514: Sia ψ End(V) nilpoene con indice di nilpoenza s (cioè ψ s = e ψ s 1 ) dim(v) = h j 3 j s si consideri Ker(ψ j 2 ) Ker(ψ j 1 ) Ker(ψ j ) Sia W un soospazio veoriale di V ale che Ker(ψ j ) = Ker(ψ j 1 ) W e sia {w 1,, w k } una base di W Allora: 1) ψ(w 1 ),, ψ(w k ) Ker(ψ j 1 ) e sono linearmene indipendeni; 2) Span(ψ(w 1 ),, ψ(w k )) Ker(ψ j 2 ) = {} 1) Sicuramene ψ(w 1 ),, ψ(w k ) Ker(ψ j 1 ), poiché ψ j 1 (ψ(w j )) = ψ j (w j ) = Sia ora a 1 ψ(w 1 )+ +a k ψ(w k ) = Per linearià ψ(a 1 w 1 + +a k w k ) = a 1 w a k w k Ker(ψ) W Ker(ψ j 1 ) W = {}, W W perciò a 1 w 1 + +a k w k =, da cui a 1 = = a k = poiché {w 1,, w k } è base di W 2) Sia z = a 1 ψ(w 1 )+ +a k ψ(w k ) Span(ψ(w 1 ),, ψ(w k )) Ker(ψ j 2 ) z = ψ(a 1 w a k w k ) Ker(ψ j 2 ) ψ j 1 (a 1 w a k w k ) = a 1 w 1 + +a k w k Ker(ψ j 1 ) W = {} a i = i z = TEOREMA 3515 (forma canonica di Jordan per endomorfismi nilpoeni): ψ End(V) nilpoene, dim(v) = h, con sringa di invariani [, s, [d 1 < d 2 < < d s = h]] Allora: 1) B base di V ale che: J(, n 1 ) M B (ψ) = ( ), J(, n ) dove n 1 + +n = h 2) La marice M B (ψ), dea forma di Jordan di ψ, è unica a meno di permuazioni dei blocchi sulla diagonale ed è compleamene deerminaa dalla sringa di invariani [, s, [d 1 < d 2 < < d s = h]] 3) La sringa di invariani è un sisema compleo di coniugio per endomorfismi nilpoeni (Osservazione: Se conveniamo che i blocchi J 1,, J m sulla diagonale siano in ordine decrescene, allora la forma di Jordan di ψ è unica e possiamo denoarla con J(ψ)) 1) Per ipoesi m ψ () = s 84

86 Ker(ψ) Ker(ψ 2 ) Ker(ψ s ) = V Poniamo d i = dim (Ker(ψ i )) Sia W s un supplemenare di Ker(ψ s 1 ) in Ker(ψ s ), ossia Ker(ψ s ) = Ker(ψ s 1 ) W s Poniamo r s = dim(w s ) (Osservazione: r s = d s d s 1 = h d s 1 ) Sia {v 1,s,, v rs,s} una base di W s Poniamo v j,s 1 = ψ(v j,s ) 1 j r s Per il lemma, v 1,s 1,, v rs,s 1 sanno in Ker(ψ s 1 ) e sono linearmene indipendeni; dunque posso complearli a una base {v 1,s 1,, v rs,s 1, v rs +1,s 1,, v rs 1,s 1} di un supplemenare W s 1 di Ker(ψ s 2 ) in Ker(ψ s 1 ), ossia Ker(ψ s 1 ) = Ker(ψ s 2 ) W s 1 Iero il procedimeno scegliendo supplemenari W j Ker(ψ j ) = Ker(ψ j 1 ) W j, r j = dim(w j ) I veori così rovai possono essere organizzai in una abella: v 1,s v 1,s 1 v 1,2 v 1,1 A A A v rs,s v rs,s 1 v rs,2 v rs,1 v rs 1,s 1 v rs 1,2 v r2,2 v rs 1,1 v r2,1 v r1,1 85 base di W s A base di W s 1 A A A base di W 2 A base di Ker(ψ) dove r 1 = dim(ker(ψ)) = d 1 Si ha: V = Ker(ψ s ) = Ker(ψ s 1 ) W s = Ker(ψ s 2 ) W s 1 W s = = Ker(ψ) W 2 W s, dunque per cosruzione i veori preseni nella abella formano una base di V (in quano sono linearmene indipendeni e in numero adeguao) Inolre ad esempio: v 1,1 = ψ(v 1,2 ) = ψ 2 (v 1,3 ) = = ψ s 1 (v 1,s ) dunque: {v 1,1, v 1,2,, v 1,s } = {ψ s 1 (v 1,s ), ψ s 2 (v 1,s ),, v 1,s } Perano la base B oenua riordinando i veori della abella procedendo da sinisra verso desra e risalendo le colonne è una base di Jordan Ogni colonna ala j produce in M B (ψ) un blocco di Jordan di ordine j 2) Mosriamo che il ipo dei blocchi in M B (ψ) è compleamene deerminao dalla sringa di invariani [, s, [d 1 < d 2 < < d s = h]] Noiamo innanziuo che, per quano viso nel puno 1): s = indice di nilpoenza = massimo ordine dei blocchi in M B (ψ) (in quano l alezza di una colonna non può superare l indice di nilpoenza); d 1 = dim(ker(ψ)) = numero oale dei blocchi (cioè il numero delle colonne) Più precisamene, poniamo b j = numero dei blocchi j j in M B (ψ) Allora: b s = dim(w s ) = r s ; b j = dim(w j ) dim(w j+1 ) = r j r j+1 Se poniamo r s+1 =, allora b j = r j r j+1 1 j s

87 Esprimiamo i b j in funzione dei d j : r j = dim(w j ) = dim (Ker(ψ j )) dim (Ker(ψ j 1 )) = d j d j 1 ; r 1 = dim(ker(ψ)) = d 1 Dunque poniamo d = e d s+1 = d s = h, in modo da avere: b j = r j r j+1 = d j d j 1 (d j+1 d j ) = 2d j d j 1 d j+1 j Dunque M B (ψ) dipende, a meno di permuazioni dei blocchi sulla diagonale, solo dai d i 3) Se ψ 1, ψ 2 sono endomorfismi nilpoeni di V con sessa sringa di invariani, allora, per quano viso nei puni precedeni, B 1, B 2 basi di V ale che M B1 (ψ 1 ) = M B2 (ψ 2 ), quindi ψ 1 ψ 2 Osservazione: Dal lemma segue che dim(w j ) dim(w j 1 ), cioè r j r j 1, ossia la successione {d j d j 1 } j è decrescene (in generale non sreamene) Osservazione: Dao f End(V), Sp(f) = {λ 1,, λ k } Allora ci resringiamo a lavorare in ogni auospazio generalizzao V λj ; sudiando l endomorfismo di V λj, f j = f Vλj λ j id, roviamo la forma di Jordan J(f j ) di f j, da cui risaliamo facilmene a quella di f Vλj, semplicemene aggiungendo a λ j I a J(f j ) Dunque la forma canonica di Jordan dell endomorfismo f è: J(f 1 ) + λ 1 I J(f) = ( ) J(f k ) + λ k I Da queso segue: COROLLARIO 3516 (forma canonica di Jordan per endomorfismi riangolabili): Sia f End(V) riangolabile Allora: 1) B base di V M B (f) è una marice di Jordan (B è dea base di Jordan per f); 2) La marice M B (f) è unica a meno di permuazioni dei blocchi sulla diagonale ed è deerminaa dalla sringa di invariani s(λ i ) = [λ i, s i, [d 1 (λ 1 ) < < d si (λ i )]] associai agli auovalori di f; 3) Due endomorfismi riangolabili di V sono coniugai hanno la sessa forma canonica di Jordan (che è quindi un invariane compleo di coniugio) COROLLARIO 3517: Ogni marice riangolabile A è simile alla sua rasposa J(A) dipende solo dalle dimensioni dei Ker(A λi) j e dunque dai rk(a λi) j Poiché j, rk( A λi) j = rk(a λi) j, allora J( A) = J(A), da cui A A Osservazione: Per quano viso finora siamo in grado di sabilire se due endomorfismi riangolabili sono simili Dunque la forma canonica di Jordan è un sisema compleo di invariani in End(V), con V K-spazio veoriale e K algebricamene chiuso Però ad esempio in M(n, R) abbiamo viso che esisono marici non riangolabili; ovviamene la eoria della forma canonica di Jordan non può essere applicaa a ali marici Riprendendo però il eorema che dice che A R B A C B, possiamo lavorare in queso modo: A R B A C B J C (A) = J C (B) 86

88 Dunque possiamo considerare A, B M(n, R) M(n, C), cioè A, B: C n C n, rovare la loro forma di Jordan complessa (che di sicuro esise) e sabilire se sono simili o meno a parire da quesa In ques ulima pare del capiolo vogliamo arrivare alla sessa conclusione provando che nella classe di similiudine di A non riangolabile in M(n, R)/ esise un rappresenane canonico, deo forma di Jordan reale di A, univocamene deerminaa da J C (A) e quindi essenzialmene unica FORMA DI JORDAN REALE: A M(n, R) esise un rappresenane canonico di similiudine, univocamene deerminao dalla forma di Jordan complessa di A Sia A M(n, R) Procediamo per passi dimosrando lemmi: 1) Poiché p A () R[], gli auovalori di A sono del ipo: λ 1,, λ k, μ 1,, μ r, μ, 1 μ r R e μ a (μ j ) = μ a (μ j ) j 2) Pensiamo A come endomorfismo di C n Allora per il eorema di Jordan: C n = V λ1 V λk V μ1 V μr V μ1 V μr 3) Sia λ uno degli auovalori reali di A Una base di Jordan di V λ C n si rova prendendo basi opporune nella successione di soospazi: Ker(A λi) Ker(A λi) 2 Poiché j il soospazio Ker(A λi) j ha la sessa dimensione sia come soospazio di R n sia come soospazio di C n (in quano è reale), allora possiamo scegliere una base di Jordan di V λ formaa da veori reali 4) Sia μ C\R uno degli auovalori complessi non reali di A Se {z 1,, z } è una base di Jordan di V μ, allora {z 1,, z } è una base di Jordan di V μ Poiché Ker(A μi) j = Ker(A μ I) j j, in quano A è reale e quindi A = A, allora i veori z 1,, z V μ = j Ker(A μ I) j Dimosriamo che gli z i sono linearmene indipendeni: a 1 z 1 + +a z =, con a i C i Coniugando: a z a z = a i = i, poiché gli z i sono linearmene indipendeni a i = i Inolre dim(v μ ) = μ a (μ) = μ a (μ ) = dim(v μ ) =, quindi {z 1,, z } è una base di V μ Ci resa da mosrare che è una base di Jordan di V μ Poiché {z 1,, z } è una base di Jordan di V μ, allora: Az j = μz j Az j = μz j + z j 1 j Se Az j = μz j Az j = Az j = μz j = μ z j ; se Az j = μz j + z j 1 Az j = μ z j + z, j 1 dunque {z 1,, z } è effeivamene una base di Jordan di V μ (Osservazione: Abbiamo quindi mosrao che, se in J C (A) ci sono b blocchi relaivi all auovalore μ di ordine m, allora in J C (A) ci sono b blocchi di ordine m relaivi a μ ) 5) Sia μ C\R uno degli auovalori complessi non reali di A Allora esise una base di V μ V μ formaa da veori reali 87 C\R

89 Sia {z 1,, z } una base di Jordan di V μ Per 4) sappiamo che {z 1,, z } è una base di Jordan di V μ Quindi dim(v μ V μ ) = 2 Poniamo x j = Re(z j ) e y j = Im(z j ) j Poiché x j = z j+z j e y j = z j z j, i veori x 1, y 1,, x, y V μ V μ, in quano combinazioni 2 2i lineari di z j e z j Inolre, poiché gli z j e z j generano V μ V μ, allora anche gli x j, y j generano, in quano ciascuno è combinazione lineare di z j e z j Infine, poiché dim(v μ V μ ) = 2, allora {x 1, y 1,, x, y } è una base di veori reali di V μ V μ 6) Scriviamo la marice associaa a A Vμ V μ rispeo alla base {x 1, y 1,, x, y } Se Az j = μz j, allora: Ax j = A z j + z j 2 = μz j + μz j 2 = Re(μz j ) = Re(μ)Re(z j ) Im(μ)Im(z j ) = = Re(μ)x j Im(μ)y j Ay j = A z j z j = μz j μz j = Im(μz 2i 2i j ) = Im(μ)Re(z j ) + Re(μ)Im(z j ) = = Im(μ)x j + Re(μ)y j I passaggi conrassegnai con = derivano dalle relazioni: z, w C, Re(zw) = Re(z)Re(w) Im(z)Im(w); Im(zw) = Im(z)Re(w) + Re(z)Im(w) Analogamene, se Az j = μz j + z j 1 : Ax j = A z j + z j = μz j + z j 1 + μ z j + z j 1 = Re(μz 2 2 j ) + Re(z j 1 ) = = Re(μ)x j Im(μ)y j + x j 1 Ay j = Im(μ)x j + Re(μ)y j + y j 1 Perano, se la marice associaa ad A Vμ rispeo alla base {z 1,, z } era: J 1 ( ) J r con J i blocco di Jordan di ordine m i relaivo a μ, allora la marice associaa a A Vμ V μ rispeo alla base {x 1, y 1,, x, y } è una marice di ordine 2 e del ipo: ( J 1 ) J r dove J i è un blocco di ordine 2m i della forma: H μ I H μ I ( con H μ = ( Re(μ) Im(μ) ) e I = (1 Im(μ) Re(μ) 1 ) H μ I H μ ) 88

90 Osservazione: Se per la coppia di auovalori μ e μ si fosse scelo di lavorare con μ, al poso del bloccheo ( Re(μ) Im(μ) Im(μ) Re(μ) ) avremmo avuo il bloccheo ( Re(μ) Im(μ) ), simile ma Im(μ) Re(μ) non uguale a quello associao a μ Per eviare ambiguià nella forma J R (A) conveniamo di scegliere l auovalore Im(μ) > A queso puno la forma di Jordan reale di A è unica a meno di permuazioni dei blocchei 1 Esempio: Trovare la forma di Jordan reale di A = ( 1 ) 1 1 p A () = de ( 1 ) = ( 2 ) + 1(1) = = (1 )( ) 1 Poiché su C il polinomio caraerisico ha re radici disine, 1, μ = i 3 i allora su C A è diagonalizzabile: 1 J C (A) = ( μ ) μ Per quano viso prima, sosiuiamo i due blocchei (μ) e (μ ) con il bloccheo Re(μ) Im(μ) ( Im(μ) Re(μ) ) = ( ) Dunque: J R (A) = 2 2 ( ) PROPOSIZIONE 3518: Siano K K campi A M(n, K) Allora m K (A) = m K (A) (dove m F (A) è il polinomio minimo di A su F) Lavoriamo in K [] In queso anello, poiché m K (A) genera l ideale dei polinomi che si annullano in A, e m K (A) appariene a queso ideale, ho che m K (A) m K (A) Per concludere mi basa mosrare che deg(m K (A)) deg(m K (A)), poiché, essendo sicuramene deg(m K (A)) deg(m K (A)), avrei che deg(m K (A)) = deg(m K (A)), ma essendo i due polinomi monici, avrei la esi Noiamo innanziuo che, dai v 1,, v k K n (K ) n, sono linearmene indipendeni su K n lo sono su (K ) n, infai enrambe le condizioni sono equivaleni alla condizione: Se M è la marice n k avene i v i come colonne, minore k k di M con deerminane Mosriamo ora che, dae A 1,, A k M(n, K), con k n 2, sono linearmene indipendeni su K lo sono su K Infai, considerando che M(n, K ) (K ) n2, per la precedene osservazione se esise una combinazione lineare non nulla su M(n, K ) delle A i che dà, allora esise anche su (K ) n2, quindi anche su K n2, quindi su M(n, K) Inolre il viceversa è ovvio, in quano se le A i sono indipendeni su K lo sono anche su K 89

91 A queso puno sia d = deg(m K (A)) Allora I, A,, A d sono linearmene dipendeni su K per definizione di polinomio minimo, ma per quano viso I, A,, A d sono linearmene dipendeni anche su K, quindi polinomio q() K[], q, deg(q) d ale che q(a) = Per cui deg(m K (A)) d, da cui la esi Osservazione: Quindi m R (A) = m C (A) A M(n, R) Inolre è evidene che p R (A) = p C (A), poiché il polinomio caraerisico, essendo un deerminane, dipende solo da A 36 BASI CICLICHE PER ENDOMORFISMI Nel seguio sia V spazio veoriale su K, char(k) = DEFINIZIONE 361: dim(v) = n, f End(V) Una base B di V si dice ciclica per f se v V ale che B = {v, f(v),, f n 1 (v)} DEFINIZIONE 362: v V I(f, v) = {q K[] q(f)(v) = } è un ideale di K[], dunque esise un generaore m f,v di I(f, v), deo polinomio minimo di v rispeo a f Osservazione: Viso che I f I(f, v), si ha che m f,v m f LEMMA 361: K campo con char(k) = Sia V un K-spazio veoriale e siano W 1,,W n soospazi di V ali che V = W 1 W n Allora i ale che V = W i Supponiamo che l unione V = W 1 W n sia minimale, cioè W j W 1 W j 1 W j+1 W n j Supponiamo per assurdo che n 2; allora per minimalià W n W 1 W n 1 Sia u W n e v W n \(W 1 W n 1 ) e denoiamo S = {v + u K} u e #K = +, dunque #S = + ; viso che S V = W 1 W n, dovrà esisere un W i ale che #(S W i ) = + Vediamo che ciò è assurdo Se v + u W n per, si avrebbe W n (v + u) v = u, cioè u W n, assurdo Se invece v + 1 u, v + 2 u W i con 1 2 e i < n, si avrebbe ( 2 1 )v = 2 (v + 1 u) 1 (v + 2 u) W i, cioè v W i, assurdo Dunque #(S W i ) 1 i, da cui l assurdo e la esi Osservazione: La precedene proposizione è falsa se char(k) > ; non è infai difficile rovare un conroesempio con K = F 2 LEMMA 362: f End(V) Allora v V ale che m f,v = m f Viso che v V m f,v m f, l insieme {m f,v v V} è finio, perano coincide con {m f,v1,, m f,vp } per alcuni v i V j = 1, p considero i soospazi W j = Ker (m f,vj (f)) = {z V m f,vj (f)(z) = } 9

92 z V, j ale che m z = m vj e quindi m vj (f)(z) = m z (f)(z) =, cioè z W j Allora V = W 1 W p e dunque i ale che W i = V, ossia Ker (m vi (f)) = V, cioè m v i I f quindi m f m vi TEOREMA 363: f ammee una base ciclica m f = ±p f ) Ovvia, in quano se {v, f(v),, f n 1 (v)} sono linearmene indipendeni, deg(m f ) n e dunque m f = ±p f ) Per il lemma v V ale che m f,v = m f Per ipoesi deg(m f,v ) = deg(m f ) = n Ma allora {v, f(v),, f n 1 (v)} sono linearmene indipendeni; infai se b v + b 1 f(v)+ +b n 1 f n 1 (v) =, il polinomio g() = b + b 1 + +b n 1 n 1 deve soddisfare g() I(f, v), ma m f,v = m f, dunque ui i polinomi in I(f, v) hanno grado n, quindi g() e b i = i 91

93 4 FORME BILINEARI 41 FORME BILINEARI E FORME QUADRATICHE DEFINIZIONE 411: Sia V un K-spazio veoriale φ: V V K è dea applicazione (o forma) bilineare se: 1) x, y, z V, φ(x + y, z) = φ(x, z) + φ(y, z) 2) x, y, z V, φ(x, y + z) = φ(x, y) + φ(x, z) 3) x, y V, α K, φ(αx, y) = αφ(x, y) = φ(x, αy) PROPOSIZIONE 411: Le segueni applicazioni sono bilineari: 1) φ ; 2) φ: R n R n n R φ(x, Y) = XY = i=1 x i y i, deo prodoo scalare sandard su R n ; 3) A M(n, K), φ: K n K n K φ(x, Y) = XAY; 4) φ: M(n, K) M(n, K) K φ(a, B) = r( AB); 5) φ: M(n, K) M(n, K) K φ(a, B) = r(ab); r 6) a 1,, a r K, φ: K n [x] K n [x] K φ(p(x), q(x)) = i=1 p(a i )q(a i ), cioè la valuazione (K n [x] è l insieme dei polinomi di grado n); x 1 y 1 7) φ: R 4 R 4 x R φ ( 2 y x ), ( 2 3 y ) = x 3 1 y 1 + x 2 y 2 + x 3 y 3 x 4 y 4, deo prodoo scalare di ( x 4 y 4 ) Minkowski 1) Ovvia 2) Segue immediaamene dal fao che la rasposizione e il prodoo fra marici sono lineari 3) Analoga alla 2) 4) La raccia, così come la rasposizione e il prodoo fra marici, è lineare 5) Analoga alla 4) 6) Segue dal fao che la valuazione è lineare 7) Lasciaa al leore DEFINIZIONE 412: Una forma bilineare φ: V V K si dice prodoo scalare se è simmerica, cioè φ(v, w) = φ(w, v) v, w V PROPOSIZIONE 412: Delle precedeni forme bilineari, 1), 2), 4), 5), 6), 7) sono prodoi scalari, menre la 3) è un prodoo scalare A è simmerica La 3) è un prodoo scalare XAY = YAX = ( X AY) X, Y K n, ma essendo numeri, XAY = ( X AY) X, Y K n XAY = X AY X, Y K n Poiché l uguaglianza deve valere X, Y K n, in paricolare varrà per X = e i, Y = e j, con 1 i, j n Quindi e i Ae j = e i Ae j i, j [A] ij = [ A] ij ij A = A 92

94 La 4) è un prodoo scalare perché r( AB) = r( ( AB) ) = r( BA), menre la 5) è un prodoo scalare perché abbiamo dimosrao che r(ab) = r(ba) Le alre sono verifiche immediae Osservazione: Durane ua la raazione delle forme bilineari lavoreremo solo in campi K con char(k) 2, per poer dividere per 2 DEFINIZIONE 413: Sia φ: V V K una forma bilineare Si definisce forma quadraica indoa da φ l applicazione q φ : V K definia da q φ (v) = φ(v, v) v V Esempio: φ(x, Y) = XY su K n induce q φ (x) 2 = XX = i=1 x i (dea forma quadraica sandard) DEFINIZIONE 414: Una applicazione q: V K si dice forma quadraica se φ forma bilineare su V q = q φ Osservazione: Più forme bilineari possono definire la sessa forma quadraica, ad esempio φ 1 e φ 2 (X, Y) = XAY, con A anisimmerica, inducono la sessa q φ =, in quano: XAX = ( X AX) = X( A)X = XAX XAX = (il passaggio = deriva dal fao che la rasposizione lascia invariao un numero) PROPOSIZIONE 413: Sia q: V K una forma quadraica Allora esise uno e un solo prodoo scalare che induce q Per definizione φ forma bilineare ale che q = q φ, cioè ale che q(v) = φ(v, v) v V Allora φ (u, v) = φ(u,v)+φ(v,u) 2 93 n è un prodoo scalare che induce q (in quano è evidenemene simmerico e φ (u, u) = φ(u, u) = q(u)) Inolre se ψ è un prodoo scalare che induce q, allora: q(u + v) q(u) q(v) = ψ(u + v, u + v) ψ(u, u) ψ(v, v) = ψ(u, v) + ψ(v, u) = = 2ψ(u, v) da cui ψ(u, v) = q(u+v) q(u) q(v) 2 deerminao e quindi unico DEFINIZIONE 415: Definiamo: Bil(V) = {φ: V V K φ è bilineare} PS(V) = {φ: V V K φ è prodoo scalare} Q(V) = {q: V K q è forma quadraica} (dea formula di polarizzazione), dunque ψ è univocamene DEFINIZIONE 416: Definiamo una somma e un prodoo per scalari in Bil(V): φ, ψ Bil(V), (φ + ψ)(v, w) φ(v, w) + ψ(v, w); λ K, φ Bil(V), (λφ)(v, w) λφ(v, w) PROPOSIZIONE 414: 1) Bil(V) è uno spazio veoriale; 2) PS(V) è un soospazio veoriale di Bil(V); 3) Q(V) è un soospazio veoriale di F(V, K) = {f: V K}

95 Osservazione: PS(V) Q(V), in quano l applicazione F: PS(V) Q(V) F(φ) = q φ è un isomorfismo (sappiamo che è bigeiva e si vede con un immediaa verifica che è lineare) Noazione: Indicheremo con (V, φ) lo spazio veoriale V doao del prodoo scalare φ DEFINIZIONE 417: Siano (V, φ) e (W, ψ) K-spazi veoriali f: V W lineare si dice isomeria se: f è isomorfismo di spazi veoriali; x, y V, φ(x, y) = ψ(f(x), f(y)) DEFINIZIONE 418: (V, φ) e (W, ψ) si dicono isomerici se f: V W isomeria (in al caso φ e ψ si dicono prodoi scalari isomerici) Osservazione: L essere isomerici è una relazione di equivalenza (la verifica è lasciaa al leore) Osservazione: Se f: V (W, ψ) è un isomorfismo, l applicazione f ψ : V V K f ψ (v, w) = ψ(f(v), f(w)) è evidenemene un prodoo scalare su V e f: (V, f ψ ) (W, ψ) è un isomeria per cosruzione Dunque in generale baserà sudiare {(V, φ)}/ isomerie, con V fissao Denoeremo con, il prodoo scalare sandard di R n Esempi: 1) Le roazioni di cenro l origine sono isomerie lineari di R 2 doao del prodoo scalare sandard, infai sia ( x y ) un veore di R2 e sia ( x y ) il veore oenuo ruoando l alro di un angolo α; allora: ( x y ) = ( cos(α) sin(α) sin(α) cos(α) ) (x cos(α) y sin(α) y ) = (x x sin(α) + y cos(α) ) ; ( x 1 cos(α) y 1 sin(α) x 1 sin(α) + y 1 cos(α) ), (x 2 cos(α) y 2 sin(α) x 2 sin(α) + y 2 cos(α) ) = = x 1 x 2 (cos 2 (α) + sin 2 (α)) + y 1 y 2 (sin 2 (α) + cos 2 (α)) = x 1 x 2 + y 1 y 2 = = ( x 1 y ), ( x 2 1 y ) 2 2) Sia H = {b 1 x 1 + +b n x n = } un iperpiano in (R n,, ) passane per O b 1 Sia B = ( ) Allora H = {X B, X = } b n Sia ora ρ: R n R n la riflessione orogonale rispeo ad H che associa ad ogni P R n il simmerico rispeo ad H Grazie alla figura (che è in R 3 ma che comunque rende l idea della siuazione), vediamo che: ρ(p) = P 2B P ; ma avendo l iperpiano dimensione n 1, su di esso giaceranno n 1 componeni di P, che chiamiamo M 1,, M n 1, menre l ulima componene sarà esaamene B P Allora: n 1 n 1 P, B = B P + i=1 M i, B = B P, B + i=1 M i, B = B P, B 94

96 Sia ora B P = k B; quindi: P, B = B P, B = k B, B k = P,B B,B Dunque ρ(p) = P 2 P,B B,B B Noiamo che ρ 2 = id, infai: P, B P 2 ρ(ρ(p)) = P 2 B, B B 2 B, B B, B P, B B, B B = = P 2 B P, B ( P, B + P, B 2 B, B ) = P B, B B, B Inolre ρ è un isomeria, in quano: è lineare (la verifica è immediaa); è inieiva, poiché: P, B P, B P, B 2 B, B Ker(ρ) = {P P = 2 B} = {P P = 2 B, B B, B B = 2 B, B B} = B, B = {P P, B = 2 P, B } = {} è surgeiva, poiché la conroimmagine di P è ρ(p), in quano ρ 2 = id; maniene i prodoi scalari, in quano: X, B Y, B ρ(x), ρ(y) = X 2 B, Y 2 B, B B, B B X, B Y, B X, B Y, B X, B Y, B B, B = X, Y = X, Y B, B B, B B, B B, B DEFINIZIONE 419: Si definisce gruppo orogonale di (V, φ) l insieme O(V, φ) = {f GL(V) f: (V, φ) (V, φ) è isomeria}, cioè: f O(V, φ) φ(x, y) = φ(f(x), f(y)) x, y V PROPOSIZIONE 415: (O(V, φ), ) è un gruppo ed è soogruppo di GL(V) 95

97 DEFINIZIONE 411: x, y V si dicono orogonali rispeo a φ se φ(x, y) = Osservazione: Se x, y sono orogonali rispeo a φ e f O(V, φ), allora f(x), f(y) sono orogonali rispeo a φ DEFINIZIONE 4111: φ Bil(V), B = {v 1,, v n } base di V Si definisce marice associaa a φ rispeo a B la marice M B (φ) M(n, K) definia da [M B (φ)] ij = φ(v i, v j ) PROPOSIZIONE 416: Se M B (φ) = A, allora v, w V, φ(v, w) = [v] B A[w] B n φ(v, w) = φ ( x i v i, y j v j ) = x i y j φ(v i, v j ) i=1 n j=1 96 n n i=1 j=1 = [v] B A[w] B PROPOSIZIONE 417: Sia B base di V Allora l applicazione: Bil(V) M(n, K) M B : φ M B (φ) è un isomorfismo di spazi veoriali M B è evidenemene una bigezione, poiché A M(n, K), φ(v i, v j ) = [v] B A[w] B, dove B = {v 1,, v n } è fissaa Essendo φ definia su veori di base, è univoca l esensione a ui i v V Inolre dalla definizione segue la linearià, dunque ho la esi COROLLARIO 418: dim(bil(v)) = n 2 Osservazione: φ Bil(V), B base di V Allora φ PS(V) M B (φ) è simmerica COROLLARIO 419: dim(ps(v)) = dim(q(v)) = n(n+1) M B PS(V) : PS(V) S(n, K) è un isomorfismo Osservazione: B base di V, φ PS(V), A = M B (φ) Sia ψ A il prodoo scalare su K n associao alla marice simmerica A, cioè ψ A (X, Y) = XAY Allora [ ] B : (V, φ) (K n, ψ A ) è un isomeria, infai φ(v, w) = [v] B A[w] B = ψ A ([v] B, [w] B ) PROPOSIZIONE 411: f: (V, φ) (W, ψ) isomorfismo, B base di V, S base di W Siano M = M B (φ), N = M S (ψ), A = M B,S (f) Allora f è isomeria M = ANA Siano X = [v] B, Y = [w] B Allora φ(v, w) = XMY ψ(f(v), f(w)) = [f(v)] S N[f(w)] S = (AX) N(AY) = X ANAY Dunque f è isomeria XMY = X ANAY X, Y K n M = ANA (per il solio discorso che quell uguaglianza deve valere X, Y e quindi in paricolare per gli X = e i, Y = e j ) Osservazione: f isomorfismo f O(V, φ) M = AMA, dove M = M B (φ) e A = M B (f) 2

98 42 CONGRUENZA E DECOMPOSIZIONE DI WITT DEFINIZIONE 421: A, B M(n, K) si dicono congrueni se M GL(n, K) B = MAM PROPOSIZIONE 421: Sia φ Bil(V) e B, B basi di V Poniamo A = M B (φ) e A = M B (φ) Allora A e A sono congrueni Sia M la marice del cambiameno di base da B a B ; quindi [v] B = M[v] B v V Allora: φ(u, v) = [u] B A[v] B = [u] B MAM[v] B ; φ(u, v) = [u] B A [v] B Poiché [u] B MAM[v] B = [u] B A [v] B u, v V, allora A = MAM Osservazione: La congruenza è una relazione di equivalenza Osservazione: Il rango è un invariane di congruenza (poiché si moliplica per marici inveribili) DEFINIZIONE 422: rk(φ) = rk(m B (φ)) Osservazione: La definizione è ben posa perché il rango non dipende da B PROPOSIZIONE 422: Sia V un K-spazio veoriale, φ, ψ PS(V) Sono fai equivaleni: 1) (V, φ) e (V, ψ) sono isomerici; 2) B base di V, M B (φ) e M B (ψ) sono congrueni; 3) B, B basi di V M B (φ) = M B (ψ) Analoga a quella per gli endomorfismi Osservazione: Gli invariani rispeo all isomeria in PS(V) corrispondono agli invariani rispeo alla congruenza in S(n, K) Osservazione: Se B = MAM, con M GL(n, K), allora de(b) = de(a) (de(m)) 2 Quindi: il deerminane non è invariane di congruenza; se K = R il segno del deerminane è invariane per congruenza DEFINIZIONE 423: Sia φ PS(V) Si definisce radicale di φ l insieme Rad(φ) = {v V φ(v, w) = w V} PROPOSIZIONE 423: Rad(φ) è soospazio di V e dim(rad(φ)) = dim(v) rk(φ) La verifica che sia soospazio è lasciaa Sia dim(v) = n e B base di V; sia A = M B (φ) Poniamo X = [v] B e Y = [w] B 97

99 v Rad(φ) φ(v, w) = w V XAY = Y K n XA = ( XA) = AX = dove il passaggio segue dal fao che deve essere XAY = Y K n, dunque in paricolare per Y = e i, con 1 i n Quindi l immagine di Rad(φ) ramie l isomorfismo [ ] B : V K n è Ker(A), per cui dim(rad(φ)) = dim(ker(a)) = n rk(a) = n rk(φ) Osservazione: In paricolare Rad(φ) si calcola risolvendo il sisema lineare AX = DEFINIZIONE 424: Diciamo che φ PS(V) è non degenere se Rad(φ) = {}, ossia se φ(v, w) = w V v = (e degenere alrimeni) COROLLARIO 424: φ è non degenere rk(φ) = dim(v) Osservazione: Se A = M B (φ) allora φ è non degenere de(a) Noazione: Se W è soospazio di V e φ PS(V), denoeremo con φ W la resrizione di φ a W W Osservazione: Sia A = ( 1 1 ) prodoo scalare su K2 e W = Span(e 1 ) φ W, dunque la resrizione di un prodoo scalare non degenere può essere degenere DEFINIZIONE 425: (V, φ) e (W, ψ) si dicono canonicamene isomerici se esise un isomeria fra di essi che non dipende da nessuna base PROPOSIZIONE 425: φ PS(V) 1) Se V = Rad(φ) U, allora φ U è non degenere 2) Se V = Rad(φ) U 1 = Rad(φ) U 2, allora U 1 e U 2 sono canonicamene isomerici 1) Sia n = dim(v), p = dim(rad(φ)) Sia B 1 = {v 1,, v p } base di Rad(φ); sia B 2 = {v p+1,, v n } base di U Sia B = B 1 B 2 (che ovviamene è base di V); allora: M B (φ) = ( A ), dove A = M B2 (φ U ) M(n p, K) Poiché rk(m B (φ)) = n dim(rad(φ)) = n p, allora A è inveribile e dunque φ U è non degenere 2) u U 1 V! z u Rad(φ), u U 2 u = z u + u Definiamo L: U 1 U 2 L(u) = u L è sicuramene lineare, in quani resrizione di π U2 : V U 2 Poiché dim(u 1 ) = dim (U 2 ), per provare che L è isomorfismo basa provare che è inieiva Sia u Ker(L) u = L(u) = u = z u Rad(φ) u U 1 Rad(φ) = {} Mosriamo che L è un isomeria: φ(u, v) = φ(z u + u, z v + v ) = φ(z u, z v ) + φ(z u, v ) + φ(u, z v ) + φ(u, v ) = φ(u, v ) = = φ(l(u), L(v)), da cui la esi 98

100 DEFINIZIONE 426: Se φ PS(V) e S V, definiamo orogonale di S: S = {v V φ(v, s) = s S} Osservazione: Rad(φ) = V PROPOSIZIONE 426: Siano S, T V 1) S è soospazio di V 2) S T T S 3) S = (Span(S)) 4) S S Siano U, W soospazi di V 5) (U + W) = U W 6) U + W (U W) 1) Verifica immediaa 2) v T φ(v, ) = T S φ(v, s) = s S v S 3) Poiché S Span(S), per 2) ho che (Span(S)) S Inolre se v S φ(v, s) = s S Ma se S = {s 1,, s k }, allora: k k φ(v, i=1 a i s i ) = i=1 φ(v, s i ) =, da cui la esi 4) v S φ(v, s) = s S v S 5) v (U + W) φ(v, u + w) = u U, w W φ(v, u) + φ(v, w) = φ(v, u) = φ(v, w) = u U, w W v U W, dove il passaggio conrassegnao con si oiene ponendo prima u = e poi w = 6) v U + W v = v U + v W, con v U U, v W W h U W, φ(v, h) = = φ(v U + v W, h) = φ(v U, h) + φ(v W, h) = + = v (U W) Osservazione: Se W è soospazio di V, allora W W = Rad(φ W ), poiché in W W ci sono i veori di W orogonali a ui i veori di W, cioè i veori di Rad(φ W ) Esempio: Sia A = ( 1 1 ) e W = Span(e 1) W = Span(e 1 ) W W = Rad(φ W ) = Span(e 1 ) PROPOSIZIONE 427: Se W è soospazio di V e W Rad(φ) = {}, allora: dim(w ) = dim(v) dim(w) (Osservazione: Non è deo che W e W siano in somma direa, nonosane abbiamo dimensioni adeguae; un conroesempio può essere l esempio precedene) Sia dim(w) = k e dim(rad(φ)) = h Esise una base B di V del ipo: B = {w 1,, w k base di W Allora:, v k+1,, v n h, v n h+1,, v n } base di Rad(φ) 99

101 A = M B (φ) = ( M 1 M 2 M 2 M 3 e rk(a) = n h W = {v V φ(v, w) = w W} = {v V φ(w 1, v) = = φ(w k, v) = } Infai il conenimeno è ovvio, menre l alro segue dal fao che ogni w W si può scrivere come combinazione lineare dei w i Ora: φ(w 1, v) = (1 )AX φ(w k, v) = ( 1 )AX, con X = [v] B Dunque araverso l isomorfismo [ ] B i veori di W corrispondono alle soluzioni del sisema lineare: (I k )A X = =(M 1 M 2 ) Poiché rk(a) = n h, la marice ( M 1 M 2 M ) è inveribile e dunque rk(m 1 M 2 ) = k 3 M 2 Allora lo spazio delle soluzioni del sisema (M 1 M 2 )X = ha dimensione n k e dunque dim(w ) = n k COROLLARIO 428: 1) dim(w ) = dim(v) dim(w) + dim(w Rad(φ)) 2) In generale dim(w ) + dim(w) dim(v) 3) Se φ è non degenere, allora dim(w ) = dim(v) dim(w) 4) φ W è non degenere V = W W 1) Sia W = (W Rad(φ)) W 1 Allora W = W 1, infai sicuramene W W 1 in quano W 1 W, e: v W 1 φ(v, w ) = w W 1 φ(v, w) = φ(v, w + w ), w Rad(φ), w W 1 φ(v, w) = φ(v, w ) + φ(v, w ) = + = v W Inolre W 1 Rad(φ) = {}, poiché: {} = W 1 (W Rad(φ)) = (W 1 W) Rad(φ) = W 1 Rad(φ), dove il passaggio conrassegnao con = segue dal fao che W 1 W Per la proposizione precedene: dim(w ) = dim(w 1 ) = dim(v) dim(w 1 ) = dim(v) (dim(w) dim(w Rad(φ))), da cui la esi 2) Segue dal puno 1) 3) Poiché Rad(φ) = {} e per il puno 1) si ha la esi 4) φ W è non degenere Rad(φ W ) = W W = {} Dunque dim(w W ) dim(v) D alra pare dim(w W ) = dim(w) + dim(w ) dim (V), dunque ho la esi ) Osservazione: Se φ è non degenere, poiché U U e dim(u) = dim (U ), allora segue che U = U Inolre, sapendo che (U + W) = U W, se φ è non degenere segue che U + W = (U W) (con un ragionameno analogo al precedene) 1

102 DEFINIZIONE 427: Se V = W W, la proiezione π W : V W è dea proiezione orogonale su W Osservazione: v V, v π W (v) W DEFINIZIONE 428: v V si dice isoropo se φ(v, v) = Denoiamo con I(φ) l insieme dei veori isoropi per φ Osservazione: Se ogni v V è isoropo per φ, allora φ (per la formula di polarizzazione) Osservazione: Se v non è isoropo, quindi V = Span(v) Span(v), allora ogni w V si scrive come w = w 1 + w 2, con w 1 Span(v) e w 2 Span(v) Inolre w 1 = c v, quindi w 2 = w cv w 2 = w cv Span(v) φ(w cv, v) = φ(w, v) = cφ(v, v) c = Il numero c = φ(v,w) prende il nome di coefficiene di Fourier di w rispeo a v φ(v,v) Dunque π Span(v) (w) = φ(v,w) v φ(v,v) φ(v, w) φ(v, v) DEFINIZIONE 429: Una base B = {v 1,, v n } di V si dice orogonale se φ(v i, v j ) = i j Osservazione: B è orogonale M B (φ) è diagonale PROPOSIZIONE 429: φ PS(V) esise una base di V orogonale rispeo a φ Dimosrazione 1: Per induzione su n = dim(v): Passo base): n = 1: ogni base è orogonale Passo induivo): Se φ(v, v) = v V, allora φ e quindi ogni base è orogonale Alrimeni v 1 φ(v 1, v 1 ) ; allora V = Span(v 1 ) Span(v 1 ) Per ipoesi induiva {v 2,, v n } base di Span(v 1 ) orogonale per la resrizione di φ (e dunque per φ) Allora {v 1,, v n } è base di V orogonale per φ Dimosrazione 2 Algorimo di Lagrange: Sia B = {v 1,, v n } una base qualsiasi di V Sia A = M B (φ) Supponiamo [A] 11 = φ(v 1, v 1 ), cioè v 1 I(φ) Poniamo: v 1 = v 1 ; v 2 = v 2 φ(v 2,v 1 ) v φ(v 1,v 1 ) 1 ; v n = v n φ(v n,v 1 ) v φ(v 1,v 1 ) 1 Allora φ(v j, v 1 ) = j 2 e B = {v 1,, v n } è una base di V, infai, se meiamo i veori v i per colonna in una marice, oeniamo: 11

103 1 M = ( che ha evidenemene de M = 1 Inolre abbiamo che: k 2 1 k 3 1 A A k n 1 ) M B (φ) = ( C ) Se [A] 11 = guardo se j {2,, n} [A] jj Se lo rovo, permuo la base B in modo che v j sia il primo veore e procedo come prima Alrimeni: Se [A] ii = i ci sono due casi: a) φ è nullo, quindi ogni base è orogonale; b) i j [A] ij = [A] ji In al caso φ(v i + v j, v i + v j ) = 2[A] ij Allora scelgo una base di V in cui v i + v j è il primo veore e poi applico il primo caso Dopo aver orogonalizzao i veori rispeo al primo, iero il procedimeno sulla marice C e così via COROLLARIO 421: Ogni marice simmerica è congruene ad una marice diagonale Osservazione: Sia B = {v 1,, v n } una base orogonale Sia v = α 1 v 1 + +α n v n φ(v, v 1 ) = α 1 φ(v 1, v 1 ), quindi, se v 1 è non isoropo, la coordinaa di v 1 coincide con il coefficiene di Fourier di v rispeo a v 1 Quindi, se φ è non degenere: v = φ(v, v 1) φ(v 1, v 1 ) v 1+ + φ(v, v n) φ(v n, v n ) v n Inolre, se W è soospazio di V, dim(w) = k, φ W è non degenere (per cui V = W W ) e {w 1,, w k } è una base orogonale di W, allora: Quindi: v = φ(v, w 1) φ(w 1, w 1 ) w 1+ + φ(v, w k) φ(w k, w k ) w k + z, z W π W (v) = φ(v, w 1) φ(w 1, w 1 ) w 1+ + φ(v, w k) φ(w k, w k ) w k Osservazione: Sia V un C-spazio veoriale, dim(v) = n, φ PS(V), rk(φ) = r Allora S = {v 1,, v n } base orogonale di V ale che: 12

104 M S (φ) = a 11 a rr con a ii i r v 1 Sia B = {,,, v φ(v 1,v 1 ) φ(v r,v r ) r+1,, v n } B è dea base orogonale normalizzaa per φ e: v r ( M B (φ) = ( I r ) ) TEOREMA DI SYLVESTER COMPLESSO: Sia V un C-spazio veoriale Allora (V, φ) e (V, ψ) sono isomerici rk(φ) = rk(ψ) (Osservazione: Quindi il rango è un sisema compleo di invariani per l isomeria nel caso K = C) (V, φ) e (V, ψ) sono isomerici B, S basi di V M B (φ) = M S (ψ) Poiché abbiamo viso nell osservazione precedene che se rk(φ) = rk(ψ) allora B, S basi di V M B (φ) = M S (ψ) = ( I r ), segue la esi COROLLARIO 4211: Tui i prodoi scalari non degeneri su un C-spazio veoriale sono isomerici COROLLARIO 4212: Ogni marice simmerica complessa di rango r è congruene a ( I r ) e dunque il rango è un invariane compleo di congruenza su C Osservazione: Sia V un R-spazio veoriale, dim(v) = n, φ PS(V), rk(φ) = r Allora S = {v 1,, v n } base orogonale di V ale che: M S (φ) = a rr ( ) con a ii i r Supponiamo che a ii > per 1 i p e a ii < per p + 1 i r v p v p+1 a 11 Sia B = { v 1,,,,, v r+1,, v n } a 11 a pp a (p+1)(p+1) a rr B è dea base orogonale normalizzaa per φ e: v r M B (φ) = ( I p I r p 13 )

105 DEFINIZIONE 421: Sia V un R-spazio veoriale, φ PS(V) φ si dice definio posiivo (o negaivo) se φ(v, v) > v (oppure φ(v, v) < v ); φ si dice definio se è definio posiivo o definio negaivo; φ si dice semidefinio posiivo (o negaivo) se φ(v, v) v (oppure φ(v, v) v); φ si dice semidefinio se è semidefinio posiivo o semidefinio negaivo Osservazione: φ definio φ non degenere; inolre se W è soospazio di V e φ è (semi)definio, allora φ W è (semi)definio DEFINIZIONE 4211: Il numero i + (φ) = max{dim(w) W ssv di V, φ W def posiivo} prende il nome di indice di posiivià; Il numero i (φ) = max{dim(w) W ssv di V, φ W def negaivo} prende il nome di indice di negaivià; Il numero i (φ) = dim(rad(φ)) prende il nome di indice di nullià Osservazione: Quesi re numeri sono invariani per isomeria, poiché le isomerie manengono il prodoo scalare e dunque anche i segni dei prodoi scalari DEFINIZIONE 4212: La erna σ(φ) = (i + (φ), i (φ), i (φ)) è dea segnaura di φ TEOREMA DI SYLVESTER REALE: Sia V un R-spazio veoriale, dim(v) = n, φ PS(V) Sia B una base orogonale di V ale che: M B (φ) = ( I p Allora p = i + (φ) e q = i (φ) Sia B = {v 1,, v p, v p+1,, v p+q, v p+q+1,, v n } La resrizione di φ a Span(v 1,, v p ) è definia posiiva, dunque i + (φ) p Sia ora W un soospazio di V ale che dim(w) = i + (φ) φ W è definio posiivo Sia Z = Span(v p+1,, v n ) Dunque z Z, z = a p+1 v p+1 + +a n v n 2 2 φ(z, z) = a p+1 a p+q, dunque φ Z è semidefinio negaivo Noiamo che W Z = {}, infai, se v W Z, allora φ(v, v) φ(v, v), quindi φ(v, v) =, cioè v = perché v W ed essendo W definio posiivo il suo unico veore isoropo è il veore nullo Allora esise W Z soospazio di V, per cui dim(w Z) = dim(w) + dim(z) dim(v) = n, ossia i + (φ) + n p n, cioè i + (φ) p Segue dunque che i + (φ) = p e con queso che i + (φ) non dipende dalla scela della base Poiché p + q = rk(φ) e i + (φ) + i (φ) = rk(φ), allora q = i (φ), da cui la esi COROLLARIO 4213: Se K = R, (V, φ) e (V, ψ) sono isomerici σ(φ) = σ(ψ), cioè la segnaura è un invariane compleo di isomeria nel caso K = R I q ) 14

106 COROLLARIO 4214: A, B S(n, R) sono congrueni σ(a) = σ(b), cioè la segnaura è un invariane compleo di congruenza nel caso reale DEFINIZIONE 4213: V K-spazio veoriale, φ PS(V) Una base B di V si dice oronormale per φ M B (φ) = I Osservazione: Se K = C una base oronormale per φ φ è non degenere Se K = R una base oronormale per φ φ è definio posiivo DEFINIZIONE 4214: Sia A S(n, R) A si dice definia posiiva (negaiva) se XAX > ( XAX < ) X Sia A S(n, R) A si dice semidefinia posiiva (negaiva) se XAX ( XAX ) X Osservazione: A è definia posiiva ψ A : (X, Y) XAY è definio posiivo Analogamene se è definia negaiva Osservazione: A è definia posiiva A è congruene a I M GL(n, R) A = MM (dunque de(a) = de( MM) = (de(m)) 2 > ) DEFINIZIONE 4215: A S(n, R) 1 i n si definisce i-esimo minore principale M i (A) il minore formao dalle prime i righe e dalle prime i colonne CRITERIO DEI MINORI PRINCIPALI: A S(n, R) A è definia posiiva de(m i (A)) > i ) M i (A) è la marice associaa alla resrizione di ψ A al soospazio Span(e 1,, e i ) Tale resrizione è definia posiiva e quindi de(m i (A)) > i ) Per induzione su n: Passo base): n = 1: ovvio Passo induivo): Per ipoesi ui i minori principali della marice M n 1 (A) hanno deerminane posiivo Allora per ipoesi induiva la resrizione di ψ A a Span(e 1,, e n 1 ) è definia posiiva e quindi i + (ψ A ) n 1 Allora, se i + (ψ A ) = n 1, esiserebbe per Sylveser una base B ale che: A M B (ψ A ) = ( I n 1 ) 1 e de(m B (ψ A )) = 1 <, assurdo, quindi i + (ψ A ) = n, cioè A è definia posiiva PROPOSIZIONE 4215: Le rasformazioni di base con l algorimo di Lagrange nel caso in cui il veore non sia isoropo non alerano i deerminani dei minori principali 15

107 A = M B (ψ) A = M rasfdi base B (ψ); B = {v 1,, v n }, B = {v 1,, v n } 1 M = M B B (id) 1 = 1 ( 1 ) Noiamo che A = MAM; sia inolre W k = Span(v 1,, v k ) Allora A k = M {v1,,v k }(ψ Wk ), W k = Span(v 1,, v k ) e M {v1,,v k },{v1,,v k } (id) = M k Quindi A k = M k A k M k Ma de(m k ) = 1 k, quindi D k = de(a k ) = de(a k ) (de(m k )) 2 = de(a k ) = D k, esi CRITERIO DI JACOBI: A S(n, R), rk(a) = r Supponiamo che D i i r Allora T riangolare superiore, de(t) = 1, ale che: D 1 D 2 TAT = D 1 D r D r 1 ( ) D 1 [A] 11 = D 1, quindi posso effeuare una rasformazione di base A = MAM, M riangolare superiore, de(m) = 1 D 1 A = ( a 22 ) Ma si conservano i deerminani dei minori principali D 2 = D 2 = D 1 a 22 a = D 2 D 1 Iero perché D 2 a D 33 D 2 D 1 D 1 = D 3 = D 3 a 33 = D 3 1 D 2 In generale a kk D k 1 D 2 D D k 2 D 1 = D k a kk = D k 1 D k 1 Quindi, chiamando A la marice A dopo r rasformazioni di base: A = M r M r 1 M 1 AM 1 M r = (M 1 M r ) AM 1 M r, quindi se T = M 1 M r, allora T è la marice cercaa, in quano è riangolare superiore (perché prodoo di marici riangolari superiori) e ha de(t) = de(m 1 M r ) = 1 COROLLARIO 4216: Si deduce il crierio dei minori principali ψ è definio posiivo D 1 >, D 2 >,, > D D 1 D 1 >,, D r > r 1 COROLLARIO 4217: A è definia negaiva D 1 <, D 2 >, D 3 <, ψ è definio negaivo D 1 <, D 2 <,, < D D 1 D 1 <, D 2 >, D 3 <, r 1 D r D r

108 DEFINIZIONE 4216: (P, ψ) si dice piano iperbolico se P è uno spazio veoriale di dimensione 2 e ψ è un prodoo scalare di P non degenere per cui esise un veore isoropo non nullo PROPOSIZIONE 4218: (P, ψ) piano iperbolico, v isoropo Allora v si esende ad una base B = {v, w} di P ale che M B (ψ) = ( 1 ) (B è dea base iperbolica) 1 Sia S = {v, z} una base di P Allora M S (ψ) = ( a a b ) ψ non degenere a Ora cerco λ, μ w = λv + μz, B = {v, w} sia base di P e M B (ψ) = ( 1 1 ) Noiamo che B è base μ ψ(v, w) = ψ(v, λv + μz) = μa; ψ(w, w) = ψ(λv + μz, λv + μz) = 2λμa + μ 2 b Allora M B (ψ) = ( 1 1 ) { μa = 1 = a 1 2λμa + μ 2 {μ b λ = 2 1 bμ 2 = b(2a 2 ) 1 Poiché abbiamo rovao ali λ, μ, ho la esi Osservazione: Se (P, φ) è un piano iperbolico, allora σ(φ) = (1,1,) Infai sia {v, w} una base iperbolica per (P, φ) Sia S = { v+w, v w }, che quindi è base di P Si può facilmene vedere che: 2 2 M S (φ) = ( 1 1 ) da cui segue che σ(φ) = (1,1,) DEFINIZIONE 4217: (V, φ) si dice anisoropo se V non coniene veori isoropi non nulli PROPOSIZIONE 4219: V K-spazio veoriale, φ prodoo scalare non degenere Allora: 1) Se K = C, (V, φ) è anisoropo dim(v) = 1; 2) Se K = R, (V, φ) è anisoropo φ è definio 1) ) Ovvio ) Se per assurdo dim(v) 2 e B = {v 1,, v n } è una base di V M B (φ) = I, allora φ(v 1 + iv 2, v 1 + iv 2 ) = 1 1 = e dunque v 1 + iv 2 I(φ), assurdo 2) ) Ovvio per definizione ) Se per assurdo φ non è definio, B = {v 1,, v p, v p+1,, v n } base di V ale che M B (φ) = ( I p I n p ) Allora φ(v 1 + v p+1, v 1 + v p+1 ) = 1 1 =, assurdo Noazione: Denoeremo con W 1 W 2 la somma direa orogonale di W 1 e W 2, che sa ad indicare la somma direa dei soospazi W 1 e W 2 ali che φ(w 1, w 2 ) = w 1 W 1, w 2 W 2 17

109 FORMA NORMALE DI WITT: Sia (V, φ), φ non degenere Caso 1): K = C a) dim(v) = n = 2m Sappiamo che B = {v 1, w 1,, v m, w m } base di V M B (φ) = I Allora M {vj,w j } (φ Span(v j,w j ) ) = (1 1 ) e v j + iw j è isoropo, dunque P j = Span(v j, w j ) è un piano iperbolico e: V = P 1 P m, dea decomposizione di Wi di V Prendendo una base iperbolica in ogni P j, S base di V ale che: M S (φ) = , 1 1 ) ( dea forma normale di Wi di V b) dim(v) = n = 2m + 1 Con un procedimeno analogo al precedene si rova la decomposizione di Wi: V = P 1 P m Span(z), Inolre come prima S base di V M S (φ) = 1 1 ( che è la forma normale di Wi di V Caso 2): K = R 1) i + (φ) i (φ) Sia p = i + (φ) Allora B = {v 1,, v p, w 1,, w n p } base di V M B (φ) = ( I p 1 1 I n p Si definisca P j = Span(v j, w j ) j e A = Span(w p+1,, w n p ) Allora P j è un piano iperbolico j e φ A è definio negaivo; inolre: V = P 1 P p A, che è la decomposizione di Wi di V e S base di V 1 1 M S (φ) = ( I n 2p ) che è la forma normale di Wi di V 2) i (φ) i + (φ) È del uo analogo al caso precedene, ranne che φ A è definio posiivo 1 1 ) 1 ),,

110 In generale: DEFINIZIONE 4218: Se φ è non degenere, si chiama decomposizione di Wi di (V, φ) una decomposizione: V = P 1 P h A, dove ogni P j è un piano iperbolico e φ A è anisoropo Dunque, grazie a quello che abbiamo viso, segue: TEOREMA 422: Se K = C K = R e φ è non degenere: #piani iperbolici = m 1) Se K = C e dim(v) = 2m { A = {} #piani iperbolici = m 2) Se K = C e dim(v) = 2m + 1 { dim(a) = 1 3) Se K = R { #piani iperbolici = min(i +(φ), i (φ)) φ A è definio Osservazione: Da queso eorema segue che sia nel caso complesso sia in quello reale, il numero dei piani iperbolici è invariane per isomeria DEFINIZIONE 4219: φ PS(V) Si definisce indice di Wi di (V, φ) il numero naurale w(φ) = max{dim(w) W è ssv di V, φ W } Osservazioni: 1) w(φ) = φ è anisoropo; 2) w(φ) è invariane per isomeria; 3) Se φ non degenere, w(φ) dim(v) 2 Sia W un soospazio di V ale che dim(w) = w(φ) φ W Allora B base di V A Quindi n = rk(φ) (n w(φ)) =max(rk( A C)) M B (φ) = ( A w(φ) + (n w(φ)) =max(rk(a)) 19 C ) n w(φ) n 2w(φ), da cui la esi 4) Se V = P 1 P h A è una decomposizione di Wi, allora h w(φ) Se {v j, w j } è una base iperbolica per P j, allora Z = Span(v 1,, v h ) è un soospazio di V dim(z) = h e φ Z, dunque w(φ) h TEOREMA 4221: Sia (V, φ), φ non degenere, dim(v) = n Allora: 1) Se K = C, w(φ) = [ n 2 ]; 2) Se K = R, w(φ) = min(i + (φ), i (φ))

111 1) Se K = C, abbiamo viso che V = P 1 P [ n 2 ] A, con dim(a) 1 Allora, per le osservazioni 3) e 4), abbiamo che [ n 2 ] w(φ) n 2 w(φ) = [n 2 ] 2) Sia V = P 1 P m A una decomposizione di Wi di V Vogliamo provare che m = w(φ), ma per l osservazione 4), m w(φ) Supponiamo per assurdo che m < w(φ) Sia Z soospazio di V ale che dim(z) = w(φ) e φ Z φ A è definio, supponiamo che sia definio negaivo (alrimeni la dimosrazione è analoga) Allora W soospazio di V ale che dim(w) = n m e φ W è definio negaivo (ad esempio W = A Span(w 1,, w m ), con w i P i φ(w i, w i ) < ) Poiché dim(z) + dim(w) > n Z W {} v, v Z W Ma φ(v, v) = in quano v Z e φ(v, v) < in quano v W, assurdo Quindi abbiamo mosrao che ue le decomposizioni di Wi in V conengono lo sesso numero di piani iperbolici, in paricolare w(φ) piani iperbolici Poiché abbiamo rovao una decomposizione di Wi di V con min(i + (φ), i (φ)) piani iperbolici, segue la esi DEFINIZIONE 422: Definiamo segno di (V, φ), con φ definio, il numero sgn(v) che è 1 se (V, φ) è definio posiivo, 1 se è definio negaivo COROLLARIO 4222: V R-spazio veoriale, φ non degenere La coppia (w(φ), sgn(φ A )) è un sisema compleo di invariani per isomeria su R Sappiamo che w(φ) = min(i + (φ), i (φ)), inolre: se sgn(φ A ) = 1 i + (φ) i (φ) (queso segue facilmene dalla dimosrazione della forma normale di Wi); se sgn(φ A ) = 1 i + (φ) i (φ) Dunque la conoscenza di (w(φ), sgn(φ A )) pora immediaamene alla conoscenza di (i + (φ), i (φ)) Da queso segue la esi PROPOSIZIONE 422: Se V = Rad(φ) U, allora w(φ) = dim(rad(φ)) + w(φ U ) Sia Z soospazio di U ale che dim(z) = w(φ U ) e φ Z Allora φ Z Rad(φ), quindi w(φ) dim(rad(φ)) + w(φ U ) Supponiamo per assurdo che w(φ) > dim(rad(φ)) + w(φ U ) Allora sia H soospazio di V ale che dim(h) = w(φ) e φ H Allora H U è un soospazio di U in cui φ si annulla, quindi: w(φ U ) dim(h U) = dim(h) + dim(u) dim(h + U) > assurdo > (dim(rad(φ)) + w(φ U )) + dim(u) dim(h + U) = = dim(v) + w(φ U ) dim(h + U) w(φ U ), 11

112 43 ISOMETRIE PROPOSIZIONE 431: V spazio veoriale e φ PS(V), f O(V, φ) Se W è soospazio di V ale che f(w) W, allora f(w ) W Essendo f isomorfismo, ho che f(w) = W Allora, se w W, y W f(y) = w La esi è mosrare che x W, f(x) W, cioè che x W, w W, φ(f(x), w) = Ora: φ(f(x), w) = φ(f(x), f(y)) = φ(x, y) =, da cui la esi Osservazione: Sia φ PS(V) non degenere Se v V è non isoropo, allora: V = Span(v) Span(v) w V, w = c(w) v + (w c(w) v) Se c(w) = φ(w,v) φ(v,v), allora w c(w) v Span(v) Poniamo z(w) = w c(w) v Allora w si scrive in modo unico come w = c(w) v + z(w), con c(w) v Span(v) e w c(w) v Span(v) DEFINIZIONE 431: Definiamo riflessione parallela a un veore v l applicazione ρ v : V V ρ(w) = ρ(c(w) v + z(w)) = c(w) v + z(w) DEFINIZIONE 432: Definiamo luogo dei puni fissi di un isomeria f l insieme Fix(f) = {v V f(v) = v} PROPOSIZIONE 432: ρ v 2 = id e ρ v O(V, φ) Che ρ v 2 = id è evidene; inolre ρ v è sicuramene un isomorfismo Con una semplice verifica si vede che φ(ρ v (w 1 ), ρ v (w 2 )) = φ(w 1, w 2 ) Osservazione: ρ v (v) = v e Fix(ρ v ) = Span(v) TEOREMA 433: φ PS(V) non degenere Allora O(V, φ) è generao dalle riflessioni, cioè ogni f O(V, φ) è composizione di un numero finio di riflessioni parallele a veori non isoropi (Osservazione: Conveniamo che id è composizione di riflessioni) Per induzione su n = dim(v): Passo base): n = 1: V = Span(v), con v non isoropo perché φ non degenere Sia f O(V, φ) Allora f(v) = λv, λ φ(f(v), f(v)) = λ 2 φ(v, v) λ = ±1 Se λ = 1 f = id, che è composizione di riflessioni Se λ = 1 f(v) = v = ρ v (v) f = ρ v, poiché coincidono su una base Passo induivo): Sia w V non isoropo Caso 1): f(w) = w In queso caso per la prima proposizione si ha che f(z w ) = Z w, con 111

113 Z w = Span(w), quindi posso applicare l ipoesi induiva a f Zw e φ Zw Allora ρ, 1, ρ k riflessioni di Z w f Zw = ρ 1 ρ k Ogni ρ i si esende ad una riflessione ρ i di V (parallela allo sesso veore) ponendo ρ i (w) = w Allora f = ρ 1 ρ k, da cui la esi Caso 2): f(w) w Noiamo che w = f(w)+w f(w) w Inolre f(w) + w e f(w) w sono 2 2 orogonali e non conemporaneamene isoropi, infai: φ(f(w) + w, f(w) + w) = 2φ(w, w) + 2φ(f(w), w) φ(f(w) w, f(w) w) = 2φ(w, w) 2φ(f(w), w) Se fossero enrambi isoropi, sommando avremmo che 4φ(w, w) =, cioè w isoropo, assurdo Quindi: Se f(w) w = u è non isoropo, allora: ρ u (w) = ρ u ( f(w) w + f(w)+w f(w) w 2 2 ) = + f(w)+w = f(w), 2 2 Span(u) Span(u) quindi, applicando ρ u a enrambi i membri, (ρ u f)(w) = ρ 2 u (w) = w Dunque w è puno fisso per ρ u f Allora, per il caso 1), ρ 1,, ρ k di V ali che ρ u f = ρ 1 ρ k, e perciò ρ 2 u f = f = ρ u ρ 1 ρ k Se invece è f(w) + w = u a essere non isoropo, possiamo comunque ricondurci al caso precedene in quano u = ( f)(w) w Dunque ρ,, ρ k riflessioni ali che f = ρ ρ k Ma f = ( f) ( id), quindi se {v 1,, v n } è una base orogonale per V: id = ρ v1 ρ vn, poiché ciascuna riflessione cambia di segno la coordinaa corrispondene Dunque f = ρ v1 ρ vn ρ ρ k, da cui la esi LEMMA 434: (V, φ) anisoropo, f O(V, φ) Se Fix(f) = {}, allora ρ riflessione ale che dim(fix(ρ f)) = 1 Sia w V, w Per ipoesi f(w) w (V, φ) anisoropo u = f(w) w è non isoropo Come provao prima, (ρ u f)(w) = w, cioè w Fix(ρ u f) e quindi dim(fix(ρ u f)) 1 Proviamo che Fix(ρ u f) f 1 (Z u ) = {}, con Z u = Span(u) Infai ρ u Zu = id, quindi (ρ u f) f 1 (Z u ) = f f 1 (Z u ) e poiché f non ha puni fissi, a maggior ragione non li ha f f 1 (Z u ) Perciò Fix(ρ u f) f 1 (Z u ) = {}, e poiché dim(f 1 (Z u )) = n 1 (in quano f è isomorfismo), per la formula di Grassmann dim(fix(ρ u f)) 1, esi TEOREMA 435: (V, φ) anisoropo, dim(v) = n Allora ogni f O(V, φ) è composizione di n k riflessioni, dove k = dim(fix(f)) Se k = n, allora f = id, quindi f è composizione di riflessioni, e n k = 112

114 Se k < n, allora sia H = Fix(f), così V = Fix(f) H Allora dim(h) = n k, H è f-invariane (poiché f(fix(f)) Fix(f)), f H O(H, φ H ) e O(H, φ H ) è anisoropo Inolre evidenemene Fix(f H ) = {} Per il lemma u H ale che, dea ρ u la riflessione in H parallela a u, si ha che dim(fix(ρ u f H )) = 1 ρ u si esende nauralmene alla riflessione ρ u di V, ponendo ρ u (w) = w w H Allora Fix(f) Span(u) = Fix(ρ u ), infai: v Fix(f) v H ρ u (v) = v v Fix(ρ u ) Quindi Fix(f) Fix(ρ u f H ) Fix(ρ u f), in quano ovviamene Fix(f) Fix(ρ u f) e Fix(ρ u f H ) Fix(ρ u f) e Fix(f) Fix(ρ u f H ) Fix(f) H = {} Inolre vale l uguaglianza Fix(f) Fix(ρ u f H ) = Fix(ρ u f), infai sia x Fix(ρ u f) Scrivo x = a + b, con a Fix(f) e b H; allora: x = (ρ u f)(x) = (ρ u f)(a) + (ρ u f)(b) = a + (ρ u f)(b), ma per la scriura unica b = (ρ u f)(b) b Fix(ρ u f H ), in quano b H Allora dim(fix(ρ u f)) = k + 1 Ierando, rovo che ρ 1,, ρ n k riflessioni ali che dim(fix(ρ n k ρ 1 f)) = n, quindi ρ n k ρ 1 f = id, da cui f = ρ 1 ρ n k H 44 AGGIUNTO DEFINIZIONE 441: Sia φ PS(V) y V sia φ y : V K v φ y (v) φ(v, y) Osservazione: φ y è lineare, quindi φ y V DEFINIZIONE 442: Definiamo F φ : V V y φ y PROPOSIZIONE 441: 1) F φ è lineare; 2) Ker(F φ ) = Rad(φ); 3) Im(F φ ) = Ann(Rad(φ)); 4) F φ è un isomorfismo φ è non degenere 1) Semplice verifica 2) y Ker(F φ ) φ y = φ y (x) = φ(x, y) = x V y Rad(φ) 3) Im(F φ ) Ann(Rad(φ)), infai y V, F φ (y) = φ y Ann(Rad(φ)), perché x Rad(φ), φ y (x) = φ(x, y) = Inolre dim (Im(F φ )) = dim(v) dim (Ker(F φ )) = dim(v) dim(rad(φ)) = = dim (Ann(Rad(φ))) 4) Ovvia per quano viso nei puni precedeni (infai se φ non degenere, allora Ker(F φ ) = Rad(φ) = {} e Im(F φ ) = Ann(Rad(φ)) = V) 113

115 DEFINIZIONE 443: g V è deo φ-rappresenabile se g Im(F φ ) (ossia se y V ale che g = F φ (y), ossia se y V ale che g(x) = φ(x, y) x V) TEOREMA DI RAPPRESENTAZIONE DI RIESZ: Se φ è non degenere, ogni g V è φ-rappresenabile in modo unico (cioè! y V g(x) = φ(x, y) x V) Segue dal fao che F φ è un isomorfismo Osservazione: Grazie alla eoria del duale, avevamo rovao un isomorfismo canonico fra V e V, menre ora, grazie al eorema di rappresenazione di Riesz, abbiamo rovao un isomorfismo canonico F φ fra V e V Osservazione: Sia W un soospazio fissao di V W coincide con l insieme dei funzionali φ-rappresenabili W = Im(F φ ) = Ann(Rad(φ)) Dunque se W = Ann(S), cioè S = Ann(W ) (grazie all isomorfismo canonico ψ V ), allora W = Im(F φ ) S = Rad(φ) PROPOSIZIONE 442: Siano U, W soospazi di V Allora: 1) Ann(U + W) = Ann(U) Ann(W); 2) Ann(U W) = Ann(U) + Ann(W) 1) ) U U + W Ann(U + W) Ann(U) e analogamene Ann(U + W) Ann(W) Dunque Ann(U + W) Ann(U) Ann(W) ) Sia f Ann(U) Ann(W); f(u + w) = f(u) + f(w) = + = u U, w W, dunque f Ann(U + W) 2) Ann(Ann(U) + Ann(W)) = Ann(Ann(U)) Ann(Ann(W)) = U W Passando all annullaore: Ann (Ann(Ann(U) + Ann(W))) = Ann(U) + Ann(W) = Ann(U W), da cui la esi Esempio: V = R 5 In V si considerino: f 1 (x) = x 1 + x 2 + x 3 + x 4 + x 5 ; f 2 (x) = x 1 + x 2 x 3 x 4 x 5 ; f 3 (x) = x 1 + x 2 + 3x 3 + 3x 4 + 3x 5 ; e sia W = Span(f 1, f 2, f 3 ) Si cosruisca in V un prodoo scalare φ ale che W sia il soospazio dei funzionali φ-rappresenabili Cerco φ PS(V) ale che W = Ann(Rad(φ)) Vediamo che (2f 1 f 2 )(x) = f 3 (x) x V, quindi W = Span(f 1, f 2 ) Allora, grazie all isomorfismo canonico ψ V : Ann(W ) = Ann(Span(f 1, f 2 )) = Ann(Span(f 1 ) + Span(f 2 )) = Ann(f 1 ) Ann(f 2 ) = = Ker(f 1 ) Ker(f 2 ) { x 1 + x 2 + x 3 + x 4 + x 5 = x 1 + x 2 x 3 x 4 x 5 = {x 1 + x 2 + x 3 + x 4 + x 5 = x 3 + x 4 + x 5 = 114 { x 3 = x 4 x 5 x 1 = x, quindi: 2

116 Sol = {( x 2 x 2 x 4 x 5 x 4 x 5 ) x 2, x 4, x 5 R }, cioè, se W = Ann(S) S = Ann(W ), e: S = Span 1 1, 1 1, 1 ( ( ) ( ) ( 1 ) =v 1 =v 2 =v 3 ) Dunque S = Ann(W ) = Rad(φ), perciò cosruisco φ PS(V) Rad(φ) = Span(v 1, v 2, v 3 ) Compleo v 1, v 2, v 3 a base B = {v 1, v 2, v 3, w 1, w 2 } di V Ad esempio w 1 = e 1, w 2 = e 3 Oengo la esi con: M B (φ) = ( PROPOSIZIONE 443: Sia U soospazio di V Se φ è non degenere, allora F φ (U ) = Ann(U) Sicuramene F φ (U ) Ann(U), poiché y U, u U, φ y (u) = φ(y, u) = 1 1) Inolre dim (F φ (U )) = dim(u ) = dim(v) dim(u) = dim(ann(u)), da cui la esi PROPOSIZIONE 444: φ PS(V) non degenere, f End(V), f : V V ale che φ(f(x), y)) = φ(x, f (y)) x, y V Fissiamo y V Poniamo inolre g(x) = φ(f(x), y); g(x) è evidenemene lineare, cioè g(x) V Dunque per il eorema di rappresenazione di Riesz! w V g(x) = φ(x, w) x V Quindi φ(f(x), y) = φ(x, w) x V Poiché w dipende da y, poniamo w = f (y) Dunque è ben definia l applicazione f : V V φ(f(x), y)) = φ(x, f (y)) x, y V DEFINIZIONE 444: L applicazione f rovaa è dea l aggiuno di f rispeo a φ PROPOSIZIONE 445: 1) f è lineare; 2) f = f, cioè è un involuzione; 3) Ker(f ) = (Im(f)) ; 4) Im(f ) = (Ker(f)) ; 5) Se B è base di V, A = M B (f), A = M B (f ), M = M B (φ), allora A = M 1 AM 1) x, y 1, y 2 V si ha: φ(x, f (y 1 + y 2 )) = φ(f(x), y 1 + y 2 ) = φ(f(x), y 1 ) + φ(f(x), y 2 ) = 115

117 = φ(x, f (y 1 )) + φ(x, f (y 2 )) = φ(x, f (y 1 ) + f (y 2 )) Quindi φ(x, f (y 1 + y 2 ) f (y 1 ) f (y 2 )) = x V (x, f (y 1 + y 2 ) f (y 1 ) f (y 2 )) Rad(φ) = {} f (y 1 + y 2 ) = f (y 1 ) + f (y 2 ) Analogamene per il muliplo esi 2) x, y V, φ(f(x), y) = φ(x, f (y)) = φ(f (y), x) = φ(y, f (x)) = φ(f (x), y) Quindi come prima f(x) f (x) Rad(φ) = {}, da cui la esi 3) ) Sia v Ker(f ) Allora f(w) Im(f), φ(v, f(w)) = φ(f (v), w)) = φ(, w) = ) Sia v (Im(f)) Allora w V, φ(f (v), w)) = φ(v, f(w)) =, quindi f (v) Rad(φ) = {}, da cui v Ker(f ) 4) Dalla 3) segue che Ker(f ) = (Im(f )) ; applicando l orogonale si oiene la esi 5) Poiché v, w V, φ(f(v), w) = φ(v, f (w)), allora: X AMY = XMA Y X, Y K n Poiché vale X, Y K n, allora AM = MA Ma φ non degenere M inveribile A = M 1 AM Osservazioni: 1) Se B base oronormale, A = A 2) Il diagramma: f V F φ V f F φ Infai v, x V: commua, cioè F φ f = f (F φ f )(v)(x) = F φ (f (v))(x) = φ(f (v), x); V V F φ ( f F φ )(v)(x) = ( f(φ v ))(x) = (φ v f)(x) = φ(f(x), v) = φ(f (v), x) Da queso si ricavano di nuovo i puni 3) e 4) della proposizione precedene, infai: Ker(f ) = Ker(F 1 φ f F φ ) = Ker(F 1 φ f) = F 1 φ (Ker( f)) = F 1 φ (Ann(Im(f)) = = (Im(f)), dove i passaggi conrassegnai con = derivano dal fao che F φ è un isomorfismo Analogamene per Im(f ) 3) Ψ: (x, y) φ(f(x), y) è un prodoo scalare x, y, φ(f(x), y) = φ(f(y), x), cioè φ(x, f (y)) = φ(x, f(y)), ossia f (y) f(y) Rad(φ) = {} f = f DEFINIZIONE 445: f End(V) si dice auoaggiuno f = f Osservazione: Supponiamo che B base di V oronormale Allora: f è auoaggiuno M B (f) = (M B (f)) M B (f) S(n, K) 116

118 45 SPAZI EUCLIDEI DEFINIZIONE 451: (V, φ) si dice spazio euclideo se V è un R-spazio veoriale e φ è definio posiivo Esempi: 1) (R n,, ), con X, Y = XY, cioè il prodoo scalare sandard su R n ; 2) (M(n, R), φ), con φ(a, B) = r( AB) n n 2 Infai φ(a, A) = r( AA) = i=1 j=1[a] ji > se A DEFINIZIONE 452: Sia (V, φ) spazio euclideo Si definisce norma su V l applicazione : V R v = φ(v, v) PROPOSIZIONE 451: Valgono le segueni proprieà: 1) v v V e v = v = ; 2) λ R, v V, λv = λ v ; 3) v, w V, φ(v, w) v w (disuguaglianza di Schwarz); 4) v, w V, v + w v + w (disuguaglianza riangolare) 1) Ovvia 2) λv = φ(λv, λv) = λ 2 φ(v, v) = λ v 3) Se v = w = la esi è ovvia Alrimeni φ(v + w, v + w) R, cioè 2 φ(v, v) + 2φ(v, w) + φ(w, w) Quindi il discriminane dell equazione di secondo grado è, cioè: φ(v, w) 2 φ(v, v) φ(w, w), da cui la esi 4) v + w 2 = φ(v + w, v + w) = φ(v, v) + 2φ(v, w) + φ(w, w) v v w + + w 2 = ( v + w ) 2, dove il passaggio conrassegnao con segue da 3) DEFINIZIONE 453: Una applicazione d: V V R si dice disanza se verifica le proprieà: 1) d(x, y) x, y V; 2) d(x, y) = x = y; 3) d(x, y) = d(y, x) x, y V; 4) d(x, z) d(x, y) + d(y, z) x, y, z V DEFINIZIONE 454: Definiamo d: V V R d(x, y) = x y Osservazione: L applicazione d appena definia è una disanza Osservazione: In uno spazio euclideo non esisono veori isoropi non nulli Già sappiamo che in ogni spazio euclideo esisono basi oronormali Se B = {v 1,, v n } è oronormale, allora B induce una isomeria [ ] B : (V, φ) (R n,, ) daa da: φ(v, v 1 ) v [v] B = ( φ(v, v n ) ) 117

119 Osservazione: Per rovare una base oronormale in uno spazio euclideo si può procedere applicando a una qualsiasi base dello spazio l algorimo di Lagrange e poi normalizzare Esise però un meodo più rapido: METODO DI ORTONORMALIZZAZIONE DI GRAM-SCHMIDT: B base di (V, φ) euclideo Sia v 1 = v 1 e v 2 = v 2 φ(v 2,v 1 ) v φ(v 1,v 1 ) 1 Allora φ(v 1, v 2 ) = Inolre Span(v 1, v 2 ) = Span(v 1, v 2 ) e v 1, v 2 sono linearmene indipendeni Ora cerco v 3 in modo che Span(v 1, v 2, v 3 ) = Span(v 1, v 2, v 3 ) e {v 1, v 2, v 3 } sia base orogonale di Span(v 1, v 2, v 3 ) Noiamo che un ale v 3 si oiene soraendo a v 3 la sua proiezione orogonale su Span(v 1, v 2 ) = V 2 Poiché v 1 e v 2 sono orogonali, conosciamo già l espressione analiica della proiezione orogonale su V 2 : π V2 : V V 2 x φ(x, v 1 ) φ(v 1, v 1 ) v 1 + φ(x, v 2 ) φ(v 2, v 2 ) v 2 Dunque basa porre: v 3 = v 3 φ(v 3, v 1 ) φ(v 1, v 1 ) v 1 φ(v 3, v 2 ) φ(v 2, v 2 ) v 2 v 3 Span(v 1, v 2, v 3 ) = Span(v 1, v 2, v 3 ) Inolre la marice che coniene per colonna le coordinae di v 1, v 2, v 3 rispeo a {v 1, v 2, v 3 } è: 1 M = ( 1 ), dunque {v 1, v 2, v 3 } è una base orogonale di Span(v 1, v 2, v 3 ) 1 Iero il procedimeno ponendo j: v j = v j φ(v j, v i ) φ(v i, v i ) v i i=1 Alla fine oengo una base orogonale {v 1,, v n }; basa normalizzare ponendo w i = v i v i Abbiamo così oenuo con una procedura algorimica il seguene risulao: TEOREMA DI ORTONORMALIZZAZIONE DI GRAM-SCHMIDT: (V, φ) spazio euclideo, {v 1,, v n } base di V Allora esise una base oronormale {w 1,, w n } di V ale che Span(w 1,, w j ) = Span(v 1,, v j ) j COROLLARIO 452: (V, φ) euclideo, f End(V) riangolabile Allora esise B base di V oronormale e a bandiera per f S = {v 1,, v n } base a bandiera per f Applico Gram-Schmid a S e rovo B = {w 1,, w n } oronormale Poiché j, Span(w 1,, w j ) = Span(v 1,, v j ), B è a bandiera per f j 1 118

120 Osservazione: f End(V), con (V, φ) spazio euclideo Se φ(f(x), f(y)) = φ(x, y) x, y V, allora f è un isomorfismo Se x Ker(f), φ(x, x) = φ(f(x), f(x)) = φ(,) =, dunque x = Poiché f è lineare e inieiva, allora è un isomorfismo Dunque f O(V, φ) φ(f(x), f(y)) = φ(x, y) x, y V (se φ End(V) e V euclideo) ISOMETRIE DI UNO SPAZIO EUCLIDEO: (V, φ) euclideo, f: V V Sono fai equivaleni: 1) f O(V, φ) 2) f End(V) e f(v) = v v V 3) f() = e d(f(x), f(y)) = d(x, y) x, y V 4) f End(V) e {v 1,, v n } base oronormale di V, {f(v 1 ),, f(v n )} è base oronormale di V 5) f End(V) e {v 1,, v n } base oronormale di V {f(v 1 ),, f(v n )} è base oronormale di V 6) f End(V) e f f = id 1) 2): Ovvia perché f(v) 2 = φ(f(v), f(v)) = φ(v, v) = v 2 2) 1): Usando la formula di polarizzazione: 2φ(v, w) = φ(v + w, v + w) φ(v, v) φ(w, w) = v + w 2 v 2 w 2 = = f(v + w) 2 f(v) 2 f(w) 2 = φ(f(v + w), f(v + w)) φ(f(v), f(v) + φ(f(w), f(w)) = φ(f(v) + f(w), f(v) + f(w)) φ(f(v), f(v) φ(f(w), f(w)) = = 2φ(f(v), f(w)) 2) 3): d(f(x), f(y)) = f(x) f(y) = f(x y) = x y = d(x, y) 3) 1): f conserva la norma: f(x) = f(x) = f(x) f() = d(f(x), f()) = d(x, ) = x f conserva il prodoo scalare: Per ipoesi x, y V, f(x) f(y) = x y Elevando al quadrao ho: φ(f(x) f(y), f(x) f(y)) = φ(x y, x y) f(x) 2 + f(y) 2 2φ(f(x), f(y)) = x 2 + y 2 2φ(x, y) = x 2 = y 2 φ(f(x), f(y)) = φ(x, y) x, y V f manda basi oronormali in basi oronormali: Sia {v 1,, v n } una base oronormale di V Poiché f conserva il prodoo scalare, l insieme {f(v 1 ),, f(v n )} è un insieme oronormale (cioè sono a due a due orogonali e hanno ui norma 1) n Allora f(v 1 ),, f(v n ) sono linearmene indipendeni, infai sia i=1 a i f(v 1 ) = n n j, = φ ( i=1 a i f(v 1 ), f(v j )) = i=1 a i φ (f(v i ), f(v j )) = a j φ (f(v j ), f(v j )) = a j dunque j, a j =, quindi {f(v 1 ),, f(v n )} è una base oronormale di V f è lineare: n v V, v = i=1 x i v i, con x i = φ(v, v i ) coefficiene di Fourier Ma abbiamo viso che anche {f(v 1 ),, f(v n )} è una base oronormale di V, quindi: n n n f(v) = i=1 φ(f(v), f(v i ))f(v i ) = i=1 φ(v, v i )f(v i ) = i=1 x i f(v i ), dunque f è lineare f è bigeiva in quano è lineare e manda basi in basi Poiché f è isomorfismo e maniene il prodoo scalare, allora f O(V, φ) 119

121 1) 4): Ovvia perché φ (f(v i ), f(v j )) = φ(v i, v j ) = δ ij e f manda basi in basi 4) 5): Ovvia 5) 1): Per ipoesi B = {v 1,, v n } base oronormale ale che {f(v 1 ),, f(v n )} è base oronormale n n Siano v = i=1 x i v i e w = i=1 y i v i Allora: n n n n φ(f(v), f(w)) = φ(f( i=1 x i v i ), f( i=1 y i v i )) = φ( =1 x i f(v i ), i=1 y i f(v i )) = = i,j x i y j φ (f(v i ), f(v j )) = i,j x i y j δ ij = φ(v, w) 1) 6): f O(V, φ) φ(f(x), f(y)) = φ(x, y) x, y V, ma φ(f(x), f(y)) = φ (x, f (f(y))), quindi f O(V, φ) φ (x, f (f(y))) = = φ(x, y) x, y V f (f(y)) y Rad(φ) = {} y f f = id PROPOSIZIONE 453: B base oronormale di (V, φ), f End(V) Sia A = M B (f) Allora f O(V, φ) AA = I Poiché M B (φ) = I, φ(f(v), f(w)) = X AAY v, w V, X = [v] B, Y = [w] B φ(v, w) = XY Quindi f O(V, φ) X AAY = XY X, Y K n AA = I DEFINIZIONE 455: M M(n, R) si dice orogonale se MM = M M = I Denoiamo con O(n) = {M M(n, R) M è orogonale} Osservazioni: 1) M O(n) M inveribile e M 1 = M 2) M O(n) le righe (e le colonne) di M formano una base oronormale di R n Infai: ) [ MM] ij = [I] ij = δ ij, dunque se v j = M j, allora φ(v i, v j ) = δ ij ) Se v j = M j e B = {v 1,, v n } M B (φ) = I O(n) 3) O(n) doao del prodoo è un gruppo, deo gruppo orogonale 4) Se A O(n) de(a) = ±1 (poiché de( AA) = de(i) = 1 (de(a)) 2 = 1) In paricolare denoiamo con SO(n) = {A O(n) de(a) = 1} il gruppo orogonale speciale (che è un gruppo con il prodoo) 5) Nel caso n = 2: cos(α) sin(α) O(2) = {( ) α R} {( cos(α) sin(α) ) α R} sin(α) cos(α) sin(α) cos(α) =SO(2),non diagonalizzabili (roazioni) 12 de= 1,diagonalizzabili (riflessioni) Dimosreremo fra poco che in O(2) esisono solo quesi due ipi di marici PROPOSIZIONE 454: A O(n), λ C auovalore per A λ = 1 (Osservazione: a + bi = a 2 + b 2 se λ R auovalore per A, allora λ = ±1) Pensiamo A: C n C n Sia X C n \{} auoveore per A relaivo a λ, cioè AX = λx Poiché A è reale, allora AX = A X = AX = λ X (λx) λx =< λλ XX (AX) AX = X AAX = XX

122 Dunque (λλ 1) XX = Ma λλ = λ 2, perciò: ( λ 2 1) XX = Ora XX = x 1 x + 1 +x n x n = x x n 2 R +, poiché X Allora λ 2 = 1 λ = 1 PROPOSIZIONE 455: (V, φ) euclideo, B = {v 1,, v n } base oronormale di V B = {w 1,, w n } base di V; M = M B,B(id) Allora: B è oronormale M è orogonale i, [w i ] B = M[w i ] B = M i φ(w i, w j ) = [w i ] B[w j ] B = (M i ) M j = ( M ) i M j = [ MM] ij Dunque B è oronormale φ(w i, w j ) = δ ij i, j [ MM] ij = δ ij i, j M O(n) Dunque possiamo migliorare il eorema di riangolabilià per marici: PROPOSIZIONE 456: A M(n, R) riangolabile Allora M O(n) M 1 AM = T riangolare Inerpreando A: R n R n, allora M C (A) = A, dove C è la base canonica di R n Come conseguenza dell algorimo di Gram-Schmid, B base di R n oronormale e a bandiera per A Sia M = M B,C (id); allora M 1 AM = M B (A) = T riangolare Poiché B e C sono basi oronormali, M O(n) Osservazione: Se B è una base oronormale, la resrizione di M B : GL(V) GL(n, R) a O(V, φ) idenifica O(V, φ) con il soogruppo O(n) di GL(n, R) M B : O(V, φ) O(n) f M B (f) Per quano viso, se f è isomeria, allora: de(f) = ±1; gli unici auovalori reali di f sono ±1 Denoiamo con SO(V, φ) = {f O(V, φ) de(f) = 1} il gruppo orogonale speciale Gli elemeni di SO(V, φ) sono dei isomerie diree o roazioni f O(V, φ)\so(v, φ) si dice isomeria inversa Osservazione: Lavoriamo in (R n,, ) Ogni isomeria di R n è composizione di al più n riflessioni Ogni isomeria direa è composizione di un numero pari di riflessioni, poiché se ρ è una riflessione, de(ρ) = 1, quindi de(ρ 1 ρ k ) = 1 k pari Analogamene le isomerie inverse sono composizione di un numero dispari di riflessioni Se f O(R n,, ) e dim(fix(f)) = k, allora f è composizione di n k riflessioni PROPOSIZIONE 457: Ogni marice in O(2) è della forma: R θ = {( cos(θ) sin(θ) sin(θ) cos(θ) ) θ R} ρ cos(θ) sin(θ) θ = {( ) θ R} sin(θ) cos(θ) 121

123 Se A = (v 1 v 2 ), {v 1, v 2 } è base oronormale di R 2 In paricolare, se v 1 = ( x 1 x ), allora v 1, v 1 = x x 2 2 = 1, quindi θ 1 x 1 = cos(θ 1 ), 2 x 2 = sin(θ 1 ) Analogamene v 2 = ( cos(θ 2) sin(θ 2 ) ) Ma: = v 1, v 2 = cos(θ 1 ) cos(θ 2 ) + sin(θ 1 ) sin(θ 2 ) = cos(θ 1 θ 2 ) Dunque θ 2 = θ 1 + π + 2kπ θ 2 2 = θ 1 π + 2kπ 2 Se vale la prima, allora ( cos(θ 2) sin(θ 2 ) ) = ( sin(θ 1) cos(θ 1 ) ) Se vale la seconda, allora ( cos(θ 2) sin(θ 2 ) ) = ( sin(θ 1) ), esi cos(θ 1 ) PROPOSIZIONE 458 (Forma canonica per un isomeria in uno spazio euclideo): Sia A O(n) Allora M O(n) ale che: I MAM = M 1 AM = ( R θk ) con R θi = ( cos(θ i) sin(θ i ) sin(θ i ) cos(θ i ) ), con θ i kπ i FORMULAZIONE ALTERNATIVA: Sia (V, φ) uno spazio euclideo di dimensione n Sia ψ O(V, φ) Allora B base oronormale di V ale che: I M B (ψ) = ( R θk ) (Osservazione: Le due formulazioni sono equivaleni, infai: Prima Seconda: Scelgo B base oronormale per (V, φ) Allora M B (φ) = I I 122 I R θ1 R θ1 ψ O(V, φ) (M B (ψ)) M B (φ)m B (ψ) = M B (φ), cioè (M B (ψ)) M B (ψ) = I Dunque per la prima formulazione M O(n) ale che: I MM B (ψ)m = ( R θk ) Ma M O(n), per cui rappresena un cambio di base da B a un alra base oronormale, cioè M = M B,B (id), dunque MM B (ψ)m = M B (ψ), esi Il viceversa è analogo) I R θ1,

124 Per induzione su n: Passo base): n = 1: Basa osservare che un auovalore reale di A può essere solo ±1 Passo induivo): n 2 Caso a) A ammee l auovalore reale λ = ±1 Sia v un auoveore relaivo a λ Allora: R n = Span(v) Span(v), Av Span(v) (poiché A O(n)) Av v, dunque A v O(v,, v ) Per ipoesi induiva della seconda formulazione B base oronormale di v M B (A v ) = C della forma volua Se scelgo v normalizzao, B = {v} B è una base oronormale di R n e M B (A) = ( ±1 ), dunque a meno di permuare i veori di B C ho la esi Caso b) A non ha auovalori reali Sia λ un auovalore complesso λ = 1 λ = cos(θ) + i sin(θ) Sia v = v R + i v I C n un auoveore per λ (v R,v I R n ) So dalla forma di Jordan reale che v R,v I sono indipendeni Mosro che v R = v I e che v R, v I = Se denoo con, il prodoo scalare sandard su C n, AA = I A O(C n,, ), dunque: v, v = Av, Av = λv, λv = λ 2 v, v Ma λ 2 1 e dunque v, v =, cioè: = v R + i v I, v R + i v I = v R, v R v I, v I + 2i v I, v R uguagliando a pare reale e immaginaria: v R, v R = v I, v I v R = v I e v R, v I = A meno di riscalare v, posso supporre che v R,v I siano oronormali Dalla forma di Jordan reale so che A(Span(v R, v I )) Span(v R, v I ) e A Span(vR,v I ) si rappresena rispeo a {v R, v I } come: cos(θ) sin(θ) ( sin(θ) cos(θ) ) Concludo come prima sfruando l invarianza di Span(v R, v I ) 46 IL TEOREMA SPETTRALE REALE In uo il capiolo lavoreremo in uno spazio euclideo (V, φ) DEFINIZIONE 461: f End(V) si dice orogonalmene diagonalizzabile se una base B di V oronormale per φ e di auoveori per f (dea anche base sperale) Osservazione: Se f è orogonalmene diagonalizzabile, allora f è auoaggiuno Infai se B base sperale M B (f) = D diagonale Ma poiché f è auoaggiuno B base di V φ-oronormale M B (f) è simmerica e D lo è, allora f è auoaggiuno 123

125 LEMMA 461: f End(V) auoaggiuno, W soospazio di V Allora f(w) W f(w ) W Dobbiamo mosrare che x W, f(x) W w W, = φ(x, f(w)) = φ(f(x), w), dunque segue la esi LEMMA 462: A S(n, R) Allora p A () è compleamene faorizzabile in R[] Consideriamo A come marice complessa, A: C n C n ; sia λ auovalore per A Se X C n \{} auoveore per A relaivo a λ, allora AX = λx, dunque AX = λ X Allora: XAX =< X (λ X ) = λ XX (AX) X = (λx) X = λ XX Dunque (λ λ) XX = Ma XX = x 1 x + 1 +x n x n = x x n 2 R +, poiché X Dunque λ = λ λ R TEOREMA SPETTRALE REALE: (V, φ) spazio euclideo f End(V) è orogonalmene diagonalizzabile f è auoaggiuno Dimosrazione 1: ) Già visa ) Per induzione su n = dim(v): Passo base): n = 1: ovvio Passo induivo): Per il lemma λ R auovalore per f Sia v 1 V λ di norma 1 Allora V = Span(v 1 ) Span(v 1 ) Per il primo lemma, f(span(v 1 ) ) Span(v 1 ) ; inolre dim(span(v 1 ) ) = n 1 e f Span(v1 ) è auoaggiuno Dunque per ipoesi induiva, {v 2,, v n } base oronormale di Span(v 1 ) di auoveori per f Span(v1 ) (e quindi per f) Allora {v 1,, v n } è base sperale per f, da cui la esi Dimosrazione 2: ) Già visa ) Sia S base φ-oronormale, A = M S (f) Allora A = A Per il lemma A è riangolabile, in paricolare P O(n) P 1 AP = PAP = T riangolare A simmerica T simmerica (poiché congruene ad A) T è diagonale Sia B base di V M B,S (id) = P P O(n) B oronormale M B (f) = T diagonale B di auoveori COROLLARIO 463: A S(n, R) Allora P O(n) P 1 AP = PAP = D diagonale Osservazione: Sia A S(n, R) In paricolare abbiamo dimosrao che: A è simile a D ramie una marice orogonale, cioè A R D in M(n, R)/ similiramie eldi O(n), che corrisponde a End(V)/ coniugio ramie eldi O(V,φ) ; 124

126 A è congruene a D ramie marice orogonale, ossia A R D in M(n, R)/ congruenza ramie eldi O(n), che corrisponde a PS(V)/ isomeria ramie eldi O(V,φ) Dunque, se P 1 AP = PAP = D diagonale, allora gli elemeni sulla diagonale di D sono sia gli auovalori di A, sia permeono di calcolare σ(a) In paricolare: i + (A) = #auovalori posiivi di A; i (A) = #auovalori negaivi di A; i (A) = #auovalori nulli di A COROLLARIO 464: A S(n, R) è definia posiiva ui gli auovalori di A sono posiivi PROPOSIZIONE 465: (V, φ) euclideo, f End(V), f = f, λ μ auovalori per f Allora V λ V μ (cioè φ(v, w) = v V λ, w V μ ) λφ(v, w) = φ(λv, w) = φ(f(v), w) = φ(v, f(w)) = φ(v, μw) = μφ(v, w) v V λ, w V μ Dunque (λ μ)φ(v, w) = v V λ, w V μ, ma λ μ, da cui la esi TEOREMA DI ORTOGONALIZZAZIONE SIMULTANEA: V R-spazio veoriale φ, ψ PS(V), φ definio posiivo Allora B base di V oronormale per φ e orogonale per ψ Sia S base oronormale per φ Sia A = M S (ψ) A è simmerica Sia g End(V) M S (g) = A g è auoaggiuno Per il eorema sperale B base oronormale per φ e di auoveori per g, ossia M B (g) = D diagonale Sia M = M B,S (id); poiché B e S sono oronormali, allora M O(n) Inolre M 1 AM = D, perciò M 1 AM = MAM = D Ma M B (ψ) = MAM = D, per cui la base B è orogonale per ψ A A = A PROPOSIZIONE 466: A M(n, R) A è simmerica { A A è riangolabile ) Ovvia ) Come conseguenza di Gram-Schmid P O(n) P 1 AP = PAP = T riangolare superiore T T = PAP P AP = PA AP = P AAP = P AP PAP = TT Ma una marice T riangolare superiore ale che TT = T T è diagonale, infai: [T T] 11 = T 1 T 1 = [T] [T] 1n [ TT] 11 = [T] 2 11, dunque [T] 1j = 2 j n Ierando, oengo che T è diagonale Allora A è simmerica perché congruene a T ramie P O(n) COROLLARIO 467: A O(n) Se A ha ui gli auovalori reali, allora è simmerica (e dunque diagonalizzabile) 125

127 PROPOSIZIONE 468: A S(n, R) A è definia posiiva! S S(n, R) definia posiiva ale che A = S 2 (si dice che S è la radice quadraa di A) ) X R n \{}, XAX = XS 2 X = X SSX = (SX) SX >, poiché S GL(n, R), esi ) Esisenza: Per ipoesi gli auovalori di A sono reali posiivi, quindi M O(n) ale che λ 1 ) = D 2 D = ( λ n 1 M 1 AM = (λ ) λ n Allora A = MD 2 M 1 = (MD M)(MD M) Basa prendere S = MD M (che è simmerica e definia posiiva perché congruene a D simmerica e definia posiiva) Unicià: Sia S una qualsiasi marice simmerica definia posiiva ale che A = S 2 Allora SA = S S 2 = S 2 S = AS Se R n = V λ1 (A) V λk (A), SA = AS S (V λj (A)) V λj (A) j Vediamo ora che S Vλj (A) è compleamene deerminao (e quindi S è unica) Sia μ auovalore per S Vλj (A) e v un auoveore relaivo a μ, cioè Sv = μv λ j v = Av = S 2 v = μ 2 v μ 2 = λ j μ = λ j S Vλj (A) = λ j id Vλj (A) Dunque S è deerminao univocamene, cioè ho la esi Osservazione: Con la sessa dimosrazione si prova che A è semidefinio posiivo! S S(n, R) semidefinia posiiva ale che A = S 2 PROPOSIZIONE 469: A GL(n, R) Allora! S S(n, R) definia posiiva e P O(n) A = SP (quesa decomposizione prende il nome di decomposizione polare) Esisenza: A A è evidenemene simmerica e definia posiiva, in quano XA AX = ( AX) AX >, poiché A GL(n, R) A GL(n, R) (oppure AA è definia posiiva perché rappresena l idenià in una base differene, cioè è una marice congruene all idenià, che è definia posiiva AA definia posiiva A A è definia posiiva) Dunque per la proposizione precedene S simmerica definia posiiva A A = S 2 Quindi S 1 A AS 1 = I S 1 A (S 1 A) = I, cioè P = S 1 A O(n) Inolre A = S(S 1 A) = SP, da cui la esi Unicià: Se A = SP, allora A A = SP PS = S 2, ma allora S è unica per la proposizione precedene Poiché P = S 1 A, anche P è unica PROPOSIZIONE 461: Siano f, g endomorfismi auoaggiuni di uno spazio euclideo (V, φ) f g = g f Allora base oronormale di V faa da auoveori sia per f che per g f, g diagonalizzabili per il eorema sperale Inolre λ auovalore per f, V λ (f) è g-invariane g Vλ (f) è auoaggiuno nello spazio euclideo (V λ (f), φ Vλ (f)), dunque g Vλ (f) ammee una base B λ di auoveori orogonale rispeo a φ Vλ (f) Al variare di λ i Sp(f), pongo B = i B λi Ogni elemeno di B è di auoveori per f e per g; ma f è auoaggiuno, per cui V = V λ1 (f) V λk (f), quindi B è oronormale; da queso segue la esi 126

128 5 SPAZI AFFINI 51 ISOMETRIE AFFINI Riprendiamo la noazione S(X) = {f: X X biunivoche}, X DEFINIZIONE 511: Ogni soogruppo di S(X) si chiama gruppo di rasformazioni di X Esempi: 1) Se V è uno spazio veoriale, con l algebra lineare abbiamo sudiao GL(V) come gruppo di rasformazioni di V 2) Allo sesso modo abbiamo sudiao O(V, φ) se φ PS(V) Osservazione: Non ue le rasformazioni sono lineari, infai: DEFINIZIONE 512: V spazio veoriale La rasformazione τ v : V V τ v (w) = w + v è dea raslazione del veore v fissao, v V Osservazione: τ v è lineare v = Noazione: Indicheremo con T(V) = {raslazioni di V} PROPOSIZIONE 511: (T(V), ) è un gruppo abeliano di rasformazioni di V e (T(V), ) (V, +) τ = id, vale evidenemene la proprieà associaiva e (τ v ) 1 = τ v Inolre τ v τ w = τ v+w = τ w+v = τ w τ v Quindi (T(V), ) è un gruppo abeliano Poiché F: (V, +) (T(V), ) F(v) = τ v è sicuramene un isomorfismo, segue anche l alra esi DEFINIZIONE 513: Sia G un gruppo Si chiama azione di G su un insieme X ogni omomorfismo ψ: G S(X) L azione di un gruppo si dice ransiiva se x, y X, g G ψ(g)(x) = y Osservazione: T(V) agisce su V in modo ransiivo, infai v, w V τ T(V) τ(v) = w (in paricolare τ = τ w v e ψ(w v) = τ w v ) DEFINIZIONE 514: Sia (V, φ) uno spazio euclideo e sia d la disanza indoa da φ su V Allora definiamo Isom(V, d) = {f: V V d(p, Q) = d(f(p), f(q)) P, Q V} come l insieme delle isomerie affini di V (spesso in seguio le chiameremo semplicemene isomerie) Osservazione: Sicuramene O(V, φ) Isom(V, d) e T(V) Isom(V, d), quindi v V, f O(V, φ), τ v f Isom(V, d) 127

129 LEMMA 512: v V, f O(V, φ) (in realà baserebbe f GL(V)), f τ v = τ f(v) f (dunque in generale non commuano) (f τ v )(x) = f(x + v) = f(x) + f(v) = (τ f(v) f)(x) PROPOSIZIONE 513: {τ v f v V, f O(V, φ)} è un gruppo rispeo al prodoo di composizioni Mosriamo che è chiuso rispeo al prodoo di composizioni: (τ v f) (τ w g) = τ v (f τ w ) g = τ v τ f(w) f g T(V) O(V,φ) Inolre id = τ id, dunque rimane da far vedere che (τ v f) 1 {τ v f v V, f O(V, φ)} f g = id τ v f τ w g = τ v τ f(w) f g = id { f(w) = v Quindi (τ v f) 1 = τ f 1 (v) f 1, da cui la esi 128 {g = f 1 w = f 1 (v) Osservazione: Con la sessa dimosrazione si prova che {τ v f v V, f GL(V)} è un gruppo di rasformazioni di V TEOREMA 514: {τ v f v V, f O(V, φ)} = Isom(V, d) ) Già visa ) Sia f Isom(V, d) Abbiamo già provao che, se f() =, allora f O(V, φ) Se invece f() = v, allora τ v f Isom(V, d) e (τ v f)() =, dunque τ v f = g O(V, φ), da cui f = τ v g con g O(V, φ) Osservazione: Ora andremo a sudiare le isomerie di (R n,, ) Noiamo che Isom(R n ) = {X AX + B A O(n), B R n } Inolre se f Isom(R n ), allora Fix(f) = {X R n AX + B = X} = {X R n (A I)X = B}, quindi Fix(f) o è vuoo, oppure è un soospazio affine di R n con giaciura {X R n (A I)X = } = V 1 (A) = Fix(A) DEFINIZIONE 515: f Isom(R n ) è dea simmeria se f 2 = id PROPOSIZIONE 515: Sia f una simmeria di R n, f(x) = AX + B, con A O(n) Allora: 1) A 2 = I e f(b) = AB + B = ; 2) B 2 Fix(f) (quindi Fix(f) = B 2 + Fix(A)); 3) B è orogonale a Fix(A) 1) X R n, f 2 (X) = X A(AX + B) + B = A 2 X + AB + B = X A 2 = I e AB + B = 2) f ( B ) = A B + B = B + B = B (il passaggio = segue da 1)) ) Fix(A) = V 1 (A) e Fix(A) = V 1 (A), in quano A 2 = I e dunque ha come auovalori solo 1 e 1; inolre se x V 1 (A), y V 1 (A), si ha x, y = xy = ( Ax) Ay = x AAy = xy,

130 cioè x, y = Poiché per 1) AB = B B V 1 (A), ho la esi DEFINIZIONE 516: f Isom(R n ) è dea riflessione se f 2 = id e Fix(f) è un iperpiano affine (cioè ha come giaciura un soospazio di dimensione n 1) Osservazione: Se f(x) = AX + B è una riflessione, allora dim(fix(a)) = n 1, per cui A O(n) è una riflessione lineare rispeo alla giaciura di Fix(f) In paricolare de(a) = 1 DEFINIZIONE 517: f Isom(R n ) è dea roazione se Fix(f) ha come giaciura un soospazio di dimensione n 2 LEMMA 517: La composizione di due riflessioni ρ 1, ρ 2 di R n rispeo a iperpiani incideni H 1 e H 2 (non coincideni) è una roazione r ale che Fix(r) = H 1 H 2 Dobbiamo mosrare che dim(fix(r)) = n 2 Noiamo che, se W i è la giaciura di H i per i = 1,2, allora dim(w 1 W 2 ) = dim(w 1 ) + dim(w 2 ) dim(w 1 + W 2 ) = n 1 + n 1 n = n 2 e W 1 W 2 è la giaciura di H 1 H 2 Sicuramene H 1 H 2 Fix(r), poiché se ρ i (X) = A i X + B i per i = 1,2, allora: X H 1 H 2 A i X + B i = X per i = 1,2 r(x) = (ρ 1 ρ 2 )(X) = A 1 (A 2 X + B 2 ) + B 1 = = A 1 X + B 1 = X Dunque la dimensione della giaciura di r può essere n 2 o n 1 (se fosse n r = id, cioè i due piani sarebbero coincideni) Se la dimensione è n 1, allora r è una riflessione, assurdo, perché de(a 1 A 2 ) = de(a 1 ) de(a 2 ) = 1 Dunque Fix(r) = H 1 H 2 Osservazione: Noiamo anche che la roazione r è di un angolo doppio rispeo a quello formao dai due iperpiani H 1 e H 2 ; queso è semplicemene dimosrabile in R 2 e R 3, ma non lo dimosriamo in dimensione maggiore per eviare di definire un angolo in R n 129

131 PROPOSIZIONE 518: La composizione di due riflessioni di R n può essere una raslazione o una roazione Siano ρ 1 (X) = A 1 X + B 1 e ρ 2 (X) = A 2 X + B 2 le due riflessioni Siano H 1 = Fix(ρ 1 ) e H 2 = Fix(ρ 2 ) i due iperpiani di puni fissi Caso 1): H 1 e H 2 sono paralleli (e quindi hanno la sessa giaciura) Allora Fix(A 1 ) = Fix(A 2 ), cioè A 1 e A 2 sono riflessioni lineari rispeo allo sesso iperpiano lineare A 1 = A 2 = A Allora: (ρ 2 ρ 1 )(X) = A(AX + B 1 ) + B 2 = A 2 X + AB 1 + B 2 = X + (AB 1 + B 2 ) = = X + (B 2 B 1 ) ρ 2 ρ 1 è la raslazione τ B1 B 2 (Osservazione: B 2 B 1 è orogonale ai due iperpiani e B 2 B 1 = 2d(H 1, H 2 ) Perano qualsiasi coppia di iperpiani paralleli a H 1, H 2 e aveni la sessa disanza produce ρ 2 ρ 1 ) Caso 2): H 1 e H 2 non sono paralleli Allora H 1 e H 2 sono incideni non coincideni (alrimeni la composizione sarebbe l idenià), dunque la esi segue per il lemma FORMA CANONICA PER UNA SIMMETRIA: Sia f Isom(R n ) una simmeria, k = dim(fix(f)) Allora esise una base oronormale {v 1,, v n } di R n rispeo alla quale f si scrive: f(x) = ( I k I n k ) X + αv n TEOREMA 519: Ogni f Isom(R n ) è composizione di al più n + 1 riflessioni Se f() = f O(R n ) f è composizione di al più n riflessioni lineari Se f() = B, consideriamo H = {X R n d(x, ) = d(x, B)} H è un iperpiano, poiché X H X 2 = X B 2 X, X = X B, X B 2 B, X = B, B, che è un unica equazione Inolre B 2 H In paricolare la giaciura di H è Span(B) Sia ρ H la riflessione rispeo a H Allora: ρ H f Isom(R n ) e (ρ H f)() = ρ H (B) =, quindi ρ H f O(R n ) è composizione di al più n riflessioni f è composizione di al più n + 1 riflessioni DEFINIZIONE 518: Un isomeria si dice direa se è composizione di un numero pari di riflessioni, inversa alrimeni Osservazione: f(x) = AX + B è direa (inversa) de(a) = 1 (de(a) = 1) DEFINIZIONE 519: Sia f Isom(R n ) Diciamo che f è: una glissoriflessione (o riflessione raslaa, o glide) se è composizione di una riflessione ρ e di una raslazione parallela a Fix(ρ); 13

132 una riflessione roaoria se è composizione di una riflessione ρ e di una roazione aorno a una iperrea (soospazio di dimensione n 2) che coniene una rea orogonale a Fix(ρ); un avviameno (o wis) se è composizione di una roazione r e di una raslazione (non banale) parallela a Fix(r) Osservazione: Da quello che abbiamo viso, segue che: se τ T(V), allora de(τ) = 1 e Fix(τ) = ; se ρ è una riflessione, de(ρ) = 1 e dim(fix(ρ)) = n 1; se r è una roazione, de(r) = 1 e dim(fix(r)) = n 2; se g è una glissoriflessione, de(g) = 1 e Fix(g) = ; se R è una riflessione roaoria, de(r) = 1 e dim(fix(r)) = n 3 (poiché se x Fix(R), è chiaro che x Fix(ρ) Fix(r), dove R = ρ r, e dim(fix(ρ) Fix(r)) = dim(fix(ρ)) + dim(fix(r)) dim(fix(ρ) + Fix(r)) = n 1 + n 2 n = n 3) se è un avviameno, allora de() = 1 e Fix() = PROPOSIZIONE 511: Sia f Isom(R n ) Se f ha almeno un puno fisso, allora f è composizione di al più n riflessioni Sia f() = B Se B =, segue subio la esi Sia allora B Sia Q f(q) = Q; H = {X R n d(x, ) = d(x, B)} Come provao prima, ρ H f è lineare Inolre Q H, infai: d(q, ) = d(f(q), f()) = d(q, B) Allora ρ H (Q) = Q e quindi (ρ H f)(q) = Q ρ H f è lineare e dim Fix(ρ H f) 1, quindi ρ H f è composizione di al più n 1 riflessioni, quindi f è composizione di al più n riflessioni, da cui la esi Osservazione: Se Fix(f) =, possono effeivamene essere necessarie n + 1 riflessioni: f: R 2 R 2 f((x, y)) = (x + 2, y); allora f: ( x y ) (1 1 ) (x y ) + (2 ) Fix(f) = ; non basano 2 riflessioni perché f non è né una raslazione, né una riflessione, né una roazione D alra pare, se f = τ v, Fix(f) = ma basano 2 riflessioni TEOREMA DI CLASSIFICAZIONE DELLE ISOMETRIE PIANE: Ogni f Isom(R 2 ) è: 1) una raslazione; 2) una roazione; 3) una riflessione; 4) una glissoriflessione f è composizione di al più 3 riflessioni Se f è composizione di riflessioni, f = id Se f è composizione di 1 riflessione, allora f è una riflessione Se f è composizione di 2 riflessioni, abbiamo viso che f è una raslazione o una roazione 131

133 Se f è composizione di 3 riflessioni, diciamo f = ρ 1 ρ 2 ρ 3, allora: Caso 1): ρ 1 ρ 2 = τ v raslazione Scrivo v = v 1 + v 2, con v 1 //v 3 e v 2 r 3 Allora: f = τ v ρ 3 = τ v1 τ v2 ρ 3 Ma τ v2 ρ 3 è una riflessione con asse r 3 //r 3, dunque f è una glissoriflessione (Osservazione: Se v 1 = (cioè v r 3 ), f è una riflessione Quindi: f = τ v ρ 3 è una riflessione gli assi di riflessione sono 3 ree parallele) Caso 2): ρ 1 ρ 2 è una roazione aorno ad un puno P con angolo α a) P r 3 Allora scrivo la roazione R = ρ 1 ρ 2 come composizione di due riflessioni ρ 1 e ρ 2 rispeo a ree incideni di angolo α 2 e r 2 //r 3 f = R ρ 3 = ρ 1 ρ 2 ρ 3 raslazione f è glissoriflessione b) P r 3 (gli assi di ρ 1, ρ 2, ρ 3 si dicono concorreni in P) Scrivo R = ρ 1 ρ 2 come ρ 1 ρ 3, dove ρ 1 è una riflessione rispeo ad una opporuna rea passane per P f = ρ 1 ρ 3 ρ 3 = ρ 1 f è riflessione (Osservazione: ρ 1 ρ 2 ρ 3 è riflessione i 3 assi sono concorreni o paralleli) Osservazione: La composizione di 3 riflessioni di R 3 rispeo a 3 piani incideni in un puno P e a due a due orogonali è una simmeria con Fix(f) = {P} Ques ulima è dea simmeria cenrale di cenro P In generale la composizione fra due isomerie elemenari (riflessioni, raslazioni e roazioni) non è commuaiva, ranne che nei casi speciali della glissoriflessione, della riflessione roaoria e dell avviameno Ne ralasciamo la dimosrazione TEOREMA DI CLASSIFICAZIONE DELLE ISOMETRIE DI R 3 : Ogni f Isom(R 3 ) è una: raslazione; riflessione; roazione; glissoriflessione; avviameno; riflessione roaoria f(x) = AX + B, con A O(n), per cui B base oronormale di R 3, B = {v 1, v 2, v 3 } M B (A) = a) I; 1 b) ( 1 ); 1 c) ( ro(θ) ), θ (,2π); 1 d) ( ro(θ) ), θ (,2π) 1 Sudiamo i vari casi: a) f è una raslazione, f = τ 132

134 b) f(x) = AX è una riflessione (poiché f Span(v1,v 2 ) = id), quindi il ipo di f(x) = AX + B dipende dalla posizione della raslazione B Sia H = Span(v 1, v 2 ) e v R 3, v H, v H le proiezioni di v su H e H = Span(v 3 ) rispeo a R 3 = H H f(x) = (AX + B H ) + B H Sudiamo Fix(X AX + B H ): AX + B H = X (A I)X = B H Ora (A I) H e (A I) H = 2I, dunque: (A I)X = (A I)(X H + X H ) = 2X H AX + B H = X 2X H = B H X H = B H X = B H 2 + h, h H X B H 2 + H Perciò Fix(X AX + B H ) è un piano affine e X AX + B H è una riflessione ρ f = τ BH ρ, B H H che è la giaciura di Fix(S) Dunque f è una riflessione se B H =, una glissoriflessione se B H c) Usando la sessa noazione del puno precedene, vogliamo mosrare che X AX + B H è una roazione AX + B H = X (A I)X = B H (A I) H : H H è inveribile, (A I) H ; per cui:! X H (A I)X = B H ; inolre Ker(A I) = H, quindi X risolve (A I)X = B H X X + H Quindi Fix(X AX + B H ) è una rea affine, per cui X AX + B H è una roazione Dunque se B H =, f è una roazione, alrimeni f è un avviameno d) ( ro(θ) 1 ) =A = ( ro(θ) 1 1 ) + ( 1 ) I 1 =A H =A H Dunque: f(x) = AX + B = (A H + A H I)X + B H + B H = = (A H X + B H X H ) + (A H X + B H X H ) Sappiamo già per il puno c) che (A H X + B H X H ): H H è una roazione e per il puno b) che (A H X + B H X H ): H H è una riflessione (con piano di riflessione all asse di roazione) Dunque B, f è una riflessione roaoria 2 133

135 52 SPAZI E SOTTOSPAZI AFFINI DEFINIZIONE 521: Definiamo A(V) = {τ v f v V, f GL(V)} Osservazione: Abbiamo viso che A(V) è un gruppo di rasformazioni di V (che in paricolare coincide con il soogruppo di S(V) generao da T(V) e GL(V)) DEFINIZIONE 522: G gruppo di rasformazioni di un insieme X x X, definiamo sabilizzaore di x l insieme S x (G) = {g G g(x) = x} PROPOSIZIONE 521: 1) S v (GL(V)) = GL(V) v = 2) S v (A(V)) GL(V) v V 1) Ovviamene S (GL(V)) = GL(V) D alra pare se v, f GL(V) f(v) v 2) Vediamo inano che v, w V, S v (A(V)) e S w (A(V)) sono isomorfi Infai se u = v w (così che τ u (w) = v): S v (A(V)) S w (A(V)) f τ u f τ u è un isomorfismo Inolre τ v f S (A(V)) (τ v f)() = v = Cioè S (A(V)) = GL(V), esi Osservazione: Queso fa capire che in V c è un puno privilegiao, cioè l origine O, menre rispeo ad A(V) ui i puni di V sono equivaleni Dunque nella seguene raazione disingueremo gli elemeni di V pensai come puni e i veori di V pensai come raslazioni (poiché sappiamo che (T(V), ) (V, +)) DEFINIZIONE 523: V spazio veoriale Un insieme A (anche ) si dice spazio affine su V se F: A A V che associa ad ogni coppia di puni P, Q A un veore di V, denoao PQ, in modo che: 1) P A, v V,! Q A PQ = v; 2) P, Q, R A, PQ + QR = PR (relazione di Chasles) DEFINIZIONE 524: Definiamo dimensione di uno spazio affine A, dim(a) = dim (V) se A, alrimeni dim( ) = 1 Osservazione: Dalla relazione di Chasles discende: P A, PP = (basa prendere P = Q = R); P, Q A, QP = PQ (basa prendere P = R) Esempi: Alcuni esempi di spazi affini possono essere: 1) A = V, F: V V V (P, Q) PQ Q P (deo spazio affine sandard su V) 2) f: U W lineare, b W 134

136 Sia A = f 1 (b), V = f 1 () = Ker(f) Allora A è spazio affine su V ramie F: A A V (a 1, a 2 ) a 1 2 a 2 a 1 DEFINIZIONE 525: Definiamo raslazione del veore v, τ v : A A P Q, con PQ = v Noazione: Se P A e v V, denoeremo con P + v l unico puno Q di A ale che PQ = v Osservazione: Con quesa noazione si ha: P(P + v) = v; P + PQ = Q; τ v (P) = P + v Si ha così l applicazione A V A (P, v) P + v LEMMA 522: P A, v 1, v 2 V, (P + v 1 ) + v 2 = P + (v 1 + v 2 ) (Osservazione: Quesa relazione non è affao ovvia, in quano la scriura P + v è solamene una noazione e non ha niene a che fare con la somma radizionale) Sia P 1 = P + v 1, ossia PP 1 = v 1 Sia P 2 = P 1 + v 2, ossia P 1 2 = v 2 P + (v 1 + v 2 ) = P + (PP 1 + P 1 2 ) = P + PP 2 = P 2, da cui la esi DEFINIZIONE 526: Fissao P A, definiamo l applicazione F P : A V Q PQ (a vole quesa applicazione prende il nome di sollevameno di A su V) Osservazione: Dagli assiomi segue che F P è bigeiva e F P (P) = PP =, dunque F P rasforma P nell origine di V In alre parole, con F P idenifico A con V, ossia sollevo su A una sruura di spazio veoriale Queso si può fare P A Osservazione: v V, F P 1 (v) = P + v Osservazione: Cerchiamo di sollevare la nozione di combinazione lineare di veori nello spazio affine: siano P 1,, P k A Fissiamo P A F P rasforma P i in PP i i Inolre 1,, k K, 1 PP k PP k V e F 1 P ( 1 PP k PP k ) = P + 1 PP k PP k A Affinché sia una buona definizione, il risulao non deve dipendere da P k Cioè se A Q P, allora deve valere P + i PP k i=1 i = Q + i QP i=1 i k P + i PP i i=1 k = P + i (PQ + QP i ) = P + ( i ) PQ + i QP i, i=1 k che coincide con Q + i QP k i=1 i P + ( i=1 i )PQ k = Q i=1 i = 1 k i=1 k i=1 135

137 DEFINIZIONE 527: Dai P 1,, P k A e 1,, k K i=1 i = 1, definiamo combinazione affine dei puni P i con coefficieni e 1,, k il puno P + 1 PP k PP k, dove P è un qualunque puno di A k Osservazione: Noiamo che P, P 1,, P k A e 1,, k K P + 1 PP k PP k = 1 P k P k Infai F P (P + 1 PP k PP k ) = 1 PP k PP k e F P ( 1 P k P k ) = P( 1 P k P k ) = 1 PP k PP k, e poiché F P è bigeiva, ho la esi k i=1 i = 1, vale: Esempi: 1) Se P, Q A, 1 P + 1 Q è deo puno medio fra P e Q (char(k) 2) 2 2 2) Se P 1,, P k A, 1 P k P k k è deo baricenro dei P i (char(k) k) DEFINIZIONE 528: Definiamo insieme delle combinazioni affini dei puni P 1,, P k A Comb a (P 1,, P k ) = {combinazioni affini di P 1,, P k } Esempio: A = K n, P 1, P 2 A puni disini Comb a (P 1, P 2 ) = { 1 P P = 1} = {P 1 + (1 )P 1 P 1 + P 1, P 2 K} = = {P 1 + (P 2 P 1 ) K}, cioè è la rea passane per P 1 e P 2 Analogamene se vede che Comb a (P 1, P 2, P 3 ) è il piano conenene P 1, P 2, P 3 (se i re puni non sono allineai) Similmene al caso lineare, definisco: DEFINIZIONE 529: H A (anche H = ) è deo soospazio affine di A se è chiuso per combinazioni affini Osservazione: Come nel caso lineare, l inersezione di una famiglia arbiraria di soospazi affini è un soospazio affine Noazione: Se P A e W è soospazio di V, indicheremo con P + W = {P + w w W} Osservazione: P + W = {τ w (P ) w W} e F P 1 (W) = P + W PROPOSIZIONE 523: P A, W soospazio di V, P + W è soospazio affine di A Verifico che P + W è chiuso per combinazioni affini Siano P + w 1,, P + w k P + W; k = 1 1 (P + w 1 ) + + k (P + w k ) = P + 1 P (P + w 1 ) + + k P (P + w k ) = = P + 1 w k w k P + W, da cui la esi 136

138 PROPOSIZIONE 524: Sia H un soospazio affine di A Allora esise un unico soospazio W H di V (deo la giaciura di H), ale che P H, H = P + W H Sia P H Cerco W soospazio di V H = P + W Poiché P + W = F 1 P (W ), deve essere W = F P (H) = {w V P + w H} Verifico che l insieme W è soospazio di V Siano w 1, w 2 W, α 1, α 2 K Allora P + w 1 H, P + w 2 H Devo mosrare che α 1 w 1 + α 2 w 2 W, cioè che P + α 1 w 1 + α 2 w 2 H P + α 1 w 1 + α 2 w 2 = P + α 1 P (P + w 1 ) + α2 P (P + w 2 ) = = P + (1 α 1 α 2 )P + α 1 P (P + w 1 ) + α2 P (P + w 2 ), che appariene a H perché combinazione affine dei puni P, P + w 1, P + w 2 che sanno in H Resa da conrollare che W non dipende dalla scela di P, ossia che P 1, P 2 H, F P1 (H) = F P2 (H) F P1 (H) = {P 1 Q Q H} Sia P 1 Q F P1 (H) Allora P 1 Q = P P 2 Q = P 2 P 1 + P 2 Q F P2 (H), F P 2 (H) F P 2 (H) cioè F P1 (H) F P2 (H) Analogamene si prova l inclusione opposa esi DEFINIZIONE 521: Se H è soospazio affine di A, si pone dim(h) = dim(w H ) H è deo rea (affine) se dim(h) = 1; H è deo piano (affine) se dim(h) = 2; H è deo iperpiano (affine) se dim(h) = dim(a) 1 Osservazione: H, L soospazi affini di A, H L Allora P H L, H = P + W H, L = P + W L H L = (P + W H ) (P + W L ) = P + (W H W L ) W H L = W H W L Dunque dim(h L) = dim(w H W L ) DEFINIZIONE 5211: Due soospazi affini H, L si dicono: incideni se H L ; paralleli se W H W L W L W H ; sghembi se H L = W H W L = {} Osservazione: Il parallelismo non è una relazione di equivalenza: 137

139 infai dalla figura si vede che W r W P e W s W P, ma W s W r W r W s PROPOSIZIONE 525: P,, P k A Allora: Comb a (P,, P k ) = P + Span(P P 1,, P k ) Quindi Comb a (P,, P k ) è un soospazio affine di A, deo il soospazio affine generao da P, P k È il più piccolo soospazio affine di A conenene P,, P k Per definizione di combinazione affine vale Mosriamo ora l inclusione opposa: 1,, k K, P + 1 P k P k k = P + (1 i=1 i )P + 1 P k P k, che appariene a Comb a (P,, P k ) esi Osservazione: Dunque dim(comb a (P,, P k )) = dim (Span(P P 1,, P k )) Noazione: In generale X A, X, denoiamo con Comb a (X) l insieme delle combinazioni affini dei puni di X PROPOSIZIONE 526: X A R X, Comb a (X) = R + Span({RQ Q X}) Inolre se H A è un soospazio affine di A che coniene X, allora Comb a (X) H È analoga a quella della proposizione precedene DEFINIZIONE 5212: Se H, L sono soospazi affini di A, poniamo H + L = Comb a (H L) Osservazione: H L W H W L P H, H = P + W H, L = P + W L w W H, P + w H L w W L PROPOSIZIONE 527: H, L soospazi affini di A Allora P H, Q L: W H+L = W H + W L + Span(PQ ) ) H H + L, L H + L W H + W L W H+L Poiché Comb a (P, Q) H + L Span(PQ ) W H+L ) Considero il soospazio affine S = P + (W H + W L + Span(PQ )) Allora S P + W H = H; inolre S L, infai: Q = P + PQ S S = Q + (W H + W L + Span(PQ )) S Q + W L = L Per minimalià, S H + L W S = W H + W L + Span(PQ ) W H+L LEMMA 528: H, L soospazi affini di A Allora H L = P H, Q L, PQ W H + W L ) Per assurdo supponiamo che P H, Q L PQ = w 1 + w 2, con w 1 W H, w 2 W L 138

140 P + w 1 = P + (PQ w 2 ) = (P + PQ ) w 2 = Q w 2, assurdo H L ) Per assurdo supponiamo R H L Siano P H, Q L, per cui H = P + W H, L = Q + W L Allora PQ = PR + RQ W H + W L, assurdo W H W L FORMULA DI GRASSMANN AFFINE: Siano H, L soospazi di A 1) Se H L dim(h + L) = dim(h) + dim(l) dim(h L) 2) Se H L = dim(h + L) = dim(h) + dim(l) dim(w H W L ) + 1 dim(h + L) = dim(w H+L ) e W H+L = W H + W L + Span(PQ ), con P H e Q L 1) Per il lemma, se H L, PQ W H + W L W H+L = W H + W L La esi segue dalla formula di Grassmann veoriale: dim(w H+L ) = dim(w H + W L ) = dim(w H ) + dim(w L ) dim(w H W L ) = = dim(h) + dim(l) dim(h L) 2) Se H L =, per il lemma PQ W H + W L Quindi dim(w H+L ) = dim (W H + W L + Span(PQ )) = dim(w H + W L ) + 1 e si conclude come prima Osservazione: Se H e L sono sghembi, allora dim(h + L) = dim(h) + dim(l) + 1 (infai ue le combinazioni affini di due ree sghembe in R 3 generano uo lo spazio R 3 ) DEFINIZIONE 5213: P,, P k si dicono affinemene indipendeni se dim(comb a (P,, P k )) = k (ossia se dim (Span(P P 1,, P k )) = k, cioè se P 1,, P k sono linearmene indipendeni DEFINIZIONE 5214: Sia dim(a) = n Si chiama riferimeno affine di A ogni insieme ordinao R = {P,, P n } di n + 1 puni di A affinemene indipendeni Osservazione: Essendo R ordinao, scelgo P come puno base Inolre {P 1,, P n } è una base di V Osservazioni: 1) Se B = {v 1,, v n } è una base di V, P A, {P, P + v 1,, P + v n } è riferimeno affine di A 2) Se A = V e B = {v 1,, v n } è base di V allora {, v 1,, v n } è riferimeno affine Ad esempio in K n, {, e 1,, e n } è deo riferimeno affine sandard PROPOSIZIONE 529: Se R = {P,, P n } è un riferimeno affine di A, ogni puno P A si scrive in modo unico come P = a P + +a n P n, con a + +a n = 1 ((a 1,, a n ) sono quindi dee le coordinae affini di P rispeo a R) Per ipoesi A = Comb a (P,, P n ), dunque gli a i esisono Mosriamo che sono unici: 139

141 se P = a P + +a n P n = a P + +a n P n, con i= a i = i= a i = 1, allora: a P + +a n P n = P + a 1 P 1 + +a n P n ; a P + +a n P n = P + a 1 P 1 + +a n P n, dunque a 1 P 1 + +a n P n = a 1 P 1 + +a n P n, ma i P i sono linearmene indipendeni, perciò a i = a i i a = a, da cui la esi DEFINIZIONE 5215: A spazio affine su V, B spazio affine su W, V, W K-spazi veoriali f: A B si dice rasformazione affine se conserva le combinazioni affini DEFINIZIONE 5216: f: A B rasformazione affine si dice isomorfismo affine se è biunivoca DEFINIZIONE 5217: Un isomorfismo affine f: A A si dice affinià Poniamo Aff(A) = {affinià A A} Esempi: 1) Le raslazioni sono affinià 2) Se R è riferimeno affine e dim(a) = n, A Kn [ ] R :, dove [P] P [P] R sono le coordinae affini di P rispeo a R, R è un isomorfismo affine (quindi A K n ) Osservazione: [ ] R rasforma i puni di R in, e 1,, e n PROPOSIZIONE 521: A = V Se f: V V è un affinià e f() =, allora f è lineare v 1, v 2 V, 1, 2 K: f( 1 v v 2 ) = f((1 1 2 ) + 1 v v 2 ) = (1 1 2 )f() + 1 f(v 1 ) + 2 f(v 2 ) = = 1 f(v 1 ) + 2 f(v 2 ), da cui la esi PROPOSIZIONE 5211: f Aff(V) Allora esisono unici v V, g GL(V) f = τ v g Sia v = f() Allora g = τ v f Aff(V) e g() = g GL(V) Poiché f() è unico, allora v è unico e quindi anche g è univocamene deerminao, esi Osservazione: Dunque Aff(V) = {τ v g v V, g GL(V)} Di conseguenza Aff(V) coincide con il gruppo di rasformazioni che avevamo precedenemene denoao con A(V), generao dalle raslazioni T(V) di V e da GL(V) In paricolare: Aff(K n ) = {X AX + B A GL(n, K), B K n } Osservazione: Prendiamo f: A B biunivoca, con A, B spazi affini su V, W Allora: F P A V f n B F f(p ) W 14 n

142 Sia φ P : V W l unica applicazione che rende commuaivo il diagramma: F P A V f φ P 141 B F f(p ) W Dunque φ P è univocamene deerminaa da φ P = F f(p ) f F P 1 Osservazioni: Sia φ P l applicazione rovaa nel puno precedene Allora: 1 1) A P F P P P φ P φ P (P P) F f(p ) f(p ) + φ P (P P) Dunque f(p) = f(p ) + φ P (P P) e quindi f(p + v) = f(p ) + φ P (v) 2) V v P 1 + v f(p + v) f(p )f(p + v) FP f Ff(P ) Dunque φ P (v) = f(p )f(p + v) PROPOSIZIONE 5212: f è affine φ P è lineare k k k k ) f(p ) + φ P ( i=1 i v i ) = f(p + i=1 i v i ) = f ((1 i=1 i )P + i=1 i (P + v i )) = k k k k = (1 i=1 i )f(p ) + i=1 i f(p + v i ) = (1 i=1 i )f(p ) + i (f(p ) + φ P (v i )) k = f(p ) + i=1 i φ P (v i ), da cui: k k φ P ( i=1 i v i ) = i=1 i φ P (v i ), cioè φ P è lineare (i passaggi con = seguono dalle osservazioni precedeni) ) Siano P,, P k A, k = 1 f( P + + k P k ) = f(p + 1 P k P k k ) = f(p ) + φ P ( i P i=1 i ) = k = f(p ) + i φ P (P k i=1 P i ) = f(p ) + i f(p i=1 )f(p i ) = f(p )+ + k f(p k ), cioè f è affine i=1 = PROPOSIZIONE 5213: Sia f: A B rasformazione affine P, P 1 A, φ P = φ P1 Valgono le relazioni: f(p + v) = f(p ) + φ P (v); f(p 1 + v) = f(p 1 ) + φ P1 (v), v V Quese relazioni possono essere riscrie nella forma: φ P (v) = f(p + v) f(p ); φ P1 (v) = f(p 1 + v) f(p 1 ) Sia P = P + v Allora P 1 + v = P 1 + P P Dunque: φ P1 (v) = f (P 1 + P P ) f(p 1 ) = f(p 1 ) + f(p) f(p ) f(p 1 ) = f(p) f(p ) = da cui la esi combaffine = f(p + v) f(p ) = φ P (v), COROLLARIO 5214: f: A B è affine φ: V W applicazione lineare ale che P A, f(p) = f(p ) + φ(p P) DEFINIZIONE 5218: Quesa φ: V W prende il nome di applicazione lineare associaa a f

143 Osservazione: Sia f: A B applicazione affine con applicazione lineare associaa φ: V W Sia g: B C applicazione affine con applicazione lineare associaa ψ: W Z Sia P A, Q = f(p ) Allora: f(p) = f(p ) + φ(p P) P A, g(q) = g(q ) + ψ(q Q) Q B (g f)(p) = g(f(p)) = g(q ) + ψ (f(p )f(p) ) = g(f(p )) + (ψ φ)(p P) φ(p P) PROPOSIZIONE 5215: Se f: A B è affine e inveribile, allora f 1 : B A è affine Sia φ: V W l applicazione lineare associaa φ è inveribile e quindi isomorfismo Sia P A, Q = f(p ) Sia g: B A definia da g(q) = f 1 (Q ) + φ 1 (Q Q) Allora (g f)(p ) = g(q ) = f 1 (Q ) + φ 1 (Q ) = P Per la formula precedene: (g f)(p) = P + (φ 1 φ)(p P) = P + P P = P P Dunque f 1 (Q) = f 1 (Q ) + φ 1 (Q Q), da cui la esi Osservazione: Perciò Aff(A) è un gruppo PROPOSIZIONE 5216: A spazio affine su V {P,, P n }, {Q,, Q n } riferimeni affini di A Allora esise una sola affinià f di A ale che f(p i ) = Q i i n n n P A, P si scrive in modo unico come P = i= i P i, con i= i = 1 n Necessariamene dobbiamo definire f(p) = i= i Q i Verifico che f è un affinià (che sarà dunque unica per quano appena viso): sia φ GL(V) l unico isomorfismo che rasforma P 1,, P n in Q 1,, Q n n f(p) = i Q i i= n = Q + 1 Q n Q n = f(p ) + i φ(p P i ) n Ma P = i= i P i = P + i=1 i P i ; inolre P = P + P P P P = Dunque f(p) = f(p ) + φ(p P) P A, da cui la esi n i=1 n = f(p ) + φ ( i n i=1 i P i i=1 P i ) 142

144 53 GEOMETRIA AFFINE EUCLIDEA Noazione: Indicheremo con X Y il prodoo scalare sandard fra X e Y in R n DEFINIZIONE 531: v R n si dice orogonale al soospazio affine S se v W S Esempio: Se H è l iperpiano B X + d =, allora B è orogonale a H DEFINIZIONE 532: Due soospazi affini S e S si dicono orogonali (e lo denoeremo S S ) se W S W S ( W S W S ) Esempi: 1) Siano r la rea X = A + C e r la rea X = A + C Allora r r W r W r A (Span(A )) A A = 2) r rea di equazione X = A + C e H iperpiano di equazione B X + d = Allora W H = {X B X = } e W H = Span(B), da cui r H A B PROPOSIZIONE 531: Sia S un soospazio affine di dimensione k Allora: 1) S S dim(s ) n k 2) d n k esise un soospazio affine S di dimensione d ale che S S 3) Tui i soospazi affini S orogonali a S di dimensione massima (dim(s ) = n k) sono paralleli e ciascuno di essi inerseca S in uno e un solo puno 4) P R n! soospazio affine S orogonale a S di dimensione massima passane per P 1) W S W S Poiché dim(w S ) = k, allora dim(w S ) k e dunque dim(w S ) n k 2) Basa prendere S ale che dim(s ) = dim(w S ) = d e W S W S 3) Sia S = R + W S e sia S come nelle ipoesi; S = Q + W S con W S W S Poiché dim(w S ) = dim(w S ) = n k, si ha W S = W S, e dunque ogni S ha giaciura W S Consideriamo S = Q + W S Viso che R n = W S W S, si ha R Q = v + w, con v W S e w W S Dunque R v = Q + w S S, poiché R v R + W S = S e Q + w Q + W S = S Per ragioni di dimensione, il puno è unico 4) Basa prendere S = P + W S Esempio: Sia r una rea in R 3 e P R 3 Esise un unico piano passane per P e orogonale a r; ale piano inerseca r in uno e un solo puno In paricolare, se r ha equazione X = A + C, allora W r = Span(A); viso che W r W H, per ragioni di dimensione W r = W H, cioè W H = Span(A) Dunque H ha equazione A X = A P Osservazione: Siano H e H due iperpiani in R n, di equazione rispeivamene B X + d = e B X + d = ; H e H si dicono orogonali B B B B = DEFINIZIONE 533: Sia P R n e S un soospazio affine di R n Definiamo disanza di P da S d(p, S) = inf X S d(p, X) 143

145 PROPOSIZIONE 532: P S ale che d(p, S) = P P (e quindi l inf è un minimo) Sia dim(s) = k Per la proposizione precedene! S soospazio affine orogonale a S, di dimensione massima e passane per P; sia P ale che S S = {P } Osserviamo che (P P ) S Vogliamo mosrare che d(p, S) = P P, cioè che X S, X P, d(p, X) > P P Abbiamo: d(p, X) 2 = P X 2 = (P P ) + (P X) 2 = = ((P P ) + (P X)) ((P P ) + (P X)) = = d(p, P ) 2 + d(p, X) (P X) (P P ) = d(p, P ) 2 + d(p, X) 2 > da cui la esi > P P 2, COROLLARIO 533: H iperpiano di R n di equazione B X + d =, P R n Allora d(p, H) = B P+d B d(p, H) = P P, dove P = H r con r la rea per P orogonale a H r ha equazione X = B + P Per deerminare P = H r, cerco ale che B (B + P) + d =, cioè = d B P, ossia B 2 P = d B P B + P B 2 Finalmene abbiamo d(p, H) = P P = d+b P B = B = d+b P d+b P B = B 2 B Osservazione: Il leore può rovare in modo analogo la formula per la disanza di un puno da una rea in R 3 DEFINIZIONE 534: S, S soospazi affini di R n Definiamo disanza fra S e S d(s, S ) = inf X S,Y S d(x, Y) DISTANZA FRA DUE PIANI IN R 3 : Se H 1 H 2, d(h 1, H 2 ) = Se H 1 H 2, d(h 1, H 2 ) = d(p, H 2 ) P H 1, che si può calcolare con la formula precedene DISTANZA RETTA-PIANO IN R 3 : Se r H, d(r, H) = Se r H, d(r, H) = d(p, H) P r, che si calcola ancora con la formula precedene DISTANZA FRA DUE RETTE IN R 3 : Se r 1 r 2, d(r 1, r 2 ) = Se r 1 r 2, d(r 1, r 2 ) = d(p, r 2 ) P r 1 Se le ree sono sghembe, diciamo che r 1 e r 2 hanno equazione rispeivamene X = A 1 + C 1 e X = A 2 + C 2 ; proviamo che! l rea orogonale a r 1 e r 2 che le inerseca enrambe Se P 1 e P 2 sono i puni di inresezione, evidenemene si ha che d(r 1, r 2 ) = P 1 P 2 >

146 Il generico puno di r 1 è P() = A 1 + C 1, menre il generico puno di r 2 è Q(θ) = A 2 θ + C 2 La rea l(, θ) congiungene P() e Q(θ) è ovviamene incidene sia a r 1 che a r 2 ; provo che! (, θ) ale che l(, θ) è orogonale a enrambe le ree Poiché l è parallela al veore P() Q(θ) = A 1 + C 1 A 2 θ C 2, basa imporre: { (A 1 + C 1 A 2 θ C 2 ) A 1 = (A 1 + C 1 A 2 θ C 2 ) A 2 = La marice dei coefficieni di queso sisema 2x2 è: M = ( A 1 A 1 A 1 A 2 A 1 A 2 A 2 A 2 ) ; Se A 1 = (α 1 β 1 γ 1 ) e A 2 = (α 2 β 2 γ 2 ), si ha de(m) = (A 1 A 1 )(A 2 A 2 ) + (A 1 A 2 ) 2 = (α 1 β 2 α 2 β 1 ) 2 (α 1 γ 2 α 2 γ 1 ) 2 (β 1 γ 2 β 2 γ 1 ) 2, dunque de(m) = la marice: ( A 1 A 2 ) = ( α 1 β 1 γ 1 α 2 β 2 γ 2 ) ha rango 1, cioè A 1 e A 2 sono linearmene dipendeni Ma le ree sono sghembe, dunque A 1 e A 2 sono linearmene indipendeni e dunque de(m) Da queso segue l unicià (e l esisenza) della soluzione (, θ ) del sisema; i puni P 1 = P( ) e P 2 = Q(θ ) sono quelli cercai 54 AFFINITÁ DI K n Osservazione: Aff(K n ) = {X MX + N M GL(n, K), N K n } Possiamo vedere Aff(K n ) come un soogruppo di GL(n + 1, K), infai: x 1 sia H = {X = ( ) K n+1 x n+1 = 1} H è soospazio affine di K n+1 con giaciura x n+1 W H = {X K n+1 x n+1 = } Sia f: K n H X ( X 1 ) (se X Kn, la noazione ( X 1 ) indica il veore X di K n+1 ale che x i = x i i n e x n+1 = 1) Poiché ( X 1 ) = ( 1 ) X + ( ), allora f = τ e n+1 φ, dove φ: K n W H X ( X ) è un isomorfismo =e n+1 lineare Allora f è un isomorfismo affine e K n aff H Sia G(H) = {g GL(n + 1, K) g(h) = H} e sia g G(H) Allora: M N g(y) = ( P q ) Y per ceri M M(n, K), N, P K n, q K Y K n+1 Se Y = ( X ) H, allora: 1 g ( X 1 M N ) = ( P q ) (X 1 ) = ( PX + q ) 145

147 e dunque PX + q = 1 X K n, cioè P =, q = 1 Si ha perciò: M N G(H) = {M N = ( 1 ) M GL(n, K), N Kn } Osservazione: ( M 1 N 1 1 ) (M 2 N 2 1 ) = (M 1M 2 M 1 N 2 + N 1 ) (G(H), ) è un soogruppo 1 di GL(n + 1, K) M N PROPOSIZIONE 541: L: (Aff(K n ), ) (G(H), ) (X MX + N) ( 1 ) è un isomorfismo di gruppi (e dunque Aff(K n ) è isomorfo a un soogruppo di GL(n + 1, K)) Siano f 1, f 2 Aff(K n ); f 1 (X) = M 1 X + N 1, f 2 (X) = M 2 X + N 2 Vediamo che (f 1 f 2 )(X) = f 1 (M 2 X + N 2 ) = M 1 (M 2 X + N 2 ) + N 1 = M 1 M 2 X + M 1 N 2 + N 1 Poiché prima abbiamo viso che: L(f 1 )L(f 2 ) = ( M 1 N 1 1 ) (M 2 N 2 1 ) = (M 1M 2 M 1 N 2 + N 1 ), 1 allora effeivamene L(f 1 f 2 ) = L(f 1 )L(f 2 ), cioè L è lineare Poiché è evidenemene bigeiva, ho la esi DEFINIZIONE 541: Sia G un gruppo di rasformazioni di K n Due sooinsiemi F 1, F 2 di K n sono dei G-equivaleni se g G g(f 1 ) = F 2 DEFINIZIONE 542: F 1, F 2 K n sono dei affinemene (rispeivamene, mericamene) equivaleni se g Aff(K n ) (rispeivamene, g Isom(K n )) ale che g(f 1 ) = F 2 Noazione: Se F 1 e F 2 sono affinemene equivaleni, lo indicheremo con F 1 aff F 2 Esempi: A = K n 1) Siano F 1 = {P,, P k }, F 2 = {Q,, Q k } (k + 1)-uple di puni di K n affinemene indipendeni Abbiamo viso che g Aff(K n ) g(p i ) = Q i i e dunque F 1 e F 2 sono affinemene equivaleni 2) H 1, H 2 iperpiani affini di K n Allora g Aff(K n ) g(h 1 ) = H 2, infai, se H 1 = Comb a (P,, P n 1 ) e H 2 = Comb a (Q,, Q n 1 ), allora scegliendo P n, Q n in modo che sia i P i che i Q i siano un riferimeno affine, so che g Aff(K n ) g(p i ) = Q i i, e dunque g(h 1 ) = H 2 Dunque {iperpiani affini di K n }/ aff ha una sola classe di equivalenza DEFINIZIONE 543: g K[x 1,, x n ] (dove K[x 1,, x n ] rappresena l anello dei polinomi in x 1,, x n ), definiamo luogo di zeri di g l insieme V(g) = {X K n g(x) = } Osservazione: L applicazione V: K[x 1,, x n ] K n g V(g) non è inieiva, infai: V(αg) = V(g) α K\{}; 146

148 V(g m ) = V(g) m N + ; Se K = C e g 1, g 2 non conengono faori mulipli, allora: V(g 1 ) = V(g 2 ) α C\{} g 1 = αg 2 Se K = R la proprieà precedene non vale, infai c >, V(x 2 + y 2 + c) = DEFINIZIONE 544: g 1, g 2 K[x 1,, x n ] Diciamo che g 1, g 2 sono proporzionali g 1 g 2 α K\{} g 1 = αg 2 Osservazione: La relazione di proporzionalià fra polinomi è di equivalenza in K[x 1,, x n ] (la verifica è immediaa) DEFINIZIONE 545: Definiamo ipersuperficie affine (o semplicemene ipersuperficie) ogni classe di proporzionalià di polinomi di K[x 1,, x n ] di grado posiivo DEFINIZIONE 546: Se I = [g] è ipersuperficie, g(x) = è dea equazione di I e V(g) K n è deo supporo di I (indicao anche come Supp(I)) DEFINIZIONE 547: Se I = [g] è ipersuperficie, definiamo grado di I, deg([g]) = deg(g) Osservazione: È una buona definizione, poiché se g g deg(g 1 ) = deg(g 2 ) Se n = 2, I è dea curva affine; se n = 3, I è dea superficie affine; le ipersuperfici di grado 2 sono dee quadriche (coniche se n = 2) Osservazione: Come viso, l ipersuperficie deermina il suo supporo, non il viceversa È dunque improprio parlare di equivalenza affine solo per i suppori, in quano due ipersuperfici possono avere lo sesso luogo di zeri Inroduciamo quindi il conceo di equivalenza affine anche per le ipersuperfici: DEFINIZIONE 548: I = [g] ipersuperficie ψ(x) = MX + N Aff(K n ) Definiamo ipersuperficie rimonaa di I ramie ψ l ipersuperficie ψ 1 (I) di equazione g(ψ(x)) = Osservazione: K n V(g ψ) ψ V(g) K n g ψ g K La definizione precedene è coerene con il fao che ψ rasforma il supporo di ψ 1 (I) nel supporo di I, infai: x Supp(ψ 1 (I)) g(ψ(x )) = ψ(x ) V(g) = Supp(I) DEFINIZIONE 549: Due ipersuperfici affini I e J si dicono affinemene equivaleni se ψ Aff(K n ) I = ψ 1 (J) In alre parole, I = [f] e J = [g] sono affinemene equivaleni se ψ Aff(K n ) f = g ψ 147

149 Osservazione: K[x 1,, x n ] aff I ψ 1 J K[x 1,, x n ] aff V V K n Supp(I) Supp(J) K n ψ I aff J Supp(I) aff Supp(J) Il viceversa è falso Osservazione: aff classifica dunque i polinomi (e non i suppori) a meno di coordinae affini Osservazione: I = [g] ipersuperficie V(g) è iperpiano Allora deg(g) = 1 Sia g(x) = AX + b, A K n \{}, b K Sia ψ(x) = MX + N affinià di K n Allora (g ψ)(x) = A(MX + N) + b = ( AM)X + AN + b Dunque se J = [f] è un alro iperpiano, f(x) = A X + b I aff J α, M GL(n, K), N K n { A = α AM b = α( AN + b) Poiché il sisema ha sempre soluzione, roviamo che due qualsiasi iperpiani sono affinemene equivaleni anche come ipersuperfici, non solo come suppori 55 QUADRICHE DEFINIZIONE 551: Il supporo di un ipersuperficie si dice cono se vale la seguene proprieà: se coniene un puno P, allora coniene ui i puni P K Osservazione: Prendiamo una quadrica I = [g], dunque deg(g) = 2 L equazione generica della quadrica è: g(x) = XAX + 2 BX + c, con A S(n, K), A, B K n, c K Esempio: g ( x 1 x ) = x x 1 x 2 + 3x 2 + 4x A = ( ); B = ( ); c = 5 2 A Osservazione: Se denoo l equazione con Q = ( B A X QX = ( B X 1) ( ) ( X 1 ) = ( X A + B X B c = XAX + BX + XB + c = XAX + 2 BX + c = g(x) sono numeri 148 B ), allora, ponendo X = ( X 1 ): c B + c) ( X 1 ) =

150 Dunque V(g) = V( X QX ) Osservazione: L equazione X QX è omogenea di secondo grado, quindi V( X QX ) è un cono Dunque vedo V(g) come un cono in K n+1 inersecao con l iperpiano x n+1 = 1: Esempio: La figura precedene mosra l equivalenza fra x x = e { x x 2 2 x 2 3 = x 3 = 1 Osservazione: Sia I la quadrica di equazione X QX = Sia ψ(x) = MX + N affinià; calcoliamo l equazione della quadrica ψ 1 (I) M N Poniamo ψ(x) = MN X = ( 1 ) (X + N ) = (MX ) 1 1 Dunque ψ 1 (I) ha equazione: (ψ(x) ) Q(ψ(X) ) = X M N QM N X = Dunque la marice associaa alla quadrica ψ 1 (I) è M N QM N Perciò sudiare {quadriche di K n }/ aff corrisponde a sudiare A Q = ( { B B ) A S(n, K)\{} c } aff, dove Q aff Q α K\{}, M N Aff(Kn ) Q = αm N QM N 149

151 Vogliamo rovare dei rappresenani canonici per equivalenza affine, cioè una famiglia {F 1,, F k } di quadriche di K n ali che: J quadrica di K n, i J aff F i ; F i aff F j i, j Quesi rappresenani prendono il nome di forme canoniche Resringiamoci al caso K = R K = C Cominciamo dal caso n = 2, cioè dalle coniche di K 2 CLASSIFICAZIONE AFFINE DELLE CONICHE: Sia C la conica di equazione g(x, y) = a 11 x 2 + 2a 12 xy + a 22 y 2 + 2a 13 x + 2a 23 y + a 33, a ij K = R C, a 11, a 12, a 22 non ui nulli x Se X = ( y), A = ( a 11 a 12 a 1 12 a ), B = ( a 13 A B 22 a ), c = a 33, Q = ( 23 ), allora C ha equazione X QX = Se ψ(x ) = MX + N è affinià, allora ψ 1 (C) ha equazione X M N QM N X = Q = M N QM N = ( M N 1 ) ( A B M N ) ( 1 ) = ( MAM MAN + MB N AM + BM NAN + 2 NB + c ) B c Quindi A = MAM, B = M(AN + B) Osservazione: M inveribile e A A, quindi l affinià rasforma la conica in una conica Osservazione: Q e Q sono congrueni e A e A sono congrueni rk(a) e rk(q) sono invariani per equivalenza affine (non cambiano se Q è moliplicaa per α ) DEFINIZIONE 552: C è dea degenere se de(q) = Più precisamene, si dice: semplicemene degenere se rk(q) = 2; doppiamene degenere se rk(q) = 1 DEFINIZIONE 553: C = [g] è dea conica a cenro se N K 2 g(x) = g(σ N (X)) X, dove σ N è la simmeria cenrale di cenro N Osservazione: Se N = (,), σ N (x, y) = ( x, y), dunque (,) è cenro per C = [g] g(x, y) non coniene monomi di primo grado (ossia B = ) In generale, se N K 2 è un cenro per C e considero la raslazione τ(x) = X + N, allora τ 1 (C) ha cenro in (,), e quindi B = Poiché B = M(AN + B) = AN + B, in quano in una raslazione M = M = I, allora N è cenro per C AN = B In alre parole, i cenri della conica C sono le soluzioni del sisema AY = B B c 15

152 Per la raazione delle coniche, disinguiamo il caso delle coniche a cenro da quelle non a cenro: CONICHE NON A CENTRO: Sia C la conica non a cenro ale che A Q = ( B ) B c Siamo nel caso in cui il sisema AY = B non ha soluzione, dunque rk(a) = 1, poiché < rk(a) < 2 Allora M GL(2, K) MAM = ( ±1 ), quindi con la rasformazione lineare X MX (ossia M ), ed evenualmene cambiando di segno all equazione, Q divena: 1 b 1 Q 1 = ( b 2 ) b 1 b 2 d Poiché C non ha cenri, b 2 (alrimeni il sisema AY = B avrebbe infinie soluzioni) e quindi rk(q) = 3 Vediamo che N = ( α β ) la raslazione X X + N rasforma Q 1 in: 1 Q 2 = ( c 2 ), con c 2 c 2 Infai impongo che: ( 1 ) (α β ) + (b 1 ) = ( b { 2 ) (α β) ( 1 { α + b 1 = ) (α β ) + 2(α β) (b 1 α ) + d = + 2αb 1 + 2βb 2 + d = {α = b 1 2βb 2 = b 2 1 d, b 2 che ha soluzione perché b 2 x = x Infine con la rasformazione { y = y, cioè con l affinià: 2c 2 1 M = ( 1 ), si oiene l equazione x 2 y =, ossia: 2c Q 3 = ( 1 2), chiamao ipo C 1 o parabola 1 2 CONICHE A CENTRO: Sia C una conica a cenro Passo 1): Eliminazione dei ermini di primo grado con una raslazione In paricolare, se N è il cenro di C, con la raslazione τ: X X + N si oiene la nuova conica τ 1 (C) che ha per marice associaa: A Q 1 = ( ) d Se d posso dividere l equazione per d, ossia posso supporre d = o d = 1 151

153 A si modifica per congruenza, quindi la forma canonica dipende dal campo Caso K = C Il rango di A è un invariane compleo per congruenza, quindi: se rk(a) = 2, A è congruene a ( 1 1 ); se rk(a) = 1, A è congruene a ( 1 ) Vediamo dunque come si semplifica l equazione di C a seconda della coppia (rk(a), rk(q)): a) { rk(a) = 2 1 rk(q) = 3 Quindi d = 1 Allora C aff ( 1 ), che ha equazione x 2 + y = ; 1 b) { rk(a) = 2 1 rk(q) = 2 Quindi d = Allora C aff ( 1 ), che ha equazione x 2 + y 2 = (dunque il supporo è l unione delle ree incideni x iy = e x + iy = ); c) { rk(a) = 1 1 rk(q) = 2 Quindi d = 1 Allora C aff ( ), che ha equazione x = 1 (ossia il supporo è l unione delle ree parallele x i = e x + i = ); d) { rk(a) = 1 1 rk(q) = 1 Quindi d = Allora C aff ( ), che ha equazione x 2 =, dea rea doppia perché è l unione di due ree coincideni Osservazione: Ricordiamo che nel caso della conica non a cenro si aveva rk(a) = 1, rk(q) = 3 Abbiamo così provao: TEOREMA DI CLASSIFICAZIONE AFFINE DELLE CONICHE DI C 2 : Ogni conica di C 2 è affinemene equivalene ad una e una sola delle segueni: 1) x 2 y = ; 2) x 2 + y = ; 3) x 2 + y 2 = ; 4) x = ; 5) x 2 = La coppia (rk(a), rk(q)) è un sisema compleo di invariani per equivalenza affine in C 2 Caso K = R Su R il rango non è un invariane compleo per congruenza La segnaura lo è, ma non è invariane per aff (in quano se moliplico un equazione per α < cambia la segnaura da (i + (Q), i (Q), i (Q)) a (i (Q), i + (Q), i (Q))) Possiamo però usare l indice di Wi che è insensibile alla moliplicazione per scalare (infai min(i + (Q), i (Q)) rimane lo sesso) Passo 2 Caso reale): Semplifichiamo A Infai dopo il passo 1 ci siamo ridoi alla forma: 152

154 A Q = ( ), con d = d = 1 d Disinguiamo i casi a seconda dei valori di (rk(a), rk(q), w(a), w(q)) 1) { rk(a) = 2, quindi C è non degenere, cioè d = 1 rk(q) = 3 Si possono avere i segueni soocasi: { w(a) = w(q) =< 1 w(a) = 1 w(q) = 1 rk(a) = 2, rk(q) = 3, w(a) =, w(q) = : 1 Q ( 1 ), ossia x 2 + y =, ipo C 2, dea ellisse immaginaria (V(f) = ) 1 rk(a) = 2, rk(q) = 3, w(a) =, w(q) = 1: 1 Q ( 1 ), ossia x 2 + y 2 1 =, ipo C 3, dea ellisse reale 1 (V(f) = circonferenza) rk(a) = 2, rk(q) = 3, w(a) = 1, w(a) = 1: 1 Q ( 1 ), ossia x 2 y =, ipo C 4, dea iperbole (V(f) = iperbole) 1 2) { rk(a) = 2, quindi C è semplicemene degenere, cioè d = rk(q) = 2 Si possono avere i segueni soocasi: w(a) = w(q) = 1 { w(a) = 1 w(q) = 2 rk(a) = 2, rk(q) = 2, w(a) =, w(q) = 1: 1 Q ( 1 ), ossia x 2 + y 2 =, ipo C 5, dea ree complesse incideni (V(f) = {(,)}) rk(a) = 2, rk(q) = 2, w(a) = 1, w(q) = 2: 1 Q ( 1 ), ossia x 2 y 2 =, ipo C 6, dea ree incideni (V(f) = ree incideni) 3) { rk(a) = 1, cioè d = 1 rk(q) = 2 Si possono avere i segueni soocasi: {w(a) = 1 w(q) =< 1 2 rk(a) = 1, rk(q) = 2, w(a) = 1, w(q) = 1: 153

155 1 Q ( ), ossia x =, ipo C 7, dea ree complesse parallele (V(f) = ) 1 rk(a) = 1, rk(q) = 2, w(a) = 1, w(q) = 2: 1 Q ( ), ossia x 2 1 =, ipo C 8, dea ree parallele 1 (V(f) = ree parallele) 4) { rk(a) = 1, cioè d = rk(q) = 1 Si possono avere i segueni soocasi: {w(a) = 1 w(q) = 2 rk(a) = 1, rk(q) = 1, w(a) = 1, w(q) = 2: 1 Q ( ), ossia x 2 =, ipo C 9, dea rea doppia (V(f) = {x = }) Abbiamo dunque provao: TEOREMA DI CLASSIFICAZIONE AFFINE DELLE CONICHE DI R 2 : Ogni conica di R 2 è affinemene equivalene a una e una sola delle segueni: 1) x 2 y = ; 2) x 2 + y = ; 3) x 2 + y 2 1 = ; 4) x 2 y = ; 5) x 2 + y 2 = ; 6) x 2 y 2 = ; 7) x = ; 8) x 2 1 = ; 9) x 2 = Inolre la quaerna (rk(a), rk(q), w(a), w(q)) è un sisema compleo di invariani per equivalenza affine in R 2 Osservazione: La conica C di equazione x 2 y = (l iperbole) può essere visa come: C = S {z = 1}, dove S = {(x, y, z) R 3 x 2 y 2 + z 2 = } 154

156 Esempio: Sia C la conica di R 2 di equazione x 2 + y 2 + 4xy 2x 1y + 1 = Deerminare il modello canonico affine C di C e deerminare un affinià ψ Aff(R 2 ) ψ(c ) = C Svolgimeno: Q = ( 2 1 5), A = ( 1 2 ), B = ( ) de(a) = 3 σ(a) = (1,1,) w(a) = 1 de(q) = 3 + 5( 3) 1( 9) = 9 σ(q) = (2,1,) w(q) = 1 1 Dunque C = ( 1 ), x 2 y =, cioè è un iperbole 1 Sia f(x, y) = x 2 + y 2 + 4xy 2x 1y + 1 Sia f (x, y) = x 2 y ) Ricerchiamo il cenro di C Dobbiamo risolvere il sisema AX = B, cioè: ( ) (α β ) = (1 5 ) { α = 3 β = 1 N = (α β ) = ( 3 1 ) Sia ψ 1 (X) = X + N = X + ( 3 1 ) 1 3 Allora M 1 = ( 1 1) rappresena l affinià ψ 1 1 La conica ψ 1 1 (C) ha come marice associaa Q 1 = M 1 Per quano viso nella eoria: 1 2 Q 1 = ( 2 1 ) 3 2) Trasformo A nella forma di Sylveser v 1 = e 1, v 2 = e e 1 = e 2 2e QM 1 v 2, v 2 = e 2 2e 1, e 2 2e 1 = = 3 Dunque: M {v1,v 2 },{e 1,e 2 }(id) = ( ) Sia ψ 2 (X) = ( ) X, che è rappresenaa da M 2 = ( 1 ) 1 La marice relaiva alla conica C 2 = ψ 1 2 (C 1 ) è: 1 Q 2 = M 2 Q 1 M 2 = ( 3 ) 3 Dobbiamo rasformare il coefficiene di x 2 da 1 a 3, poiché in queso modo oerremmo l ipersuperficie cercaa (poiché nella classo di equivalenza ci sa il polinomio di C moliplicao per una qualsiasi α, in queso caso α = 3): M 3 = ( 3 1 ) L affinià cercaa è M 1 M 2 M 3 = ( 1 1), cioè: 1

157 ψ(x) = ( ) (x y ) + ( 3 1 ) Osservazione: Si possono classificare mericamene le coniche di R 2 in modo simile al caso affine Si diagonalizza A non con Sylveser ma con il eorema sperale M Se M O(2), de(m N ) = de ( N ) = de(m) = ±1, quindi: 1 r( MAM) = r(a); de( MAM) = de(a); de( M N QM N ) = de(q) (anche se M N O(3)) Se moliplico l equazione della conica per α, la marice della conica divena: αa αb αq = ( ), dunque: α B αc de(αq) = α 3 de(q); de(αa) = α 2 de(a); r(αa) = αr(a) Quindi (se r(a) ) i numeri de(a) sono invariani merici 3 e de(q) r(a) 2 r(a) Se C e C sono mericamene equivaleni, allora α de(q ) = α 3 de(q); de(a ) = α 2 de(a); r(a ) = α r(a) Non vale però il viceversa, cioè quesi invariani non sono sufficieni per decidere se due coniche sono mericamene equivaleni Infai: 1 1 ( ) e ( ) 1 c non sono mericamene equivaleni c 1, ma hanno gli sessi invariani precedeni DEFINIZIONE 554: Sia f(x 1,, x n ) K[x 1,, x n ] un polinomio di grado 2 Allora f(x) = XAX + 2 BX + c, con A S(n, K) Definiamo marice della quadrica [f]: A Q = ( B ) M(n + 1, K) B c La quadrica C si dice degenere se de(q) = DEFINIZIONE 555: Una quadrica C si dice cono di verice P C se P C, P P, ua la rea congiungene P e P è conenua in C DEFINIZIONE 556: Una quadrica C è dea cilindro se r rea di K n ale che P C la rea passane per P e parallela a r è conenua in C 156

158 Esempi: 1) Se f è un polinomio omogeneo di secondo grado, [f] è un cono di verice l origine 2) Se f è un polinomio di secondo grado in x 1,, x n in cui non compare una variabile x j, allora [f] è un cilindro parallelo all asse x j 3) x 2 y 2 = in R 3 (che è l unione di due piani incideni), è sia un cono di verice (,,), sia un cilindro parallelo all asse z In modo simile al caso delle coniche si prova: TEOREMA DI CLASSIFICAZIONE AFFINE DELLE QUADRICHE: Ogni quadrica di K n è affinemene equivalene ad una e una sola delle segueni: 1) Se K = C: x x 2 r + d =, con d = d = 1 (conica a cenro); x x 2 r x n =, deo paraboloide 2) Se K = R: x x 2 2 p x p+1 x 2 r + d =, con d = d = 1 (conica a cenro); x x 2 2 p x p+1 x 2 r x n =, dei paraboloidi LISTA DEI MODELLI AFFINI PER LE QUADRICHE DI R 3 : a) A cenro: A cenro non degeneri (cioè c ): 1) x 2 + y 2 + z =, deo ellissoide immaginario (V(f) = ); 2) x 2 + y 2 + z 2 1 =, deo ellissoide ; 3) x 2 + y 2 z 2 1 =, deo iperboloide a una falda ; 157

159 4) x 2 + y 2 z =, deo iperboloide a due falde A cenro degeneri con c = (dunque coni): 5) x 2 + y 2 + z 2 =, deo puno, o cono immaginario (V(f) = {(,,)}); 6) x 2 + y 2 z 2 =, deo cono reale ; 7) x 2 + y 2 =, deo piani complessi incideni (V(f) = asse z); 8) x 2 y 2 =, deo piani incideni ; 9) x 2 =, deo piano doppio ; A cenro degeneri con c : 1) x 2 + y =, deo cilindro immaginario (V(f) = ); 158

160 11) x 2 y =, deo cilindro iperbolico ; 12) x 2 + y 2 1 =, deo cilindro elliico ; 13) x 2 1 =, deo piani paralleli ; 14) x =, deo piani complessi paralleli (V(f) = ); b) Non a cenro (paraboloidi): Non a cenro non degeneri: 159

161 15) x 2 + y 2 z =, deo paraboloide elliico ; 16) x 2 y 2 z =, deo paraboloide iperbolico o sella ; Non a cenro degeneri: 17) x 2 z =, deo cilindro parabolico ; 16

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